Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Il nuovo reato di autoriciclaggio: la prima pronuncia della Cassazione. Profili di diritto intertemporale

di Federico Piccichè
Avvocato del Foro di Monza e membro del Consiglio Direttivo della Scuola Forense di Monza
Nota a Cass. Pen., Sez. II, 15 dicembre 2015 (dep. 27 gennaio 2016), n. 3691, Pres. Gentile, Rel. Imperiali

Con la sentenza, che si annota, la Corte di Cassazione si occupa, per la prima volta, del nuovo delitto di autoriciclaggio di cui all'art. 648 ter 1 c.p., introdotto, di recente, dalla  legge 15 dicembre 2014, n. 186.

La sentenza si segnala in quanto i Giudici di legittimità affrontano il tema della configurabilità del reato di autoriciclaggio nell'ipotesi in cui risulti che il delitto presupposto sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 186/14, mentre la condotta autoriciclatoria risulti posta in essere, successivamente, nella vigenza della nuova normativa.  

Il caso si può riassumere nei seguenti termini.

La Guardia di Finanza di Como notava l'indagato nell'atto di attraversare il confine italo-svizzero.

Poichè l'indagato era noto ai finanzieri, essendo già stato coinvolto in passato in un procedimento per riciclaggio, la Polizia Giudiziaria decideva di pedinarlo fino ad un appartamento.

Al termine dell'inseguimento, gli agenti bloccavano il sospettato e procedevano a perquisire una borsa, che il prevenuto aveva nel frattempo prelevato dalla macchina, all'interno della quale venivano trovati tre pacchetti contenenti 240.000,00 euro in contanti; nel portafogli del prevenuto venivano rinvenute, invece, banconote pari ad euro 870,00.

Unitamente al denaro, gli agenti rinvenivano documentazione varia, due telefoni cellulari e un navigatore satellitare; inoltre, gli agenti avevano modo di verificare che la vettura condotta dal sospettato presentava un doppio fondo, posto dietro le bocche di areazione, al centro del cruscotto.

La perquisizione veniva, poi, estesa alla residenza dell'indagato, all'interno della quale venivano rinvenute banconote per 6.700,00 euro e 600,00 franchi svizzeri, oltre telefoni cellulari, un computer portatile ed altra documentazione.

Al termine delle suddette operazioni, la Polizia Giudiziaria, tenuto conto della sproporzione tra l'ingente denaro trovato nella disponibilità del prevenuto e i modesti redditi da quest'ultimo dichiarati, oltre che delle “dispendiose e rischiose modalità di trasferimento del denaro dalla Svizzera all'Italia”, poneva sotto sequestro il materiale recuperato, ipotizzando la commissione del reato di autoriciclaggio, avendo l'indagato “trasferito il denaro in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza quantomeno dal reato di cui all'art. 4 del D. Lgs. 74/2000, con riferimento a smobilizzazioni di investimenti non dichiarati e costituiti mediante redditi sottratti a tassazione”.

Successivamente, il Pubblico Ministero, con apposito decreto, convalidava le perquisizioni e i sequestri, ipotizzando, però, la commissione del reato punito dall'art. 648 ter c.p.

Contro il decreto di convalida, l'indagato proponeva richiesta di riesame e il Tribunale adito, in parziale accoglimento della richiesta, dichiarava la nullità per incompetenza territoriale del decreto di convalida in relazione alla perquisizione e al sequestro, effettuati in prima battuta presso l'appartamento del prevenuto, ove si era concluso il pedinamento, mentre confermava, nel resto, il provvedimento impugnato in relazione al sequestro dei beni operato presso la residenza del sospettato. 

Avverso la decisione del Tribunale del riesame, l'indagato proponeva ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.

Con il primo, il ricorrente lamentava il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.

Con il secondo, il ricorrente lamentava che il Tribunale del riesame avesse omesso di verificare, in concreto, la sussistenza degli elementi costitutivi dell'ipotesi accusatoria.

Con il terzo ed ultimo motivo, invece, che spicca per importanza, il ricorrente si doleva che il Tribunale avesse omesso di motivare sulla censura, veicolata con apposita memoria, con cui si eccepiva “la non configurabilità del reato di autoriciclaggio nei casi in cui il reato presupposto risulti commesso in data precedente l'entrata in vigore della novella legislativa che ha introdotto tale reato”.

La Corte Suprema, con la sentenza annotata, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo manifestamente infondate tutte le doglianze difensive.

