Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Campi libici, l'inferno nel deserto. La sentenza della Corte di assise di Milano

La qualità delle indagini e della loro resa dibattimentale, insieme alla ritenuta credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ha confermato, secondo i giudici dell’assise, un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni tipo che scolpisce una realtà che per la sorte dei diritti umani è fondamentale non ignorare.

La Corte di assise di Milano, con la sentenza 10 ottobre-1 dicembre 2017, che pubblichiamo in allegato, ha condannato un cittadino somalo all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni, oltre alle sanzioni accessorie, nonché al risarcimento dei danni nei confronti di alcune vittime costituitesi parte civile e dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte dei sequestrati (con assorbimento dei contestati omicidi), violenza sessuale pluriaggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato.

Le condotte contestate e accertate ad esito del processo sono state consumate nei “campi di raccolta” dei migranti in Libia, in due dei quali (Bani Walid e Sabrata) l’imputato, anch’egli migrante dalla Somalia, e dunque potenziale vittima, aveva invece scelto di collaborare attivamente con i locali gestori dei campi nel privare della libertà i migranti, sottoponendoli a violenze “esemplari”, finalizzate a ottenere dalle famiglie il pagamento di un riscatto per liberarli e avviarli all’emigrazione in Europa.

La sentenza si segnala per le argomentazioni su alcune rilevanti questioni giuridiche e di qualificazione dei fatti: il quadro probatorio fornito dalle persone offese, la natura della privazione della libertà nei campi libici e le conseguenze delle condotte dell’imputato nel contesto di essa, la pluralità di violenze sessuali e di morti cagionate, la questione della identificazione solo parziale della pluralità di persone offese in relazione alla formulazione delle imputazioni, il trattamento sanzionatorio, la legittimazione delle parti civili e la misura dei risarcimenti.

Ma la sentenza risulta estremamente espressiva anche nella parte ricostruttiva dei fatti contestati – e accertati ad esito del dibattimento – dando conto in maniera concreta e drammatica delle condizioni dei “campi di transito” dei migranti in Libia.

L’esordio delle indagini, ricostruito nella sentenza, appare di per sé omologabile a vicende di individuazione di coloro che avevano agito come kapò nei campi di concentramento, con le vittime che, giunte in Europa, a distanza di tempo e casualmente, incontrano l’imputato in un centro di accoglienza di Milano: il tumulto che ne segue attira l’attenzione della polizia locale che avvia le indagini sfociate nel processo in assise.

La qualità delle indagini e della loro resa dibattimentale, insieme alla ritenuta credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ha confermato, secondo i giudici dell’assise, un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni tipo che scolpisce una realtà che per la sorte dei diritti umani è fondamentale non ignorare.

I migranti partono dalla Somalia a causa dell’insostenibilità di una situazione in cui non esiste più un’organizzazione statuale, le carenze igieniche sono mortali, le bande armate seminano violenza e morte; organizzazioni di trafficanti li conducono attraverso l’Etiopia e il Sudan fino alla Libia, con la costante dello spietato abbandono nel deserto di coloro che mostrano difficoltà a proseguire.

La quasi totalità dei migranti non aveva avuto richieste precise di denaro in partenza, limitandosi talvolta ad alcune anticipazioni: il “conto” era stato presentato nei campi libici, dove i migranti erano stati messi in contatto con le famiglie affinché fosse versata una consistente somma (in genere settemila dollari) ai trafficanti.

In attesa del versamento (tramite il sistema fiduciario della hawala) i migranti erano stati privati della libertà, reclusi nei campi, dove, per rendere più convincente la richiesta di denaro ma anche come metodo strutturale dell’universo concentrazionario, l’imputato e i gestori sottoponevano i migranti a privazioni di cibo e cure, a ripetute percosse con bastoni, spranghe e cavi, a torture con plastica fusa o scariche elettriche o a deliberata disidratazione; e le donne, comprese ragazze giovanissime, a ripetute violenze sessuali, anche legandole o provocando loro gravi lesioni a causa della pregressa infibulazione.

I racconti di morte costellano le testimonianze delle persone offese: dagli annegamenti in mare; alle morti contestate all’imputato retrocedendo ai periodi di sequestro nei campi libici: le protratte agonie di giovani percossi, lasciati senza cure fino alla morte, la morte per dissanguamento di una madre dopo il parto, le morti per malnutrizione, gli strangolamenti; e retrocedendo ancora le morti nel deserto dei migranti abbandonati o gettati fuori dai camion e dai pick-up.

Lo sviluppo successivo era stato per ciascuno il trasferimento nei pressi della costa e la navigazione verso l’Italia sui barconi che in questi mesi e anni è stata l’unica frazione dei viaggi dei migranti visibilmente rivelata, spesso con accenti d’allarme, ai cittadini italiani ed europei.

Una sentenza, come quella della Corte d’assise di Milano, che cristallizza in sede giudiziaria il contenuto drammatico e talora disumano di quei viaggi, nella loro interezza, costituisce un contributo di grande rilevanza a qualsiasi ragionamento giuridico o politico sul fenomeno delle migrazioni verso l’Europa così come oggi concretamente si configura: una concretezza in stridente e terribile contrasto con la dichiarata e algida volontà dell'Unione Europea di perseguire “a new Global Compact to guarantee safe, regular and orderly migration flows”.

