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La giornata mondiale dell'acqua e il dissesto idrogeologico del territorio italiano

di Marco Manunta
già presidente di sezione del Tribunale di Milano

La Giornata mondiale dell’acqua è stata da poco celebrata. L’attenzione è stata concentrata sul problema della carenza idrica: la lunga siccità da cui siamo colpiti si è ovviamente imposta come prioritaria. Ma è stato forse trascurato l’altro aspetto delle mutazioni climatiche: l’eccesso di precipitazioni atmosferiche, che solitamente fanno seguito ai periodi di siccità. Le conseguenze degli eventi atmosferici estremi ci hanno toccato pesantemente: la frana di Ischia è avvenuta solo pochi mesi fa, ma l’abbiamo rimossa. Disponiamo di un sistema normativo e amministrativo idoneo a individuare tutte le situazioni di dissesto idrogeologico e di predisporre piani di intervento, ma poi gli interventi concreti mancano. Le risorse, si dice, non sono disponibili. Ma una breve sintesi di alcuni stanziamenti o di destinazione di fondi pubblici rende evidente che le disponibilità finanziarie esistono: basta cambiare l’ordine delle priorità fin qui seguito nelle scelte politiche.

Sommario: 1. Acqua e dissesto idrogeologico dimenticato /2. La difesa del suolo e delle acque: sistema normativo e amministrativo di controllo e intervento /3. Gli stanziamenti ordinari per il dissesto idrogeologico e il PNRR: insufficienza /4. Le risorse mancano davvero? /5. Gli stanziamenti per gli aiuti alle famiglie e alle imprese per il caro-energia /6. Le spese in armamenti /7. I costi pagati agli speculatori della pandemia /8. Il ponte sullo Stretto di Messina /9. Le spese per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina e i contributi per lo sci in   Lombardia /10. Ristabilire l’ordine delle priorità

 

1. Acqua e dissesto idrogeologico dimenticato

Il 22 marzo del 2023, come ormai avviene da venti anni[1], è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Acqua. Quest'anno l'iniziativa è stata diretta a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'accelerazione del cambiamento, necessaria per risolvere la crisi idrica e igienico-sanitaria diffusa nel mondo.

L’obiettivo in evidenza era ed è la disponibilità della risorsa acqua nella prospettiva incalzante della crisi climatica e dei conseguenti effetti.

Se indubbiamente la carenza idrica è un aspetto assolutamente prioritario stupisce, però, che siano posti in secondo piano o che siano, addirittura, trascurati gli altri aspetti delle mutazioni climatiche: i fenomeni estremi di precipitazioni atmosferiche devastanti. 

In Italia, come in gran parte dell’Europa, abbiamo subito un’eccezionale siccità autunnale ed invernale; per questo la nostra attenzione è stata distolta dall’altra faccia del cambiamento climatico, costituita dalle precipitazioni abnormi e concentrate in tempi brevissimi, con grave danno al territorio: il dissesto idrogeologico.

Parlando di acqua, dunque, dobbiamo studiare e occuparci della scarsità come dell’eccesso.

Non è passato molto tempo, eppure ben pochi ricordano che, proprio per effetto di precipitazioni intense, il 26 novembre 2022 un’enorme frana si è verificata sull’isola di Ischia, causando 12 morti e danni ingenti agli abitati coinvolti. 

Passata la commozione del momento e l’emergenza dei soccorsi, ogni notizia è sparita dall’informazione. Il disastro, salvo che per i diretti interessati, è stato rimosso dalla memoria collettiva, almeno fino a quando qualche nuova emergenza non riporterà all’attualità la condizione di quei luoghi.

Ma i dati non possono essere rimossi. 

Nel 2021 è aumentata «la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni: l’incremento sfiora rispettivamente il 4% e il 19% rispetto al 2017.  Quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità». 

E’ quanto si desume dal terzo rapporto annuale, relativo al 2021, redatto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nell’ambito dei propri compiti istituzionali di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati in materia di difesa del suolo e dissesto idrogeologico riferiti all'intero territorio nazionale (artt. 55 e 60 del D.Lgs. 152/2006 «Norme in materia ambientale»)[2].

Con riguardo all’intera superficie del territorio nazionale, il 10% presenta un rischio di alluvioni medio, il 5,4% un rischio elevato e il 14% un rischio basso. Rispetto al precedente rapporto ISPRA del 2018 la superficie a pericolosità idraulica media è aumentata del 18,9%.

