Magistratura democratica
Spilli

“Rivoluzione del merito” per i magistrati: una formula ingannevole e stantia riesumata dal Ministro Zangrillo (come se non bastasse Nordio)

Gli spilli possono servire a molte cose.

A fissare una foto o un foglietto di appunti su di una bacheca.

A tenere provvisoriamente insieme due lembi di stoffa in attesa di un più duraturo rammendo. 

A infliggere una piccola puntura, solo leggermente dolorosa, a qualcuno che forse l’ha meritata.

Lo spillo di oggi è dedicato a quei magistrati - pochi o tanti che siano - che sono favorevoli

alla formazione del governo autonomo per sorteggio

 

“Rivoluzione del merito” per i magistrati: una formula ingannevole e stantia

riesumata dal Ministro Zangrillo (come se non bastasse Nordio)

 

Ci sono magistrati che “immaginano” – mai come in questo caso il verbo è appropriato - che la diminuita forza e legittimazione istituzionale del loro governo autonomo derivante dal “sorteggio” dei componenti togati non avrà alcuna ripercussione negativa sull’indipendenza dei singoli e sullo status, giuridico ed economico, di giudici e pubblici ministeri.  

Per costoro, anzi, la prospettiva congiunta di un governo debole e del mantenimento di intatte garanzie individuali è particolarmente allettante, perché interpretata come promessa di maggiore libertà da vincoli nella vita professionale e privata.

Dispiace dover richiamare alla realtà quanti coltivano questa sconsiderata illusione ma le “voci di dentro” che provengono dalla compagine governativa dicono tutt’altro.

Le leggi di attuazione della riforma costituzionale sono impazientemente attese dal Ministro della giustizia per introdurre nuovi illeciti disciplinari diretti in particolare (ma non solo) a ridurre la libertà di manifestazione del pensiero dei magistrati.

E per i magistrati “silenziosi” - che pensano di non aver nulla da temere sul versante della parola ma restano interessati a loro status economico- è in programma una rivoluzione, già in corso di gestazione al Ministero della pubblica amministrazione, suggestivamente denominata come “rivoluzione del merito” (F. Bechis, Zangrillo «Stipendi scaglionati ai dirigenti» E per i magistrati riforma del merito, Il Messaggero, 3.9.2025).

In realtà, dietro il posticcio paravento rivoluzionario, sembra profilarsi un progetto antico.

Rimettere radicalmente in discussione gli attuali meccanismi di progressione economica dei magistrati, voluti in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza delle funzioni, magari incidendo anche sul sistema di adeguamento automatico delle retribuzioni che ha liberato la magistratura dalla dipendenza dalla contrattazione collettiva con l’esecutivo, riconoscendo ai magistrati aumenti triennali del loro trattamento economico parametrati a quelli del pubblico impiego.

Alla riduzione del ruolo e del peso istituzionale del governo autonomo della magistratura faranno dunque seguito, con ogni probabilità, anche ridotti margini di indipendenza e un peggioramento della condizione economica dei singoli magistrati.

Su questo ulteriore negativo corollario del sorteggio farebbero bene a riflettere quanti, irriflessivamente, sottovalutano l’impatto negativo della riforma costituzionale o addirittura la auspicano.

           QG

08/09/2025
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L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025
Csm separati e formati per sorteggio. Una riforma per scompaginare il governo autonomo

L’iter della riforma costituzionale della magistratura procede verso l’approvazione definitiva, in doppia lettura, del disegno di legge di revisione costituzionale entro il 2025 e lo svolgimento del prevedibile referendum confermativo nel 2026.
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini, la formale e definitiva separazione delle carriere, nei fatti già realizzata, avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria. Ma le mire della maggioranza di governo si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura, voluto dai Costituenti a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati e dell’Alta Corte, il nuovo giudice disciplinare dei magistrati ordinari. Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947, si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di un’estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla. Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzando il nesso democratico tra amministratori  e amministrati, significa porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione. Ed è forte il rischio che negli organismi del governo autonomo, nati dal caso e formati in base al principio  per cui  “l’uno vale l’altro”, rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che l’involuzione corporativa e burocratica determinata dal sorteggio sia un affare interno della magistratura. Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura. E di questa minore indipendenza pagherebbero il prezzo i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza. 

10/06/2025
Cinque generazioni

Recensione al libro di Francesco Buffa (Amazon KDP, 2025)

07/06/2025