Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Lettera ai colleghi sul referendum

di Marco Patarnello
magistrato di sorveglianza a Roma

Tra meno di una settimana si vota. Non si riesce facilmente a capire se la magistratura abbia messo a fuoco l’importanza di questa consultazione. Molte GES (tra cui Roma, di cui faccio parte) hanno assai opportunamente organizzato delle occasioni di confronto e informazione. Ieri ho potuto seguire, sia pure solo in parte, quella di Napoli e se ho visto bene vi hanno partecipato circa 150 colleghi. Tanti, direi. Comunque, un numero incommensurabilmente più alto di quello che si è visto in occasione dei dibattiti e confronti per le elezioni distrettuali. Sono curioso di sapere quali numeri ci saranno domani a Bologna, Torino, Bari, se ricordo bene anche Milano. L’aria che si respirava ieri a Napoli mi è parsa vivace e attenta, diversi gli interventi di spessore. Qualcosa si muove.

Una consultazione poco partecipata in questo momento sarebbe un disastro e ci escluderebbe dal dibattito su tutte le delicate riforme in cantiere che ci toccano da vicino, dal CSM alla separazione delle carriere, alle progressioni in carriera (vedi le recentissime e ostili dichiarazioni delle camere penali), solo per citarne alcune. Attualmente siamo fuori dal dibattito politico, ma se la consultazione referendaria dovesse essere partecipata potremmo riprendere il filo del discorso e fare pesare l’autorevolezza del potere giudiziario quando si parla di giustizia e di autonomia e indipendenza della magistratura. E’ una grossa opportunità. Forse l’ultima per diverso tempo.

Dunque, votiamo e votiamo in tanti.

Però non basta votare. Tocca anche votare informandosi e riflettendo con attenzione ed equilibrio, perché una volta legittimata l’Associazione con una larga partecipazione al voto le si deve dare anche un’indicazione chiara sulla linea da seguire innanzitutto fra sorteggio (temperato) SI e sorteggio (temperato) NO. Anche restituire una situazione di equilibrio fra queste due soluzioni opposte (oltre allo scenario dell’indifferenza o della scarsa partecipazione) ci condannerebbe alla marginalità ed all’arbitrio di una politica in parte disorientata e inconsapevole ed in altra parte assai orientata a gerarchizzarci e a cancellare i nostri spazi di democrazia e indipendenza. 

Tanto fra i sostenitori del SI quanto fra i sostenitori del NO io vedo persone in buona fede e persone in mala fede. Non credo che sia guardando alle persone che si debba trovare la chiave della scelta, ma alle idee. 

Su queste basi, al quesito n. 1 io voterò No e non lo farò per un riflesso condizionato. Sono consapevole che il sorteggio può sembrare idoneo a scompaginare le regole del correntismo deteriore. E sono convinto che il correntismo deteriore debba essere combattuto. Ma da un lato il sorteggio temperato è inidoneo a questo risultato e dall’altro inocula un veleno. Un altro veleno, non dissimile da quello che inoculò l’attuale, dirompente, legge elettorale. 

Per capire perché non è idoneo basta guardare all’attuale legge elettorale e a quello che successe con la sua introduzione: nonostante una legge elettorale che escludeva la competizione per gruppi, ma imponeva la logica del voto utile, l’organizzazione dei gruppi di fatto impose candidature limitate e voti militarizzati. La conseguenza fu che i risultati elettorali -e dunque i seggi- vennero consegnati nelle mani dei soli dirigenti delle singole correnti; non più di un minuscolo manipolo di persone per ciascun gruppo. Nessuna competizione effettiva. Tutto deciso dall’alto da pochissime persone. Temo di essere facile profeta ad ipotizzare che accadrebbe la medesima cosa: nella lettura migliore, fra i sorteggiati per la competizione vi sarebbe una presa di posizione sulle principali tematiche di giustizia oggi sul tappeto (organizzazione delle procure, questione morale, criteri di scelta dei dirigenti, carichi esigibili, prospettiva sindacale/servizio giustizia, ecc.) e l’aspirazione ad ottenere i voti e il favore dei gruppi più vicini; nella prospettiva peggiore, i gruppi si attiverebbero a proporre ai singoli candidati, secondo le maggiori inclinazioni, di ottenere il decisivo appoggio del gruppo nella competizione elettorale. Per chi pensa che il male sia il meccanismo elettorale, questo sistema non cambierà nulla di significativo. Sotto questo profilo, forse il sorteggio secco avrebbe potuto offrire prospettive diverse, ma non è in discussione e soprattutto avrebbe avuto un’enormità di altre obiezioni, assai più gravi e consistenti.

