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La cd. legge spazzacorrotti: analisi e problematiche delle novità sostanziali e processuali della legge n. 3 del 2019 *

di Luca Tescaroli
procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Firenze
Nel partire dall’assunto che l’effettività della risposta sanzionatoria non dipende solo dalle norme incriminatrici ma anche dall’ampiezza e incisività degli strumenti investigativi a disposizione, la Legge n. 3 del 9 gennaio 2019 ha introdotto nuove ed eterogenee misure finalizzate ad accrescere sia l’efficacia repressiva che quella preventiva dell’azione di contrasto alla corruzione

SOMMARIO

1. Premessa - 2. Le novità sulle intercettazioni - 3. Le operazioni sotto copertura - 4. La causa di non punibilità di cui all’articolo 323-ter del cp - 5. Le modifiche in tema di ordinamento penitenziario

1. Premessa

La Legge Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici del 9 gennaio 2019, n. 3, pubblicata sulla GU il 16 gennaio 2019, entrata in vigore il 31 gennaio 2019 [con l’eccezione delle disposizioni di cui all’art. 1 comma 1 l. d), e) e f) [1], che entreranno in vigore il 1 gennaio 2020] agisce su due direttrici d'intervento:

1) sul piano del diritto sostanziale;

2) in chiave investigativa e processuale.

Nel disegno di legge di iniziativa governativa si esplicita infatti la consapevolezza «che l’effettività di un’incriminazione dipende non solo dalla formulazione delle fattispecie incriminatrici e dall’entità della pena edittale, ma anche dagli strumenti d’indagine e dai poteri di accertamento che l’ordinamento mette a disposizione degli organi inquirenti e dell’autorità giudiziaria per perseguire efficacemente i reati».

2. Le novità sulle intercettazioni

L' art. 266 comma 1 l. b) cpp consente l'intercettazione per i delitti contro la PA per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni [2] determinata a norma dell'art. 4 (non si tiene conto della continuazione, della recidiva, delle aggravanti, con l'eccezione di quelle che prevedono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a effetto speciale, che determinano un aumento superiore a un terzo di pena).

È possibile, perciò, procedere a intercettazioni nei casi di corruzione per l'esercizio della funzione (oggi punita, a seguito dell’innalzamento di pena, con la reclusione da tre a otto anni dall'art. 318 comma p), di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (punita con la pena da 6 a 10 anni di reclusione dall' art. 319), di corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 che punisce le condotte di cui agli art. 318 e 319 con pena diminuita in misura non superiore a un terzo), di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater I comma cp), di istigazione alla corruzione sia nel caso del I comma che in quello del II comma dell'art. 322 cp, di concussione, di peculato (I c art. 314 cp), di turbata libertà degli incanti (353 cp), di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (353-bis cp).

Non è consentito invece in relazione ai delitti di traffico di influenze illecite (punito oggi, a seguito dell’innalzamento di pena, con la reclusione da un anno a 4 anni e 6 mesi), di abuso d'ufficio, di rifiuto di atti d'ufficio, di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio, di malversazione a danno dello Stato, di peculato mediante profitto dell'errore altrui e di appropriazione indebita che, peraltro, non essendo reato contro la PA è soggetto al limite di cui alla l. a del I comma dell'art. 266 cpp («reclusione superiore nel massimo a 5 anni»).

L'art. 6 I comma del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216, ha esteso a tale categoria di reati contro la PA le forme e le condizioni prescritte dall'art. 13 dl 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203: «Nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203».

E, dunque:

a) presupposti meno stringenti, vale a dire viene abbassato lo standard indiziario (in luogo dei gravi indizi di reato richiesti in via generale, si richiedono i sufficienti indizi) e appare sufficiente la necessità di intercettare («quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini»), non richiedendosi che sia «assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini», come prevede l'art. 267 cpp I comma in via generale;

b) i termini di intercettazione più ampi (40 giorni per la prima richiesta con termini di proroga di 20 giorni, a fronte dei 15 giorni previsti in via ordinaria sia per la prima che per le successive proroghe);

c) l'intercettazione ambientale nei luoghi di cui all'art. 614 cp (privata dimora) è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che l'attività criminosa si stia svolgendo in quei luoghi;

d) sono previste modalità operative più agili: nei casi di urgenza, alla proroga può provvedere direttamente il pubblico ministero, con necessità poi della richiesta di convalida entro 24 ore al gip, il quale entro le 48 ore deciderà sulla convalida; il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare dall'agente di polizia giudiziaria.

L'art. 3 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, entrato in vigore dal 31 gennaio 2019, ha abrogato il comma 2 dell'art. 6 del d.lgs 29 dicembre 2017, n. 216, che aveva inteso limitare l'uso dei captatori informatici inoculati su dispositivi elettronici portatili (trojan) alla sussistenza di motivi per «ritenere che si stia svolgendo l'attività criminosa», allorché le intercettazioni ambientali dovevano essere effettuate nei luoghi di privata dimora indicati nell'art. 614 cp.