Sono dati impressionanti che, al di là delle singole situazioni locali, quale quella pur grave di Ischia, denotano una particolare fragilità del nostro territorio nel suo complesso.

Il rapporto ISPRA del 2021 rivela anche un’altra realtà inquietante: tutte le zone a rischio sono individuate e classificate in base all’entità del pericolo; siamo, cioè, pienamente in possesso del dato conoscitivo, ma mancano gli interventi per risolvere il problema. 

Eppure l'immagine dell'isola di Ischia ripresa il 28 novembre 2022 dai satelliti Sentinel-2 di Copernicus, il programma di osservazione della Terra gestito dalla Commissione europea dell’Agenzia spaziale europea (Esa), è estremamente eloquente[3].

Le immagini satellitari sono state elaborate unitamente alle informazioni sull'estensione della colata di fango raccolte dal Servizio di Gestione delle Emergenze di Copernicus; servizio che è stato attivato dopo la frana per fornire dallo spazio le mappe delle zone colpite anche al fine di indirizzare i soccorsi. Il quadro che ne risulta è assolutamente preciso nella sua gravità.

 

2. La difesa del suolo e delle acque: sistema normativo e amministrativo di controllo e intervento

Oltre ai preziosi dati provenienti dallo spazio, da tempo disponiamo degli strumenti, a terra, per lo studio e la soluzione del problema. 

Nel 1989, infatti, l’Italia si è dotata di una buona normativa (la legge 18 maggio 1989, n. 183), con lo scopo dichiarato in premessa di «assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi».

In sostanza, il legislatore ha colto esattamente il problema nel suo complesso: il territorio non può che essere considerato inscindibilmente e unitamente alle acque che vi scorrono e l’unica tutela possibile è quella che considera l’insieme e le interazioni fra i due elementi, territorio e acqua. Per questo è stata introdotta la nozione di bacino idrografico ed eventualmente di sub-bacino, istituendo l’Autorità di bacino preposta e affidando alla pubblica Amministrazione nelle sue articolazioni il compito di svolgere «ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, di loro esecuzione». 

La legge già imponeva alle varie amministrazioni coinvolte l’obbligo di comunicazione in sede nazionale di tutti i dati di interesse idrogeologico. In definitiva, sin dal 1989 il paese dispone di un’organizzazione amministrativa in grado di svolgere attività conoscitiva e di intervento, con un’opportuna e indispensabile centralizzazione a partire dagli elementi conoscitivi. 

L’impostazione e la disciplina date dalla legge 183 sono state trasfuse, con modifiche, nel Codice dell’ambiente (D. l.vo n.152/2006), che nella parte terza ha ad oggetto «la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche». 

Come si è visto, grazie all’attività conoscitiva intrapresa da oltre trenta anni, disponiamo di un quadro preciso della condizione idrogeologica nazionale; attività che avrebbe dovuto essere seguita dagli indispensabili interventi di risanamento: l’art. 68 del Codice dell’ambiente prevede, infatti, che l’adozione dei piani stralcio per l'assetto idrogeologico debba avvenire «sulla base degli atti e dei pareri disponibili, entro e non oltre sei mesi dalla data di adozione del relativo progetto di piano».

In realtà, è evidente che è in gran parte mancata (e il caso di Ischia è paradigmatico) l’attuazione anche soltanto degli interventi diretti a scongiurare gli eventi catastrofici più gravi.

La causa preponderante di tali omissioni, oltre all’inerzia amministrativa, appare riconducibile alla mancanza di risorse statali stanziate all’uopo. In effetti, ai sensi dell’art. 72 (finanziamento) del Codice dell’Ambiente «gli interventi previsti dalla presente sezione sono a totale carico dello Stato e si attuano mediante i programmi triennali di cui all'articolo 9».

 

3.  Gli stanziamenti ordinari per il dissesto idrogeologico e il PNRR: insufficienza

Con il DPCM 20 febbraio 2019[4] erano stati stanziati 3 miliardi di euro per finanziare il «Piano Stralcio 2019 recante elenchi settoriali di progetti e interventi infrastrutturali immediatamente  eseguibili, aventi carattere di urgenza e indifferibilità»[5]; Piano che «le competenti Amministrazioni (Protezione civile, Ministero dell'ambiente, Ministero delle politiche agricole e  Ministero delle infrastrutture)» avrebbero dovuto predisporre e sottoporre alla Presidenza del Consiglio dei Ministri entro sessanta giorni dall’approvazione del Piano nazionale delineato dallo stesso DPCM e dichiarato immediatamente esecutivo.