In particolare, la Corte di Cassazione, dopo avere premesso che, in materia di misure cautelari personali e reali, “il sindacato di legittimità … è limitato alla verifica dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata”, è giunta ad escludere la fondatezza del primo motivo, in quanto il Tribunale del riesame aveva correttamente argomentato in merito alla sussistenza del fumus commissi delicti, dal momento che le circostanze che avevano portato all'effettuazione delle perquisizioni e dei sequestri, ovvero, il ritrovamento di un'ingente somma di denaro in contanti in possesso di un soggetto, che da poco aveva varcato il confine italo-svizzero, alla guida di una vettura con un doppio fondo occultato, potevano del tutto logicamente indurre a pensare che si fosse in presenza di “elementi indiziari circa l'esistenza di un traffico di valuta di provenienza illecita, atteso anche che i redditi del possessore non giustificavano in alcun modo tali disponibilità”.

Secondo la Corte, dunque, il denaro sequestrato era stato trasferito dall'indagato dalla Svizzera in Italia, molto verosimilmente, in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa, con la conseguenza che diveniva possibile formulare “tanto un'ipotesi accusatoria relativamente ad una condotta di riciclaggio, quanto la configurabilità del reato di autoriciclaggio, in considerazione della ancora incerta destinazione di dette somme (del resto appena importate in Italia), tale da non precludere di configurare quantomeno una fattispecie delittuosa tentata”. 

Per le stesse ragioni, sostanzialmente, la Corte ha ritenuto destituito di ogni fondamento anche il secondo motivo.

Secondo la Corte, infatti, il Tribunale del riesame, sulla base di una corretta valutazione in concreto delle plurime circostanze del caso, aveva correttamente riconosciuto “l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, null'altro essendo richiesto in questa fase”.

Da ultimo, la Corte ha ritenuto manifestamente infondato, pure, il terzo motivo.

Come sopra si è già precisato, il ricorrente aveva sostenuto che il reato di autoriciclaggio non fosse ipotizzabile, in quanto il reato presupposto risultava commesso in epoca antecedente l'entrata in vigore della legge 15 dicembre 2014, n. 186, che ha introdotto il nuovo delitto di cui all'art. 648 ter 1 c.p.

I Giudici di legittimità, però, hanno disatteso questa impostazione, avendo ritenuto irrilevante che le condotte punite dall'art. 4 D. Lgs. 74/2000, nella specie assunte ad ipotesi di reato presupposto, fossero state realizzate prima dell'introduzione della novella sopra ricordata.

Al riguardo, la Corte ha precisato, a chiare lettere, che “impropriamente viene invocato il principio di irretroattività della legge penale di cui all'art. 2 cod. pen. in relazione ad un reato, quale quello di autoriciclaggio, nel quale soltanto il reato presupposto si assume commesso in epoca antecedente l'entrata in vigore della l. 15/12/2014 n. 186, ma quando comunque lo stesso reato era già previsto come tale dalla legge, mentre l'elemento materiale del reato di cui all'art. 648 ter 1 risulta posto in essere … successivamente all'introduzione della predetta normativa”.

Sulla base di quanto sopra evidenziato, si evince che per la Corte Suprema, ai fini della configurabilità del delitto di autoriciclaggio, non è necessario che il delitto presupposto sia commesso nella vigenza del nuovo art. 648 ter 1 c.p., ben potendo il delitto presupposto, che non costituisce un elemento del fatto, essere commesso in epoca antecedente[1].

                                                 


[1] La questione è controversa in dottrina. Sul punto, A. GULLO, per ciò che concerne l'applicazione dell'art. 648 ter 1 c.p. a condotte autoriciclatorie riguardanti proventi di delitti presupposti commessi prima della sua entrata in vigore, ha scritto testualmente: “Si è infatti sostenuto che l'art. 648-ter.1 c.p. non possa applicarsi all'autoriciclaggio per reati pregressi. La premessa logica è che il delitto non colposo generatore dei proventi investiti dal suo autore o dal concorrente nello stesso vada classificato come vero e proprio elemento del fatto e dunque partecipi delle garanzie apprestate dall'art. 25, secondo comma, Cost.”; l'Autore, però, prendendo le distanze da questa tesi, sostiene, in linea con l'impostazione seguita dai Giudici di legittimità con la sentenza in commento, che, sebbene permanga “un problematico residuo legame con il delitto presupposto … non pare che tale legame possa ritenersi così decisivo nel disvalore complessivo del fatto: l'unico comportamento non vietato prima della modifica normativa era quello dell'impiego da parte dell'autore del delitto presupposto dei relativi proventi; l'altro comportamento, quello integrante il delitto presupposto, era già qualificato come reato dalla legge preesistente, sicché rispetto a esso il soggetto aveva tutte le possibilità di orientare conseguentemente il proprio comportamento, nonché di prevedere la possibilità di applicazione di una pena. Non ci sembra, dunque, che l'agente possa reclamare una sorta di aspettativa a non essere perseguito dall'ordinamento per successive condotte di sfruttamento dei proventi del delitto commesso”, in AUTORICLAGGIO, Voce per “Il libro dell'anno del diritto Treccani 2016”, in www.penalecontemporaneo.it

31/03/2016
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