Il successivo articolo 4, con analogo termine di entrata in vigore, ha determinato, intervenendo sull'art. 266 comma 2-bis cpp, l'assimilazione dei reati contro la PA «puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, determinata ai sensi dell'art. 4 cpp» ai reati di criminalità organizzata e di terrorismo, anche in punto di intercettazioni ambientali nei luoghi di privata dimora effettuate con captatore informatico. Si è perciò estesa la deroga alla norma di carattere generale (comma 2 dell'art. 266 cpp) che non consente l'intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi di privata dimora a meno che non vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

L'art. 4 sub b) ha inciso anche sull'art. 267 I comma cpp, prevedendo un analogo innesto.

Orbene, in termini generali, l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico è autorizzata con decreto motivato che dovrà prevedere:

1) l'indicazione delle ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini;

2) i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono.

Quando si tratta di reati contro la PA, di terrorismo e di criminalità organizzata, di cui ai commi 3-quater e 3-bis dell'art. 51 cpp, non è richiesta tale seconda specificazione, in via di eccezione.

Sebbene non sia mancato qualche commentatore che ha sostenuto l'esigenza che il decreto autorizzativo debba dettare specifiche indicazioni circa la fase esecutiva dell'intercettazione, individuando anche indirettamente i luoghi e i tempi in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono, a me pare che il tenore della norma non consenta tale interpretazione, in quanto la stessa è formulata in termini di inserimento dei reati contro la PA nei casi eccezionali che escludono una simile previsione «...nonché se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono».

3. Le operazioni sotto copertura

L'art. 8 della novella è intervenuto sull'art. 9, comma 1 l. a) della legge 16 marzo 2006, n. 146, estendendo le operazioni sotto copertura poste in essere a una serie di delitti contro la PA. L'intervento è stato dunque limitato all’introduzione solo dell’agente sotto copertura e non si è prevista la possibilità di ricorrere all'agente provocatore.

La norma è costruita in termini di esenzione dalla punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria (di agenti, di ausiliari e di interposti) che tengano ben individuate condotte nell'ambito di operazioni ufficiali. Si prevede l'applicabilità nei loro confronti della causa di giustificazione, ex art. 51 cp, in virtù del quale non è prevista la punibilità per comportamenti assunti nell'esercizio di un diritto ovvero nell'adempimento di un dovere. È evidente che l'operatore under cover si trova a dover operare in situazioni border line dal punto di vista della stretta legalità.

La ratio della norma va ravvisata nella necessità di non punire comportamenti assunti in forma simulata e per ragioni di servizio. Pertanto, se la condotta dell'ufficiale under cover non ha superato il limen della legittimità deve considerarsi scriminata.

La dottrina ha evidenziato, in linea generale, come sia insito nella natura stessa delle scriminanti il principio del bilanciamento degli interessi in conflitto che orienta il vaglio comparativo sul relativo valore.

Sono state previste ulteriori specifiche fattispecie di reato (richiamando 14 norme) in relazione alle quali è possibile procedere alle operazioni sotto copertura: sono tutti reati contro la PA, con l'eccezione della fattispecie di cui all'art. 452-quaterdecies cp (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).

I reati del codice penale che integrano ex novo l'elenco sono i seguenti: concussione (art. 317), corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318), corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 e art. 319-bis, circostanze aggravanti), corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma), corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320 e art. 321, pene per il corruttore), istigazione alla corruzione (art. 322), peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (art. 322-bis), traffico di influenze illecite (art. 346-bis,) turbata libertà degli incanti (art. 353), turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis), oltre all’art. 452-quaterdecies già richiamato.

Occorre riflettere su quale debba essere il profilo professionale del soggetto legittimato a operare.

Si deve trattare di un ufficiale di polizia giudiziaria (che può avvalersi di agenti di polizia giudiziaria, di ausiliari e di interposte persone, comma 1-bis e 5 dell'art. 9 legge n. 146/2006, ai quali si estende la causa di non punibilità) della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza appartenenti alle strutture specializzate o alla DIA, i quali dovranno operare nell'ambito di operazioni ufficiali di polizia giudiziaria stabilite dagli organi di vertice delle rispettive forze di polizia e previamente comunicate e concordate con l'AG.

In teoria potrebbe essere impiegato anche un imprenditore sotto copertura per inserirsi in un contesto corruttivo o un privato, come nei casi dello stupefacente.

Occorrerà verificare in ogni caso l’impatto concreto sulle indagini. Non bisogna infatti dimenticare che non si tratta di compiere operazioni materiali, quali il trasferimento di una partita di stupefacente dal Sud America all’Italia ma di operare in un contesto investigativo per reati che richiedono una necessaria specializzazione, e la conoscenza di normativa specifica, come quella sugli appalti e societaria in materia di bilanci, di capitolato, di progetti, di normativa previdenziale, e così via. Occorre dunque che gli ufficiali di PG siano dotati di un adeguato bagaglio conoscitivo e che siano formati in maniera accurata, prevedendo quelle che saranno le ricadute, nell’applicazione concreta della norma e tenendo conto del fatto che per essere “credibile” all’interno del contesto corruttivo bisogna conoscere la materia.

L'ufficiale di PG sotto copertura non può sollecitare la commissione di un reato, ovvero provocarlo, o creare le condizioni perché venga posto in essere, inducendo il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio a commetterlo. Egli può solo inserirsi in un contesto di fatto già commesso o del quale si sono già create le condizioni.

