Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

I discutibili presupposti del Tribunale dei conflitti *

di Franco De Stefano
consigliere della Corte di cassazione
La recente proposta di legge per l’istituzione di un Tribunale supremo dei conflitti, presso la Corte di cassazione, suscita notevoli perplessità rivolte ai seri dubbi di compatibilità costituzionale del progetto e alla necessità effettiva dell’intervento, in relazione alla tempestività ed uniformità delle attuali risposte in tema di riparto di giurisdizioni

1. La proposta di legge di istituzione di un Tribunale superiore dei conflitti

Com’è noto, la proposta di legge n. 649, presentata alla Camera nella corrente XVIII Legislatura il 22 maggio 2018 dall’on.le Giusi Bartolozzi ed altri venti deputati, mira al conferimento al Governo della delega per l’emanazione di uno o più decreti delegati per l’istituzione di un Tribunale superiore dei conflitti presso la Corte suprema di cassazione.

Allo stato, la proposta risulta all’esame della II Commissione-Giustizia in sede referente, davanti alla quale si è anche concluso un primo giro di consultazioni di esperti e la cui presidente on.le Businarolo, al termine della seduta del 18 aprile 2019, ha dichiarato chiuso l’esame preliminare del provvedimento e fissato il termine del 13 maggio 2019 per la presentazione di eventuali proposte emendative.

1.1 La struttura del nuovo organo

Premessa indispensabile è il richiamo all’art. 111, comma ottavo, della Costituzione: dopo la regola generale del comma precedente, per la quale contro ogni sentenza di ogni giudice anche speciale è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, si prevede che «contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Con la proposta di legge si mira a modificare il sistema finora costruito in base a questa disposizione costituzionale, devolvendo le questioni di giurisdizione, per di più neppure soltanto quelle relative al giudice speciale amministrativo e contabile, ad un organo che non può in alcun modo ricondursi alla Corte di cassazione, se non per una mera coincidenza topografica: ma un ricorso in Cassazione, per interpretazione logico-semantica elementare, non può che essere proposto alla sola Corte a tanto deputata dall’ordinamento e cioè alla Corte di cassazione (per di più l’unico organo della giurisdizione ordinaria necessariamente presupposto dalla stessa Carta costituzionale), che si compone necessariamente di giudici organicamente incardinati in quella stessa.

Nella proposta in esame il nuovo organo è definito come «organo giurisdizionale supremo per la risoluzione delle questioni di giurisdizione insorte nei giudizi civili, penali, amministrativi, contabili, tributari e dei giudici speciali», con attribuzione in via esclusiva della «cognizione dei conflitti di giurisdizione e del regolamento preventivo di giurisdizione».

I dodici membri − di cui sei magistrati della Corte di cassazione, tre del Consiglio di Stato e tre della Corte dei conti, scelti per di più curiosamente da una infrastruttura quale gli organi di autogoverno delle rispettive magistrature e non da queste ultime, come nel caso di altri organi costituzionali, come la Corte costituzionale − eserciterebbero le relative funzioni in via esclusiva e la presidenza sarebbe attribuita a turno ai magistrati dei tre ordini, con rotazione annuale.

Infine, nel giudizio di fronte al Tribunale interverrebbe la Procura generale della Corte di cassazione, mentre la segreteria di quell’ufficio sarebbe istituita presso la Corte di cassazione.

1.2 I primi commenti

Se la relatrice alla proposta di legge riferisce, ad un recente convegno, della totalitaria adesione della magistratura associata del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, dedicando solo un fugace cenno alla evidentemente trascurabile radicale contrarietà della magistratura ordinaria associata, è bene ricordare che quest’ultima e lo stesso Consiglio superiore della magistratura avevano invece espresso da subito severe critiche [1] già all’antecedente logico della proposta di legge, vale a dire il Memorandum delle tre giurisdizioni elaborato dall’associazione Italiadecide e sottoscritto dai presidenti della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte di conti e dai procuratori generali della Cassazione e della Corte dei conti, presentato al Presidente della Repubblica il 15 maggio 2017.

La magistratura ordinaria associata, attraverso la sezione Cassazione dell’Anm, concluse che, a Costituzione invariata, la finalità di armonizzazione della funzione nomofilattica perseguita dal Memorandum non avrebbe potuto «in alcun modo riguardare, alla luce del disposto dell’ultimo comma dell’articolo 111 Cost., le questioni inerenti alla giurisdizione».

Sul medesimo Memorandum la dottrina aveva assunto una posizione più diversificata, come dimostra una serie di articoli di diversi autori pubblicata sul Foro italiano [2]; ma anche di recente si registrano decisi, ricchi ed appassionati interventi in senso contrario alla filosofia di fondo del progetto, come ripresa dalla proposta di legge in esame [3].

