Magistratura democratica
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Dalla maggioranza, la minaccia di una contro-riforma per la Corte dei conti

di Andrea Carapellucci
magistrato contabile

Controlli e pareri piegati alle necessità degli amministratori, in funzione di scudo alla responsabilità, che viene pericolosamente sovrapposta a quella penale. Con l’alibi del PNRR, si fa strada un progetto pericoloso per l’indipendenza della magistratura contabile e per la tutela delle risorse pubbliche.

1. Il progetto di legge Foti e i suoi antefatti 

Che i rapporti fra magistratura contabile e Governo siano da tempo tesi è un fatto ampiamente noto, nonostante gli sforzi di entrambe le parti per camuffare, dietro a rituali e cortesie, un sempre più irreversibile contrasto di posizioni.

Da un lato, la Corte dei conti appare determinata a difendere il ruolo e il rinnovato protagonismo che la riforma del “pareggio di bilancio in costituzione” (2012) le ha assegnato e vive con preoccupazione la propria evidente incapacità di influenzare le scelte dei decisori politici riguardo alle proprie funzioni.

Dall’altro, è sempre più forte l’insofferenza per il suo ruolo e i suoi pronunciamenti, concepiti dalla politica come un’invasione di campo e un freno all’azione amministrativa. 

Quanto ciò dipenda dall’atteggiamento delle due parti e quanto, piuttosto, dagli sconvolgimenti dello scenario economico e internazionale nell’ultimo quinquennio, è difficile affermare con sicurezza. Nel nuovo corso, storico e politico, avviato dalla pandemia, la difesa dell’interesse nazionale è frequentemente invocata anche nei confronti delle istituzioni di controllo, alle quali sembra richiedersi una crescente consapevolezza della gravità della fase e un corrispondente atteggiamento cooperativo.

Risalgono al maggio scorso l’improvvisa soppressione del controllo concomitante sui progetti del PNRR e l’ulteriore proroga dello “scudo erariale” introdotto dal d.l. n. 76/2020, interventi duramente contestati dai vertici della Corte e dalla magistratura associata[1]

Il tavolo di confronto avviato con il Governo nei mesi successivi[2] non ha impedito il periodico riaccendersi della polemica, che puntualmente riaffiora in occasione della pubblicazione dei referti semestrali sul Piano di ripresa e resilienza, con reazioni piccate del Ministro Fitto e di altri esponenti governativi[3]

Delle scorse settimane è la notizia che l’Esecutivo ha designato quale componente italiano della Corte dei Conti dell’Unione europea Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato contabile il cui nome non compariva fra quelli segnalati dalla Corte, all’esito di un’apposita procedura concorsuale. Come la stampa non ha mancato di notare[4], Manfredi Selvaggi era titolare di un importante incarico governativo, quale capo della Struttura di Missione per il PNRR.

È dai partiti della maggioranza, tuttavia, che proviene l’ultima e forse più dirompente iniziativa di riforma delle funzioni della Corte. Si tratta del progetto di legge a firma dell’On. Foti (A.C. 1621)[5], capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, depositato a dicembre 2023 ma reso disponibile, nel suo testo ufficiale, solo nel febbraio del nuovo anno.

La sua presentazione è stata accompagnata dall’ennesima proroga[6] dello “scudo erariale”, che estende a un totale di quattro anni e mezzo la vigenza delle significative limitazioni alla responsabilità amministrativa, in forza delle quali sono attualmente perseguibili solo in caso di dolo i danni erariali cagionati con condotte attive. Sulla norma è già pendente una questione di legittimità costituzionale, sollevata lo scorso dicembre dalla Corte dei conti[7].  

Sempre più evidente è l’esistenza di un coordinamento fra le diverse iniziative parlamentari e l’azione del Governo, che mantiene formalmente aperto il confronto con i vertici della Corte, ma non avversa, e pare anzi assecondare[8], iniziative di riforma che si pongono in frontale contrasto con le preoccupazioni espresse in tutte le sedi dalla magistratura contabile[9]

 

2. Le novità in materia di responsabilità erariale

“È ormai da tempo che la cosiddetta «paura della firma» affligge il funzionamento della pubblica amministrazione italiana”: con queste parole esordisce la relazione al progetto di legge Foti, evidenziando come la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici sia il principale bersaglio dell’intervento riformatore, tanto nella parte che riguarda le norme in materia di responsabilità (e il relativo processo), quanto in quella che attiene alle attribuzioni di controllo e alla funzione consultiva.