Per dissesti, quale quello di Ischia, il Piano nazionale prevedeva che, sotto la responsabilità del Dipartimento della Protezione Civile, fosse approntato un «Sotto-Piano  di  Azione di Contrasto al Rischio Idrogeologico determinato da Calamità Naturali (Piano Emergenza Dissesto), concernente interventi emergenziali connessi ad eventi calamitosi di rilievo nazionale o che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare  durante  limitati  e  predefiniti periodi di tempo»[6]

In realtà, non risulta che siano stati eseguiti o intrapresi interventi a Ischia in attuazione del Piano Nazionale predisposto nel 2019.

Pochi anni dopo, però, sembrava si fosse presentata un’altra importante opportunità per il risanamento. Quando si è concretamente prospettato il supporto dell’Unione europea per la ricostruzione dell’Italia post-pandemia, l’attribuzione al nostro paese degli ingenti capitali comunitari era stata salutata come l’opportunità, tra le altre cose, per la sistemazione del territorio dal punto di vista idrogeologico. Il PNRR (il Piano Nazionale di Ricostruzione e Resilienza finanziato dai fondi europei) ha peraltro allocato risorse molto limitate in materia.

Consultando le informazioni presenti nel sito web del Dipartimento della Protezione Civile (Presidenza del Consiglio dei Ministri) è facile verificare che, con l’obiettivo di «portare in sicurezza 1,5 milioni di persone oggi a rischio», il PNRR ha destinato la somma complessiva di 2,49 miliardi di euro per l'Investimento 2.1 «Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico».

Ma l’investimento dei 2,49 miliardi di euro è suddiviso in due sub-investimenti:

2.1 a) strutturali e non strutturali nei territori più a rischio a cui sono destinati 1.287 milioni di euro, con interventi effettuati entro la fine del 2021;

2.1 b) in favore delle aree colpite da calamità a cui sono destinati 1,2 miliardi di euro per il ripristino delle infrastrutture danneggiate e per la riduzione del rischio residuo sulla base di piani di investimento elaborati a livello locale e approvati dal Dipartimento della Protezione Civile entro la fine del 2021.

Quindi, la prima parte dei finanziamenti (1.287 milioni di euro) è stata, in realtà, destinata ad interventi eseguiti prima della fine del 2021, mentre per gli interventi “nuovi” l’importo complessivo rimasto risulta di € 1,2 miliardi per l’intero territorio nazionale.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, poi, con il decreto del 6 agosto 2021 (pubblicato in G.U. il 24 settembre 2021), ha suddiviso le risorse in: 

400 milioni di euro per «progetti in essere», ovvero, progetti approvati e già avviati alla data del 31 dicembre 2021;
800 milioni di euro per la realizzazione di «nuovi progetti», da individuare nell’ambito della medesima area tematica della riduzione del rischio di alluvione e del rischio idrogeologico, con l’obiettivo del ripristino delle condizioni iniziali nelle aree colpite e di garantire la resilienza dei territori alle calamità naturali.
In realtà, i fondi del PNRR sono stati in gran parte destinati a coprire i costi di interventi già in atto (e che, quindi, avrebbero dovuto avere già la copertura finanziaria ordinaria), mentre per i progetti “nuovi”, cioè, tutti quelli che avrebbero dovuto assicurare davvero un generale risanamento del nostro territorio, non sono rimasti che pochi “spiccioli” (€ 800 milioni per tutta Italia).

Scendendo nello specifico, poi, alla Campania risultano destinati complessivamente (per i nuovi interventi) circa 50 milioni di euro (per l’esattezza € 50.229.372,22), mentre per gli interventi in atto la cifra è di € 0,00 (“zero”!); cioè, non risultando interventi in essere (situazione riscontrabile, oltre che in Campania, solo in Val d’Aosta e in Puglia)[7], la Regione non aveva e non ha avuto titolo per ottenere finanziamenti dai fondi del PNRR. Ciò significa, inoltre, che evidentemente la situazione di Ischia o di altre analoghe in Campania non era stata efficacemente inserita nel Piano stralcio del 2019, appena ricordato, e pertanto la Regione nel suo complesso non ha ricevuto finanziamenti, né rispetto ai 3 miliardi di euro stanziati dal DPCM del 2019, né rispetto ai fondi aggiuntivi del PNRR di cui si è appena parlato. 