Di pochi giorni fa è poi l’articolato, ampio, meditato ed approfondito parere contrario del Consiglio superiore della magistratura sulla proposta di legge in esame [4] (approvato in Plenum con le astensioni dei laici Stefano Cavanna e Fulvio Gigliotti), il quale ha concluso:

- che l’introduzione del «Tribunale dei conflitti» presenta «criticità dal punto di vista ordinamentale e processuale difficilmente superabili»;

- che, in primo luogo, «l’intervento proposto non appare attuabile senza una modifica delle norme costituzionali», dovendo escludersi che tale Tribunale possa essere qualificato come sezione specializzata della Corte di cassazione in ragione della non assoggettabilità di tutti i suoi componenti al governo autonomo consiliare ed ai poteri organizzativi e direttivi del dirigente dell’Ufficio; che l’accentramento in capo a tale organo «dell’intera materia della giurisdizione» è «difficilmente conciliabile» con gli articoli 102, comma 2 e 111, comma 8 della Carta fondamentale;

- che la proposta implicherebbe il rischio di moltiplicare i giudizi in Cassazione;

- che la devoluzione di tutte le questioni di giurisdizione al Tribunale superiore dei conflitti richiederebbe il superamento, difficilmente ipotizzabile, del vigente sistema, che consente di definire le questioni di giurisdizione sia con l’apposito regolamento preventivo che all’esito del giudizio, impugnando la sentenza congiuntamente per motivi di giurisdizione e per motivi di legittimità, attualmente decisi unitariamente dalla Corte di cassazione;

- che, ancora, la composizione allargata ai soli giudici amministrativi e contabili non sarebbe, comunque, congruente con la devoluzione a tale organo di questioni di giurisdizione in materie alle quali gli stessi sono del tutto estranei, come quella penale, tributaria o quelle relative ai limiti della giurisdizione del giudice italiano rispetto a quello straniero.

2. I presupposti strutturali o interni

La relazione di accompagnamento alla proposta di legge si fonda su alcune premesse o presupposti strutturali, addotti a giustificazione della necessità dell’intervento legislativo progettato:

- una pretesa “tracimazione” da parte della Corte di cassazione nell’espletamento delle sue funzioni di ultimo giudice dei conflitti di giurisdizione;

- un preteso intervento di freno a tali abusi posto in essere dalla Consulta;

- l’esigenza di tempi più celeri e di una maggiore certezza del diritto;

- l’opportunità di un arbitro imparziale.

Sono premesse o presupposti contrari alla realtà e che non reggono alla prova dei fatti.

2.1 La pretesa “tracimazione” della Corte di cassazione

Il primo argomento presupposto dalla relazione di accompagnamento non corrisponde al vero.

In particolare, non corrisponde al vero l’affermazione di quella relazione di accompagnamento, secondo cui l’attribuzione della risoluzione delle questioni di giurisdizione all’esclusiva cognizione della Corte di cassazione a Sezioni unite avrebbe determinato nell’ordinamento giuridico molteplici profili di contrasto «tracimanti, tra l’altro, nell’esercizio del sindacato della Cassazione sull’eccesso di potere giurisdizionale dei giudici amministrativi».

Il dato prescinde dalla realtà dei fatti, desumibile dalla consultazione dei siti istituzionali ed aperti al pubblico, quali www.italgiure.giustizia.it: infatti, numerose decine sono le pronunce rese solo nell’ultimo anno dalle Sezioni unite della Corte di cassazione che, applicando una nozione dai limiti ristrettissimi, hanno dichiarato inammissibili i ricorsi con cui appunto si pretendeva di sollecitare da esse un riesame, in rito o nel merito, delle decisioni dei giudici speciali, Consiglio di Stato e Corte dei conti su tutti.

I casi di accoglimento dei ricorsi per violazione dei limiti esterni della giurisdizione si contano, negli ultimi anni, sulle punte delle dita di una mano, mentre è costante ed ininterrotta la precisazione dei limiti ristrettissimi entro cui potrebbe aver luogo quel sindacato, ove l’eccesso che ne fosse ad oggetto si estrinsecasse in una creazione di norma inesistente e non soltanto nell’attività di interpretazione delle norme (che costituisce il proprium della giurisdizione) [5] oppure nella diretta determinazione di merito spettante invece all’autorità amministrativa (i due distinti profili di eccesso di potere in danno del potere legislativo e in danno del potere amministrativo) [6].

Quale sia il contrasto − e tra quali organi − che la relazione pone a premessa della proposta di legge non è quindi lecito cogliere e, meno che mai, alcuna “tracimazione” dell’organo istituzionalmente chiamato a dirimere le questioni di giurisdizione: a meno di non volere concludere che lo stesso fatto di ipotizzare un controllo, devoluto a chiare lettere dalla norma costituzionale ispirata all’unicità della giurisdizione di legittimità, possa mai di per sé solo costituire un contrasto tra controllante e controllato, consistente nel rischio che il secondo non sia d’accordo con il primo.

La teoria estensiva – in senso definito evolutivo e dinamico – del concetto di giurisdizione ad alcune precondizioni stesse di questa, avvenuta del resto in una stagione tramontata, è rimasta minoritaria o, a tutto concedere, si è avuta in quegli eccezionali casi in cui la violazione del diritto eurounitario sarebbe stata talmente grave ed evidente – sostanzialmente in tema di diniego di accesso alla Giustizia e clamorosa contrarietà con le pronunce della Corte di giustizia del Lussemburgo [7] – da esporre comunque lo Stato, nel suo complesso, alle conseguenti gravi responsabilità sovranazionali.

2.2 Il preteso “colpo di freno della Consulta

Neppure è vero che la Corte costituzionale abbia frenato un’attività di libera creazione di interpretazione estensiva del concetto di giurisdizione che la relazione al progetto di legge pare adombrare da parte della Cassazione: non corrisponde al vero, da un lato, che quell’attività vi sia stata, né, dall’altro, che la Corte costituzionale abbia voluto una sorta di altolà alla Cassazione.