Il progetto di legge prevede, come si vedrà, l’estensione del controllo preventivo di legittimità su taluni provvedimenti di spesa delle amministrazioni pubbliche, con la dichiarata intenzione di limitare la responsabilità di coloro che sono chiamati ad adottarli. 

La funzione del controllo preventivo – garantire la conformità alla legge degli atti amministrativi – viene così esplicitamente piegata all’interesse del singolo dirigente o funzionario, che l’esito positivo del controllo solleverebbe da responsabilità per gli eventuali danni cagionati all’Amministrazione.

Anche la funzione consultiva della Corte viene estesa significativamente, con la possibilità delle Amministrazioni di chiedere pareri su “fattispecie concrete” e l’espressa esclusione della responsabilità nel caso in cui si provveda conformemente al parere reso. Un inedito meccanismo di silenzio-assenso, poi, produce l’effetto limitativo della responsabilità anche nei casi in cui il parere non venga reso nei brevi termini previsti: sarà, in questo caso, l’aderenza alla soluzione prospettata nella richiesta a determinare l’esenzione da responsabilità.

Sul punto, si tornerà più diffusamente nel prosieguo. È infatti opportuno affrontare in primo luogo le disposizioni direttamente dedicate alla responsabilità erariale.

Il progetto di legge prevede due novità sostanziali, tra loro collegate, oltre ad alcune innovazioni di minore portata in materia di spese del giudizio e assicurazione obbligatoria dei dipendenti pubblici.

La più dirompente è l’introduzione di limiti “edittali”, minimi e massimi, al risarcimento dei danni cagionati con colpa grave: una novità destinata a stravolgere il sistema vigente. 

La responsabilità per danno all’Erario è infatti pacificamente ritenuta una responsabilità di natura risarcitoria, una variante della responsabilità civile, dalla quale si distacca per le numerose caratteristiche premiali di quest’ultima rispetto al modello generale. La responsabilità consegue a qualsiasi danno suscettibile di valutazione economica e non è quindi fondata su condotte (attive o omissive) tipizzabili attraverso specifiche fattispecie di illecito.

La reintegrazione del patrimonio pubblico è la sua finalità principale. La concorrente funzione sanzionatoria, che secondo la dottrina si aggiunge (ma non si sostituisce) a quella risarcitoria, discende proprio da tali differenze di disciplina: dalla possibilità, contemplata in astratto dalle stesse norme, di lasciare definitivamente a carico dell’Amministrazione e dei cittadini una parte del danno subito.

Nella consapevolezza che il dipendente pubblico è spesso chiamato a compiere scelte le cui conseguenze economiche superano ampiamente il valore del proprio salario, la responsabilità amministrativa ha infatti conseguenze più favorevoli per il danneggiante rispetto alla responsabilità civile. 

Se quest’ultima si pone l’obiettivo di ricondurre integralmente le conseguenze economiche del danno a chi lo ha causato, la responsabilità erariale pone invece in primo piano la prevenzione e la deterrenza di condotte negligenti, anche a scapito del risarcimento integrale. Salve le ipotesi di dolo e di illecito arricchimento, la responsabilità è infatti parziaria e non solidale: ciascun condannato risponde quindi della sola parte di danno che dipende dalla propria condotta. Il debito risarcitorio non è trasmissibile agli eredi e la responsabilità sussiste solo per i danni cagionati con dolo o colpa grave. 

La responsabilità erariale generalizza, in altri termini, la limitazione che il Codice civile (art. 2236) prevede solo per le prestazioni professionali che comportano “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”. 

Al giudice contabile è poi riconosciuto il potere, che non ha eguali nelle altre giurisdizioni, di ridurre discrezionalmente l’importo della condanna risarcitoria, senza alcun limite minimo: in ciò consiste il cosiddetto potere riduttivo dell’addebito. Ciò attribuisce al giudizio sulla domanda risarcitoria una struttura più articolata di quella tipica del processo civile (o penale, nel caso in cui l’azione risarcitoria sia esercitata nell’ambito di quest’ultimo).

