1. Processo civile- giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo- proposizione in comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria- ammissibilità
Cass., Sezioni unite civili, sentenza n. 26727 del 15 ottobre 2024
Le Sezioni Unite Civili, a soluzione di un contrasto e di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione, da parte del ricorrente opposto, nella comparsa di risposta, di domande ulteriori/alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse posto a fondamento della originaria domanda nel ricorso per ingiunzione. Si rileva, in particolare, la compatibilità del giudizio monitorio con gli innovativi principi ermeneutici della pronuncia delle Sezioni Unite n.12310 del 2015, ed in continuità con essi si afferma che dall’avvio monitorio del contenzioso non deriva alcuna cristallizzazione delle facoltà difensive in termini di formazione del thema decidendum, non potendo ritenersi che l’opposto le abbia esaurite nella fase monitoria. La sostanziale identità dell’interesse, come chiarito dall’arresto del 2015, è il presupposto legittimante l'introduzione di una domanda alternativa, introduzione che non può essere inibita - come lo era, secondo la prospettiva ermeneutica anteriore a tale revirement - dalla diversità/novità in sé di causa petendi e petitum rispetto alla prospettazione originaria.
2. In caso di cumulo soggettivo passivo alternativo l’attore vittorioso deve appellare in via incidentale per impedire il passaggio in giudicato della decisione nei confronti dei convenuti non soccombenti
Cass., Sezioni Unite civili, sentenza n. 31136 del 4 dicembre 2024
Con l’arresto richiamato, le Sezioni Unite risolvono la questione di massima di particolare importanza, prospettata dalla Sezione Lavoro con l’Ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, inerente alla necessità che, in caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande articolate in primo grado, l’appellato vincitore, destinatario di impugnazione principale formulata del convenuto soccombente, presenti appello incidentale, eventualmente condizionato, o riproponga ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte dal primo giudice, al fine di impedire il passaggio in giudicato della parte della decisione relativa alla posizione degli altri convenuti risultati non soccombenti.
Le Sezioni Unite, richiamato il precedente del 2002 (sent. n. 11202) ove si era prescelta la tesi secondo cui, avendo l’appellato, con la sentenza di condanna di un convenuto, visto per intero realizzato il proprio interesse, dovesse limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande nei confronti dell’altro (degli altri) convenuto/i, ritengono invece di porsi nella scia di altri precedenti, più recenti, per negare che sia sufficiente il richiamo delle proprie originarie conclusioni, rendendosi necessaria la proposizione di appello incidentale. Il principio che ne consegue è il seguente:
Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall'attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile; il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta, in sede di impugnazione, l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all'accoglimento dell'appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l'enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso l'altro convenuto; affinché il giudice d'appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest'ultimo, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato.
3. Risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore - Restituzione del bene locato prima della scadenza – Danno da mancata percezione dei canoni - Risarcibilità del pregiudizio ex art. 1223 c.c. – Onere probatorio a carico del locatore - Applicabilità dell'art. 1591 c.c. - Esclusione
Cass., Sezioni unite civili, sentenza n. 4892 del 25 febbraio 2025
Le Sezioni Unite Civili – in relazione alla questione ritenuta di massima di particolare importanza, rimessa dalla Sezione Terza civile con l’ordinanza interlocutoria n. 31276 del 9 novembre 2023 – hanno affermato che il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno, a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, non viene meno se il conduttore restituisce il bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma è necessario provare da parte del locatore, il nesso di causalità giuridica tra l’evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli invocate. Egli, deve, di conseguenza, dimostrare di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell’immobile, al fine di concludere una nuova locazione a terzi, fermo l’apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità di automatismi risarcitori e dell’art. 1591 c.c. che riguarda la diversa ipotesi della mora del conduttore nella riconsegna.