Infatti, non ci sono stati, se si eccettua il caso della sentenza n. 6 del 2018, interventi della Corte costituzionale in cui l’operato delle Sezioni unite della Corte di cassazione è stato stigmatizzato come eccedente dai limiti del controllo costituzionale: ma quella sentenza, se letta con attenzione e con animo scevro da pregiudizi, è intervenuta in un caso eccezionale, in cui la Corte di legittimità aveva inteso aderire all’interpretazione, minoritaria nella sua stessa giurisprudenza, della giurisdizione in senso evolutivo e dinamico.

Soltanto questo indirizzo minoritario, riconosciuto minoritario dalla stessa Cassazione e poi dal medesimo Giudice delle leggi, è stato disatteso dalla Consulta, che ha escluso dall’ambito delle questioni di giurisdizione quelle relative al rispetto dei princìpi fondamentali quali la primazia del diritto comunitario, l’effettività della tutela, il giusto processo e l’unità funzionale della giurisdizione, su quest’ultimo punto evidenziando la non coincidenza fra unità funzionale e unità organica; ed escludendo l’ammissibilità dell’allargamento del concetto di giurisdizione anche in relazione ad una eccessiva espansione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, visto che queste sono oramai ben contenute dalla stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost. nn. 191 del 2006 e 204 del 2004).

E la Corte di cassazione ha riconosciuto la necessità di confrontarsi con i richiami della sentenza n. 6 del 2018, sia sostanzialmente condividendone la critica per l’orientamento più estensivo [8], sia comunque ribadendo quello maggioritario proprio alla luce di quella pronuncia della Consulta: ribadendo la configurabilità dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete ed esorbitando appunto dall’attività di interpretazione [9].

Non c’è quindi bisogno di frenare alcunché, perché la predominante giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione già condivideva l’impostazione rigorosa della Consulta.

2.3 Le esigenze di tempi più rapidi e di maggiore certezza

Neppure corrispondono al vero gli altri due argomenti, spesi in chiusura, della relazione di accompagnamento alla proposta di legge: le esigenze di tempi più rapidi e di maggiore certezza.

La certezza delle soluzioni in punto di giurisdizione è, al momento, con ogni evidenza già sussistente, per la sostanziale preponderanza dell’interpretazione rigorosa del relativo concetto, come appena dimostrato; e, comunque, non si vede come un collegio di dodici magistrati possa offrire maggiori garanzie di celerità e certezza rispetto a quello di nove delle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Se tale effetto volesse ricollegarsi all’esclusività delle funzioni cui sarebbero destinati i componenti dell’istituendo Tribunale dei conflitti, la costanza degli indirizzi ermeneutici non deve riposare sull’identità dei giudici che vi danno luogo, ma sulla persistente validità e la resistenza alle critiche che quelli possono offrire in quanto convincenti e condivisi dagli interpreti; e senza contare che analogo risultato di tendenziale stabilità della composizione dei Collegi si potrebbe conseguire in via di autoregolamentazione tabellare della sola Corte di cassazione e di assegnazione degli affari all’interno delle Sezioni unite come attualmente previste.

Analogamente, quanto ai tempi di definizione, a prescindere dal fatto che sui regolamenti di giurisdizione di ufficio si sono già raggiunti intervalli per lo più intorno all’anno, non si vede neppure in questo caso come la devoluzione ad un organo ancora più ampio di quello chiamato adesso ad occuparsene possa snellire, anziché appesantire, la preparazione e la trattazione dei relativi procedimenti; e senza contare che, anche in questo caso, tutto potrebbe risolversi con soluzioni di normazione primaria o anche solo secondaria o sub-secondaria (come quelle tabellari) che prevedano la trattazione immediata e con precedenza assoluta dei ricorsi suddetti e, semmai con adeguati accorgimenti per mantenere la prelazione anche nel caso in cui fosse cospicuo il numero degli affari da trattare, di tutti quelli che involgessero motivi di giurisdizione.

2.4 La necessità di un arbitro imparziale

La proposta di legge presta ancora di più il fianco a critiche quando infine riconosce di ispirarsi alla necessità di un “arbitro imparziale”: necessità che non corrisponde all’assetto della nostra attuale Carta costituzionale.

Che si prospetti oggi la sensazione del bisogno di un arbitro imparziale presuppone intanto che possano rappresentarsi parti contrapposte tra loro in competizione e, poi, che quello finora incaricato di intervenire in materia abbia dato segni o sospetti di parzialità.

La prima presupposizione è forse proiezione dei tempi moderni, ove le questioni di principio sono personalizzate ed il confronto di idee è trasformato in rissa violenta, ma soprattutto è immemore del disegno della nostra Carta costituzionale, che qualifica giudici speciali il Consiglio di Stato e la Corte dei conti e vieta al contempo l’istituzione di altri giudici esterni all’ordine della magistratura, da intendersi quella ordinaria: in questa architettura istituzionale, la Corte di cassazione è posta chiaramente e con convinzione al vertice dell’intera struttura giurisdizionale, sia pure, quanto ai soli plessi giurisdizionali speciali espressamente menzionati nella Carta, con un controllo limitato alle questioni inerenti alla giurisdizione.

Pertanto, da un lato la Corte di cassazione, benché sia espressione della magistratura ordinaria, non è “parte” di quella quando è chiamata a dirimere le questioni inerenti alla giurisdizione, perché, come ogni giudice, è soggetto soltanto alla legge e, dall’altro lato, non si tratta qui di una controversia tra giudici, ciascuno dei quali debba difendere – semmai gelosamente – le proprie prerogative o i propri poteri, ma soltanto dell’applicazione di norme di diritto sui limiti e sui contenuti delle une e degli altri.