Una volta quantificato il danno subito dall’Amministrazione, il giudice individua in primo luogo il danno risarcibile, tenendo conto degli eventuali benefici derivanti dalla condotta dannosa per l’Amministrazione e la collettività (una forma estesa di compensatio lucri cum damno). Determina quindi il danno imputabile al singolo convenuto (principio di parziarietà). Infine, decide la quota di danno addebitabile, nell’esercizio del potere riduttivo, che consente di considerare le circostanze oggettive e soggettive della condotta e delle sue conseguenze (con qualche analogia rispetto alla determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p.). L’importo massimo della condanna è pari al danno imputabile al singolo convenuto, ma questo è riducibile senza limiti, fino a zero.

In merito, l’art. 1 della proposta di legge Foti prevede che “[salvi i casi di danno cagionato con dolo o di illecito arricchimento] la Corte dei conti esercita il potere di riduzione ponendo a carico del responsabile, in quanto conseguenza immediata e diretta della sua condotta, parte del danno accertato o del valore perduto di importo minimo pari a euro 150 e massimo non superiore a due annualità del trattamento economico complessivo annuo lordo spettante al responsabile medesimo. La determinazione dell’entità della riduzione di cui al primo periodo in misura superiore al minimo deve essere motivata” (enfasi aggiunta). 

Nei casi di responsabilità colposa, quindi, la condanna al risarcimento del danno cagionato al patrimonio pubblico, di qualsiasi entità, non potrà quindi superare il doppio della retribuzione annua lorda del responsabile. 

L’esercizio del potere riduttivo dell’addebito diviene doveroso e l’onere di motivazione è espressamente previsto solo per la condanna in misura superiore a 150 Euro (meno di quanto previsto per numerose violazioni del Codice della strada). 

Oltre a impedire, in molti casi, il ristoro effettivo del patrimonio pubblico, la previsione di un limite massimo alla condanna risarcitoria determina conseguenze dirompenti sul piano teorico e applicativo.

In primo luogo, annulla la differenza tra la generale responsabilità per danno all’Erario (risarcitoria) e le diverse ipotesi di responsabilità sanzionatoria, nelle quali la Corte dei conti sanziona, con una pena pecuniaria, le condotte illecite degli amministratori, prescindendo dalle loro conseguenze dannose. (Ad es., in caso di dissesto dell’ente locale o di violazione dei limiti all’indebitamento previsti dall’art. 119 Cost.).

L’intero istituto della responsabilità amministrativa finisce così per assumere una chiara connotazione sanzionatoria, tale da ricondurlo nell’alveo del diritto punitivo di cui alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. La sua possibile sovrapposizione con la responsabilità penale, e le inevitabili conseguenze in tema di bis in idem, diviene quindi potenzialmente censurabile alla luce della giurisprudenza Rigolio.

In secondo luogo, il limite al risarcimento commisurato al doppio della retribuzione pone gravi problemi interpretativi nei casi in cui il responsabile non sia un dipendente dell’Amministrazione. 

La giurisdizione della Corte dei conti si estende, per ormai decennale giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Cassazione, a tutti gli amministratori eletti (che percepiscono indennità, anche in forma di semplici gettoni di presenza), a coloro che ricoprono cariche onorarie non retribuite, ai funzionari di fatto e anche ai privati – persone fisiche e giuridiche – beneficiarie di contributi e sussidi che la legge destina a specifiche finalità.

In questi casi, l’interprete sarebbe posto di fronte a un’alternativa di difficile soluzione: ritenere che il legislatore abbia implicitamente ristretto la giurisdizione della Corte dei conti ai soli dipendenti pubblici, con un significativo arretramento della tutela delle risorse pubbliche, o ritenere piuttosto che il limite massimo al risarcimento riguardi i soli dipendenti, i quali sarebbero tutelati in modo probabilmente irragionevole – anche ai sensi dell’art. 3 Cost. –  rispetto a tutti gli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile. 