In particolare, la norma prevede che egli agisca «al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti» specificatamente individuati. La novella ha inserito nell'originaria stesura dei comportamenti scriminati («danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere reato»), le seguenti condotte:

1) «corrispondono denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri»;

2) «promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di p.s. o per remunerarlo»;

3) si specifica che tra i beni (acquistati, ricevuti, sostituiti, occultati, o di cui si ostacola l'individuazione della provenienza o se ne consente l'impiego) rientra, oltre al denaro, ogni altra utilità.

Tra i comportamenti scriminati rientrano le «attività prodromiche o strumentali».

Diventano, quindi, non punibili le attività dell'agente della polizia giudiziaria che − assumendo le vesti, a seconda dei casi, di un privato (interessato a ottenere l'emanazione di atti amministrativi, l'erogazione di servizi da parte della pubblica amministrazione, a partecipare a gare, appalti o a stipulare contratti con essa) o di un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio − consistano:

- nell'accettazione della promessa o dell'offerta (in qualità di concusso «costretto» o «indotto» nel caso dell'art. 317 cp e dell'art. 319-quater cp, non potendosi ammettere un agente infiltrato che tenga una condotta attiva di costrizione o induzione perché si trascenderebbero i limiti imposti alla figura in esame);

- nella ricezione (da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio «infiltrato» nel caso della corruzione), nella promessa o nella consegna di beni o altra utilità compiute al fine di acquisire elementi di prova dell'istigazione alla corruzione commessa da altri (sia attiva, nel caso di promessa o offerta di denaro o altra utilità da parte del privato, sia passiva, nel caso in cui sia il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio a sollecitare la promessa o la dazione), così come la promessa o la dazione di denaro o altro vantaggio patrimoniale in accoglimento di un'offerta di mediazione illecita presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (traffico di influenze illecite).

Proprio l'inciso contenuto nella norma «conclusi da altri» consente di escludere la punibilità della condotta dell'agente provocatore che si limiti a compiere le attività descritte nella norma, raccogliendo le prove dei reati già oggetto di volizione da parte dei rei, e non travalichi svolgendo autonome attività ascrivibili al concorso di persone nelle forme dell'istigazione o dell'incitazione a commettere reati che non sarebbero stati altrimenti commessi.

In tal senso la nuova normativa si colloca sulla scia degli orientamenti espressi dal giudice preposto ad assicurare la nomofilachia, in forza dei quali:

- l'agente coinvolto in operazioni sotto copertura non deve esorbitare da quanto coperto dalla norma e, nello specifico, non deve compiere «attività che si caratterizzino per determinare taluno a commettere illeciti penali prima inesistenti» [3];

- l'esimente è configurabile solo in relazione all'acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso, poiché il perimetro dell'operazione sotto copertura racchiude le condotte di chi interviene «in modo indiretto e marginale» e che svolga in concreto «un'attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui» [4].

Con riferimento ai reati in questione, pertanto, saranno suscettibili di essere scriminate tutte le condotte di chi svolga attività di perfezionamento di reati già deliberati o provveda a corrispondere denaro o altre utilità in quanto richiesto, sollecitato o in corresponsione del prezzo per l'atto commesso dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio in forza dell'accordo illecito.

Nel caso in cui si ravvisi che i soggetti under cover hanno travalicato i limiti fissati si legittimano le iniziative assunte dall'organo giudiziario nei suoi riguardi. Verrà infatti iscritto nel registro ex art. 355 cpp e subirà indagini a suo carico, acquisendo la veste di indagato che, pertanto, non potrà essere ascoltato nella qualità di testimone fino all'emissione di una sentenza irrevocabile a suo carico.

Il rischio insito nel superamento, oltre a quello inerente alla possibile responsabilità penale dell'agente sotto copertura e dell'esclusione dalla testimonianza del soggetto undercover, sarà quello dell’inutilizzabilità delle prove acquisite nel corso dell’attività [5]. Ciò, oltre a rischi di condanna dell' Italia davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione dell'art. 6 della Cedu, come stabilito in numerosi casi già vagliati dalla Corte [6].

Ciò non priva di efficacia le potenzialità di uno strumento estremamente invasivo, che si presta ad essere usato prevalentemente in contesti di criminalità organizzata, e la cui effettiva utilizzazione nei settori della pubblica amministrazione resta tutta da scoprire; come spesso capita, risentirà degli specifici contesti territoriali in cui si opererà e, soprattutto, sarà affidata alla fantasia e all'ingegno degli investigatori.

Naturalmente si applicherà anche alle operazioni sotto copertura che attengono ai nuovi reati la normativa vigente per ogni operazione di tal fatta, vale a dire che l'esecuzione delle stesse è disposta dagli organi di vertice, o, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, e l'organo che dispone l'esecuzione delle operazioni deve:

a) dare preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria competente per le indagini;

b) se necessario o se richiesto dal pm, indicare il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione e quelli degli eventuali ausiliari e interposte persone impiegati;

c) informare il pm senza ritardo delle modalità e dei soggetti che vi partecipano e dei risultati ottenuti, gli ufficiali e gli agenti di PG;

d) informare il pm entro 48 ore dall'inizio dell'attività, allorché vengono utilizzati documenti, identità o indicazioni di copertura.