La seconda presupposizione, cioè il difetto di imparzialità, è priva di qualunque fondamento, non essendo dato un solo caso in cui neppure con la fantasia più sfrenata potrebbe rilevarsi una decisione della Corte di cassazione dettata, anziché dalla preoccupazione di applicare rigorosamente i confini delle rispettive giurisdizioni, dall’intento di favorire una o l’altra fra queste e, per di più, in nome di ragioni perfino ideologiche [10]: e tanto nonostante risulti sempre più complicata la corretta identificazione di quei confini per l’accresciuta vastità delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e per la persistente incertezza di quella del giudice contabile.

E tutto questo senza considerare che il richiamo ad una funzione di arbitro, che verosimilmente applicherebbe nebulosi criteri di equità, mal si concilia con l’esigenza di certezza del diritto anche nel delicatissimo settore dell’individuazione di confini certi tra le giurisdizioni: mentre poi l’intenzione di rimettere ad un arbitro che si vorrebbe imparziale perché composto da rappresentanti dei vertici dei plessi giurisdizionali previsti dalla Costituzione (proprio come se si trattasse di un collegio arbitrale fra privati, sostanzialmente paritetico tra le parti coinvolte: da un lato i giudici ordinari e dall’altro quelli speciali previsti dalla Carta fondamentale) mal si concilia con la persistente soggezione alla sola legge di ciascuno dei suoi membri e con l’impraticabilità costituzionale di una rappresentanza degli “interessi” (quali, poi, pare ancora più difficile ipotizzare) di ognuno dei plessi cui quelli appartengono.

3. L’esperienza straniera come fondamento comparatistico

Insostenibile, ad un sereno ed obiettivo esame dei dati di raffronto, è infine il richiamo all’esperienza del Tribunal des conflits francese: esperienza che costituisce un unicum strettamente legato alle peculiarità di un ordinamento tecnicamente alieno ed è stata citata senza un’accurata verifica dell’assimilabilità dei presupposti storici, culturali e giuridici quale base per una trasposizione dei relativi principi e delle conseguenti regole, gli uni e le altre francamente incomparabili con quelli italiani (e, per la verità, con quella di tutti gli ordinamenti diversi da quelli direttamente derivanti da quelli transalpini, come quelli dell’Africa coloniale francese).

Già in altre occasioni si è tentata – con volonteroso entusiasmo venato di qualche naïveté – la via dell’importazione di istituti propri di quell’ordinamento, col loro richiamo privo però di ogni approfondimento e preventiva verifica sull’identità dei presupposti storici, culturali e giuridici per l’importazione e la trasposizione di istituti talmente connaturati alle peculiarità di ordinamenti stranieri da potersi definire alieni per il nostro.

Si pensi, per rimanere al processo civile, ad alcuni interventi della fine del decennio che oggi si compie (la legge 18 giugno 2009, n. 69), alla malinconica storia della testimonianza scritta (di cui all’art. 257-bis cpc) e del calendario del processo (art. 81-bis disp. att. cpc), misure che nel rito francese costituiscono la regola e che da noi non hanno invece convinto gli operatori e risultano avere avuto applicazione assai limitata; e la sorte sperata non ha − ancora − avuto la cosiddetta via italiana alle astreintes, cioè l’art. 614-bis cpc, per la quale la diffidenza è chiara tra le parti ed i giudici del merito, non agevolata dall’ondivago legislatore, che ha già rimodulato l’istituto a pochi anni dalla sua introduzione: solo offrendo l’istituto qualche maggiore occasione in materie altamente specialistiche oppure allo stesso giudice amministrativo, ma in sede di ottemperanza.

3.1 Il dualismo giurisdizionale

È certamente vero che l’ordinamento francese ha in comune con molti altri ed anche con quello italiano, di cui sotto molti aspetti anzi costituisce l’archetipo, il dualismo delle giurisdizioni civile (ovvero ordinaria o, nella denominazione transalpina, “giudiziaria”: les juges judiciaires) ed amministrativa (les juges administratifs; e con la precisazione che, almeno in linea tendenziale, nell’esperienza francese la nozione nostrana di “giurisdizione” è tradizionalmente ricondotta a quella più generale di “competenza”): ma non ha in comune con quasi nessun altro il rigore impermeabile nella separazione tra la giustizia ordinaria e quella amministrativa; ed il grado di autonomia della giustizia amministrativa da quella ordinaria e le sue forme variano da un sistema ad un altro: ma la Francia presenta un modello di autonomia estrema, tanto da potersi definire reciproca indipendenza ed assoluta carenza di ogni reciproca interazione.

In altri sistemi [11], la stessa presenza di una giurisdizione amministrativa è sconosciuta, ma l’esistenza di una giustizia amministrativa specializzata è di gran lunga il modello dominante in Europa continentale e tutt’altro che sconosciuto anche nei Paesi extraeuropei; e, ove presente, quest’autonomia può variamente combinarsi e, ad esempio, sussistere sia alla base che al vertice, oppure solo alla base, oppure ancora solo al vertice.

Nei Paesi dell’Unione, solo cinque non prevedono in linea di principio una giurisdizione amministrativa specializzata (il Regno Unito, l’Irlanda, la Danimarca, Malta e Cipro), quale eredità della tradizione di common law: ma si registra una tendenza all’introduzione di veri e propri giudici amministrativi anche in quei Paesi, come il Regno Unito, che ha introdotto dal 1° novembre 2007 un apparato giudiziario di Administrative Tribunal.