Entrambe le soluzioni paiono inaccettabili sul piano sistematico e della compatibilità con l’art. 28 Costituzione, che sancisce la diretta e personale responsabilità di funzionari e dipendenti pubblici “secondo le leggi penali, civili e amministrative”.

La previsione di un limite massimo al risarcimento, e altre limitazioni alla responsabilità erariale, sono già previste per alcune categorie di dipendenti pubblici. 

La soluzione contenuta nella proposta di legge riecheggia, in particolare, quella della legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017) sulla responsabilità degli operatori sanitari. Le ragioni alla base di quelle limitazioni – i costi della medicina difensiva, insostenibili per il Servizio Sanitario Nazionale, e il costo dei premi assicurativi, insostenibili per i professionisti del settore sanitario – non sono però estendibili a tutti i dipendenti pubblici.

 

3. Lo stravolgimento della funzione di controllo

I controlli della Corte dei conti rappresentano un complesso e articolato insieme di attribuzioni, che possono oggi essere raggruppate in tre categorie principali (anche se probabilmente non esaustive).

I più tradizionali controlli di legittimità, preventivi e successivi, sugli atti, che riguardano le sole Amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche.

Al fine dichiarato di accelerare l’azione amministrativa, la riforma del 1994 (legge n. 20/1994) ha circoscritto, con un’elencazione tassativa, le categorie di atti assoggettate al controllo preventivo. Così facendo, tuttavia, ha anche consentito alla Corte un esame più approfondito dei provvedimenti maggiormente significativi e, complessivamente, assicurato una miglior tutela delle finanze pubbliche.

Fra gli atti assoggettati al controllo preventivo della Corte vi sono quelli che approvano (e rendono efficaci), tutti i contratti attivi delle Amministrazioni statali (ad es. la vendita di beni) e i contratti passivi di valore significativo (ad es. gli appalti). Essi non producono quindi effetti se non superano il controllo, il cui esito negativo non è suscettibile di impugnazione. Una forma particolarmente incisiva di tutela delle finanze pubbliche, che presuppone, tuttavia, una mole non eccessiva di atti da controllare: diversamente, il decorso del termine di 60 giorni previsto dalla legge consentirà la registrazione dell’atto anche in assenza di un pronunciamento della Corte dei conti.

Ai controlli di legittimità sugli atti si sono affiancati, nell’ultimo trentennio, i controlli sulla gestione, di carattere collaborativo, che attengono al rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa e corrispondono a quelli più diffusi a livello internazionale.

Al novero dei controlli sulla gestione appartengono, ad esempio, quelli sul PNRR.

La riforma costituzionale del 2012 ha introdotto l’ultima categoria di controlli, quelli di legittimità-regolarità sui bilanci pubblici, che coinvolge le Regioni, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Nel tempo, il baricentro delle attività di controllo si è quindi progressivamente spostato dai controlli di legittimità sugli atti (generalizzati fino al 1994), ai controlli collaborativi sulla gestione (1994-2012), ai controlli sui bilanci (2012-), che oggi costituiscono la maggior parte delle attività svolta dalle Sezioni regionali.

Il progetto di legge Foti introduce un significativo ampliamento dei controlli preventivi di legittimità, destinato ad avere un impatto significativo sul carico di lavoro della Corte e capace quindi di ridurre significativamente la possibilità di esercitare le altre tipologie di controlli.

L’art. 1 del progetto di legge prevede che la Corte dei conti svolga il controllo preventivo di legittimità sui contratti connessi all’attuazione del PNRR, dal valore superiore alle soglie europee, stipulati da qualsiasi soggetto attuatore, entro il termine di 30 giorni (dimezzato rispetto ai normali 60). In caso di superamento del termine perentorio di 30 giorni “l’atto si intende registrato anche ai fini dell’esclusione di responsabilità”.

È evidente che, in caso di entrata in vigore di tali disposizioni, il numero di contratti che potrebbero essere sottoposti al controllo preventivo nel triennio 2024-2026 sarebbe tale da incidere negativamente su tutte le altre attività di controllo della Corte.

