Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Delibere del C.S.M. e poteri del giudice amministrativo

Le Sezioni Unite tracciano la linea di confine nella sentenza n.19787-2015

Il tema dell’estensione e dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle delibere con cui il C.S.M. conferisce gli incarichi direttivi e semidirettivi è da tempo oggetto di un dibattito serrato, volto ad individuare il punto di equilibrio tra l’esigenza di sottoporre a controllo di legalità tutti gli atti dei pubblici poteri e quella di consentire all’organo di governo autonomo della magistratura l’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui è titolare per dettato costituzionale.

Fondamentale rilevanza assumono, in questo contesto, le decisioni assunte dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, più volte chiamate, negli ultimi anni, a verificare se, in relazione a specifici procedimenti contenziosi, il giudice amministrativo, nell’annullare o dichiarare la nullità di provvedimenti del C.S.M., abbia o meno travalicato i cc.dd. “limiti esterni della giurisdizione” – cioè si sia ingerito in materie riservate all’amministrazione procedente -, così incorrendo nel vizio di “eccesso di potere giurisdizionale”, sindacabile ai sensi degli artt. 111, ultimo comma, Cost.[1], 362, comma 1,[2] e 374, comma 1, prima parte,[3] c.p.c..

E’ questo l’oggetto della sentenza n. 19787/2015, depositata il 5 ottobre 2015, con la quale le Sezioni Unite hanno cassato la pronunzia resa dal Consiglio di Stato nell’ambito del contenzioso relativo alla nomina del Procuratore Aggiunto presso la Corte di Cassazione.

Trattasi di pronunzia di notevole rilievo già per il fatto che, a differenza di quelle che la hanno preceduta (sentenze nn. 23302/2011, 735/2012 e 1823/2015), afferisce ad una decisione assunta dal Consiglio di Stato quale giudice di legittimità e non dell’ottemperanza: nel caso di specie, dunque, si discuteva della sussistenza, nella delibera impugnata, di uno dei vizi dell’atto amministrativo e non, come accaduto nelle fattispecie nel recente passato sottoposte al vaglio del massimo organo nomofilattico, della conformità del provvedimento adottato rispetto al contenuto prescrittivo del giudicato intervenuto sulla vicenda[4].

Il principale punto controverso atteneva alla legittimità della comparazione tra due candidati, sul cui esito aveva inciso l’equiparazione tra l’esperienza maturata da uno di loro, per un periodo di diciotto anni, al di fuori della giurisdizione, quale avvocato dello Stato, e quella svolta in una “magistratura speciale”, equiparazione che aveva concorso ad attestare, unitamente ad altri fattori, la prevalenza dell’aspirante sul concorrente.

Il Consiglio di Stato, nel motivare l’annullamento della delibera consiliare, aveva, tra l’altro, escluso che l’Avvocatura dello Stato potesse rientrare nella nozione di “magistrature speciali” di cui all’art. 211, comma 2, R.D. n. 12/1941, sottratte alla operatività del divieto di riammissione nell’ordine giudiziario prescritto dal primo comma dello stesso art. 211 e ritenuto che l’equiparazione degli avvocati dello Stato al personale delle magistrature rilevi ai soli fini economici e retributivi.

Ne discendeva, a favore del candidato pretermesso dal C.S.M., un esercizio dell’attività giurisdizionale maggiore, nella misura di ben 18 anni, rispetto a quello del contendente, circostanza che, nel complessivo giudizio attitudinale, valeva a far pendere la bilancia dalla parte del magistrato più “esperto”, ad onta del fatto che l’altro avesse esercitato più a lungo di lui le funzioni di legittimità.

Le Sezioni Unite sono state investite dal C.S.M., che ha dedotto il vizio di eccesso di potere giurisdizionale lamentando, tra l’altro[5], che il giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità e sconfinando nella sfera del merito, riservato all’amministrazione, avesse compiuto una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto.