Negli altri Paesi dell’Unione si osservano principalmente tre diversi modelli.

Un primo si articola su di un dualismo giurisdizionale pressoché completo; le controversie amministrative sono devolute ad un sistema gerarchizzato di tribunali specializzati, su diversi gradi di giudizio: questo può rimanere unico (Belgio, Lussemburgo, in minor misura nei Paesi Bassi), oppure duplice, quando l’organo di vertice è strutturato come giudice di appello (Germania, Svezia, Finlandia, Rep. Ceca, Polonia, Lituania, Francia, Italia, Grecia) o, più raramente, perfino triplice.

In una seconda categoria, il dualismo esiste soltanto al vertice: alla base della struttura sussiste l’unità giurisdizionale, essendo devoluti ai tribunali ordinari sia il contenzioso civile che quello amministrativo ed introducendosi una specializzazione a livello di appello o di cassazione.

Una terza categoria prevede, al contrario, una specializzazione alla base e non al vertice, anche se l’organo supremo dispone spesso di una sezione specializzata, che resta tuttavia al suo interno (Spagna, Ungheria, Romania, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lettonia).

Nella maggior parte degli Stati a Costituzione scritta vi è inserita la previsione di un organo amministrativo supremo: sia esso denominato Corte amministrativa (talvolta suprema), come in Bulgaria, Finlandia, Lituania, Polonia, Rep. Ceca e Svezia, oppure Austria e Lussemburgo; sia esso denominato Corte federale, in Germania (dove, peraltro, più che di dualismo si parla di pluralismo di giurisdizione, essendo nettamente distinte e tra loro indipendenti le cinque giurisdizioni: ordinaria, del lavoro, amministrativa, tributaria e sociale); oppure quale Consiglio di Stato, come Belgio, Francia, Grecia, Italia e Paesi Bassi, mentre con tale denominazione in Lussemburgo si intende un organo esclusivamente consultivo.

Al di fuori dell’Unione europea, il dualismo – ora in forma assoluta, ora in forma relativa – è pure diffuso, come in Croazia o Ucraina o Turchia; sezioni specializzate dei giudici ordinari sono istituite in Cina (anche a livello della Corte suprema), Marocco, Svizzera, Venezuela, Indonesia, Marocco, Madagascar, in certa misura negli Stati Uniti d’America ed in Australia; un Consiglio di Stato a funzioni miste, cioè consultive e giurisdizionali, si trova anche in Turchia, Senegal, Colombia, Thailandia, Egitto, la maggior parte dei Paesi dell’Africa francofona.

3.2 Il sistema francese

La Francia si caratterizza per un’organizzazione giurisdizionale originale ed unica nel suo genere, quanto meno tra gli ordinamenti occidentali [12].

La giurisdizione si divide in due grandi categorie, che non solo sono fortemente gerarchizzate, ma che soprattutto sono l’una del tutto ed assolutamente indipendente dall’altra: da un lato, i giudici ordinari (judiciaires o, alla lettera, giudiziari) con giurisdizione sulle liti tra privati o in materia penale, dall’altro lato, i giudici amministrativi (administratifs), con giurisdizione sugli affari che vedono tra loro contrapposte le amministrazioni e gli amministrati (tra cui, soprattutto di recente, anche la maggior parte di quelli in tema di tutela dei diritti fondamentali coinvolti dall’attività di governo o generalmente della pubblica amministrazione) o diverse persone pubbliche tra loro.

Il sistema francese si caratterizza per lo scarto tra il ruolo e l’autorità della giustizia amministrativa rispetto all’ampiezza delle previsioni normative, colmato in parte solo di recente prima dal Consiglio costituzionale, che ha riconosciuto l’esistenza e l’indipendenza della giurisdizione amministrativa al rango dei principi fondamentali della Repubblica, poi dalla legge costituzionale del 23 luglio 2008.

L’autonomia della giurisdizione amministrativa trova le sue origini nell’Ancien Régime, all’epoca in cui il Re tentava di affermare la sua autorità e quella dei suoi funzionari di fronte al potere giudiziario dei parlamenti provinciali. Già con l’editto di Saint Germain del 1641 fu proibito ai giudici di occuparsi degli affari dello Stato, dell’amministrazione e del governo. Rimasto senza effetto quest’editto, i rivoluzionari, difensori del potere delle autorità elettive, reagirono contro il potere giudiziario, diffidandone perché ancora memori dell’eredità dei parlamenti dell’Ancien Régime e della loro resistenza ai tentativi di riforma; svilupparono quindi un approccio originale del principio di separazione dei poteri ed in particolare di quello amministrativo da quello giudiziario, esaltando l’indipendenza del primo dal secondo (legge 16-24 agosto 1790) con un esplicito divieto ai tribunali di conoscere degli atti di amministrazione (decreto del 16 fruttidoro anno III, a un dipresso il 02/09/1795).

La conseguenza fu però che il ministro era anche giudice dei suoi propri atti: ed allora, per sopperire a tale vistosa pecca di parzialità, la Costituzione del 22 frimaio dell’anno VIII – 13 dicembre 1799 – istituì il Consiglio di Stato, con le funzioni di preparare i testi degli atti di governo e pareri per la soluzione delle controversie in materia amministrativa affidate al Capo dello Stato (in sostanza coincidenti con la struttura del nostro moderno ricorso al Presidente della Repubblica, a struttura però di parere consultivo); solo con legge 24 maggio 1872 il Consiglio di Stato divenne un autentico giudice e con la sentenza Cadot del 13 dicembre 1889 sparì definitivamente la figura del ministro-giudice fino a quel momento formalmente sopravvissuta.