Il controllo preventivo di legittimità, come accennato, prevede già attualmente la registrazione dell’atto in caso di mancata pronuncia nei termini di legge, ma le nuove disposizioni introducono l’espressa esclusione della responsabilità derivante dagli atti che non siano stati espressamente censurati, con pronuncia collegiale, della Sezione competente. 

Se si considera che l’esito negativo del controllo impedisce all’atto di divenire efficace (e quindi, la possibilità stessa del danno), e ogni altro esito esclude la responsabilità dei dirigenti e dei funzionari preposti, si comprende agevolmente come il progetto di legge prometta la totale esenzione di responsabilità per tutti i contratti pubblici di valore più significativo stipulati per l’attuazione del PNRR.

 

4.  I pareri-scudo e l’impropria attività di consulenza nei confronti degli amministratori

La funzione consultiva della Corte dei conti, originariamente attribuita alle sole Sezioni Riunite per i provvedimenti legislativi in materia di funzioni della stessa Corte, si è notevolmente sviluppata a seguito della legge n. 131/2003, di attuazione della riforma costituzionale del Titolo V. 

L’art. 7 della legge La Loggia prevede, infatti, che Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni possano chiedere alle Sezioni regionali della Corte dei conti pareri “in materia di contabilità pubblica”. 

Una copiosa giurisprudenza ha individuato, negli anni, l’ambito e i confini di tale funzione, piuttosto peculiare per una magistratura. La funzione si inserisce nella materia del coordinamento della finanza pubblica ed è diretta ai medesimi fini: l’uniforme applicazione delle norme (di fonte statale e regionale) che disciplinano la gestione del patrimonio e delle finanze pubbliche, i limiti e i vincoli alla spesa, i bilanci degli enti pubblici.

I quesiti posti alla Corte devono pertanto vertere sull’interpretazione di norme e devono essere suscettibili di risposta in termini generali ed astratti. Non possono quindi essere sottoposti quesiti relativi a fattispecie concrete, che determinerebbero una sostanziale cogestione delle attività amministrative da parte della magistratura contabile, chiamata poi a controllare ed eventualmente sanzionare l’operato delle amministrazioni attraverso la responsabilità.

Negli oltre vent’anni dalla loro introduzione, i pareri in materia di contabilità pubblica hanno originato una copiosa quantità di pronunce, che costituisce un riferimento importate per gli enti territoriali nell’interpretazione della normativa.

Il progetto di legge Foti interviene in proposito con due sostanziali novità. 

In primo luogo, consente di formulare richieste di parere anche su fattispecie concrete “connesse all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), di valore complessivo non inferiore a un milione di euro, purché́ estranee ad atti soggetti al controllo preventivo di legittimità̀ ovvero a fatti per i quali la competente procura contabile abbia notificato un invito a dedurre”.

In secondo luogo, prevede l’esenzione da responsabilità non solo nel caso in cui l’Amministrazione si conformi al parere (circostanza già attualmente disciplinata dalla legge), ma anche in caso di mancata pronuncia entro il termine perentorio di 30 giorni. Infatti, “in caso di mancata espressione del parere nel termine di cui al primo periodo, lo stesso si intende reso in senso conforme a quanto prospettato dall’amministrazione richiedente (…) ovvero in senso negativo qualora l’amministrazione richiedente non abbia prospettato alcuna soluzione”. 

Si è già accennato al rischio derivante dalla possibilità, oggi esclusa, di richiedere pareri su fattispecie concrete: la compromissione della terzietà degli organi cui sono intestate anche funzioni di controllo e giurisdizionali. Ma ciò che appare ancora più grave è lo snaturamento del parere, che da supporto per l’Amministrazione nell’applicazione della legge diviene uno strumento per sollevare da responsabilità gli amministratori. 

Sarà sufficiente, infatti, prospettare un problema e una soluzione per escludere qualsiasi conseguenza sul piano personale delle scelte compiute. Anche in caso di parere negativo, infatti, si potrà semplicemente formulare una nuova richiesta, prospettando una diversa soluzione, fino ad ottenere il via libera della Corte o la formazione del “silenzio-assenso”. (È inverosimile, infatti, che una volta ottenuto un parere negativo i richiedenti semplicemente desistano: per le “fattispecie concrete” legate all’attuazione del PNRR non è immaginabile un’“opzione zero” che non determini, a sua volta, la responsabilità degli amministratori. E una volta elaborata una soluzione alternativa a quella bocciata dalla Corte, perché non sfruttare l’opportunità della richiesta di parere per ottenere l’auspicato via libera?).