Per capire che veleno inocula è, invece, necessario riflettere sul pensiero che sottende il sorteggio, sia pure in forma temperata: il meccanismo elettorale è in quanto tale un meccanismo opaco, che favorisce aggregazioni di interessi, politici, personali, clientelari, di potere. E se il meccanismo elettorale si articola per gruppi, i gruppi sono irrimediabilmente gli enti esponenziali di questi interessi opachi. Questo altro non è che il pensiero antidemocratico, declinato diversamente, ma non per questo in maniera meno pericolosa. Con questo pensiero oggi si cambia il CSM, domani il Parlamento. Un suggestivo corollario di questo pensiero è la convinzione che se in Consiglio sedessero individui e non rappresentanti dei gruppi le cose andrebbero meglio: le decisioni sui dirigenti sarebbero legate al merito, i collocamenti fuori ruolo sarebbero negati o limitati e comunque assegnati secondo il merito, i procedimenti disciplinari più consapevoli della difficoltà del lavoro quotidiano e comunque più oggettivi ed in generale vi sarebbero meno favoritismi e più distanza dalla politica, che resterebbe fuori dal CSM, quindi la magistratura sarebbe nel suo complesso più indipendente. Questo modo di pensare, per coloro che ne sono sedotti in buona fede, è molto ingenuo. Il CSM amministra potere. Amministra la vita del Potere Giudiziario. Non è il centro del mondo, ma è questo. La carriera dei magistrati e la vita degli uffici giudiziari è questo. Le tabelle, i criteri e la discrezionalità nell’assegnazione degli affari ai giudici o ai pm, la scelta del dirigente, la progressione in carriera di un giudice o il suo trasferimento, sono questo. E questo potere il CSM lo amministra in forma collegiale, attraverso il voto collegiale su ogni singola decisione. Non una decisione giurisdizionale (tranne sul disciplinare), ma amministrativa. Lo amministra formando consenso intorno a ciascuna decisione amministrativa. Qualcosa come 80.000 decisioni all’anno. Approssimativamente. Su ciascuna di esse si aggregano maggioranze e minoranze e anche se la più gran parte è assunta all’unanimità, un numero enorme di decisioni è assunto a maggioranza; perché su un numero enorme di cose vi sono più soluzioni possibili; anche ragionevoli. Se non vi è una discussione sulle idee, sui principi cui ispirarsi, sui diversi punti di vista, su cosa individui il miglior dirigente o sul grado di gerarchizzazione di una procura della Repubblica, se il consenso non si aggrega intorno a queste cose e ad innumerevoli altre cose come queste che vi risparmio di citare, su cosa crediamo che si aggregherebbe? In un CSM composto da individui, senza idee espresse o dibattute precedentemente nel confronto e nella competizione elettorale su di esse, non credete che il consenso finirebbe con l’aggregarsi attraverso meccanismi anche più opachi? Magari la conoscenza personale. La contiguità professionale. La vicinanza geografica o territoriale. L’amicizia. La rivista giuridica di riferimento. La consuetudine con cui ci si siede vicino, sempre allo stesso posto. Affinità caratteriali, magari. L’accordo con l’altro consigliere con cui c’era già -o si forma in Consiglio- un’amicizia, una stima, una convergenza di vedute o di interessi. Uno scambio di occasioni: oggi io ti dico che so con certezza che tizio è più bravo di caio o che quell’ufficio ha bisogno di più giudici e domani me lo dici tu, che lo sai per la tua zona. Gli individui possono essere soggettivamente meglio o peggio dei gruppi, ma sono certamente più soli, più raggiungibili dagli interessi e dalle pressioni, più autoreferenziali e in fondo non devono rendere conto. Rendere conto è un male? A me non sembra. Questo è il pensiero democratico, anche se ogni medaglia ha il suo rovescio. Anche un tiranno potrebbe occasionalmente apparire meglio di una finta o acerba democrazia. Ovviamente ogni meccanismo ha le sue degenerazioni e si possono trovare correzioni e miglioramenti. Anche nella competizione elettorale individuale si possono dibattere idee e confrontarsi sui temi. Si possono trovare meccanismi elettorali che valorizzano gli individui e che favoriscono la rappresentanza. Ma se un corpo non crede tout court nella selezione democratica del meccanismo elettorale non crede in sé stesso. E se non crede in sé stesso non ha più niente da dire. Io non credo affatto che la magistratura versi in questa situazione, nonostante le degenerazioni e la crisi etica che attraversa. Non dobbiamo credere a chi ci dice che tutto fa schifo. Chi dice che la magistratura fa schifo non è disinteressato e non ha niente di serio da proporci. Noi dobbiamo puntare sul fatto che la magistratura ed in generale la società non fa schifo e migliorarla è possibile e che la democrazia è la sola strada possibile.