La conseguenza è che i due ordini giurisdizionali sono reciprocamente indipendenti, sia strutturalmente, sia funzionalmente, costituendo due plessi non comunicanti a nessun livello e dotati di pari rango nell’architettura costituzionale francese.

3.3 In particolare, il Tribunal des conflits

In questo quadro di radicale reciproca indipendenza, che ha le sue ragioni storiche e culturali giuridiche appena tratteggiate, trova allora la sua ragion d’essere il Tribunal des conflits, destinato principalmente a dirimere i conflitti tra i due ordini.

L’odierno sito istituzionale del Tribunal ricorda che questo è un organo giurisdizionale composto di un pari numero di membri del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, col compito di risolvere i conflitti di “competenza” tra la giurisdizione ordinaria (l’ordre judiciaire) e quella amministrativa (l’ordre administratif), come pure di prevenire il diniego di giustizia in caso di contrasto tra decisioni definitive rese nella stessa controversia da giudici delle due giurisdizioni, nonché infine di giudicare sulle domande di responsabilità per eccessiva durata dei processi svoltisi sulla stessa controversia e fra le stesse parti davanti a giudici dei due ordini o, se del caso, di quelli davanti ad esso stesso.

Il Tribunal, regolato dapprima dalla Costituzione del 1848 e soppresso dal Secondo Impero, fu restaurato con la legge 24 maggio 1872, che prevedeva una composizione paritaria di giudici dei due ordini e la presidenza, con assunzione del ruolo di juge départiteur in caso di impasse, del Guardasigilli (Garde des Sceaux) Ministro della giustizia; finché, con la legge del 16 febbraio 2015, n. 2015-177, l’elemento politico – definito anacronistico – della presidenza devoluta al Ministro è stato soppresso e questa è stata infine attribuita ad uno dei componenti, con un turno triennale tra quelli di provenienza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione.

Il meccanismo, che prevede anche la figura di due relatori pubblici per ciascun ordine, è relativamente semplice: in un primo momento il Tribunal decide con quattro componenti di provenienza del Consiglio di Stato ed altrettanti della Corte di cassazione, ma, conformemente alla prassi giudiziaria francese, non si tratta di un collegio perfetto, occorrendo la presenza di almeno cinque di tali otto componenti; in caso di parità di voti, si tenta una seconda votazione e, persistendo la parità, si devolve la controversia ad una formazione allargata, composta pure da altri due membri per ciascun ordine, che costituisce un collegio di dodici giudicanti, stavolta perfetto.

Secondo le chiare indicazioni del rapporto del gruppo di lavoro che ha preceduto la riforma del 2015, è escluso il voto prevalente del presidente e si affida al senso di responsabilità della composizione allargata il compito di superare eventuali situazioni di parità di voti. Quello che può sembrare strano nel panorama nostrano è che quel senso di responsabilità davvero funziona.

3.4 L’attività del Tribunal nel 2018

È istruttiva la lettura del rapporto annuale sull’attività del Tribunal, reperibile sul suo sito ufficiale [13]: in primo luogo, questo peculiare organo è l’unico competente a dirimere conflitti di giurisdizione o questioni di giurisdizione, rimessi gli uni e le altre esclusivamente all’iniziativa del giudice adito, divisi per conflitti positivi o negativi, prevenzione di conflitti negativi (una sorta di regolamento di giurisdizione rimesso però al giudice), rimessioni per serie difficoltà interpretative in punto di giurisdizione e contrarietà a precedenti pronunce al riguardo.

Sono stati iscritti a ruolo nel 2018 complessivi 38 affari (rispetto ai 39 del 2019: diminuzione del 2,56%), tra i quali: nessun conflitto positivo e nessun conflitto negativo (come nel 2017); nove conflitti su rinvii “successivi” (quattro del Consiglio di Stato rispetto ai sei del 2017, due della Corte di cassazione rispetto all’unico del 2017, uno da altri giudici amministrativi e due da altri giudici ordinari); ventisette rinvii in prevenzione di conflitto negativo di giurisdizione (rispetto ai 23 del 2017), divisi in ventiquattro da parte dei giudici amministrativi e tre da parte di quelli ordinari; nessuna impugnazione per contrarietà di decisioni (un istituto simile alla revocazione per contrarietà a giudicato, ma appunto in tema di giurisdizione).

Il tribunale, adito – quanto ad autorità richiedenti – nel 90% dei casi dai giudici amministrativi e – quanto a materia – per il 71% dei casi per prevenzione di conflitti negativi, ha pronunciato quaranta sentenze (contro le trentasei del 2017, con un aumento dell’11,11%) e tredici ordinanze, tra le prime delle quali: nessuna su conflitti positivi (contro le due del 2017) ed una su conflitto negativo (contro le due del 2017), ventisette su rinvio in prevenzione di conflitto negativo (di cui venticinque dal giudice amministrativo, per le quali in diciannove occasioni è stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, mentre per i due rinvii del giudice ordinario è stata dichiarata quella del giudice amministrativo); nel complesso, nel 62% dei casi è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario. In totale, quindi, 53 (cinquantatré) provvedimenti in un anno, con una media di nemmeno 4 e mezzo al mese (considerando anche i mesi delle ferie estive).

La durata media dei procedimenti è stata di 95 giorni, calcolata tra la data di iscrizione a ruolo e la pronuncia della sentenza, sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente.