Non c’è bisogno di tecnici o di economisti per valutare la congruità degli stanziamenti a fronte degli obiettivi dichiarati e, comunque, dell’effettiva necessità e urgenza degli interventi di risanamento: i fondi stanziati complessivamente sono assolutamente esigui, tanto per la Campania e per Ischia in particolare, quanto per l’intero territorio nazionale.

 

4. Le risorse mancano davvero?

Era ed è certamente velleitario pensare che il PNRR potesse (e, per la parte ancora da attuare, possa) risolvere tutti i grandi problemi del Paese. Ma il fatto che la “coperta” (dei fondi del PNRR) sia corta, deve farci riflettere su come sono state spese o per quali fini verranno stanziate altre enormi risorse di cui lo Stato o gli enti pubblici in genere potevano o potrebbero disporre. Non si tratta di compiere una spending review virtuale, ma di valutare in chiave politica l’operato dei vari governi succedutisi negli ultimi anni.

In realtà, le decisioni prese in ordine all’allocazione delle risorse finanziarie pubbliche presuppongono scelte politiche in senso stretto: governo e parlamento devono valutare quali esigenze sono essenziali per il bene della collettività e, ovviamente, in caso di insufficienti disponibilità finanziarie, devono scegliere quali interessi sono prioritari. Queste scelte individuano l’effettivo indirizzo politico delle istituzioni e, in particolare del governo, a prescindere dalle dichiarazioni programmatiche e di intenti, che spesso rimangono sulla carta.

In particolare, dalle decisioni assunte in questo ambito nel periodo recente si desume come l’interesse pubblico sia stato spesso posposto agli interessi privati, favorendo in molti casi gli interessi degli investitori, anche internazionali, e della speculazione vera e propria.

Un breve esame di alcune situazioni e dei relativi provvedimenti assunti è sufficiente a dimostrare come ingenti risorse sarebbero disponibili anche per risanare in buona parte il dissesto idrogeologico, se non fosse stata riconosciuta priorità ad interessi molto particolari e del tutto estranei all’interesse generale dei cittadini.

 

5. Gli stanziamenti per gli aiuti alle famiglie e alle imprese per il caro-energia

We Move Europe[8], tramite messaggi in rete, diffondeva la notizia di un’anziana donna morta in Spagna per un incendio divampato in casa e causato dalle candele utilizzate per farsi luce: l’azienda dell’energia elettrica, infatti, le aveva tagliato la fornitura per mancato pagamento[9].

La crisi energetica, come è evidente, comporta costi inaccettabili anche in termini di vite umane.

Sempre We Move Europe ricorda nello stesso messaggio che «alcuni paesi hanno preso atto del problema: l’Irlanda, ad esempio, ha promesso di bloccare tutte le interruzioni questo inverno. Ora, serve una risposta europea per fermare tutte le interruzioni delle utenze. Ma potrà arrivare soltanto se uniamo subito le nostre voci e chiediamo un intervento ai nostri leader».

In realtà, non è intervenuta nessuna iniziativa europea volta a scongiurare l’interruzione delle forniture energetiche a chi non è più in grado di sostenere i costi delle bollette. Istituzioni europee e Governi nazionali si sono dimostrati assolutamente timidi sul fronte delle iniziative. In particolare, nessuno è stato in grado o ha voluto intervenire sulle cause del problema. Si è preferito lasciar credere che l’aumento dei costi energetici per gli utenti finali (i comuni cittadini) fosse un effetto del conflitto russo-ucraino e del rincaro delle forniture provenienti dalla Russia. 

Ma i dati economici sui principali operatori del settore rivelano tutt’altro: gli enormi ricavi derivati dall’aumento delle tariffe sono rimasti all’interno dei nostri confini nazionali o europei.

Così, i ricavi di ENEL nel 2022 sono aumentati del 64% a oltre 140 miliardi di euro[10].

Analogamente ENI ha realizzato un utile netto adjusted, di competenza degli azionisti, per l'esercizio 2022 pari a 13,3 miliardi di euro, con un incremento di 9 miliardi rispetto all'esercizio 2021, mentre l'utile operativo adjusted (Ebit adjusted) di gruppo, di 20,4 miliardi nell'esercizio 2022, risulta raddoppiato rispetto al 2021[11].

