Non senza una forte emozione, alla presenza di tutte e tutti voi, le più alte personalità d’Europa che ci onorate della vostra presenza, questa mattina mi trovo a rievocare una storia senza eguali, quella della creazione, nel giugno 1985, di MEDEL, Magistrats Européens pour la Démocratie et les libertés. Presiedevo allora il Syndicat de la Magistrature (SM), una delle organizzazioni fondatrici. Una sala di questo edificio del Consiglio d’Europa era stata messa a nostra disposizione con un’équipe di interpreti. Vi siamo riconoscenti per averci accompagnato in modo tanto efficace!
Nel solco della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Consiglio d’Europa, fondato un anno più tardi, aveva dato avvio alla firma della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, primo trattato europeo a imporre, a ciascuno Stato parte, degli obblighi nei confronti della persona umana, con la possibilità di condannare uno Stato inadempiente, grazie alla creazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. René Cassin, ispiratore di tali dichiarazioni, ne fu il secondo presidente.
Ricordiamo che, dopo la barbarie nazista alla quale il regime fascista italiano si era associato, lo stato democratico di diritto era nato come una promessa all’indomani della seconda guerra mondiale. Così si andava costruendo ed internazionalizzando una nuova cultura giuridico-giudiziaria. Organizzarsi intorno al rispetto dei diritti fondamentali garantiti da una giustizia indipendente era divenuto un imperativo categorico.
Noi eravamo sì e no una ventina di magistrati europei impegnati in questa direzione, pionieri del sindacalismo e dell’associazionismo giudiziario, che volevano infrangere il conformismo giudiziario purtroppo dominante.
In quel mese di giugno 1985, nel contesto di una guerra fredda apparentemente senza fine, rappresentavamo sei paesi dell’Europa occidentale: Repubblica Federale Tedesca, Belgio, Spagna, Francia, Italia, Portogallo.
Come eravamo arrivati ad una tale mobilitazione?
Occorre ricordare che l’occidente non è stato esente da esperienze dittatoriali, in America Latina e in Europa: Grecia, Spagna Portogallo. In un contesto simile, alcuni magistrati progressisti, attaccati al rispetto dei diritti fondamentali, intrecciarono rapporti discreti con magistrati oppositori di quei regimi.
E’ così che negli anni ’70, sotto l’impulso delle prime associazioni progressiste fondate nel 1964 (Magistratura democratica) e nel 1968 (Syndicat de la Magistrature), si era creato un movimento europeo informale di magistrati, grazie a contatti stretti con giuristi e giudici internazionalisti, come Louis Joinet, fondatore del SM, e con alcuni sopravvissuti della resistenza alle dittature.
Il progressivo instaurarsi di regimi democratici in tutta l’Europa occidentale favorì la nascita di riflessioni comuni sulla dimensione democratica del potere giudiziario e sul suo ruolo nei nostri diversi paesi.
Ciò condusse all’organizzazione, nel febbraio del 1983 a Lille, di un colloquio sul tema Magistratura e democrazia. Seguito dall’opera Essere giudice domani, questo primo incontro internazionale fu un momento iniziatico dell’approccio critico dei magistrati su un tema del genere.
Qualche mese più tardi, nell’ottobre 1983, a Bordeaux, una riunione dette luogo ad una dichiarazione comune. Questo fu il primo testo sottoscritto da delle organizzazioni di magistrati, che definiva in Europa le esigenze di una giustizia democratica, fondata sulla separazione dei poteri, sulla garanzia dei diritti umani e sull’attaccamento a un esercizio equo della funzione giudiziaria, in grado di assicurare la protezione dei più deboli.
In 18 mesi di maturazione fu concepito un progetto di statuto, che portò alla creazione di una “associazione di organizzazioni di magistrati”, che aveva già la denominazione di “Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés”. Fu discusso a Bruxelles il 1° marzo 1985 in occasione del congresso dell’Association syndicale des magistrats.
Finale solenne: gli statuti sono approvati a Strasburgo il 15 e 16 giugno.
Tengo a rendere omaggio ai nostri compagni di strada, partecipanti attivi di questo processo creatore, che ci hanno lasciato: i nostri compagni belgi, tedeschi e italiani: Christian Wettinck, primo presidente (quanto ardente e luminoso!) di MEDEL; Heinz Stözel, che fu presidente poco più tardi, all’avvio della transizione democratica europea; Salvatore Senese, uno dei “padri fondatori” delle nostre riflessioni e costruttore della nostra volontà di agire.