4. Atto di scissione societaria- Azione revocatoria ex art. 2901 c.c. - Competenza della sezione specializzata in materia d’impresa – Ragioni - Azione revocatoria ex art. 66 l.fall., competenza del tribunale fallimentare
Cass.Sezioni unite civili, sentenza n.5089 del 26 febbraio 2025
Le Sezioni unite, ribadita l’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dell’atto di scissione societaria, affermano che tale azione è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, poiché, pur non introducendo una controversia relativa a rapporti tra società, soci e organi sociali, e pur non risultando diretta ad incidere, come l’opposizione ex artt. artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c., sulla scissione, privandola di efficacia erga omnes, ma ad una declaratoria di inefficacia dell’atto impugnato, investe un tipico atto dell’organizzazione societaria. Ai fini della competenza riveste valore qualificante la causa petendi della domanda proposta, che è data da un fatto o da un atto societario. La competenza del tribunale delle imprese va affermata in ragione di questa connotazione sostanziale della pretesa azionata, che indirizza la causa verso un accertamento che investe l’atto di scissione, quale atto endosocietario, se pure nella prospettiva necessitata dalla specificità dell’azione proposta, qualificando il corrispondente giudizio come relativo ad un rapporto societario.
Si afferma inoltre che l’azione revocatoria dell’atto di scissione societaria proposta in ambito fallimentare, ex art. 66 l. fall. è devoluta alla competenza inderogabile del tribunale fallimentare, che prevale su tutte le altre competenze confliggenti, ancorché a loro volta inderogabili, come, nel caso di specie, quella del tribunale delle imprese.
5. Ancora sull’abusivo frazionamento del credito: l’improponibilità della domanda non può essere l’unica risposta
Cass., Sezioni Unite civili, n. 7299 del 19 marzo 2025
Le Sezioni Unite ritornano sul tema già affrontato nel 2000 (sent. n. 108), nel 2007 (sent. n. 23726), e infine, nel 2017 (sentt. nn. 4090 e 4091) per fornire ulteriori specificazioni nella disciplina dell’ipotesi dell’abusivo frazionamento del credito in un ambito di rapporto di durata, da cui si era fatta discendere la conseguenza della improcedibilità della domanda. In quest’ultima occasione le Sezioni Unite hanno specificato che i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato oppure fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell'attività processuale, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che non si accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata, in mancanza del quale la domanda abusivamente frazionata deve essere dichiarata improponibile, impregiudicato il diritto alla sua riproposizione unitaria.
Hanno però opportunamente precisato che, qualora non sia possibile l'introduzione di un giudizio unitario sulla pretesa arbitrariamente frazionata, per l'intervenuta formazione del giudicato sulla frazione di domanda separatamente proposta, il giudice è tenuto a decidere nel merito sulla domanda, anche se arbitrariamente frazionata, tenendo conto del comportamento del creditore in sede di liquidazione delle spese di lite e potendo, a tal fine, escludere la condanna in suo favore o anche stabilire in tutto o in parte a suo carico le spese di lite, ex artt. 88 e 92, comma 1 c.p.c., in quanto l'abusivo frazionamento della domanda giudiziale integra un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità processuale.
6. Sussiste il diritto del convivente di fatto ad essere considerato come “familiare” ai sensi dell’art. 230-bis c.p.c. e come tale a partecipare alla liquidazione dell’impresa familiare a cui collabora (a seguito della Sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 2024)
Cass., Sezioni unite civili, Ordinanza n. 11661 del 4 maggio 2025
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 2024 - con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, comma 3, c.c., nella parte in cui non prevede come “familiare” anche il convivente di fatto e come “impresa familiare” quella cui collabora anche il convivente di fatto (nonché, in via consequenziale, dell’art. 230-ter c.c.) -, le Sezioni unite civili hanno cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda proposta da una convivente di fatto per l’accertamento del proprio diritto a partecipare alla liquidazione di un’impresa familiare, sul presupposto dell’insussistenza di un rapporto di coniugio e tenuto conto dell’inapplicabilità ratione temporis dell’art. 230-ter c.p.c.