La Borsa, del resto, ha festeggiato il 2022 come un anno record: in Europa gli utili per gli investitori sono stati pari a 753 miliardi di euro, con un incremento del 18% sul 2021. In Italia sono addirittura aumentati a più del doppio (+37% rispetto al 2021), raggiungendo la cifra complessiva di 67 miliardi di euro[12].

Anche senza essere economisti sappiamo che quando qualcuno guadagna, qualcun altro perde.

Così, nella stessa pagina del quotidiano di Confindustria del 22 gennaio 2023, accanto all’esaltazione dei record delle borse si riporta l’allarme della Federazione Autonoma Bancari Italiani: da agosto a novembre 2022, cioè in soli quattro mesi e per la prima volta dal 2017, i depositi presenti nei conti correnti degli Italiani sono scesi di ben 18 miliari di euro. Insomma, all’arricchimento esagerato di investitori e speculatori finanziari, da un lato, fa da contrappunto un generale impoverimento delle famiglie, dall’altro, e il nesso fra i due fenomeni appare evidente. 

In particolare, i costi energetici, con le ripercussioni sui prezzi di larga parte dei beni e dei servizi essenziali, hanno impoverito famiglie e imprese. 

Il problema è stato affrontato dal Governo dispensando aiuti economici a famiglie e imprese per far fronte al “caro-bollette”. Una soluzione puramente palliativa: non solo non poteva mettere sotto controllo la speculazione sulle forniture energetiche, ma anzi la incentivava, posto che gli aiuti di Stato non potevano che passare dalle tasche degli utenti alle casse degli speculatori.

Come mai compagnie energetiche, quali ENEL ed ENI, controllate dallo Stato, si sono comportate come società puramente speculative in danno dei cittadini italiani?

Il motivo è molto semplice. A seguito della privatizzazione dell’energia decisa in sede europea con la direttiva 96/92/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 19/12/1996 (creazione del Mercato Unico dell'energia), fu emanato il decreto Bersani del 1999 (governo D'Alema), che dispose la graduale “liberalizzazione” delle attività relative alla produzione e al commercio dell’energia elettrica. Il tutto al dichiarato fine di favorire la libera concorrenza nel settore “a beneficio del consumatore”. Con il decreto legislativo 23 maggio 2000 n. 164 seguì, poi, anche la “liberalizzazione” del mercato del gas. 

Non è questa la sede per discutere dell’improvvida iniziativa di privatizzazione assunta in sede europea: basti qui rilevare quali “benefici” ne sono derivati per i consumatori: prezzi alle stelle, mercato monopolizzato dagli speculatori e impossibilità per gli Stati nazionali di controllare risorse strategiche quali l’elettricità e il gas.

Alla privatizzazione ha fatto seguito la trasformazione degli enti statali (ENEL ed ENI) in società di diritto privato. Sulla carta il controllo pubblico (pacchetto azionario di maggioranza relativa) è rimasto nella titolarità dello Stato (attraverso il Ministero dell’Economia, rispettivamente per il 26,5% e per il 30,62%), ma la presenza di azionisti privati[13] e la quotazione in borsa hanno indotto gli originari enti pubblici a comportarsi in tutto e per tutto come società commerciali votate esclusivamente al massimo profitto.

 

6. Le spese in armamenti

Prendendo spunto dalla guerra in Ucraina i maggiori Stati occidentali hanno deliberato incrementi spropositati delle spese in armamenti. Va notato che non si tratta di aumenti di spesa per armare l’Ucraina, ma di aumenti strutturali e permanenti a carico del bilancio dei singoli Stati.

Per quanto riguarda l’Italia, a seguito delle pressioni esercitate dalla NATO sui paesi aderenti, già Mario Draghi si era espresso favorevolmente all’aumento della spesa militare fino a raggiungere il 2% del PIL. Il Governo Meloni, con Guido Crosetto Ministro della Difesa, ha pienamente confermato la decisione relativa a tale incremento, addirittura auspicando che le spese in armamenti fossero escluse dal patto di stabilità (vale a dire, con facoltà per il Governo di armarsi fino ai denti, senza limiti all’indebitamento). 

