Vedere così tante persone riunite qui oggi per celebrare questo importante traguardo, dopo 40 anni dalla sua fondazione, è una testimonianza della grande considerazione in cui è tenuta MEDEL. In questa occasione speciale, desidero porgere le mie congratulazioni a MEDEL.
Questa occasione ci ha condotti qui insieme in un periodo di sfide e preoccupazioni per i diritti fondamentali, lo stato di diritto e la democrazia, e sono onorata di essere qui ad offrire la prospettiva dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali. L’FRA è l’agenzia europea indipendente per i diritti umani. Il nostro mandato è di proteggere i diritti, i valori e le libertà consacrate nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Le nostre priorità riflettono le molte sfide che l’UE, i suoi Stati membri e i suoi cittadini, si trovano ad affrontare. Affrontiamo il razzismo, la disuguaglianza, la discriminazione, l’antisemitismo e l’odio anti-islamico. Lavoriamo in settori nei quali i diritti sono stati effettivamente consacrati, ma in cui essi risultano non pienamente goduti, come la disabilità, la protezione dell’infanzia, l’accesso alla giustizia. Negli ultimi anni, abbiamo verificato che, mentre il mondo progredisce con avanzamenti sociali e nuove tecnologie, non si conosca adeguatamente la relazione fra questi sviluppi e i diritti fondamentali. La FRA continua a sostenere il rispetto per i diritti umani.
I nostri dati mostrano chiaramente la persistenza delle violazioni dei diritti umani. Vediamo nelle nostre inchieste le paure e le preoccupazioni profonde con le quali si vive oggi nelle nostre società. Nel report della FRA sull’Esperienza e la percezione dell’antisemitismo da parte degli ebrei, l’80% di coloro che hanno risposto percepivano nel proprio Paese un crescente antisemitismo nei cinque anni precedenti all’indagine. E’ importante notare che questi dati sono stati raccolti prima degli attacchi di Hamas del 7 ottobre – e ancora oggi sono in crescita.
Quasi la metà delle persone di origine africana ha sperimentato la discriminazione razziale, secondo il rapporto FRA “Essere di colore nella UE”. Questo dato può raggiungere il 76% a seconda dello Stato membro considerato. Tutti i 10.000 musulmani intervistati nel 2022 avevano esempi di razzismo e discriminazione da raccontare, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle nostre strade.
Eppure, nonostante le evidenti disuguaglianze, la fiducia necessaria per denunciare alle autorità competenti molestie, violenze e discriminazioni è gravemente danneggiata oppure non è mai esistita. Del terzo di persone che hanno vissuto molestie razziste, l’87% non ha denunciato l’accaduto ad alcuna autorità o servizio. Quasi la metà degli intervistati sentiva che se anche avessero denunciato l’evento, nulla sarebbe cambiato. Fra quelli che hanno invece sporto denuncia, il 76% si è detto insoddisfatto del modo in cui questa è stata gestita. Sorge quindi la questione: quanto sono efficaci le procedure di accesso alla giustizia?
Questa tendenza è stata anche riscontrata riguardo alle vittime di violenza di genere, il 13,5% delle quali ha denunciato la violenza e le minacce fisiche e sessuali subite. Nonostante numerosi sviluppi normativi nazionali ed europei, come la Convenzione di Istanbul e la direttiva UE sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, quasi nulla è cambiato da quando per la prima volta nel 2014 la FRA ha raccolto tali dati; ancora accade, nell’Europa a 27, che una donna su tre abbia subito nella propria vita violenze fisiche o minacce e/o violenze sessuali.
I gruppi vulnerabili presenti nelle nostre società sono sempre più spinti verso i margini. Continua a crescere il numero di persone con disabilità che vivono in istituti, nonostante le promesse di vita indipendente e in comunità. Le violenze, le molestie e gli atti di bullismo hanno avuto un effetto devastante sulla salute mentale dei membri delle nostre comunità LGBTIQ. Le comunità Rom e Viaggianti – la più grande minoranza del continente europeo – vive continuamente discriminazioni, molestie ed esclusione.
Accanto a queste carenze nella tutela dei diritti delle persone, vediamo nuove manifestazioni con cui dobbiamo imparare a confrontarci. L’odio e la molestia si sono spostati online. Sebbene la nascita delle piattaforme online e dei social media abbia trasformato la comunicazione moderna, essa ha anche amplificato le espressioni di odio. La disinformazione è galoppante e sfocia in un crescente sospetto nei confronti della società, nella diminuzione della fiducia nelle istituzioni consolidate e nell’accettazione di coloro che seminano odio e divisione.
Questa divisione è nutrita dall’incertezza, e non c’è dubbio che oggi viviamo in tempi incerti e precari. Assistiamo a leaders che ogni giorno utilizzano una retorica incendiaria, guerre ai nostri confini, e atti di aggressione continui ed evidenti nei confronti di uno dei Paesi nostri vicini, l’Ucraina.