 

5. Un preciso disegno (contro)riformatore?

È inevitabile chiedersi se l’estensione dello “scudo erariale” e il progetto di legge Foti rappresentino iniziative fra loro isolate, o siano invece collegate e – addirittura – componenti di un vero e proprio disegno riformatore.

Di certo, una riforma strutturale orientata ad escludere la responsabilità degli amministratori è resa meno urgente dalla permanenza dello “scudo”. Ciò può contribuire a spiegare perché si sia scelta la via dell’iniziativa parlamentare – sia pure del capogruppo del partito di maggioranza relativa – invece del disegno di legge governativo. Quest’ultimo avrebbe rappresentato l’opzione più naturale per una proposta che rappresenterebbe la più rilevante riforma delle funzioni della Corte dei conti dell’ultimo trentennio, dalle leggi nn. 19 e 20 del 1994.

Un’altra possibile spiegazione è che il mancato coinvolgimento diretto del Governo si spieghi con la volontà di mantenere aperto il dialogo istituzionale con i vertici della Corte, lasciando però, al contempo, campo libero a iniziative parlamentari che incontrino i desiderata dell’Esecutivo.

È percepibile, in ogni caso, un comune sentire nelle iniziative e nelle dichiarazioni di esponenti politici della maggioranza, che si inserisce in una linea di tendenza ormai consolidata da anni.

La magistratura contabile non è più percepita come il guardiano delle risorse pubbliche e del loro corretto utilizzo. 

Sempre più insistentemente[10], si propone di affiancarla a politici e amministratori nella soluzione dei problemi complessi del governo e dell’amministrazione contemporanei, quasi come se individuare soluzioni rispettose della legge fosse un obiettivo da porre sullo stesso piano di quello di fare scelte opportune per l’interesse pubblico, o condivisibili sul piano politico.

La visione marcatamente efficientista, o “di risultato”, che si è progressivamente affermata nella pubblica amministrazione ha dapprima contribuito a svalutare il problema della legittimità[11] e sembra ora volerlo ricondurre all’interno della decisione amministrativa stessa, come una variabile qualsiasi, e non al suo esterno, come limite alle scelte possibili.

Se, ad esempio, il PNRR impone di realizzare un investimento entro termini precisi e ristretti, si ritiene oggi un preciso compito del Governo quello di introdurre tempestivamente le necessarie deroghe ed eccezioni normative, compresi gli eventuali “scudi” alla responsabilità penale, civile e contabile. Compito dell’Amministrazione sarebbe invece individuare le soluzioni concrete che garantiscano (ad ogni costo?) il conseguimento del risultato. Compito degli organi di controllo, infine, sarebbe quello di collaborare con l’Amministrazione, facendosi carico non soltanto dei molteplici interessi pubblici in gioco, ma addirittura della condizione psicologica in cui funzionari e dirigenti sono chiamati ad operare (la “paura della firma”). 

Come interpretare diversamente una proposta che piega i controlli di legittimità e il contributo alla corretta interpretazione delle norme all’esigenza degli amministratori di assumere scelte al riparo da responsabilità?

E come interpretare diversamente le dichiarazioni di chi vorrebbe la Corte dei conti “al fianco” degli amministratori?

Naturalmente, una simile visione non è scevra di conseguenze sul piano istituzionale.

Il modello italiano (di origine francese e belga), in cui il ruolo di Supreme Audit Institution è affidato a una magistratura, munita di tutte le garanzie di autonomia e indipendenza riconosciute agli altri giudici e di competenze giurisdizionali collegate a quelle di controllo, è minoritario a livello internazionale, rappresentando circa un terzo dei Paesi che aderiscono all’INTOSAI[12]. L’alternativa, tipica dei Paesi anglosassioni, in cui il controllo è affidato ad autorità amministrative indipendenti o a particolari organi inseriti nell’organizzazione ministeriale, è senz’altro attraente per chi auspica un controllore il più vicino possibile agli interessi e agli obiettivi del Governo. In questo senso, del resto, muoveva la proposta licenziata dalla commissione bicamerale per le riforme costituzionali istituita nel 1997, nel periodo in cui le invocazioni all’ “amministrazione di risultato” e lo scetticismo nei confronti dei controlli di legittimità godevano della più ampia condivisione (la stessa riforma del Titolo V è figlia di quella stagione, che ha sostanzialmente liberato gli enti territoriali da ogni forma di controllo esterno, fino alla brusca – e per certi versi brutale – correzione di rotta introdotta dal “pareggio di bilancio in costituzione”).