Gli ufficiali di PG possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, dando immediato avviso, anche oralmente, al pubblico ministero, che può disporre diversamente, e trasmettendo allo stesso motivato rapporto entro le successive 48 ore.

La rivelazione indebita dei nomi degli ufficiali di PG che effettuano le operazioni sotto copertura costituisce un delitto punito con la reclusione da due a sei anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

4. La causa di non punibilità di cui all’articolo 323-ter del cp

Dopo l'articolo 323-bis cp la novella ha inserito il seguente articolo: «Art. 323-ter (Causa di non punibilità). - Non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322-bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353-bis e 354 se, prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione a tali fatti e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili.

La non punibilità del denunciante è subordinata alla messa a disposizione dell'utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all'indicazione di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma.

La causa di non punibilità non si applica quando la denuncia di cui al primo comma è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato. La causa di non punibilità non si applica in favore dell'agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146».

L'art. 323-bis cp è una disposizione con chiara funzione premiale di comportamenti di concreta collaborazione con l'AG. Anche in continuità tematica con quanto già visto in tema di operazioni ex art. 9 legge 146/2006, va rilevato che questa causa di non punibilità è espressamente esclusa nei riguardi dell'agente sotto copertura che abbia «agito in violazione delle disposizioni dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146».

Per il resto la norma mira a favorire comportamenti di tempestiva (entro quattro mesi dal fatto) e spontanea denuncia dei reati, accompagnati dalla concreta collaborazione alle indagini per assicurare le prove del reato e per individuarne i responsabili, nonché alla restituzione del prezzo o del profitto.

La stessa trova applicazione solo per i reati indicati [7] e si aggiunge alla previsione della circostanza attenuante di cui all'articolo 323-bis comma cp, per i casi in cui si procede per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, con riduzione della pena da un terzo a due terzi a favore di «chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite».

Anche da queste norme si evince la considerazione che il legislatore riserva ai gravi reati contro la PA in termini analoghi ad altre gravi forme di criminalità, anche non organizzata, sol che si consideri come analoghe forme premiali di non punibilità o di attenuazione del trattamento sanzionatorio in presenza di «collaborazione» sono state introdotte nel tempo, tra altre, in materia di terrorismo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, di sequestri di persona a scopo di terrorismo o di eversione, di coazione o di estorsione oltre che in materia di traffico di sostanze stupefacenti, contrabbando di TLE, di prostituzione minorile, di riduzione o mantenimento in schiavitù, di tratta di persone e di reati ambientali e contro il patrimonio artistico.

Si richiama sul punto anche la modifica dell'art. 4-bis legge n. 354/1975, che prevede tale forma di collaborazione come presupposto per la concessione del benefici penitenziari in presenza di condanna per i delitti elencati [8].

È esclusa, come si è detto, la causa di non punibilità se la denuncia è premeditata rispetto alla commissione del reato. Come dire che la persona sa che sta commettendo il reato e lo commettendo per poi fare denuncia.

Naturalmente ogni misura idonea a fare emergere fatti di corruzione è positiva e certamente una causa di non punibilità per corrotto e corruttore che va in questa direzione, di far scoprire il reato ed assicurare alla giustizia i responsabili in tempi rapidi, può essere positiva.

Non si potrà comunque prescindere da una rigorosa valutazione caso per caso, da parte del pubblico ministero prima e del giudice dopo, in ordine alle circostanze che riferisce il denunciante. Se, ad esempio, un soggetto si reca in Procura per riferire al pm di un fatto corruttivo (di aver consegnato dato una “mazzetta” o, un pubblico amministratore, di averla ricevuta), sarà necessario disporre accurate verifiche: quindi, una volta denunciato il fatto, occorre procedere all'iscrizione sul registro delle notizie di reato; andranno effettuate tutte le indagini del caso anche per verificare se sono state riferite le circostanze rilevanti con riferimento a tutti i soggetti che hanno partecipato all’accordo corruttivo, con gli strumenti che il pubblico ministero ha a disposizione, vale a dire perquisizioni, sequestri, intercettazioni, approfondimenti di natura documentale, accertamenti bancari, e tutte le iniziative investigative che il codice di procedura penale prevede e consente.

Causa di non punibilità non significa quindi automatismo di esenzione da accertamento. La valutazione va fatta dal pubblico ministero prima, e certamente in un secondo momento dal giudice (dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice per l’udienza preliminare se ci si orienta rispettivamente per l’archiviazione o l’esercizio dell’azione penale). Se la ricostruzione non è riscontrata e ricorrono i presupposti, è possibile anche l’adozione di misura cautelare, ancor prima dell’esercizio dell’azione penale. Non opera quindi come strumento di esenzione dalla responsabilità una “collaborazione” limitata alla ricostruzione di una porzione delle condotte.

5. Le modifiche in tema di ordinamento penitenziario

L'articolo 6 della legge 9 gennaio 2019 ha emendato l'art. 4-bis dell'OP nei seguenti termini: «All'articolo 4-bis, comma l, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo le parole: “collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge” sono inserite le seguenti: “o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale”;

b) dopo le parole: «mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli» sono inserite le seguenti: «314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis,».