A costo di essere tacciati di semplicismo, si tratta di realtà assolutamente incomparabili, non solo per la strutturale diversità dei contesti che si è cercato di dimostrare, ma pure per la non confrontabilità degli strumenti processuali per l’assenza, in Francia, di strumenti processuali assimilabili al nostro regolamento di giurisdizione e per la strabiliante esiguità dei casi di conflitto in concreto portati alla cognizione di quell’Organo (i cui rapporti ufficiali consentono di verificare che, in precedenza, quella sopravvenienza annua era ancora inferiore), in confronto all’astronomica entità di quelli devoluti al giudice italiano della giurisdizione.

3.5 Il sistema francese rimesso seriamente in discussione

È singolare che, dopo oltre due secoli, si sia avviato in Francia un accesso dibattito sulla stessa opportunità della persistenza non solo e non tanto di un sistema a compartimenti stagni, ma perfino di un dualismo tra giurisdizioni anziché di unità della giurisdizione.

Alla tradizionale preoccupazione di un difetto di imparzialità ed indipendenza dei giudici amministrativi e ad altri argomenti, che non è qui il caso di esaminare, si aggiunge di recente la presa di posizione dello stesso Primo Presidente della Corte di cassazione, che è intervenuto a sostenere con fermezza la necessità di quest’ultima soluzione [14] (parallelamente al coraggioso tentativo di riflessione sull’abbandono del sistema di motivazione “alla francese” in nome di una maggiore trasparenza dell’attività giurisdizionale e di una maggiore aderenza del sistema a quello disegnato dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) [15].

Ma, anche se le reazioni complessive del mondo giudiziario paiono ancora salde nel sostegno alla tradizione, è evidente che le preoccupazioni, nate parallelamente proprio a seguito del sensibile ampliamento del perimetro della giurisdizione amministrativa (che Oltralpe è stata di recente estesa alla quasi totalità dei diritti fondamentali coinvolti dalle esigenze di sicurezza pubblica), denotano una presa di coscienza proprio nel Paese che è stato la culla della separazione tra le due giurisdizioni [16], che si interroga ormai sulla ragione della dualità originaria alla luce di principi mutuati dall’ordinamento sovranazionale.

4. Conclusioni

Tutti gli argomenti spesi a sostegno della proposta di sottrarre al vertice della giurisdizione ordinaria, cioè all’unica Corte investita dall’ordinamento del ruolo di “regolatrice”, la funzione costituzionale di risolutore di ogni questione di giurisdizione corrono il rischio di apparire addotti al solo scopo di perseguire comunque quell’obiettivo («superior stabat lupus…») [17].

Non è questa la sede per commentare il progressivo processo di erosione della giurisdizione ordinaria in favore di giudici speciali preesistenti e di autorità amministrative, tipico del nostro tempo e molto accentuato in Italia, a riprova di una crescente disaffezione verso la giustizia ordinaria e della tentazione di vie alternative: ed a questo processo può probabilmente ricondursi anche la proposta di legge per l’istituzione in Italia di un Tribunale superiore dei conflitti.

Tale proposta impatta però, in modo evidente, contro il disegno attuale della Costituzione, che vede la Corte di cassazione al vertice della giurisdizione quale giudice cui è devoluta sempre l’impugnazione per violazione di legge e come speciali, giustificati per la peculiarità della materia solo in deroga al principio generalissimo del divieto di istituirne di nuovi, i giudici amministrativi e contabili: funzionale all’assetto di questa architettura costituzionale è il mantenimento del ruolo esclusivo della Corte di cassazione nella risoluzione di quelle particolari questioni di violazione di legge, che attengono al riparto della giurisdizione.

Certamente, la Costituzione può essere cambiata: ma tanto può aver luogo appunto solamente nelle forme dell’art. 138 Cost.; e, verosimilmente, questo non può aver luogo sulla base di presupposti non corrispondenti al vero: se condotta con serenità ed obiettività, l’analisi delle ragioni di ordine interno addotte non giustifica l’introduzione di un organo speciale per la risoluzione dei conflitti di giurisdizione; per di più. è francamente insostenibile il richiamo ad una caratteristica istituzionale di un ordinamento alieno che non solo, in applicazione di usuali criteri comparatistici, si rivela irriproducibile ed inimportabile nel nostro Paese, ma, per di più, il cui principale presupposto – e cioè la stessa esistenza della separazione tra le giurisdizioni e neppure soltanto la rigida impermeabilità tra i due ordini giurisdizionali – è perfino rimesso in radicale discussione come non più corrispondente alle moderne esigenze della Giustizia.

[*] In questa Rivista on-line, il tema è stato già trattato sul versante delle ricadute processuali dal prof. Giorgio Costantino, ordinario di diritto processuale civile presso l'Università di Roma Tre (http://bit.ly/2VcdWrj, 9 maggio 2019). Il primo ciclo d’interventi sul tema si completerà a breve con una riflessione del prof. Aldo Travi, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università Cattolica di Milano.



[1] Per riferimenti, vds. A. Cosentino, Note critiche sull’ipotizzato “Tribunale superiore dei conflitti”, in www.giustiziainsieme.it, ultimo accesso 21 maggio 2019

[2] AA.VV., Memorandum sulle tre giurisdizioni superiori, in Foro it., 2018, V, p. 57 ss.