La società demoscopica SWG nel gennaio 2023 ha svolto un sondaggio per conto di Greenpeace[14]

Le opinioni degli intervistati sono state raccolte sul seguente quesito: «Nel 2022 per le spese militari l'Italia ha speso circa 26 miliardi di euro, pari all'1,5% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL). L'attuale Governo ha in previsione di portare le spese militari al 2% del PIL entro il 2028, con un aumento di spesa di circa 12 miliardi di euro in 6 anni. Lei è favorevole o contrario con questa proposta?».

Il 55% dei cittadini intervistati si è espresso negativamente e solo il 23% si è espresso favorevolmente (il restante 22% non ha voluto prendere posizione). Ma non solo. Gli stessi intervistati in grande maggioranza hanno dichiarato di volere la tassazione degli extraprofitti sia delle aziende energetiche sia di quelle militari, con reinvestimento del ricavato in fonti di produzione energetica rinnovabili e in aiuti alle famiglie contro l’inflazione.

Quanto alla guerra russo-ucraina in atto, in un sondaggio Euromedia la quota di cittadini contrari a proseguire nell’invio di armi sale al 58%, mentre il 68,5 si dichiara nettamente contrario al coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto.

Comunque, l’incremento delle spese militari dall’1,51% attuale al 2% del PIL comporterà un maggior costo per lo Stato pari ad almeno 10-12 miliardi di euro.

 

7. I costi pagati agli speculatori della pandemia

Il 31 gennaio 2023 tutti i principali mezzi di comunicazione hanno dato notizia dei successi economici conseguiti dalla maggiore casa farmaceutica mondiale, produttrice, tra le altre cose, del “vaccino” anti-covid 19, Comirnaty: nel 2022 Pfizer ha ottenuto "ricavi record" per 100,33 miliardi di dollari (92,63 miliardi di euro), con un incremento del 23% rispetto all'anno precedente.

Una nota della stessa casa farmaceutica ha precisato che l'utile netto era salito del 43% a 31,37 miliardi di dollari e l'utile per azione del 62% a 6,58 dollari (6,07 €).

Il 30 gennaio 2023 l’Agenzia Adnkronos riferiva che «tre senatori democratici molto noti e popolari (Elisabeth Warren, Peter Welch e Bernie Sanders – ex candidato dem alla Presidenza contro Biden) hanno attaccato prima Pfizer poi Moderna per la loro annunciata decisione di portare il costo della singola dose vaccinale sul libero mercato (quando saranno esauriti i contratti in essere con il governo USA e i vari governi mondiali, UE compresa) a 130 dollari. Sanders ha sottolineato che il costo stimato di produzione della singola dose è di circa 2,85 dollari quindi il prezzo di vendita annunciato sarebbe di oltre 45 volte quello di produzione. Un’enormità». 

La totale assenza di qualsiasi scrupolo etico delle maggiori case produttrici di farmaci salvavita è un dato acquisito[15].

Non poteva e non può essere altrimenti, dal momento che salute e sopravvivenza di larga parte delle popolazioni mondiali sono state totalmente affidate alle “cure” della speculazione finanziaria. Ma questo “affidamento” non era affatto obbligatorio e, anzi, avrebbe dovuto essere assolutamente evitato. 

Come ho documentato in altra sede[16], nel pieno della pandemia da covid-19 i paesi del ricco Occidente, affidando alle case farmaceutiche il compito di studiare e mettere a punto efficaci vaccini, hanno “generosamente” rinunciato alla proprietà intellettuale (diritti di brevetto) sui farmaci, che sarebbero scaturiti da quella ricerca; rinuncia dichiaratamente a favore delle case farmaceutiche, ma del tutto ingiustificata, dal momento che agli Stati membri dell’UE, in quanto “committenti” della ricerca,  sarebbe spettata di diritto la titolarità dei brevetti relativi. 

La rinuncia piena e incondizionata ai brevetti ha prodotto il prevedibile effetto della speculazione sui prezzi, come risulta dalle notizie sopra riportate riguardo agli utili spropositati registrati dal maggior produttore dei “vaccini” anti covid-19. Ma, a questo proposito, bisogna ricordare che gli enormi utili sono stati realizzati con le risorse pubbliche degli Stati, che hanno pagato e continuano a pagare alle Big Pharma le dosi di siero da distribuire alle rispettive popolazioni. In pratica, l’abdicazione ai brevetti ha di fatto sottratto molti miliardi di euro al bilancio dello Stato, precludendo un diverso impiego di tali risorse.