L'art. 7 della novella ha previsto: “All'articolo 47, comma 12, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo le parole: «effetto penale» sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle pene accessorie perpetue».

Tra le novità figurano dunque anche modifiche dell'art. 4-bis della legge penitenziaria (legge n. 354/1975), che vanno a integrare l'elenco dei reati per i quali si applica la disciplina speciale, con l'aggiunta all'interno del comma 1 di numerose fattispecie di reati contro la Pubblica Amministrazione.

In particolare, vengono inseriti nel novero del comma 1 dell'art. 4-bis OP, le seguenti fattispecie di reati previste dal codice penale, con il richiamo di 11 norme:

- art. 314. Peculato [9];

- art. 317. Concussione;

- art. 318. Corruzione per l'esercizio della funzione;

- art. 319. Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio;

- art. 319-bis. Circostanze aggravanti;

- art. 319-ter. Corruzione in atti giudiziari;

- art. 319-quater. Induzione indebita a dare o promettere utilità;

- art. 320. Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio;

- art. 321. Pene per il corruttore;

- art. 322. Istigazione alla corruzione;

- art. 322-bis. Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali.

Tali modifiche risultano indirettamente incidenti sulla disciplina dei divieti di sospensione delle pene detentive, ex art. 656 comma 9 lett. a) cpp, poiché tale norma − nell'individuare i casi di divieto di sospensione dell'esecuzione della pena − opera un rinvio cd. “dinamico” all'art. 4-bis OP, vale a dire stabilisce che non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354.

Ne consegue che in presenza di condanne per i reati in questione, anche ove la pena residua sia uguale o inferiore ad anni 4 (rif. al comma 5, art. 656), si dovrà emettere ordine di esecuzione per la carcerazione, senza decreto di sospensione.

La disciplina non prevede una norma di carattere transitorio. Quid iuris per i reati commessi e le condanne definitive intervenute prima dell'entrata in vigore, avvenuta come si è detto il 31 gennaio 2019?

Occorre stabilire se debba applicarsi il principio tempus regit actum previsto per il diritto processuale penale, ovvero quello del divieto di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole, contenuto nell'artt. 25 Cost., 2 cp e 7 Cedu.

Per quanto concerne le norme di carattere sostanziale, deve osservarsi come la legge, laddove ha voluto stabilire una disciplina intertemporale speculare alle strategie legislative, lo ha fatto espressamente, prevedendo che tutte le novità legislative, in tema di prescrizione, «entrano in vigore il 1° gennaio 2020» (art. 1, comma 2).

Non altrettanto è stato fatto con le novità introdotte in tema di esecuzione penale, sicché si deve ricorrere alla disciplina ordinaria di successione delle leggi nel tempo. La questione, invero, ripercorre uno dei temi più dibattuti e che attengono al riconoscimento, o meno, della natura “sostanziale” degli istituti che attengono al trattamento penitenziario.

Sul punto, la suprema Corte di cassazione ha stabilito che: «Le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e, pertanto, (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio “tempus regit actum” e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo»(Cass., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 11580, con la quale il principio in parola è stato affermato in relazione alla modifica dell’art. 4-bis L. n. 354 del 1975, relativo alla previsione della concedibilità dei permessi premio ai detenuti per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione solo in caso di collaborazione con la giustizia, vds. anche Cass. Pen, sez. I 9 settembre 2016, n. 37578 e Corte Cost., 5 luglio 2011, n. 273).

Sì è osservato, in particolare, che quand'anche la Legge contenente limitazioni alla concedibilità di benefici penitenziari fosse entrata in vigore successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, in ogni caso, tale limitazione avrebbe dovuto ugualmente trovare applicazione, trattandosi di modifica di un istituto penitenziario, cui si applicano le nuove disposizioni nel caso di rapporti non ancora esauriti (Cass., Sez. un., 30 maggio 2006, Aloi, in C.E.D. Cass., n. 211467) [10].

La conditio sine qua non per accedere ai benefici penitenziari, relativa alla collaborazione prestata ex art. 58-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, è temperata dalla oggettiva circostanza che «i benefici di cui al c. 1, possono essere concessi ai detenuti o internati […] nei casi in cui l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62, n. 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna dall’art. 114 ovvero dall’art. 116, II c, del codice penale», come statuito dall’art. 4-bis, comma 1-bis l. n. 354/1975. Abbiamo dunque due forme di “non collaborazione” che potrebbero far superare l’ostacolo che il I comma dell’art. 4-bis l. 354/1975 frappone tra il condannato e i benefici penitenziari indicati nella stessa disposizione normativa: la collaborazione «impossibile» e la collaborazione «inesigibile».

Va tuttavia osservato che l’art. 7 Cedu, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, richiede che i consociati, al momento del fatto, siano posti nelle condizioni di prevedere non solo i comportamenti penalmente sanzionati ma anche il relativo trattamento sanzionatorio. Secondo un orientamento in dottrina, nei casi di modifiche legislative, la disposizione da considerarsi più favorevole è quella che «sul piano del diritto sostanziale, comprensivo degli effetti penali e non penali ricollegati ad un reato, e sul piano del diritto processuale, assicura al soggetto che ne è destinatario un trattamento meno severo o, comunque, più corredato da garanzie» [11].