La sentenza n. 19787/2015 muove dalla riaffermazione della distinzione, ormai consolidata nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, tra limiti interni e limiti esterni della giurisdizione[6] e, non mancando di rimarcare come il C.S.M., quale organo di rilevanza costituzionale, goda, nell’assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi, di un margine di apprezzamento discrezionale particolarmente ampio, si impernia sulla rilevanza dell’interpretazione dell’art. 211 ord. giud. che, notano i giudici della Cassazione, costituisce, nell’economia della delibera impugnata, mera premessa argomentativa anziché elemento centrale nella valutazione delle attitudini e, dunque, nella selezione comparativa.

Pacifico, infatti, che il candidato prescelto dal C.S.M. era stato da molti anni riammesso nell’ordine giudiziario, l’incidenza dell’esperienza quale avvocato dello Stato in chiave attitudinale costituisce, notano le Sezioni Unite, elemento di merito, in quanto tale rimesso alla discrezionalità del C.S.M., espressione del potere, garantito dall’art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura.

Escluso, allora, ogni profilo di illogicità nella preferenza accordata ad uno degli aspiranti, l’affermazione, contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato, secondo cui il più duraturo esercizio, da parte dell’uno, delle funzioni di legittimità non poteva essere compensato da un deficit di 18 anni di attività complessiva come magistrato, si risolve in una franca valutazione di merito, preclusa, in sede di giurisdizione di legittimità, al giudice amministrativo il quale è, in conclusione, ritenuto autore del denunciato “eccesso di potere di giurisdizionale”, ed al quale gli atti vengono restituiti per una nuova valutazione, ossequiosa del formulato principio di diritto.

Una decisione, quella qui pubblicata, dotata di non marginale carica innovativa perché, pur in linea di sostanziale continuità con gli orientamenti formatisi presso le Sezioni Unite, li sviluppa e li applica tracciando un solco più nitido tra la sfera della legittimità e quella del merito. 



[1]Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

[2]Possono essere impugnate con ricorso per cassazione, nel termine di cui all'articolo 325 secondo comma, le decisioni in grado d'appello o in unico grado di un giudice speciale, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso”.

[3]La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti …nell'articolo 362”.

[4] Come è noto, il giudice amministrativo, quando agisce nell’ambito della giurisdizione di ottemperanza, ha cognizione estesa al merito e, di conseguenza, più pregnanti ed incisivi poteri di apprezzamento in ordine alle modalità di esercizio della discrezionalità da parte dell’amministrazione.

[5] Il ricorso è, invero, fondato su altro motivo, che la Corte di Cassazione reputa infondato, relativo alla possibilità – che il C.S.M. contestava - di annullare “ora per allora”, in sede di giurisdizione di legittimità, la delibera del C.S.M., adottata quando i magistrati che concorrevano per l’incarico conteso erano ancora in servizio, qualora, successivamente, al momento della decisione di secondo grado, entrambi erano ormai in quiescenza.

[6] Ovvero dall’individuazione della linea di confine “tra l’operazione intellettuale consistente nel vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto amministrativo impugnato e quella che si sostanzia invece nello scegliere tra diverse possibili opzioni valutative, più o meno opinabili, inerenti al merito dell’attività amministrativa di cui si discute”, in coerenza all’affermazione per cui “altro è l’illogicità della valutazione, altro è la non condivisione di essa”.

19/10/2015
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La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025
Csm separati e formati per sorteggio. Una riforma per scompaginare il governo autonomo

L’iter della riforma costituzionale della magistratura procede verso l’approvazione definitiva, in doppia lettura, del disegno di legge di revisione costituzionale entro il 2025 e lo svolgimento del prevedibile referendum confermativo nel 2026.
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini, la formale e definitiva separazione delle carriere, nei fatti già realizzata, avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria. Ma le mire della maggioranza di governo si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura, voluto dai Costituenti a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati e dell’Alta Corte, il nuovo giudice disciplinare dei magistrati ordinari. Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947, si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di un’estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla. Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzando il nesso democratico tra amministratori  e amministrati, significa porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione. Ed è forte il rischio che negli organismi del governo autonomo, nati dal caso e formati in base al principio  per cui  “l’uno vale l’altro”, rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che l’involuzione corporativa e burocratica determinata dal sorteggio sia un affare interno della magistratura. Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura. E di questa minore indipendenza pagherebbero il prezzo i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza. 

10/06/2025