Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La Procura Generale della Corte di Cassazione torna ad occuparsi di carcere

di Marco Patarnello
magistrato di sorveglianza a Roma

Con la nota ex art. 6 D.lgs 106/2006 (pubblicata unitamente a questo breve scritto di presentazione), il Procuratore Generale della Corte di Cassazione mira a rendere omogenee le linee di intervento in punto di utilizzazione della detenzione domiciliare quale strumento di alleggerimento del sovraffollamento carcerario e di rimozione degli ostacoli che si frappongono a tale utilizzazione.

A distanza di nove mesi da un precedente e significativo intervento[1] il Procuratore generale ritorna sul carcere e sulle sue problematiche, stavolta utilizzando il peculiare strumento di cui all’art. 6 del D.lgs 106/2006 con la finalità di favorire orientamenti omogenei all’interno degli uffici requirenti intorno al tema dell’esecuzione penale e della detenzione domiciliare in particolare. E’ evidente che il carcere -e le sue condizioni di vita e di sicurezza- costituisce uno dei nuclei di attenzione dell’azione direttiva del Procuratore Salvi. Attenzione giustificata, considerata la centralità che l’esecuzione penale ricopre nell’ambito della giustizia penale e la centralità che il carcere riveste -nel bene e nel male- nel nostro ordinamento, rispetto all’esecuzione penale.

Ancora una volta l’approccio della Procura Generale è radicato nella concretezza del “qui e ora” e muove dalle ricadute che l’emergenza pandemica determina nelle strutture carcerarie. 

Si coglie una convinta assunzione di responsabilità dello Stato rispetto alla salute delle persone ristrette e la consapevolezza dei rischi che l’insufficiente distanziamento sociale pone nell’ambito della vita interna agli istituti di pena. 

Ma soprattutto si coglie la consapevolezza che la marginalità sociale è parte consistente del problema carcerario e che l’accesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare non di rado è in concreto pregiudicato non dalla pericolosità sociale dei soggetti ristretti, ma dalla mancanza di dotazioni abitative idonee e di progetti di inclusione sociale, strutturati quanto meno in forme di assistenza e di controllo. 

Il documento del Procuratore Generale dà atto del lavoro fatto dalle molte articolazioni istituzionali coinvolte - giudiziarie e non- e della consapevolezza del problema evidenziata dalla magistratura di sorveglianza, ma sottolinea il lavoro ancora da fare, la circostanza che non sempre risulta pienamente utilizzato il plafond di risorse abitative reperite mediante convenzione e soprattutto la circostanza che la pandemia impone soluzioni rapide finalizzate a sanare una discriminazione inaccettabile, quale quella basata sulla marginalità sociale.

A questo fine si promuove la realizzazione di azioni coordinate capaci di restituire alla magistratura di sorveglianza la possibilità di esercitare pienamente il proprio mandato istituzionale. In particolare si indica come necessario che il DAP e l’UEPE si coordinino al fine di fornire alla magistratura di sorveglianza una pratica già istruita, completa della verifica sull’idoneità del domicilio sotto i diversi profili e del più adeguato programma di inserimento sociale, anche mediante la collaborazione della Polizia Penitenziaria e delle Forze dell’Ordine. Ciò non senza sollecitare l’ufficio del pubblico ministero -per la parte di propria competenza- ad esaminare con la massima sollecitudine le istanze e i provvedimenti giurisdizionali, eventualmente attivando gli opportuni strumenti di reclamo, anche in conformità alle indicazioni emerse in occasione delle precedenti riunioni di coordinamento ex art. 6 D.lgs 106/2006. E non senza auspicare un coinvolgimento -da parte delle Procure della Repubblica- dei territoriali Consigli dell’Ordine degli avvocati che ne stimoli un contributo finalizzato alla migliore tutela dei detenuti “marginali”.   

Non si può dire che il tema sia secondario. Chiunque operi nella dimensione carceraria ha ben chiaro quanta parte della realtà carceraria sia riconducibile più che ad un problema di sicurezza sociale ad un problema di marginalità e quanto stridente sia questa constatazione rispetto ai principi costituzionali e prima ancora rispetto ai principi minimi di umanità e giustizia che devono improntare questa materia. Il tema delle risorse investite dallo Stato su questo ed altri analoghi terreni (si pensi, solo a titolo di esempio, alla tutela della salute mentale) è un tema scottante, nonostante l’impegno della magistratura di sorveglianza ad un approccio realistico e pragmatico al tema della detenzione domiciliare, particolarmente in tempi di emergenza epidemiologica, nonostante le timidezze o inadeguatezze degli interventi legislativi più recenti[2]


 
[1] Con provvedimento del 1° aprile 2020 diretto ai Procuratori Generali presso le corti di Appello -pubblicato da questa Rivista- la Procura Generale della Corte di Cassazione aveva varato un primo importante documento consistente in un’utile riflessione sulla normativa ordinaria e su quella emergenziale legata alla congiuntura epidemiologica da Covid-19, con l’obiettivo di sottolineare l’incidenza della congiuntura epidemiologica nella vita carceraria caratterizzata da un consistente sovraffollamento ed enucleare spazi interpretativi razionali finalizzati ad alleggerire il numero di detenuti presenti negli istituti di pena.

[2] Da ultimo, Chiara Congestri, L’emergenza Covid-19 negli istituti penitenziari, in Connessioni di Diritto Penale; 30, L’Unità del Diritto, Collana del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, 2020.

12/01/2021
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