Il problema si è posto negli stessi termini nel 2015, quando il legislatore, con la legge n. 19, ha introdotto nell’art. 4-bis OP il reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all’art. 416-ter cp.

La dottrina prevalente, nonostante la natura processuale della norma, ne propose un’interpretazione costituzionalmente orientata, ritenendo inapplicabile l’art. 4-bis OP ai condannati che avevano commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della legge n. 19/2015 [12].

Alle stesse conclusioni è pervenuta, oggi, una parte della dottrina ritiene in ordine al divieto di applicazione retroattiva del nuovo art. 4-bis OP, secondo la quale «l’immediata e indiscriminata applicabilità del riformato art. 4-bis L. n. 354 del 1975 a tutti i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore, compromette, in maniera innegabile, il diritto di difesa dei soggetti condannati o ancora sub iudice, che abbiano effettuato determinate scelte processuali in base alla più favorevole, legge vigente in un precedente momento» [13].

Con una sentenza della VI sezione n. 12541 del 20 marzo 2019, relativa alla vicenda di un ex dirigente dell’Asl Roma 1, Maurizio Ferraresi che presiedeva la Commissione medico legale per il rilascio dell’idoneità alla guida dei veicoli, che aveva patteggiato la pena, la suprema Corte di cassazione, investita anche del motivo della asserita «illegittima retroattività» sotto il profilo della aderenza costituzionale, pur avendolo formalmente respinto, ha ritenuto la questione non manifestamente infondata, ma da porre in un’eventuale successivo incidente di esecuzione. Sul punto ha rilevato che «la prospettazione difensiva secondo la quale l’avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria» può effettivamente presentare «tratti di dubbia conformità con l’art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, laddove si traduce, per l’imputato nel passaggio “a sorpresa” e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” a una sanzione con necessaria incarcerazione».

Nel prendere le mosse dalla natura processuale delle norme dell’ordinamento penitenziario, alla stregua della tradizionale impostazione ermeneutica – con conseguente inapplicabilità delle disposizioni che regolano la successione nel tempo delle leggi penali − più giudici di merito hanno già sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento alla disciplina art. 4-bis OP per aver «mancato di prevedere un regime intertemporale, con conseguente applicabilità immediata della nuova disciplina ai fatti commessi prima della entrata in vigore della legge» (vds. Tribunale di Napoli, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari, 2 aprile 2019 Giudice dott. Saverio Vertucci [14]; Corte di Appello di Lecce, Sez. Unica Penale, 4 aprile 2019, Presidente Scardia, Relatore Errico [15]; Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 2 aprile 2019, Presidente Giovanni Maria Pavarin, la cui motivazione è stata depositata in cancelleria l’8 aprile 2019 [16]).

Ma non solo. Anche la Corte di cassazione, con ordinanza sez. I della UP del 18 giugno 2019, pres. Santalucia, rel. Magi, ha sollevato d’ufficio «questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 1 co. 6 lett. b) della l. n. 3 del 9 gennaio 2019, nella parte in cui inserisce all'art. 4-bis co. 1 l. n. 354 del 1975 il riferimento al delitto di peculato di cui all'art. 314 cod. pen.», affrontando, in particolare, la questione «se risulti legittima la emissione di ordine di esecuzione della pena – contenuta nel limite di anni quattro di reclusione – relativa a condanna per delitto di peculato commesso in data antecedente a quella entrata in vigore della l. n. 3 del 2019 (31 gennaio 2019) ed in caso di decisione divenuta irrevocabile in data successiva a quella di vigenza della medesima legge» [17].

Occorrerà attendere dunque le determinazioni della Corte costituzionale per conoscere se i profili esposti nelle ordinanze richiamate siano meritevoli di essere coperti dall’egida garantistica degli artt. 27 e 25, comma 2, Cost. e 7 Cedu.

Inoltre, va osservato che la novella ha esteso la possibilità di accedere ai benefici penitenziari ai condannati ai quali sia stato già riconosciuto con la sentenza di condanna lo status di collaboratore, per effetto della concessione dell’attenuante di cui all’art. 323-bis comma 2 cp. Appare invero sussistere un difetto di coordinamento tra l’art. 323-bis cp e l’art. 4-bis OP, in quanto quest’ultima disposizione prevede un ventaglio più ampio di reati che ostano alla concessione dei benefici (come il peculato comune e la concussione). La conseguenza è una disparità di trattamento tra i condannati per i reati di corruzione o induzione indebita (fattispecie indicate nell’art. 323-bis, comma 2 cp) e i condannati per peculato comune o concussione: difatti, sebbene potranno avvalersi dell’art. 58-ter OP per superare il divieto dell’art. 4-bis OP, questi ultimi non potranno comunque beneficiare dello sconto di pena nel caso in cui decidano di collaborare con la giustizia in epoca successiva rispetto alla sentenza di condanna.