Le Sezioni Unite avevano sollevato la questione di costituzionalità con l’Ordinanza interlocutoria n. 1900/2024, prendendo le mosse dalla inapplicabilità ratione temporis alla vicenda in questione del disposto dell’art. 230-ter c.c. e della impossibilità di una applicazione estensiva dell’art. 230-bis c.c., e prospettando il dubbio di costituzionalità di quest’ultima norma con gli artt. 2,3,4,35 e 36 Cost., nonché dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ed ancora, per il tramite dell’art. 117 Cost., degli artt. 8 e 12 CEDU. Avevano nel contempo evidenziato che le prospettate censure di incostituzionalità si riverberavano, in termini di illegittimità derivata, anche sull’art. 230-ter c.c., che non ha riconosciuto al convivente di fatto la stessa tutela, del coniuge/familiare, ma una tutela differenziata e inferiore (il che rendeva impercorribile, data l’insuperabilità del dato letterale dell’art. 230-bis e gli evidenziati rischi di distonia del sistema, la strada di una interpretazione della disposizione in senso conforme alla Costituzione ed alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). Avendo la Corte costituzionale con la sentenza richiamata condiviso appieno la prospettazione dell’ordinanza di rimessione, ed avendo per le ragioni esposte dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 230-bis c.c., e in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della l. n. 87/1953, dell’art. 230-ter c.cc., le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso, rinviando la controversia alla Corte d’appello per un nuovo esame della situazione di fatto tenendo conto della pronuncia del Giudice delle leggi
7. Responsabilità civile da diffamazione a mezzo stampa - Erronea attribuzione della qualità d’imputato invece che d’indagato e della commissione di un reato consumato, invece che tentato - Esimente del diritto di cronaca giudiziaria - Configurabilità - Esclusione - Condizioni
Cass., Sezioni unite civili, sentenza n. 13200 del 18 maggio 2025
Le Sezioni unite civili, pronunciandosi sulla questione di massima di particolare importanza - nonché oggetto di contrasto tra la giurisprudenza delle Sezioni civili e penali della Corte - hanno affermato che l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (nella specie consistente nella commissione di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori. Sull’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca si è specificato che la portata diffamatoria di inesattezze della portata di quelle descritte, che rendono inevitabilmente la narrazione non aderente al vero, inficiando l’autenticità del dato informativo circa il grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto al quale la notizia si riferisce, può essere esclusa solo se il giudice di merito accerti che, dal contesto complessivo della narrazione (che può assumere una fisionomia diversa a seconda che si tratti di pubblicazioni on line o di stampa cartacea), emerge chiaramente la verità sostanziale della notizia stessa.
8. Obbligazioni a carico della P.A. - Restituzioni all’esportazione per i prodotti soggetti a un regime di prezzi unici - Istanza stragiudiziale di pagamento - costituzione in mora della P.A. - Idoneità - Conseguenze - Interessi moratori e corrispettivi- Spettanza - Decorrenza
Cass., Sezioni unite civili, sentenza n. 13249 del 19 maggio 2025
Le S.U., in relazione ad una questione di massima di particolare importanza rimessa dalla prima sezione civile, hanno affermato che in tema di restituzioni all’esportazione come disciplinate dal Regolamento (Cee) n. 3665/87 della Commissione del 27 novembre 1987, applicabile ratione temporis, la richiesta stragiudiziale di corresponsione del relativo sussidio economico, rivolta dal creditore esportatore nei confronti dell’Amministrazione finanziaria debitrice, costituisce atto idoneo a costituire in mora quest’ultima, anche agli effetti delle norme di contabilità di Stato, a decorrere dalla scadenza del termine ragionevole, determinato dal giudice di merito entro il quale l’Amministrazione medesima deve svolgere e completare il procedimento di verifica previsto dal Regolamento suddetto. Pertanto, conclusasi positivamente tale verifica e spirato quel termine senza l’avvenuto pagamento del menzionato sussidio, spettano al creditore esportatore gli interessi moratori e corrispettivi sull’importo dovuto.