E veniamo, infine, all’ultima ragione per la quale il sorteggio è la soluzione sbagliata. Forse la più importante, anche se non è quella su cui ho voluto far leva, perché può apparire pregiudiziale. Il sorteggio, anche quello temperato, non è la soluzione costituzionalmente corretta e noi magistrati non possiamo essere insensibili a questo dato. La Costituzione ha previsto che i componenti del CSM siano eletti da tutti i magistrati nel proprio seno. Il sorteggio temperato conserva una selezione elettorale, ma è una scorciatoia che da un lato tenta di aggirare il principio costituzionale -e a me questo non piace, perché la Costituzione ha in mente una visione democratica e crede in essa- e dall’altro tenta di farlo anche maldestramente: corollario di qualsiasi sistema elettorale è che ciascun componente del corpo elettorale abbia diritto di elettorato passivo (le eccezioni a questo principio sono rigorosissime e del tutto marginali) e tale diritto col sorteggio temperato viene conculcato. Anche se c’è poca giurisprudenza costituzionale su questo argomento, perché il caso non si è mai posto, è piuttosto agevole rilevare che un vulnus al diritto di elettorato passivo della vastità di quello prodotto dal sorteggio -per quanto ampia possa essere immaginata la platea dei sorteggiati- non potrebbe che incorrere nella sanzione di incostituzionalità, quanto meno sotto il profilo del diritto di elettorato passivo, esponendo ancora una volta il CSM ad un’umiliazione istituzionale che riverbererebbe direttamente su tutta la magistratura. 