Da ultimo, l’art. 1 comma 7 legge n. 3/2019 ha apportato un’ulteriore modifica all’art. 47 comma 12 della legge sull’ordinamento penitenziario (L. n. 354/1976), prevedendo che l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale, a eccezione delle pene accessorie perpetue. La modifica comporta, dunque, l’esclusione di tutte le pene accessorie perpetue − anche di quelle previste per reati diversi da quelli contro la PA – dall’effetto estintivo dell’art. 47 comma 12 OP per l’affidamento in prova al servizio sociale.

Bibliografia

P. Schiattone − con la collaborazione di M. Amato, V. Aragona, S. Metrangelo, A. Scardia, G. Stea − Le nuove norme anticorruzione - Guida operativa alla riforma (L. 9 gennaio 2019, n. 3), La Tribuna, Pioltello (MI), 2019.

G. Alpa e G. Spangher, a cura di G. Flora e A. Marandola, La nuova disciplina dei delitti di corruzione - Profili penali e processuali (L. 9 gennaio 2019, n. 3 c.d. 'spazzacorrotti'), Pacini Giuridica, Pisa, 2019.

A. Conz e L. Levita, La nuova legge anticorruzione - Commento organico alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in tema di reati contro la P.A., di prescrizione, di trasparenza di partiti e movimenti politici, Dike, Roma, 2019.

G. Murone, Prime note in tema di “Spazzacorrotti” e modifiche all’ordinamento penitenziario, Altalex, 29 gennaio 2019, https://www.altalex.com/documents/news/2019/01/29/prime-note-in-tema-di-spazzacorrotti-e-modifiche-ordinamento-penitenziario.  

F. Di Vizio, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, Verso un nuovo sistema sanzionatorio. Non solo prescrizione, Firenze, 2019.

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A. Cavaliere, Divieto di concessione dei benefici ai condannati per il delitto di cui all’art. 416 ter del codice penale, Lalegislazionepenale.eu, 2017, 5, http://www.lalegislazionepenale.eu/wp-content/uploads/2017/02/cavaliere-impaginatodef.pdf.

Guida al diritto Settimanale di documentazione Giuridica del 2 febbraio 2019, n. 7.

L. Baron, Il confronto tra interpretazione formalistica e interpretazione sostanzialistica al crocevia tra incidente di costituzionalità e interpretazione conforme, pubblicato nel Fascicolo n. 5/2019 della rivista Diritto Penale Contemporaneo, pp. 153-182.



[*] Pubblichiamo il testo rielaborato e aggiornato della relazione tenuta a Genova il 27 marzo 2019, al corso sulla Legge del 9 gennaio 2019, n. 3, organizzato dalla Struttura territoriale di formazione decentrata del Distretto di Genova della Scuola superiore della Magistratura (N.d.R.). 

[1] Si tratta delle previsioni in tema di prescrizione, fra le quali, quella della sospensione del termine «dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell'irrevocabilità del decreto di condanna» (l. e).

[2] È lo stesso termine di pena previsto dall'art. 280 II comma cpp per applicare la custodia cautelare in carcere.

[3] Vds. Sez. 3, Sentenza n. 31415 del 15 gennaio 2016 Ud. (dep. 21 luglio 2016) Rv. 267517 - 01 Ganzer: in tema di reati in materia di stupefacenti, non sussiste lo scriminante di cui all'art. 97 dPR n. 309 del 1990 (che richiama l'art. 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146) nel caso in cui l'agente coinvolto in operazioni sotto copertura compia attività che si caratterizzino per determinare taluno a commettere illeciti penali prima inesistenti, atteso che l'esimente è configurabile solo in relazione all'acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso. (Fattispecie riferita a condotte di importazione di diversi quantitativi di sostanze stupefacenti da parte di agenti di polizia giudiziaria, in cui la Corte ha precisato che requisito essenziale per la liceità delle operazioni e per l'applicazione della esimente era la prova, nella specie mancante, dell'esistenza di accordi, tra fornitori e destinatari della droga, precedenti all'intervento dell'agente sotto copertura).

Sez. 6, Sentenza n. 51678 del 30 ottobre 2014 Cc. (dep. 11 dicembre 2014) Rv. 261449 - 01 Ursino. In tema di criminalità organizzata, con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva di cui alla legge n. 146 del 2006 (di ratifica della Convenzione GNU contro il crimine organizzato), deve escludersi la liceità delle operazioni sotto copertura che si concretizzino in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato, in quanto l'agente infiltrato non può commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili dall'art. 9 della legge citata, o a esse strettamente e strumentalmente connesse. (Nella specie, la SC ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva affermato la liceità e la piena utilizzabilità delle attività svolte dall'agente infiltratosi in un'organizzazione dedita al traffico transcontinentale di sostanze stupefacenti, il quale aveva partecipato negli Stati Uniti ad una riunione preparatoria dell'attività illecita e, giunto in Calabria, aveva avuto contatti con esponenti del gruppo facente capo al ricorrente, acquistando partite di eroina).