9. Compatibilità della trattazione scritta introdotta dall’art. 127-ter c.p.c., per mezzo del deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni in luogo dell’udienza, con il rito del lavoro: condizioni e limiti
Cass., Sezioni unite civili, sentenza n. 17603, del 30 giugno 2025
Con l’Ordinanza interlocutoria n. 11898/2024, la Sezione Lavoro della Corte di cassazione ha sottoposto alle Sezioni Unite la questione di massima, di particolare importanza, concernente la compatibilità fra la modalità di svolgimento dell’udienza di discussione prevista per il rito del lavoro, e la trattazione scritta attraverso lo scambio di memorie, come introdotta dall’art. 127-ter cod. proc. civ.: l’importanza della questione derivava dalla oggettiva sussistenza di dubbi interpretativi, sollevati dalla disciplina di legge, che avevano determinato la presenza di prassi difformi sul territorio nazionale, e dalla trasversalità dei principi suscettibili di affermazione, essendo gli stessi applicabili anche al rito locatizio ed alle procedure di opposizione alle ordinanze ingiunzioni.
Le Sezioni Unite evidenziano che la previsione dell’art. 127-ter c.p.c. si inserisce in un disegno di complessivo riassetto del processo civile, secondo l’intento, espresso nella legge delega, di «rendere i processi civili più celeri ed efficienti», secondo una linea già tracciata dal Legislatore durante l’emergenza pandemica (art. 87, 7.o co., lett. h), del d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 27/2020; art. 221, 4.o co., d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020). Intervenendo successivamente con il d.lgs. n. 164/2024 (cd. “correttivo”) il Legislatore aveva inteso fornire elementi utili per l’interprete anche nella lettura nel testo come originariamente inserito nell’art. 127-ter, con l’espressa indicazione della possibilità della sostituzione dell’udienza pubblica anche nel caso del rito del lavoro. Osservano poi le S.U. che dai testi delle norme esaminate non si rilevavano dati ostativi al deposito di note scritte anche in sostituzione all’udienza pubblica. Le modifiche poi apportate dal cd. “correttivo”, in vigore dopo il 28 febbraio 2024, e dunque solo in momento successivo alla vicenda all’esame, ma comunque di indubbio rilievo anche al fine dell’interpretazione delle norme in questione, dovevano intendersi orientate «al nesso con l’udienza pubblica». Per ciò che concerne il rito del lavoro, le Sezioni Unite ritengono di superare il possibile ostacolo costituito dalla previsione della necessità della lettura del dispositivo in esito alla discussione, e più in generale, dall’essere ispirato il modello processuale ai principi di immediatezza ed oralità: avvalendosi non solo delle specifiche precedenti disposizioni di segno contrario, ma anche dei precedenti orientamenti di legittimità che sulla estensione dell’art. 127-ter al rito del lavoro hanno assunto una posizione «alquanto univoca». La compatibilità della trattazione tramite lo scambio di udienza è cioè sempre stata affermata purchè resti salvo il diritto delle parti di partecipare all’udienza. Di qui i principi affermati dalle Sezioni Unite, il primo dei quali enuncia che «con riferimento all’art. 127-ter cod. proc. civ. in versione anteriore alle modifiche del 2024, il provvedimento con cui il giudice sostituisce l’udienza destinata alla discussione col deposito di note scritte è ammissibile, nel processo del lavoro, alle seguenti condizioni: (i) che la sostituzione non riguardi l’udienza di discussione nella sua integralità, ma governi la sola fase processuale propriamente decisoria; (ii) che nessuna delle parti si opponga alla sostituzione della discussione orale col deposito di note scritte; (iii) che non si escluda che le note scritte contengano (o possano contenere), oltre alle conclusioni e alle istanze, anche gli argomenti a difesa, così da rispondere alla funzione tecnica sostitutiva della oralità; (iv) che si tenga conto delle necessità collegate al contraddittorio, cosicché qualora l’iter processuale richieda chiarimenti in base alla situazione concreta, il dialogo tra le parti e il giudice sia ripristinato in funzione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa».
La sentenza inoltre, in risposta ad uno specifico motivo di ricorso, ha altresì affermato che il termine perentorio assegnato dal giudice per il deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza, agli effetti dello stesso art. 127-ter cod. proc. civ., è individuato avendo riguardo al giorno di scadenza in rapporto all’orario di apertura della cancelleria del giudice, non potendosi considerare alla stregua di violazione di detto termine la mancata osservanza dell’orario di deposito eventualmente indicato nel provvedimento.