Una volta chiarito che il meccanismo elettorale -e in definitiva la democrazia- è lo strumento migliore possibile, resta da capire quale sistema elettorale scegliere. Questa scelta non è meno delicata. Intorno al sistema elettorale si interroga la classe politica da decenni, senza trovare pace. Il punto di equilibrio fra rappresentatività e governabilità è molto opinabile e difficile, per una società complessa come quella italiana del terzo millennio. Per noi è più semplice. Amministrare il CSM non ha la complessità e la delicatezza dell’orientare e governare una società contemporanea. Noi possiamo permetterci il lusso di valorizzare la rappresentatività e il confronto delle idee, senza doverle semplificare troppo per rendere più veloci e trancianti le soluzioni. Per noi è più importante che ci sia sempre un ingresso continuo di aria fresca, di confronto e di ricambio. Da questo punto di vista un meccanismo che valorizzi la proporzionalità mi sembra quello più sano e più capace di limitare cristallizzazioni e potentati. Per questo voterò per il proporzionale (mentre nel sistema elettorale per il Parlamento preferisco il maggioritario a doppio turno). Il proporzionale consentirebbe a tutti di avere rappresentanza, mentre -tendenzialmente- il maggioritario favorisce i gruppi più grossi o comunque aggrega il consenso in forma più semplificata. Entrambi i sistemi hanno, però, meccanismi di correzione dei propri limiti. E questo è il punto centrale. Nella competizione fra liste, il proporzionale assicura la migliore rappresentanza: assicura a tutte le aggregazioni per idee -anche quelle occasionali o più recenti o magari anche sorte per la singola elezione- una chance concreta rapportata all’effettivo consenso ottenuto, soprattutto su collegi nazionali. E al contempo favorisce la circolazione di aria e di democrazia dentro le singole liste, perché consente un numero elevato di candidature che si confrontano. Ma soprattutto sconfigge ed elimina l’insidiosissima logica del voto utile, che ha portato alle candidature in numero corrispondente ai seggi da eleggere, autentico cancro introdotto dalla attuale legge elettorale. Nella competizione fra individui, il maggioritario agganciato a collegi di minori dimensioni può valorizzare il valore dei singoli e le qualità personali dei candidati e con opportuni accorgimenti può consentire un recupero di tipo proporzionale. Ma anche nell’ambito del proporzionale sono possibili accorgimenti con qualche effetto che valorizza le individualità. Il maggioritario assai difficilmente elimina la logica del voto utile, nonostante i possibili accorgimenti; e soprattutto, se dietro ai singoli candidati restano ed operano ugualmente i gruppi, favorisce la scelta dirigista delle candidature, confermando il potere dei soli vertici delle correnti. In ogni caso semplifica l’offerta. E addirittura, col maggioritario binominale, crea le premesse per consegnare l’intera compagine del CSM ai due soli gruppi principali. Dunque, pur con i limiti di un quesito legato ad una scelta generale di fondo, fatta senza la prospettazione dello specifico sottoinsieme (uninominale/binominale, numero e tipologia dei collegi, con o senza recupero proporzionale, con voto singolo trasferibile o meno, con panachage o meno, ecc.),  è mia opinione che il proporzionale complessivamente sia un sistema più adatto alla magistratura, favorisca una maggiore competizione nell’offerta e in definitiva una maggiore trasparenza e io credo che questo sia un bene.

Alla soglia dei sessant’anni e pur con la stanchezza di un mestiere perennemente in prima linea, resto convinto che non sarà il livore, l’amarezza o la frustrazione a renderci migliori e più attrezzati. Al contrario. Molto di ciò che di positivo e di negativo ci capita come ordine giudiziario è frutto di noi stessi, delle nostre qualità e dei nostri difetti. E’ proprio col confronto leale delle idee che si può cercare di migliorarsi. Cercando di isolare e contrastare chi sbaglia e devia. Non ci sono scorciatoie. Fuori da noi il mondo non è affatto migliore. Non c’è alcuna ragione per cui debba essere così. La società nel suo complesso attraversa un momento difficile, di cambiamenti, confusione, instabilità. Noi siamo un punto di riferimento, una delle colonne portanti di questa società italiana. Siamo attrezzati culturalmente e professionalmente. Abbiamo a cuore la legalità ed il rispetto per la Costituzione e la legge. La nostra differenza di idee e di modi di vedere le cose è una ricchezza, se manteniamo il confronto e la consapevolezza dei grandi architravi che ci uniscono e che sono descritti nella Carta Costituzionale, nella quale ci ritroviamo tutti con intima convinzione. Manteniamo la calma e la fiducia in noi stessi e il rispetto per la nostra funzione.  

25/01/2022
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Seminario di presentazione del volume La riforma costituzionale della magistratura
a cura di Redazione

Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo

05/11/2025
The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

27/10/2025
Persona, comunità, Stato alla luce della riforma Meloni-Nordio

Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima. 

22/10/2025
L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025
I referendum e la povertà lavorativa

Il referendum è passato. Chi l’ha sostenuto, come noi, ha perso. Tuttavia il sì aveva delle buone ragioni ed era uno strumento, praticamente l’unico disponibile su un tema che non sembra essere nell’agenda della maggioranza parlamentare, per cominciare a ridurre la precarietà del lavoro, che è anche precarietà del salario. Perché c’è una relazione, obiettivamente accertata, tra precarietà e povertà lavorativa e tra contratti atipici, frammentazione dei processi produttivi e precarietà. La domanda è allora come rendere evidente questa relazione alle persone che ne sono più coinvolte? Come parlare oggi, in modo comprensibile, il linguaggio dei diritti?

28/06/2025