Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Principio di non discriminazione e norme speciali per le minoranze. La legge sacra islamica di fronte alla Cedu

di Marika Ikonomu
Università Statale di Milano, tirocinante presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa
La Corte analizza la questione alla luce sia delle fonti interne sia della normativa europea e internazionale, al fine di individuare il corretto bilanciamento tra la protezione del particolarismo religioso e la protezione dei diritti fondamentali

Con sentenza del 19 dicembre 2018 nel caso Molla Sali c. Grecia, la Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Grecia per aver violato l’articolo 14 della Convenzione (divieto di discriminazione), in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà), senza aver disposto un’equa soddisfazione, riservandola per intero a una fase successiva e auspicando il raggiungimento di un accordo tra le due parti in causa.

La ricorrente ha adito la Corte Edu, dopo aver esperito tutti i gradi di giudizio interni, per lamentare la violazione dell’articolo 6 (diritto ad un equo processo), oltre che agli articoli sopra citati. La cittadina greca, sposata con un membro della comunità musulmana della Tracia, aveva ottenuto, per testamento del marito, redatto secondo le norme del codice civile greco, l’intero patrimonio del coniuge. Secondo le due sorelle del marito, la redazione di un testamento pubblico risultava in contrasto con le norme dettate dalla sharia, vigenti per quella comunità, in base ai trattati di Sevres del 1920 tra le forze alleate e l’impero ottomano e di Losanna del 1923, ratificati dalla Grecia e rimasti in vigore anche dopo l’adozione del vigente codice civile. Tuttavia, il Tribunale di primo grado, nonché la Corte d’appello, accertarono una discriminazione inaccettabile fondata su convinzioni religiose. Al contrario, la Corte di cassazione ribaltò la decisione, considerando come legge applicabile al soggetto in questione il diritto successorio musulmano, essendo quest’ultimo parte integrante del diritto interno e applicabile ai cittadini greci di confessione musulmana.

La Corte analizza dunque la questione alla luce sia delle fonti interne sia della normativa europea e internazionale, al fine di individuare il corretto bilanciamento tra la protezione del particolarismo religioso e la protezione dei diritti fondamentali, così come di alcuni principi riconosciuti e tutelati dalla comunità internazionale. La Corte, sottolineando che l’articolo 14 della Convenzione non ha valenza indipendente ma è strettamente legato al godimento di diritti e libertà, ha considerato «l’interesse patrimoniale della ricorrente, a succedere a suo marito, sufficientemente importante e legittimo per costituire un “bene” ai sensi della norma contenuta nel primo periodo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1» (§ 131). Con l’obiettivo di comprendere se vi fosse stata un’effettiva e ingiustificata differenza di trattamento da parte dello Stato greco, la Corte ha fatto rientrare nella fattispecie dell’articolo 14 «le circostanze in cui i trattamenti sfavorevoli ad un individuo siano legate alla situazione o alla protezione di un’altra persona» (§ 134). Di conseguenza, ha statuito che la ricorrente ha subito un trattamento discriminatorio, ingiustificato e sproporzionato. Il Governo ha giustificato la sproporzione del trattamento differenziato evidenziando l’obbligazione dello Stato verso la minoranza musulmana della Tracia: la Grecia, secondo questa posizione, ha il dovere di rispettare le obbligazioni internazionali, così come i trattati stipulati per proteggere questa minoranza. La Corte di cassazione, inoltre, ha aggiunto che le disposizioni che tutelano la minoranza in questione «costituiscono un diritto speciale applicabile alle relazioni interpersonali», il quale non si rivela affatto contrario al principio di uguaglianza, né al diritto di ricevere una protezione giudiziaria, né all’articolo 6 della Convenzione. La Corte Edu ha però rilevato che «la conseguenza principale dell’approccio della Corte di cassazione […] è quella di ritenere che il testamento di un cittadino greco di confessione musulmana, redatto davanti ad un notaio, non abbia alcun effetto giuridico, poiché la sharia riconosce unicamente la successione ab intestat» (§ 148). Pur riconoscendo che la tutela delle minoranze sia di fondamentale importanza, la Corte ha rilevato da un lato le divergenze giurisprudenziali che sussistono tra i tribunali interni allo Stato, le quali «creano un’insicurezza giuridica incompatibile con le esigenze dello stato di diritto» (§ 153), dall’altro la preoccupazione palesata da molteplici organismi internazionali in tema di applicazione della legge coranica ai greco-musulmani della Tracia occidentale e di discriminazioni, soprattutto per quanto concerne le donne e i bambini. «Lo Stato non può assumere un ruolo di garanzia dell’identità minoritaria di un gruppo specifico a discapito del diritto dei membri di questo gruppo di scegliere se appartenere o meno ad esso, ovvero se seguire o meno i costumi e le norme di questo» (§ 156), ha affermato la Corte. Ogni cittadino deve quindi mantenere il diritto all’autodeterminazione, dovendo la scelta, di sottostare o meno al regime particolare di una data minoranza, essere libera.

10/01/2019
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