Gli statuti, troppo lunghi per essere letti in questa circostanza, traducevano la volontà di difendere l’indipendenza del potere giudiziario, la promozione dello stato democratico di diritto e la costruzione di uno spazio giudiziario europeo fondato sulla garanzia delle libertà e dei diritti fondamentali, in materia tanto politica quanto economica e sociale.
Nel contesto attuale di certe critiche infondate alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che rivelano il progressivo rafforzamento di una retorica ostile allo stato di diritto, citerò solamente uno degli obiettivi di questa nuova associazione: «La proclamazione e la difesa dei diritti delle minoranze e delle differenze, in particolare dei diritti degli immigrati e dei più disagiati, in una prospettiva di emancipazione sociale dei più deboli».
Impossibile rispondere a tali critiche meglio di quanto abbia fatto il presidente della Corte, Mattias Guyomar: «Contribuendo alla tutela dello Stato di diritto, i giudici danno vita alla democrazia. Questo significa che la volontà della maggioranza non deve portare a negare i diritti della minoranza o delle minoranze».
Simili dichiarazioni convergono con gli obiettivi che ci animavano in quelle giornate memorabili.
Lo stesso vale per le parole di Jean-Paul Costa, che nel 2018, in un libro dedicato alla situazione turca, scriveva: «E’ esattamente poiché niente è mai scontato che i diritti e le libertà devono essere sempre e ovunque riconquistati, e che il dovere di essere vigili è pressante e costituisce per noi un obbligo».
In questo edificio del Consiglio d’Europa, a nome di MEDEL, ho anche rappresentato Murat Arslan, al quale il 9 ottobre 2017 è stato conferito il Premio Vaclav Havel per i diritti umani. Un fatto, questo, indubbiamente senza precedenti: un giudice, un giudice turco, riceveva questo premio per la sua lotta infinitamente coraggiosa e senza compromessi per l’indipendenza della giustizia.
Con un’emozione che ancora porto dentro, davanti ai parlamentari di 47 paesi presenti nell’emiciclo del Consiglio d’Europa, ho letto il testo di ringraziamento che egli era riuscito a trasmetterci.
L’indomani, qualche estratto è stato ripreso da Le Monde: «Mi rivolgo a voi dal carcere di un Paese nel quale il diritto si trova “tra parentesi”, nel quale i valori della democrazia progressivamente si allontanano, le voci dei dissidenti sono soffocate, coloro che difendono i diritti umani i giornalisti, colo che auspicano la pace, e che gridano perché i bambini non muoiano, sono definiti “terroristi”. Il prezzo che noi paghiamo serve a rafforzare la nostra convinzione e la nostra volontà di batterci in favore dei valori del diritto e della democrazia».
Arrestato il 19 ottobre 2016, Murat Arslan ha subito il peso di 3149 giorni di detenzione dopo esser stato condannato in modo ingiusto a 10 anni di carcere per “terrorismo”. “Terrorismo”, quando difendeva l’indipendenza della giustizia!
Dal carcere di Sincan, egli prosegue coraggiosamente la sua battaglia per l’indipendenza della giustizia.
E 40 anni dopo la sua creazione, MEDEL si commuove profondamente di fronte a tanto coraggio!
Non immaginando che un giorno avremmo dovuto sostenere un collega, un compagno costretto a sopportare tale ingiustizia e persecuzione, vediamo in questa lotta la forza delle nostre volontà dell’epoca.
Allora esisteva solo l’UIM (Union Internationale des Magistrats), creata nel 1953, la cui componente europea fu istituita più tardi.
La caratteristica di MEDEL era quella di riunire delle magistrature impegnate, consapevoli, fra le altre cose, della necessità di aprire la giustizia alla società, e intenzionate a rompere con il conservatorismo e il conformismo giudiziari. A questo scopo, volevamo rendere pubblico lo sguardo di operatori giudiziari concreti, dotati di uno spirito critico affinato dal loro impegno: uno sguardo capace di stimolare le analisi delle istituzioni europee sul funzionamento degli Stati e dei loro sistemi giudiziari.
MEDEL ha dato impulso ad una società civile di giudici e procuratori.
Volevamo far galoppare la storia dell’Europa dei giudici e dei procuratori, la storia della loro coscienza attiva.
40 anni dopo, ci rimettiamo al giudizio di tutte e tutti voi!