Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di maggio 2023

a cura di Redazione

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione nel mese di maggio 2023

La sentenza resa all’esito di concordato in appello (ai sensi dell’art.599 bis c.p.p.) è ricorribile per cassazione in riferimento alla prescrizione maturata anteriormente alla sua emissione e non dichiarata dal giudice di secondo grado

(Cass. Sez. Un. n. 19415 del 27.10.2022, dep. 8 maggio 2023, Fazio).

Le Sezioni Unite penali con la decisione n.19415 del 2023 hanno risolto un contrasto interpretativo relativo alla ricorribilità per cassazione della sentenza, resa a seguito di concordato sui motivi di appello, in ipotesi di mancata dichiarazione di estinzione del reato per maturata prescrizione. 

Un primo orientamento interpretativo (tra le altre, Sez. I n. 51169 del 11.6.2018, rv 274384) si era espresso a favore della ricorribilità – in tal caso - della sentenza di appello evidenziando che l’accordo sui motivi di appello non implica rinunzia alla prescrizione ai sensi dell’art.157 comma 7 c.p.

Un secondo orientamento (tra le altre Sez. V n. 4709 del 20.9.2019, dep.2020) aveva - di contro – sostenuto la non ricorribilità, essenzialmente in ragione della «estensione» alla sentenza emessa a seguito di concordato in appello delle particolari restrizioni in punto di motivi proponibili introdotte dal legislatore del 2017 quanto alla impugnabilità della sentenza di patteggiamento sulla pena (art. 448 comma 2bis c.p.p.).

Secondo le Sezioni Unite è ammissibile il ricorso per cassazione avverso siffatta tipologia di decisione (la sentenza emessa a seguito di concordato sui motivi di appello) nel caso di omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (maturata prima della emissione della sentenza), trattandosi di violazione di legge sempre deducibile ai sensi dell’art.606 comma 1 lett. b) c.p.p. (sulla scia dell’insegnamento offerto da Sez. Un. 17.12.2015, Ricci).

Le linee argomentative della decisione possono essere così sintetizzate:

a) in primo luogo – anche alla luce del principio di diritto affermato da Sez. Un. n.18953 del 25.2.2016, Piergotti – la rinuncia alla prescrizione deve essere necessariamente espressa e non ammette equipollenti, il che esclude che la proposta di definizione concordata del giudizio (sia essa rappresentata dall’accordo sulla pena o dal concordato con parziale rinunzia ai motivi di appello) possa valere come rinuncia implicita alla prescrizione;

b) se è vero che il legislatore del 2017 ha introdotto una disciplina ad hoc in tema di ricorso per cassazione avverso la decisione applicativa della pena su richiesta delle parti (con limitazione dei motivi di ricorso a specifici aspetti, quali la espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e la illegalità della pena) ciò non è avvenuto per l’istituto del concordato in appello, sicché non può estendersi in via interpretativa alle decisioni emesse ai sensi dell’art.599 bis c.p.p. simile assetto della ricorribilità, di natura speciale e di stretta interpretazione.   

La decisione ribadisce la ontologica diversità – funzionale e strutturale - tra l’istituto del "patteggiamento sulla pena" e quello del "concordato sui motivi di appello", tale da impedire trasposizioni del modello legale delle relative impugnazioni, ed evidenzia, in particolare, che se da un lato la cognizione del giudice di appello (in caso di rinunzia parziale ai motivi) è limitata ai motivi non oggetto di rinunzia (il che esclude la necessaria argomentazione sui motivi rinunziati) dall’altro permane in capo al giudice procedente l’obbligo di dichiarare (ai sensi dell’art.129 c.p.p.) l’avvenuta estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.) è dunque corretto ritenere che il legislatore del 2017 abbia inteso regolamentare la ricorribilità per cassazione della sentenza con forti connotati di specialità, sì da escludere la ammissibilità del ricorso in caso di mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ma a tale conclusione non può pervenirsi nella diversa ipotesi del concordato in appello, proprio in ragione della «assenza di simmetria» tra la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 e quella emessa ai sensi dell’art.599 bis c.p.p. . 

 

In caso di concorrente potere di impugnare la decisione di primo grado (art.593 bis c.p.p.), l’appello proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello è indicativo dell’avvenuto raggiungimento di una intesa con il Procuratore della Repubblica (art. 166 bis disp.att. c.p.p.) senza necessità di documentazione formale della stessa da parte del PG impugnante, ai fini della verifica di ammissibilità dell’atto.

La legittimazione a proporre appello del rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni del giudizio di primo grado (art.570 comma 2 c.p.p.) è indipendente da quella del Procuratore Generale presso la Corte di Appello.

Il ricorso immediato per cassazione (art.569 c.p.p.) può essere proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello nel solo caso di avocazione o di acquiescenza del Procuratore della Repubblica. Lì dove non vi sia lo specifico presupposto di legittimazione, il ricorso immediato va dichiarato inammissibile, così come il ricorso per cassazione eventualmente proposto in via ordinaria (art.608 c.p.p.)

(Cass. Sez. Un. n. 21716 del 23.2.2023, dep. 22.5.2023, P.G. in proc. Andreoli).

Con la decisione n.21716 del 2023 le Sezioni Unite hanno affrontato più contrasti interpretativi sorti in riferimento ai contenuti della disposizione di cui all’art.593 bis c.p.p., introdotta dal d.lgs. n.11 del 6 febbraio 2018.