L’art. 83 della proposta di riforma costituzionale licenziata dalla Bicamerale recitava “La Corte dei conti è organo di controllo dell'efficienza e dell'economicità dell'azione amministrativa (enfasi aggiunta). Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere e alle Assemblee regionali sul risultato del controllo eseguito nonché sulla gestione finanziaria del bilancio dello Stato e delle Regioni”[13]. Nel progetto della Bicamerale, all’abolizione delle funzioni giurisdizionali della Corte si accompagnava la cancellazione di ogni riferimento ai controlli di legittimità (menzionati invece al primo posto nel vigente art. 100 Cost.).

Può apparire paradossale l’accostamento tra un progetto di riforma che prefigurava l’abolizione dei controlli di legittimità e uno che li estende a nuove fattispecie, ma si tratta, a ben vedere, di una semplice questione di prospettiva.

La legalità non è evidentemente l’obiettivo di un controllo finalizzato ad escludere la responsabilità personale degli amministratori. Così come l’efficienza dell’Amministrazione, se correttamente intesa, non può prescindere dal rispetto della legge, che all’attività amministrativa indica i fini da perseguire (i soli fini lecitamente perseguibili, nell’esercizio di poteri che incidono sulle libertà e sul patrimonio dei cittadini).

Il progetto di legge Foti è, in questo senso, un disegno di contro-riforma. 

Riportando indietro le lancette dell’orologio a prima della legge n. 20/1994, ripristinando controlli formali su un numero ingestibile di atti e – soprattutto – abbattendo ogni confine tra responsabilità, attività consultiva e controllo, vorrebbe assegnare alla magistratura contabile un ruolo improprio e di dubbia utilità, almeno alla luce dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione.

Di quanto a ciò potrebbe seguire, sul piano istituzionale e organizzativo, la storia recente fornisce esempi piuttosto espliciti.


 
[1] Si permetta di rinviare, in proposito, ad A. Carapellucci, Il Governo interviene sulla Corte dei conti: perché preoccuparsi (e per cosa), in Questione Giustizia, 14.06.2023.

[2] PNRR: tavolo Governo-Corte dei conti sulla revisione dei controlli, 1° giugno 2023, Italiaoggi.it.

[3] C. Brusini, Fitto attacca ancora la Corte dei Conti: “Nella relazione sul Pnrr inesattezze e dati parziali”, ne Il Fatto Quotidiano, 9.11.2023.

[4] M. Bresolin, Il capo struttura del Pnrr alla Corte dei Conti Ue. Malumori a Bruxelles per la nomina di Fitto, in La Stampa, 13.02.2024.

[5] A.C. 1621, proposta di legge d’iniziativa del Deputato Foti, “Modifiche alla legge Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, al codice della giustizia contabile, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, e altre disposizioni in materia di funzioni di controllo e consultive della Corte dei conti e di responsabilità̀ per danno erariale”, disponibile in www.camera.it.

[6] Nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 2024, la Commissione Bilancio e Affari Costituzionali della Camera ha approvato un emendamento al decreto Milleproroghe 2024 contenente la proroga dello scudo. Si v. in proposito il comunicato dell’Associazione magistrati della Corte dei conti (https://www.amcorteconti.it/scudo-erariale-associazione-magistrati-contabili-contrarieta-alla-nuova-proroga/).

[7] ANSA.it, 20 dicembre 2023, 20:46: Ammanco nelle casse dei Carabinieri, Corte dei Conti si rivolge alla Consulta (https://www.ansa.it/campania/notizie/2023/12/20/ammanco-in-cassa-cc-corte-dei-conti-si-rivolge-alla-consulta_163d4e6e-aa4b-42c2-ac7f-43848308e854.html).

