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Cause di lavoro, 4 proposte normative a costo zero

di Roberto Riverso
Giudice del Tribunale di Ravenna
Possibili interventi per la razionalizzazione delle competenze processuali

Non se ne può più. Per decidere dell’individuazione di un giudice competente non bisognerebbe spendere più di due parole. E quando le norme sulla competenza - quelle che regolano il primo contatto tra un cittadino ed un giudice - sono circondate da molti dubbi e diversità di interpretazioni si ingenera solo insicurezza nelle persone e delegittimazione nelle istituzioni. Ed uno spreco enorme di risorse, che portano spesso ad oscurare le questioni sostanziali ed a pretermettere le tutele dei diritti. Ogni anno migliaia di cause di lavoro seguono strade contraddittorie e tortuose, ed alla fine vengono per lo più devolute agiudici civili, in quanto tali certamente non tra i più attrezzati professionalmente per risolverle al meglio. Ed ogni giorno, da decenni, nelle aule di giustizia si discute fino allo sfinimento (ordinanze, sentenze, regolamenti di competenza, anche in Cassazione) delle stesse questioni processuali con esiti talvolta paradossali e contraddittori che minano l’effettività delle tutele di cui le prime dovrebbero essere invece strumento.

Ovviamente, già oggi le norme in vigore consentirebbero di devolvere le stesse cause ai più naturali giudici del lavoro. Ma poichè vi sono resistenze di ogni tipo per un’applicazione della normativa processuale che tenga conto della sostanza delle questioni trattate, sarebbe finalmente ora che un legislatore consapevole dell’importanza delle stesse questioni, intervenisse per legge ripristinando un corretto ordine di procedere nella materia. 

a.- Chi potrebbe negare ad es. che non ci sia motivo di giustizia alcuno perché il giudice del lavoro non debba conoscere di tutte le domande di risarcimento danni per le vittime del lavoro (infortuni o malattia) fondate sulla stessa identica morte; domande che oggi vengono invece assurdamente suddivise tra giudice del lavoro (quelle iure hereditatis) e giudice civile (quelle iure proprio azionate dai parenti), spesso situati anche in distretti territoriali differenti?

b.- E perché nelle stesse cause o in quelle di mobbing, le domande avanzate dal lavoratore vengono incredibilmente suddivise tra giudice del lavoro (quelle rivolte contro il datore, magari una società, che risponde ex art.2087 c.c.) e domande trattate dal giudice civile se rivolte, anche all’interno dello stesso processo, contro il responsabile dell’infortunio o l’autore delle vessazioni ex art 2043 c.c.?

E lo stesso avviene anche negli infortuni sul lavoro in caso di appalto, tra domande rivolte al datore di lavoro e domande rivolte al committente o al sub-appaltante o ai colleghi di lavoro, quando le omissioni cautelari riguardino anche la responsabilità di questi soggetti (si potrebbero fare tantissimi altri esempi).

c.- Ed in base a quali giustificazioni il giudice del lavoro omette di conoscere delle cause di opposizioni all’ordinanze ingiunzioni in materia di sanzioni amministrative sul lavoro: una della materie più lavoristiche che esista (destinate a presidiare la legalità del lavoro nel nostro PAESE)! E nonostante che qui lo stesso decreto legislativo 150/2011 sulla semplificazione dei riti avesse fornito più di un argomento per affermare che esse debbano essere trattate dal giudice del lavoro e non soltanto con il rito del lavoro? Qui il non liquet rasenta il paradosso se si pensa che il rifiuto proviene da parte del medesimo giudice del lavoro che nel contempo conosce di opposizioni a ruoli esattoriali (o ad avvisi di accertamenti) emessi ad istanza di INPS ed INAIL per il recupero di pretese contributive scaturenti dal medesimo verbale di accertamento da cui scaturiscono quelle sanzioni amministrative, la cui cognizione viene invece demandata negli stessi tribunali (grazie anche a provvedimenti dirigenziali ed al CSM) ad altri giudici civili ( talvolta onorari).

d.- E perché la maggior parte dei giudici declina la competenza sull’estinzione del rapporto del socio lavoratore di cooperativa, oggi che per legge questo soggetto è titolare di un rapporto di lavoro, mentre prima della legge 142/2001 quando il socio era titolare dell’unico rapporto associativo (secondo la concezione monistica) la giurisprudenza riconosceva invece che era competente il giudice del lavoro (il pretore; mentre il codice civile legge devolveva la causa al tribunale) ?

Ecco allora quattro proposte normative destinate a troncare ogni ulteriore discussione sul punto.

1. Le controversie concernenti l’estinzione dei rapporti associativo o di lavoro del socio lavoratore di cooperativa per ragioni relative al rapporto di lavoro sono sempre di competenza del giudice del lavoro.

2.- Le controversie in materia di sanzioni amministrative per la violazione della normativa di lavoro e previdenza sono di competenza del giudice del lavoro.

3.- Le azioni per il risarcimento del danno cagionato da infortunio o malattia professionale rientrano nella competenza del giudice del lavoro ai sensi dell’art. 409 c.p.c. sia che si tratti domanda per responsabilità contrattuale sia che si tratti di domanda per responsabilità extracontrattuale, ed anche se promosse, in proprio, dagli eredi del lavoratore deceduto.

4.- Il giudice del lavoro conosce delle domande di risarcimento dei danni proposte dal lavoratore nei confronti di colleghi di lavoro o di terzi se connesse ad altre promosse ai sensi dell’art. 409 c.p.c. e comunque quando il rapporto di lavoro costituisce il presupposto principale delle domande.

 

03/10/2015
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