[4] Vds. Sez. 4, Sentenza n. 47056 del 21 settembre 2016 Ud. (dep. 09 novembre 2016) Rv. 268998 - 01 Ca bianca «In tema di “agente provocatore”, la scriminante dell'adempimento del dovere trova applicazione esclusivamente nel caso in cui la sua condotta non si inserisca con rilevanza causale nell'“iter criminis”, ma intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in un'attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui. (Fattispecie in tema di stupefacenti in cui l'agente, operando sotto copertura ma al di fuori dell'ipotesi disciplinata dall'art. 97 D.P.R. n. 309 del 1990, aveva indotto un informatore a procurarsi e a cedere un rilevante quantitativo di sostanza stupefacente)».

[5] Risulta, infatti, possibile la censura di inutilizzabilità ai sensi dell'art.191 cpp, degli atti raccolti mediante provocazione (vds., ad es. Cass., Sez, III, 3 giugno 2008, Ced 240269); ferma restando, tuttavia, la liceità dell'eventuale sequestro del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato (Cass, Sez. IV, 14.3.2008, Varutti, Ced 239525) Sez, 6, Sentenza n. 19122 del 02 aprile 2015 Cc. (dep. 07 maggio 2015 ) Rv, 263549 - 01 Geranio: «Quando l'attività concretamente riferibile all'agente sotto copertura o all'interposta persona corrisponde ad una o più fra le operazioni espressamente contemplate dal minisistema normativa di riferimento costituito dall'art. 9 L. 16 marzo 2006, n. 146, deve escludersi sia la configurabilità di ipotesi di responsabilità penale a carico di tali soggetti, sia la sussistenza di situazioni di inutilizzabilità della prova acquisita nel corso della indicata attività».

[6] Si richiama la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo (Corte EDU, 9 giugno 1998, Texeira de Castro c. Portogallo; Corte EDU, 21 febbraio 2008, Pyrgiotakis c. Grecia; Corte EDU, 1° luglio 2008, Malininas c. Lituania), che ravvisa la violazione della clausola del “processo equo” (art. 6 Cedu) nel caso in cui un soggetto venga condannato per un reato provocato dalle stesse forze di polizia.

[7] Art. 318. Corruzione per l'esercizio della funzione (corruzione impropria); art. 319. Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (corruzione propria); art. 319-ter. Corruzione in atti giudiziari; art. 319-quater, primo comma. Induzione indebita a dare o promettere utilità; art. 320. Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio; art. 321. Pene per il corruttore (corruzione attiva); art. 322-bis. Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri; art. 353. Turbata libertà degli incanti; art. 353-bis. Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente; art. 353. Astensione dagli incanti.

[8] Dopo le parole: «Collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge» sono inserite le seguenti: «O a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale».

[9] Il giudice preposto ad assicurare la nomofilachia (sez. I penale - ordinanza 18 luglio 2019, n. 31853) ha sollevato d’ufficio, con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lett. b) della legge n. 3 del 9 gennaio 2019, nella parte in cui inserisce all'art. 4-bis, comma 1, della Legge 26 luglio 1975, n. 354, il riferimento al delitto di peculato di cui all'art. 314, primo comma, cod. pen..

[10] Vds. anche Cass. Sez I n. 46649 dell’11 novembre 2009, Nazar, Rv. 245511 e, da ultimo, Cass. Sez. VI sez. n. 535 del 14 marzo 2019.

[11] M. Gallo, Appunti di diritto penale, vol. I, La Legge penale, Giappichelli, Torino, 1999, p. 126.

[12] A. Cavaliere, Divieto di concessione dei benefici ai condannati per il delitto di cui all’art. 416-ter del codice penale, Lalegislazionepenale.eu, 2017, 5, http://www.lalegislazionepenale.eu/wp-content/uploads/2017/02/cavaliere-impaginatodef.pdf.

[13] G. Murone, Prime note in tema di “Spazzacorrotti” e modifiche all’ordinamento penitenziario, Altalex.com, 29 gennaio 2019, https://www.altalex.com/documents/news/2019/01/29/prime-note-in-tema-di-spazzacorrotti-e-modifiche-ordinamento-penitenziario.

[14] Il giudice ha inoltre richiamato la decisione della Corte di cassazione n. 12451 del 2019, già richiamata, secondo cui «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l’avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., là dove si traduce nei confronti del ricorrente nel passaggio – “a sorpresa” e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9 lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis ord. penit.».

[15] Secondo la quale «la assenza di previsione di un regime intertemporale pone un serio profilo di incostituzionalità», ponendo «sullo stesso piano, sotto il profilo della esecuzione della pena, chi ha commesso il reato potendo contare su un impianto normativo che gli avrebbe consentito di non scontare in carcere una pena, eventualmente residua, inferiore a 4 anni e chi ha commesso o commette il fatto dopo l’entrata in vigore della Legge».

La nuova norma si pone in contrasto – prosegue la Corte – anche con l’art. 25 comma 2 Cost. «per i suoi indubbi riflessi sostanziali in punto di esecuzione della pena in concreto, frutto di un cambiamento delle regole successivo alla data del commesso reato».

[16] Il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 25, comma 2, 117 Cost. e 8 Cedu, per violazione del principio di irretroattività della legge penale e per violazione del principio di affidamento.

[17] Secondo quanto comunicato dal servizio novità della Corte suprema di cassazione, la deliberazione è stata assunta con le conclusioni difformi del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

09/09/2019
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