[8] Il Governo ha posto la fiducia sull’emendamento che proroga fino al 31.12.2024 lo scudo erariale, come avvenuto nella precedente occasione.

[9] Si v., da ultimo, le relazioni del Presidente e del Procuratore Generale della Corte dei conti all’Inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 (in www.corteconti.it).

[10] Emblematica, in questo senso, l’intervista del giugno scorso al Sottosegretario Freni, che ha auspicato una Corte dei conti che faccia “più pareri e meno sentenze”: M. Perrone, G. Trovati, “In Italia i controlli migliori. La Corte dei conti non può arrivare a cogestire il Pnrr”, ne Il Sole24Ore, 4 giugno 2023, pag. 1.

[11] La c.d. dequotazione dei vizi formali del provvedimento occupa da tempo gli studiosi del diritto amministrativo.

[12] L’ International Organization of Supreme Audit Institutions (INTOSAI) è l’organizzazione che riunisce, a livello internazionale, le istituzioni aventi competenze simili a quelle della Corte dei conti italiana.

[13] Si v. il progetto di legge costituzionale nn. 3931-A (Camera) e 2583-A (Senato) della XIII legislatura, presentato il 4 novembre 1997 (disponibile su www.parlamento.it)

06/03/2024
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PNRR, processo civile e debitori incalliti

Le riforme del processo civile introdotte con il D.lgs. 149/22 non paiono realisticamente poter perseguire l’obiettivo fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di riduzione del 90% delle cause pendenti entro il 2026

08/02/2023
Uffici per il processo e modelli organizzativi nelle sezioni della Corte d’Appello di Milano. Una prima analisi a seguito dell’inserimento degli addetti finanziati dal PNRR

Questo articolo avvia una serie di interventi per documentare alcune delle attività in corso realizzate da diverse Università presso gli Uffici giudiziari, con l’obiettivo di migliorare l’organizzazione degli uffici per il processo e per fornire modelli e strumenti di supporto per la riduzione dell’arretrato e dei tempi dei procedimenti. Si tratta di interventi finanziati dal Ministero della giustizia attraverso il PON Governance e capacità istituzionale, sulla base di una articolazione del Paese in sei macro-aree territoriali.

15/12/2022
Le sfide da affrontare nella giustizia: PNRR, Ufficio per il processo, digitalizzazione

Il salto di qualità come cultura e governance che il raggiungimento degli ambiziosissimi obiettivi previsti dal PNRR sulla giustizia avrebbe dovuto imporre è ancora lontano. - L’Ufficio per il processo, la riforma più significativa e efficace attuata, in troppi casi si è risolto nell’affiancare al magistrato un assistente personale, senza cogliere questa grande occasione di rinnovamento delle modalità organizzative.  E’ mancato uno stabile coordinamento e scambio di esperienze tra gli uffici giudiziari, che sono stati lasciati soli. – L’Ufficio per il processo si scontra con la sempre crescente scopertura degli organici del personale amministrativo e rischia di assorbire i nuovi funzionari UPP nelle Cancellerie per sopperire alle mancanze. - Errori cui si può deve rimediare. - La digitalizzazione è un asse strategico di intervento, non una mera questione tecnica. Dovrebbe partire e rispondere alle esigenze degli utenti in quanto è oggi formante della giurisdizione che incide sulle modalità quotidiane di lavoro. Invece oggi l’attività del Ministero è lontana e non si confronta con uffici giudiziari e avvocati. Il rischio è di avere un contesto lavorativo plasmato dalle esigenze delle tecnologie e non, come sarebbe auspicabile, delle tecnologie plasmate sulle nostre esigenze lavorative. –L’Ufficio per il processo, la digitalizzazione e l’impatto che sta avendo ed avrà l’intelligenza artificiale anche nella giustizia danno la possibilità e sono l’occasione per ripensare l’organizzazione degli uffici e le modalità di lavoro. L’innovazione, la capacità di cambiare e di avere una visione generale dovrebbero essere la nostra prospettiva, nel contempo sognatori e pragmatici.

06/12/2022