*In copertina un'opera di Stefano Bosis (2015)

03/04/2018
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Audizione alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati sul disegno di legge AC n. 1693 Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, pubblichiamo il testo dell’Audizione alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati sul disegno di legge AC n. 1693 Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso di Paola Di Nicola Travaglini e di Francesco Menditto. La riforma, approvata all’unanimità dalla Camera, in attesa del varo definitivo da parte del Senato, ha il merito di formalizzare il punto di approdo della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, per cui deve riconoscersi violenza sessuale in ogni caso in cui non sia stato manifestato il chiaro, inequivoco, e permanente consenso al rapporto. Non si tratta solo di una modifica formale, ma della diversa attenzione rivolta non più a chi subisce, ma piuttosto a chi aggredisce: non sarà più la vittima a dover provare di avere reagito, ma il colpevole a dover dimostrare che l’atto era liberamente voluto da entrambi. Un rovesciamento di prospettiva che rappresenta un notevole passo avanti nella difesa delle vittime di violenza.

25/11/2025
Fine vita: il suicidio assistito in Europa e la palude italiana

A fronte dell’infinito confronto, esistenziale e filosofico, sui temi della libertà di vivere e della libertà di morire, è emersa in Europa una nuova domanda sociale: quella di una libertà del morire che sia tutelata dall’ordinamento giuridico non solo come “libertà da” e come espressione di autodeterminazione ma anche come un vero e proprio “diritto sociale” che assicuri l’assistenza di strutture pubbliche nel momento della morte volontaria. In questi ultimi anni, in alcuni Paesi europei sono stati compiuti significativi passi verso un nuovo regime del fine vita mentre in altri vi sono cantieri aperti ormai ad un passo dalla positiva chiusura dei lavori. Il Regno Unito sta approvando una nuova legge destinata a superare il Suicide Act del 1961. In Germania la Corte costituzionale, con una decisione del 2020, ha affermato che esiste un diritto all’autodeterminazione a morire ed a chiedere e ricevere aiuto da parte di terzi per l’attuazione del proposito suicidario. In Francia una nuova normativa, in corso di approvazione, è stata preceduta e preparata da un importante esperimento di democrazia deliberativa come l’istituzione di una Convention Citoyenne Cese sur la fin de vie, formata per sorteggio e chiamata a fornire un meditato e informato parere sul fine vita. La situazione del nostro Paese resta invece caratterizzata da una notevole dose di ipocrisia e da un altrettanto elevato tasso di confusione istituzionale. La radicale negazione dell’esistenza di un diritto a morire proveniente dalla maggioranza di governo coesiste infatti con il riconoscimento di diverse possibilità legittime di porre fine volontariamente alla propria vita in particolari situazioni: rifiuto delle cure, sedazione profonda, suicidio assistito in presenza delle condizioni previste dalle pronunce della Corte costituzionale. Dal canto suo il legislatore nazionale è stato sin qui paralizzato da veti e contrasti ed appare incapace di rispondere alla domanda, che sale con crescente intensità dalla società civile, di tutelare il diritto “doloroso” di porre fine ad una esistenza divenuta intollerabile. In questa situazione stagnante la domanda sociale di libertà del morire si è trovata di fronte solo l’arcigna disciplina del fine vita dettata dagli artt. 579 e 580 di un codice penale concepito in epoca fascista. Da questo impatto sono scaturite le forme di disobbedienza civile consistenti nel prestare aiuto, sfidando le norme penali, a chi in condizioni estreme aspirava ad una fine dignitosa. E, a seguire, i giudizi penali nei confronti dei disobbedienti e le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei processi dai giudici che hanno innescato i numerosi interventi della Corte costituzionale, sinora decisivi nel disegnare la disciplina del fine vita. Da ultimo un tentativo di superare l’inerzia del parlamento è stato compiuto da due Regioni - Toscana e Sardegna - che hanno approvato leggi sul fine vita, individuando come requisiti per accedere all’assistenza al suicidio quelli previsti dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 e disegnando procedure per ottenere la prestazione assistenziale richiesta. La reazione del governo è consistita nell’impugnare la legge regionale toscana ritenuta esorbitante dalle competenze regionali e lesiva di competenze esclusive dello Stato. Reazione non priva di qualche fondamento giacchè la prospettiva di regimi del fine vita differenziati su base regionale appare criticabile sotto il profilo giuridico e non certo desiderabile nella pratica, ma singolare quando provenga dal uno Stato che sinora si è dimostrato incapace di dettare una normativa rispondente alle istanze di riconoscimento di libertà e di diritti sul fine vita che provengono dalla società italiana. 

19/11/2025
Atti del seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private (quarta parte)

La quarta ed ultima parte degli interventi al seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private, organizzato da questa rivista insieme a ASGI e Magistratura democratica e svoltosi il 6 giugno 2025 presso il centro congressi Forma Spazi di Roma. Il programma integrale è disponibile qui.

25/10/2025
Atti del seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private (terza parte)
a cura di Redazione

La terza parte degli interventi al seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private, organizzato da questa rivista insieme a ASGI e Magistratura democratica e svoltosi il 6 giugno 2025 presso il centro congressi Forma Spazi di Roma. Il programma integrale è disponibile qui.

24/10/2025
Atti del seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private (seconda parte)
a cura di Redazione

La seconda parte degli interventi al seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private, organizzato da questa rivista insieme a ASGI e Magistratura democratica e svoltosi il 6 giugno 2025 presso il centro congressi Forma Spazi di Roma. Il programma integrale è disponibile qui.

23/10/2025
Atti del seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private (prima parte)
a cura di Redazione

Da oggi e fino alla fine di questa settimana, Questione giustizia pubblica gli interventi al seminario Profili problematici della normativa e delle prassi in tema di contrasto al soccorso in mare di navi private, organizzato da questa rivista insieme a ASGI e Magistratura democratica e svoltosi il 6 giugno 2025 presso il centro congressi Forma Spazi di Roma. Il programma integrale è disponibile qui.

22/10/2025