[3] G. Costantino, Note sul ruolo della Corte regolatrice, in questa Rivista on-linehttp://www.questionegiustizia.it/articolo/note-sul-ruolo-della-corte-regolatrice-_09-05-2019.php, 09 maggio 2019, ultimo accesso 21 maggio 2019 (intervento – dedicato alla memoria di Franco Cipriani – svolto il 16 aprile 2019 in Roma al convegno Il tribunale dei conflitti).

[4] Di cui, in attesa della disponibilità al pubblico del testo integrale, è menzione da parte dell’Ansa (http://bit.ly/2W8zkD7). Riferisce l’Ansa che le due astensioni sono state motivate «da dubbi in ordine alla piena conformità dei contenuti del parere alla funzione consultiva attribuita dalla legga al Csm, anche in ragione delle esplicite valutazioni di costituzionalità diffusamente argomentate nel parere stesso».

[5] Si tratta dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al potere legislativo. Tra le molte, solo degli ultimi anni, basti un richiamo a Cass. Sez. unite ord. 19 dicembre 2018, n. 32773, oppure Cass. Sez. unite 31 maggio 2016, n. 11380: «l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione … rappresentano il proprium della funzione giurisdizionale e non possono, dunque, integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost., fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc».

[6] Si tratta dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al potere amministrativo. Anche qui gli interventi delle Sezioni unite della Corte di cassazione sono numerosissimi; per tutti, basti un richiamo a Cass. Sez. unite 02 febbraio 2018, n. 2582: «L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nel merito amministrativo, è configurabile solo quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante sostitutiva di quella dell’amministrazione, nel senso che, attraverso un sindacato di merito, si estrinsechi in una pronuncia autoesecutiva, intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa».

[7] È il paradigmatico caso – ben significativamente definito «estremo» – di Cass. Sez. unite 06 febbraio 2015, n. 2242.

[8] Cass., Sez. unite, 30 luglio 2018, n. 20168.

[9] Tra le più recenti: Cass. Sez. unite, 25 marzo 2019, n. 8311, ove ampi richiami giurisprudenziali.

[10] Anzi, il riconoscimento della piena conformità del sistema di giustizia amministrativa alle norme costituzionali e sovranazionali in tema di indipendenza, terzietà ed effettività di accesso al giudice è riconosciuto continuamente e, anche di recente, ad esempio da Cass., Sez. unite, ord. 17 dicembre 2018, n. 32622.

[11] Tra i molti studiosi che si preoccupano, soprattutto ai giorni nostri, di difendere il sistema francese escludendone la natura eccezionale, basti per tutti un richiamo a T. Olson, Justice administrative et Constitution, in Nouveaux Cahiers du Conseil constitutionnel, n. 37, ottobre 2012. Importante il contributo dell’Observatoire des Mutations Institutionelles et Juridiques, La justice administrative en Europe, PUF (Presses Universitaires de France), 2006.

[12] Per un primo approccio può essere utile consultare il portale governativo (gestito dalla Direzione dell’informazione legale ed amministrativa del Primo Ministro) https://www.vie-publique.fr, all’url https://www.vie-publique.fr/decouverte-institutions/institutions/approfondissements/dualite-juridiction-raisons-etre-remises-cause.html. Ad ogni buon conto, la bibliografia francese può dirsi sterminata, visto che oltretutto ogni manuale di diritto amministrativo esamina pure questa materia; si confida possa bastare un cenno alla trattazione istituzionale, tra innumerevoli, di D. Lochak, La justice administrative, Montchrestien 1992, passim, oppure a quella di M. Guyomar e B. Seiller, Contentieux administratif, 3° ed., Dalloz, Parigi, 2014, passim. Sugli aspetti storici, K. Weidenfeld, Histoire du droit administratif du XIVe siècle à nos jours, Economica, 2010, p. 36.

[14] B. Louvel, Pour l’unité de juridictionhttps://www.courdecassation.fr, 25 luglio 2017, ultimo accesso 21 maggio 2019.

[15] Su cui ci si permette un rinvio a F. De Stefano, La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo e della Corte di cassazione italiana in materia di motivazione delle sentenze della corte di cassazione, in AA.VV., Dialogando sui diritti-Corte di cassazione e CEDU a confronto, 2016, p. 212 ss.

[16] Le posizioni tradizionali sono riassunte, in tempi non precisamente recenti, da S. Correira, Conclusions générales, in Monisme(s) ou dualisme(s) en droit administratif ?, in La Revue administrative, numero speciale n. 2/2000, pp. 66 s., spec. p. 72.

Scrive invece il Primo Presidente della Cassazione francese: «Ni les corporatismes de part et d’autre, ni les difficultés de formation des juges au droit administratif que l’Ecole nationale de la magistrature est en mesure d’intégrer, ni l’intérêt intellectuel présenté par les débats devant le tribunal des conflits, ne peuvent constituer des raisons convaincantes au maintien d’un système qui se présente pour le justiciable comme un des arcanes les plus difficiles sur la voie de l’accès à la justice et à l’intelligibilité de nos institutions». Ciò che si può tradurre pressappoco come appresso: «Né i corporativismi di una parte e dell’altra, né le difficoltà di formazione dei giudici al diritto amministrativo cui la Scuola nazionale della magistratura è in grado di far fronte, né l’interesse intellettuale presentato dalle discussioni davanti al Tribunale dei Conflitti possono costituire ragioni convincenti per il mantenimento di un sistema che si presenta per il giustiziabile come uno degli arcani più difficili sulla via dell’accesso alla giustizia ed all’intelligibilità delle nostre istituzioni».

[17] Fedro, Fabulae, 1, 1.

30/05/2019
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