La norma di legge, al fine di razionalizzare le forme di esercizio del generale potere di impugnazione delle decisioni di primo grado tra i diversi soggetti legittimati (quanto alla parte pubblica) ha previsto, in tema di appello, una sorta di legittimazione «primaria» in capo al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, disegnando il potere concorrente spettante al Procuratore Generale presso la Corte di Appello (art. 570 c.p.p.) in termini «sussidiari» o «condizionati» ossia come sussistente nei soli casi di avocazione o di acquiescenza al provvedimento (da parte del legittimato primario).

In sede di applicazione della particolare disposizione sono sorte questioni – diversamente affrontate e decise dalle Sezioni semplici - in tema di ricognizione concettuale e giuridica della citata ‘acquiescenza al provvedimento’ (se necessariamente espressa o derivante da comportamento concludente) nonché in punto di documentazione della medesima e di modalità della rilevazione del particolare presupposto di legittimazione da parte del giudice della impugnazione.

A tale aspetto si sono affiancate questioni ulteriori in tema di legittimazione alla proposizione, da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, avverso la decisione di primo grado, del ricorso per saltum o del ricorso ordinario per cassazione (avverso una decisione inappellabile).

Molteplici i punti di criticità della disciplina di legge di cui all’art.593 bis c.p.p., pur integrata con la disposizione (parimenti introdotta dal d.lgs. n.11 del 2018) di cui all’art. 166 bis disp.att. c.p.p. secondo cui al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all’impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d’appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto.

Se da un lato l’acquiescenza del Procuratore della Repubblica viene elevata a fattore di legittimazione soggettiva per il legittimato "concorrente" (per cui in assenza di tale presupposto non sussiste il potere in concreto, con inammissibilità dell’atto eventualmente proposto) dall’altro non vi è stata variazione della disciplina riguardante termini per impugnare (art.585 c.p.p.), che ben potrebbero decorrere in modo sostanzialmente unitario (o con marginali differenze) per i diversi soggetti in questione.

Il punto essenziale, oggetto di trattazione da parte delle Sezioni Unite riguarda, pertanto, la delimitazione interpretativa della nozione di «acquiescenza al provvedimento», da intendersi come inequivoca assenza di volontà o mancato esercizio del potere di proporre appello da parte del Procuratore della Repubblica (definibile come legittimato primario).

Circa tale aspetto, condizionante la ammissibilità della impugnazione proposta dal Procuratore Generale, le Sezioni Unite ritengono che non sia possibile una verifica della acquiescenza come «fatto processuale» ex post, da parte del giudice della impugnazione, ossia una presa d’atto del comportamento concludente (mancata proposizione dell’atto di appello del Procuratore della Repubblica) nella ipotesi in cui l’ atto del Procuratore Generale sia stato depositato in un momento in cui era ancora ‘concretamente possibile’ la proposizione della impugnazione da parte del primo soggetto legittimato. 

Ciò perché, si afferma, la verifica della legittimazione riguarda il momento genetico della proposizione dell’atto (così operando, in via generale, la sanzione della inammissibilità della impugnazione) e non può ammettersi una sorta di "sospensione della validità" dell’atto di appello sino allo spirare del termine concesso al legittimato primario.

D’altra parte, si sostiene che non vi è necessità di una formale ‘rinunzia ad impugnare’ da parte del Procuratore della Repubblica, essendo l’acquiescenza cosa diversa dalla rinunzia formale.

Da qui la costruzione di un particolare modello legale di verifica della ammissibilità dell’atto di appello proposto (in pendenza del termine concesso al primo legittimato) da parte del Procuratore Generale, basato sulla valorizzazione della citata disposizione di cui all’art.166 disp. att. c.p.p. 

Proponendo l’atto di appello, in siffatta situazione, il Procuratore Generale ha evidentemente realizzato l’intesa con il legittimato primario (fatto di cui si assume la responsabilità ordinamentale) e ciò realizza, secondo le Sezioni Unite, la condizione di legittimazione (in termini di accertamento della acquiescenza, qui intesa come volontà di non proporre impugnazione da parte del legittimato primario) senza necessità alcuna di documentazione processuale dell’avvenuta intesa tra gli uffici.

Non vi è pertanto necessità di allegazione, all’atto di appello, di documenti formali che attestino l’intesa, trattandosi di atti interni agli uffici che non condizionano la validità dell’atto.

E’ evidente, al tempo stesso, che in ipotesi di avvenuta proposizione nei (propri) termini di un atto di appello da parte del Procuratore della Repubblica, siffatto evento ‘patologico’ rende inammissibile l’atto di impugnazione previamente depositato dal Procuratore Generale. 

La decisione delle Sezioni Unite afferma pertanto che l’esistenza della intesa tra gli uffici è un fatto che da un lato condiziona ab initio la validità dell’atto di appello proposto dal Procuratore Generale, dall’altro non è verificabile processualmente, valorizzando il profilo ordinamentale e la correlata responsabilità gravante sul soggetto impugnante.   

Quanto alle questioni ulteriori, le Sezioni Unite affermano che l’assenza della particolare condizione legittimante (avocazione o acquiescenza) determina in capo al Procuratore Generale presso la Corte di Appello la carenza in concreto del potere di impugnare la decisione di primo grado, il che comporta l’assenza tanto del potere di proporre il ricorso per saltum di cui all’art.569 c.p.p. che del ricorso in via ordinaria (art.608 c.p.p.) posto che la inappellabilità – per dar vita alla ricorribilità in via esclusiva della decisione – deve essere oggettiva e non soggettiva .

Si evidenzia inoltre che resta fermo, quale potere concorrente e non direttamente influenzato dalla disciplina di cui all’art. 593 bis c.p.p., il potere di impugnazione in capo al rappresentante del pubblico ministero che presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado ai sensi dell’art.570 comma 2 c.p.p. 

28/07/2023
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