 

8. Il ponte sullo Stretto di Messina

Il Governo Meloni, con decisione presa senza dibattito parlamentare, nel marzo 2023 ha “ripescato” il progetto di costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. 

Va ricordato che il Governo Berlusconi aveva già deciso la costruzione dell’opera, ma il contratto di assegnazione, a seguito della gara vinta dall’Associazione temporanea di imprese Eurolink S.C.p.A., firmato nell’ottobre del 2005, decadde nel 2013. Infatti, il Governo Monti, a fronte della grave situazione economica in cui versava il paese, decise di rinunciare alla prosecuzione dei lavori[17] e di recedere dal contratto. Recesso non indolore, perché oltre a quanto già speso per opere preliminari, comportò a carico dello Stato il pagamento di una penale contrattuale di 300 milioni di euro.

Il solo appalto della costruzione del ponte aveva un costo preventivato in 3,9 miliardi di euro, ma i costi complessivi erano all’epoca stimati in 8 miliardi.

Oggi la decisione del Governo sembra sia stata presa senza alcun preventivo di spesa aggiornato e rivisto. Essendo passati oltre dieci anni e tenuto conto che appalti così importanti non si chiudono mai senza rilevanti incrementi dei costi in corso d’opera, è ragionevole pensare che i costi totali potrebbero risultare quanto meno doppi.

Lasciando ai tecnici le valutazioni sull’effettiva realizzabilità dell’opera, da comuni cittadini e ricorrendo solo al buon senso, possiamo introdurre una banale valutazione del bilancio costi-rischi e benefici. Costruire un ponte in unica campata lunga 3.300 metri (cioè, senza piloni intermedi) e mai sperimentata fino a oggi nel mondo, per giunta in territorio ad alto rischio sismico, non è un puro azzardo? E per tornare all’inizio del nostro discorso, qual’è la priorità: stanziare capitali enormi per un’opera faraonica ad alto rischio e di dubbia fattibilità, oppure mettere in sicurezza il territorio, scongiurando future catastrofi (risparmiando i danni conseguenti) e creando molti posti di lavoro diffusi in tutto il paese?

 

9. Le spese per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina e i contributi per lo sci in Lombardia

Anche in sede decentrata non mancano priorità di spesa molto discutibili.

Per esempio, la Regione Lombardia ha disposto importanti stanziamenti di risorse economiche per le Olimpiadi invernali che si svolgeranno tra Milano e Cortina. 

In particolare, nell’ambito delle spese preventivate per la mobilità regionale, complessivamente ammontanti a oltre 2,1 miliardi di euro, risultano stanziati 527 milioni  per l'accessibilità alle Olimpiadi invernali di Milano - Cortina 2026[18]

L’importo è quasi pari a quello previsto per le opere ferroviarie (547,7 milioni) e, comunque, impegna più di un quarto del totale destinato alla mobilità.

Ci sono, poi, i costi per la costruzione di infrastrutture: la stessa Giunta lombarda, nella seduta dell’11 aprile 2022, ha approvato lo «schema di accordo tra Regione Lombardia, Comune di Bormio e Cal spa per la progettazione e la realizzazione dello 'Ski Arena' di Bormio (SO), intervento funzionale alle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026»[19].

Accordo che prevede un investimento di oltre 21 milioni di euro.

Non è mancato il supporto dello Stato: con il decreto legge “Aiuti bis” [20] (Governo Draghi) sono stati destinati 400 milioni di euro alla realizzazione delle opere relative alle stesse Olimpiadi. 

Certo va messa in discussione la decisione, a monte, di far svolgere le Olimpiadi tra Milano e Cortina, con le conseguenti enormi spese e con l’ulteriore cementificazione dei territori, in particolare quello lombardo, che già detiene il record di consumo di suolo.

Ma non basta. Sul fronte delle spese improvvide, con altro provvedimento e al di fuori delle località interessate dalle Olimpiadi, la Regione Lombardia ha disposto la «dotazione finanziaria» di oltre 3 milioni di euro da destinare a «comprensori sciistici a rilevanza locale». Si tratta di contributi «a fondo perduto» a beneficio di «soggetti pubblici o privati che, alla data della presentazione della domanda di contributo, siano proprietari e/o gestori di impianti di risalita e di piste da sci presenti sul territorio lombardo». Cioè, in presenza di inverni siccitosi e privi di nevicate, con un travisamento evidente dei dati di realtà, la Regione esalta la funzione degli impianti di risalita, delle piste da sci e degli impianti di innevamento programmato, perché «rappresentano un importante fattore di competitività economica ed elemento turistico di traino, soprattutto nel periodo invernale» [21].

