Magistratura democratica
Europa

Problemi sistematici tra Cassazione, Consulta e Cedu

di Valentina Petralia
Università di Catania
Il ruolo del giudice nazionale in ordine all’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e il rapporto tra principio parzialmente devolutivo e ricevibilità del ricorso alla Corte costituzionale
Problemi sistematici tra Cassazione, Consulta e Cedu

Il particolare atteggiarsi del sistema di tutela dei diritti fondamentali della persona disegnato dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali pone questioni di corretto inquadramento dei rapporti tra le giurisdizioni nazionali e la giurisdizione europea. Si tratta di un sistema giurisdizionale multilivello in cui al giudizio nazionale definitivo può seguire un procedimento che si avvia in sede europea e il cui provvedimento conclusivo potrebbe richiedere l’adozione di misure di esecuzione a livello interno.

In questo quadro, la Corte di cassazione, attraverso gli strumenti interpretativi, è chiamata a garantire la conformità del diritto nazionale al diritto sovranazionale, operando una costante “combinazione” tra le norme interne e il dato normativo europeo.

Nel caso in cui, tuttavia, si riscontri un insanabile contrasto tra la disposizione interna e una o più disposizioni della Convenzione, il giudice nazionale dovrebbe attivarsi affinché la disciplina nazionale non passibile di una interpretazione conforme ai canoni convenzionali sia rimossa dall’ordinamento. Nel sistema italiano, lo strumento preposto alla rimozione delle norme incompatibili rispetto a vincoli pattizi è il sindacato di costituzionalità riservato alla Corte costituzionale, per il tramite dell’art. 117 Cost., e sollecitato dal giudice investito del procedimento.

Il ricorso a tale strumento, tuttavia, è possibile solo al ricorrere delle condizioni previste dalla legge, ovvero la rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza della stessa.

Il presente lavoro intende verificare se la Corte di cassazione e la Corte costituzionale italiane, nell’esercizio delle rispettive competenze, siano abilitate all’adozione di misure di esecuzione di carattere generale rispetto alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo che accertano la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, e in che limiti, qualora la predetta violazione sia l’effetto diretto dell’applicazione di una norma giuridica.

Posto che gli obblighi internazionali s’indirizzano allo Stato nel suo complesso e l’organo chiamato a dare attuazione ai suddetti obblighi deve essere individuato in base alla distribuzione interna delle competenze statuali chiamate in gioco dalle sentenze europee, sull’autorità interna graverebbe la responsabilità di dare esecuzione al vincolo convenzionale nei limiti in cui il potere da esercitare per garantire tale adeguamento rientri tra le sue competenze. Questa prospettiva ben si concilia con il margine di discrezionalità che conservano la Parti contraenti nello scegliere le modalità attraverso le quali dare esecuzione ai vincoli pattizi.

Il ricorso per cassazione costituisce un mezzo impugnatorio a devoluzione circoscritta con cui possono farsi valere soltanto determinati vizi di legittimità e rispetto al quale vige il divieto di novum in cassazione, ovvero l’impossibilità di far valere censure che non sono state previamente mosse in sede di appello. L’unica eccezione a questa regola vale per le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Il principio parzialmente devolutivo non subisce deroghe nemmeno qualora vengano in rilievo questioni di legittimità costituzionale. Il rinvio al giudice delle leggi dell’esame di una norma che presenti profili di incompatibilità con la Costituzione è uno strumento esperibile dall’autorità giurisdizionale adita sia che vi sia un’istanza di parte in tal senso sia su iniziativa dello stesso organo decidente innanzi al quale pende il procedimento. Tale potere è subordinato alla condizione che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale. Questo implica, in ogni caso, che l’aspetto a cui debba applicarsi la norma sospettata di incostituzionalità sia entrato entro i margini di cognizione del giudice sulla base di una doglianza mossa dal ricorrente o perché rilevabile d’ufficio. Ne deriva che, senza escludere l’obbligo per l’Italia di adottare atti a portata generale laddove ciò sia necessario per conformarsi ai canoni convenzionali come interpretati dalla Corte europea, tale obbligo esulerebbe tuttavia dalle competenze della Corte di cassazione nella misura in cui questa non possa ritenersi investita di alcuna questione connessa con la decisione degli organi di Strasburgo e farebbe venir meno anche la rilevanza di una eventuale questione di legittimità costituzionale. Il dovere di assicurare non solo in via sanzionatoria e/o riparatoria la tutela dei diritti ma anche e soprattutto in via preventiva, al fine di evitare il ripetersi della medesima violazione, spetterebbe in questo caso al legislatore.

Nel sistema processual-penalistico italiano, la giurisdizione interna non può ritenersi investita della competenza ad adottare misure di esecuzione delle decisioni europee - né di carattere individuale, né di carattere generale - in mancanza di una specifica doglianza mossa dal ricorrente in ordine alla violazione di uno dei diritti sanciti dalla Convenzione europea, nemmeno nell’ottica di prevenire una violazione di un diritto fondamentale e di evitare che la Corte europea accerti a carico dello Stato italiano una violazione. Una diversa ricostruzione mal si concilierebbe con il principio di sussidiarietà che connota i rapporti tra giurisdizioni nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo. Un ricorrente che non abbia lamentato in sede interna la eventuale violazione di uno dei diritti fondamentali non potrà chiedere tutela dinanzi agli organi di Strasburgo: in virtù del principio del previo esaurimento dei ricorsi interni costituisce un onere della presunta vittima della violazione quello di prospettare in sede nazionale le medesime censure mosse in seno all’atto con cui viene adita la Corte europea e con riferimento a disposizioni di diritto interno equivalenti ai diritti garantiti dalla Convenzione (c.d. principio dell’esaurimento in sostanza). In caso contrario, il ricorso in sede europea sarà dichiarato irricevibile e lo Stato non potrà essere chiamato a rispondere di una violazione che non ha avuto modo di riparare in sede interna.

Il testo integrale dell'articolo si può leggere qui

02/10/2013
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