Il presente commento è stato redatto utilizzando il Dossier del 30 agosto 2021 dei Servizi e degli Uffici Studi del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, nonché precedenti interventi dell’autore (tra cui: 1. Obbligatorietà dell’azione penale, in Giustizia, la parola ai magistrati, a cura di L. Pepino, Laterza, 2010; 2. Le priorità non sono più urgenti e comunque la scelta spetta ai giudici, in Cassazione Penale, LV, ottobre 2015, n. 10; 3. La separazione delle carriere dei magistrati: una riforma inutile ed anacronistica, in La Pazienza – Rassegna dell’Ordine degli Avvocati di Torino, n. 3/2017. Con il consenso dell’autore, inoltre, sono qui citate molte importanti valutazioni del procuratore aggiunto di Torino, dr. Vincenzo Pacileo, tratte dal suo testo Pubblico Ministero, Utet, 2011. Sia consentito, infine, di richiamare i Criteri di organizzazione della Procura della Repubblica di Torino del 23 giugno 2015 (par. nn. 10 e 11) e dell’8 ottobre 2018 (par. n. 12), entrambi predisposti dall’autore quale Procuratore della Repubblica di Torino e consultabili sull’homepage del sito https://www.procura.torino.it.
La selezione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale: la criticabile scelta adottata con la Legge 27 settembre 2021, n. 134 *
Dopo l’articolo di Nello Rossi sui criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, prosegue, con un articolo di Armando Spataro, il confronto sull’ importante innovazione contenuta nella legge delega di riforma della giustizia penale. Entrambi gli articoli costituiscono anticipazioni del n. 4 del 2021 della Rivista Trimestrale, di prossima pubblicazione, che sarà interamente dedicato alla riforma della giurisdizione penale.
La foglia di fico della separazione delle carriere, perseguita per via costituzionale, cela l’autentico obiettivo della riforma: l’indebolimento dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici nel loro ruolo di interpreti della legge, in termini conformi a Costituzione e trattati internazionali. Tuttavia, un’analisi delle ragioni a favore della separazione delle carriere ne svela incongruenze e ipocrisie e, persino, un certo anacronismo argomentativo, alla luce delle progressive riforme che hanno cambiato il volto e il ruolo delle indagini preliminari. Mentre l’analisi prospettica dei pericoli sottesi alla separazione delle carriere, dovrebbe mettere sull’allerta i cultori del diritto penale liberale, molti dei quali appaiono accecati dall’ideologia separatista e sordi ai rumori del tempo presente che impongono di inquadrare anche questa riforma nel contesto più generale della progressiva verticalizzazione dei rapporti tra istituzioni democratiche, insofferente ai bilanciamenti dei poteri che fondano la Carta costituzionale.
L’iter della riforma costituzionale della magistratura procede verso l’approvazione definitiva, in doppia lettura, del disegno di legge di revisione costituzionale entro il 2025 e lo svolgimento del prevedibile referendum confermativo nel 2026.
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini, la formale e definitiva separazione delle carriere, nei fatti già realizzata, avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria. Ma le mire della maggioranza di governo si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura, voluto dai Costituenti a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati e dell’Alta Corte, il nuovo giudice disciplinare dei magistrati ordinari. Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947, si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di un’estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla. Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzando il nesso democratico tra amministratori e amministrati, significa porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione. Ed è forte il rischio che negli organismi del governo autonomo, nati dal caso e formati in base al principio per cui “l’uno vale l’altro”, rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che l’involuzione corporativa e burocratica determinata dal sorteggio sia un affare interno della magistratura. Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura. E di questa minore indipendenza pagherebbero il prezzo i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza.
Edmondo Bruti Liberati introduce uno scritto di Rémy Heitz, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, apparso su Le Monde il 12 aprile 2025 e riflette sul ruolo e sulla configurazione istituzionale del pubblico ministero in Italia e in Francia