 

10.Ristabilire l’ordine delle priorità

L’esame che precede, pur limitato ed esemplificativo rispetto alla destinazione di ingenti fondi pubblici, conferma come le scelte politiche siano fortemente condizionate dagli interessi economici forti. La scala delle priorità ne risulta sconvolta: il benessere dei cittadini, la tutela degli interessi diffusi, dell’ambiente e dei beni comuni vengono subordinati o posposti ad altri interessi particolari e certamente non prioritari. 

Acqua e territorio sono la nostra casa e non è necessario spendere una parola in più sulla necessità di tutelare le condizioni essenziali che ci permettono di vivere nel nostro paese, o meglio, su questo pianeta. Come cittadini dobbiamo reclamare e imporre scelte diverse alla politica. Non possiamo delegare o chiamarci fuori.


 
[1] La Giornata Mondiale dell’Acqua è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 in quanto prevista all'interno delle direttive dell'Agenda 21, risultato della Conferenza di Rio.

[2] https://www.isprambiente.gov.it/files2022/pubblicazioni/rapporti/rapporto_dissesto_idrogeologico_italia_ispra_356_2021_finale_web.pdf

[3] Le conseguenze della frana di Ischia riprese dallo spazio (fonte: Ue, Copernicus sentinel-2).

[4] DPCM 20 febbraio 2019 - Approvazione del Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale - (19A02410) (GU Serie Generale n.88 del 13-04-2019).

[5] Allegato A del DPCM 20 febbraio 2019 cit..

[6] Allegato A, cit., Ambito di intervento 1 – Azione 2.

[7] Dati tratti dal sito della Protezione Civile - https://pnrr.protezionecivile.gov.it/it/il-pnrr-il-dipartimento-della-protezione-civile.

[8] We Move Europe è l’associazione che raccoglie oltre 1 milione di cittadini europei di diversi Stati dell’Unione e che si batte “per un’Europa migliore” improntata alla “giustizia sociale ed economica” e alla sostenibilità ambientale.

[9] Fonte: https://www.fia.uk.com/news/spain-81-year-old-woman-dies-in-fire-caused-by-a-candle-she-used-as-electricity-had-been-cut-off.html. Notizia diffusa in data 17 novembre 2022.

[10] Fonte: Il Sole 24 Ore del 9 febbraio 2023.

[11] Fonte: ANSA del 23 febbraio 2023, che riporta i risultati consolidati dell'esercizio e del quarto trimestre 2022, diffusi dallo stesso gruppo energetico.

[12] Fonte: Il Sole 24 Ore del 22 gennaio 2023.

[13] BlackRock, uno dei più importanti fondi di investimento al mondo, detiene una partecipazione pari al 4,910% in ENEL.

[14] https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2023/01/ee2fa1a4-wg_greenpeace_report-finale_38537-1.pdf

[15]Vedi Marco Manunta e Michela Bianchi, Senza brevetto per vaccini, farmaci e piante, MC Editrice 2021, pp.41 e ss.

[16] Vedi Marco Manunta e Michela Bianchi, Senza brevetto per vaccini, farmaci e piante, MC Editrice 2021, pp. 61 e ss. e p. 88.

[17] Vedi Legge n. 221/12.

[18] Dal Piano Lombardia Infrastrutture:  https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioRedazionale/istituzione/direzioni-generali/direzione-generale-infrastrutture-trasporti-e-mobilita-sostenibile/piano-lombardia-infrastrutture/piano-lombardia-infrastrutture.

[19] Vedi: https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioAvviso/servizi-e-informazioni/cittadini/Muoversi-in-Lombardia/ski-arena-bormio-so/ski-arena-bormio-so#:~:text=L'intervento%20prevede%20un%20investimento,Porta%20e%20un%20percorso%20ciclopedonale.

[20] Decreto-Legge 9 agosto 2022, n. 115.

[21] Deliberazione n° XI / 6350 Seduta del 09/05/2022 delle Giunta Regionale Lombardia. 

12/04/2023
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