In tempi d’incertezza, abbiamo bisogno di istituzioni stabili e regole condivise. Tuttavia, anche qui vediamo delle sfide. Il Rule of Law Index 2024, portato avanti ogni anno dal World Justice Project e volto a misurare la rule of law in 142 Stati e giurisdizioni, mostra che, per il settimo anno consecutivo, lo stato di diritto è globalmente in declino. Oltre 6 miliardi di persone oggi vivono in paesi nei quali la rule of law è più debole di quanto non lo fosse nel 2016.
Qui in Europa, ci sono indicatori preoccupanti, che mostrano l’erosione dello stato di diritto. Lo vedo ai confini esterni dell’Unione, dove le persone sono respinte dalle guardie di frontiera, senza che queste siano sottoposte ad alcun tipo di controllo. Lo sento, quando i politici pronunciano parole di odio e di esclusione, senza subire conseguenze. Coloro che difendono i diritti umani mi raccontano delle pressioni – persino dei pericoli – che subiscono quando la loro causa non è ben vista a livello locale.
Tutto ciò, insieme a punti di vista sempre più forti e pervasivi nell’UE (e nel mondo) che sostengono che i diritti umani siano alternative o preferenze, piuttosto che obblighi giuridici, manda alla società il chiaro segnale che non sia più il diritto a comandare. Dobbiamo restare saldi di fronte a questa avversione.
Le nostre conquiste collettive, riflesse nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e nella Carta dei Diritti Fondamentali, hanno visto passare politici e governi, ma restano il fondamento delle società eque e inclusive che aspiriamo a costruire.
Permettetemi un momento per parlare dei diritti fondamentali nel settore specifico della migrazione. Lo faccio perché, nel frastuono del linguaggio politico e delle tendenze populiste, non dobbiamo mai dimenticare l’individuo al centro di questi dibattiti divisivi.
Dal 2014, nel Mediterraneo si sono registrate oltre 32.000 persone morte o scomparse, un dato devastante sotto ogni punto di vista, ma ancor più quando consideriamo che la legge non può essere più chiara: i nostri Stati hanno il dovere indiscutibile di salvare le vite di coloro che arrivano a nostri confini. Da anni ormai, la mia Agenzia sta valutando cosa si può fare per ridurre il numero sconvolgente di violazioni dei diritti umani subite dalle persone migranti e richiedenti asilo. In breve, ciò include:
· Per prima cosa, semplicemente salvare vite. Dove non possano efficacemente agire a tal fine in autonomia, gli Stati dovrebbero supportare attivamente ogni legittimo sforzo della società civile. Invece, come riporta la mia Agenzia, le ONG sperimentano ostacoli e tentativi di criminalizzazione delle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo. Occorre distinguere fra trafficanti di esseri umani e coloro che onorano l’imperativo dei diritti umani – e il dovere – di salvare vite in mare.
· In secondo luogo, percorsi sicuri e legali per la richiesta di asilo in Europa salverebbero vite e ridurrebbero grandemente il disperato bisogno di rivolgersi ai trafficanti per raggiungere l’Europa. Inoltre, ciò renderebbe concreto il diritto di asilo – protetto dall’art. 18 della Carta europea fondamentale dei diritti umani – per i rifugiati e per altre persone che hanno bisogno di protezione.
· Inoltre, nonostante il diritto riconosciuto di cercare asilo, persistono una serie di restrizioni normative che consentono l’arresto e l’immediato, sommario rimpatrio di coloro che entrano in un Paese aggirando i controlli di frontiera, senza alcun esame della specifica situazione individuale. E’ necessario rivedere tutte queste procedure alla luce del diritto internazionale e dell’Unione Europea e della relativa giurisprudenza. Riformare il diritto può essere complesso, specialmente in contesti politici divisivi, ma è essenziale per lo stato di diritto che gli Stati si impegnino a sostenere i valori universali riflessi nei trattati della UE e nelle pronunce delle corti internazionali.
· Oltre a questo, è importante riconoscere che il diritto di asilo non è automatico, e che si applica solo a coloro che possiedono i requisiti per la protezione internazionale. Laddove l’asilo non venga concesso, si dovrebbe rimpatriare in modo dignitoso la persona interessata. Il dovere degli Stati di provvedere un rimpatrio sicuro e rispettoso dei diritti è affrontato in un recente paper della FRA relativo ai cd. “return hubs”.
· Infine, dev’essere rafforzato il monitoraggio dell’Unione Europea sui diritti fondamentali e, laddove i Paesi non riescano a impedirne la violazione, le indagini devono essere complete, tempestive ed efficaci.
Per concludere, attendo con grande interesse gli interventi e le discussioni nel corso della giornata. Sono convinta che tornerò a Vienna con pratiche promettenti e idee ispiratrici che non potranno che arricchire il nostro lavoro.
Grazie.