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Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi

Si presenta qui una mappa (inevitabilmente incompleta) dei problemi che solleva per il giudice di merito penale la disciplina emergenziale, tanto sotto il profilo dei problemi interpretativi che si possono porre nella sua applicazione, quanto sotto il profilo di alcuni profili di frizione che con il dettato costituzionale possono forse presentarsi all’interprete

Sommario

Premessa, 1. Una mappa: le fonti e i tempi, 1.1. La portata retroattiva del dl n. 18 del 2020 (per il periodo 9-17 marzo), 1.2. La fase successiva al 12 maggio 2020 (sino al 30 giugno 2020): la decisione del dirigente dell’ufficio giudiziario, 2. I procedimenti rinviati ex lege e quelli non sospesi: le ipotesi, 2.1. I procedimenti rinviati ex lege: il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini, 2.2. I procedimenti che debbono essere trattati [art. 83, comma 3, lett. b) prima parte], 2.3. I procedimenti che possono essere trattati [art. 83, comma 3, lett. b) seconda parte e lett. c)], 2.3.1. I procedimenti considerati dall’art. 83, comma 3, lett. c): l’assunzione di prove urgenti, 2.3.2. I procedimenti considerati dall’art. 83, comma 3, lett. b), seconda parte: la trattazione a seguito di “espressa richiesta”. 2.4. La complicata esegesi dei riferimenti operati all’art. 304 cpp, 3. Alcune questioni problematiche in ordine alla sospensione dei termini procedimentali, 4. Altre problematiche in materia cautelare, 5. Sempre sulla sospensione dei termini: il problema della sospensione del corso della prescrizione, 6. Le modalità di celebrazione delle attività processuali da remoto, Una chiosa finale.

 

Premessa

Per fronteggiare l’emergenza COVID-19 il governo è intervenuto con atti aventi forza di legge per tentare di contemperare due esigenze in frizione tra loro: assicurare il (necessario) distanziamento sociale; garantire – per quanto possibile – la prosecuzione delle attività giudiziarie ritenute indispensabili.

Come oramai noto sono state introdotte misure di ampia sospensione di larghissima parte dell’attività processuale, tanto da sollevare le perplessità di molti osservatori. Qui non si intende discutere sul piano generale della legittimità di tali interventi.

Sia solo consentito – come notazione iniziale – ricordare che la Corte costituzionale – trattando della legittimità costituzionale di analoghe previsioni introdotte con il decreto legge n. 914 del 1966 (Provvidenze in favore delle popolazioni dei Comuni colpiti dalle alluvioni o mareggiate dell'autunno 1966) - aveva ragionevolmente affermato che «(…) non può condividersi l'opinione che quella sospensione [dei termini processuali] contrasti col diritto di difesa tutelato dall'art. 24, comma primo, e con l'obbligo dell'iniziativa dell'esercizio dell'azione penale spettante al pubblico ministero per l'art. 112, né, in genere, con le garanzie della tutela giurisdizionale previste dall'art. 101 e, secondo il tribunale, anche dall'art. 1 della Costituzione (…). Certo (…), l'attività giurisdizionale resta intralciata e quindi in parte paralizzata. Ma ciò è stato previsto per breve tempo e in via del tutto eccezionale, e sulla base di un consistente fondamento razionale, poiché la legge ha collegato gli effetti che il tribunale ritiene censurabili a eventi straordinari che rendono, quando non impossibile, almeno assai difficile l'esercizio dell'attività giurisdizionale. La normativa eccezionale, chiaramente ispirata da ragioni di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), riguarda poi la totalità dei cittadini della zona colpita, perché generale è stata l'incidenza degli eventi calamitosi. Nessuna discriminazione né di ordine personale, né priva di giustificazione, è stata perciò realizzata, sì da infrangere il principio di eguaglianza» [Corte costituzionale, sentenza n. 47 del 1969].

In questo perimetro – fondamento razionale legato alla presa d’atto di una situazione straordinaria, in uno con la prevista temporaneità degli interventi – può e deve leggersi la normativa emergenziale.

L’obiettivo di questo scritto è ben più circoscritto. Si è qui tentato di tratteggiare una mappa (inevitabilmente incompleta) dei problemi che si sono posti, che si pongono e che si porranno a seguito di tali interventi; i dubbi interpretativi (e i dubbi di legittimità costituzionale) che qui si avanzeranno non intendono avanzare critiche aprioristiche agli interventi del legislatore. La ricognizione qui proposta intende solo mettere sul tappeto i problemi – anche di ordine pratico – con cui l’interprete è inevitabilmente chiamato a confrontarsi. Purtroppo, solo raramente, però, potranno proporsi certezze.

Solo una notazione, prima di iniziare: per redigere questo catalogo, è stata fondamentale la lettura dei numerosi contributi che moltissimi operatori del diritto si sono scambiati su riviste telematiche, mailing list e videoconferenze. Questa mappa, dunque, non è pertanto il frutto di una nostra autonoma elaborazione, ma è essenzialmente il risultato di un lavorio collettivo, ossia dei numerosi operatori che sono coinvolti nella gestione dei processi penali di merito di cui – senza poterli citare tutti – siamo debitori.

 1. Una mappa: le fonti e i tempi

Il primo atto con forza di legge che viene in rilievo nella nostra materia è il decreto legge n. 11 del 2020, in vigore dall’8 marzo 2020. Il decreto-legge n. 11 individua due periodi su cui intervengono norme di “decompressione” dell’attività giudiziaria finalizzate a far fronte alle due esigenze che abbiamo detto in potenziale frizione tra loro (contenimento del contagio vs. assicurazione dei servizi giudiziari indispensabili):

  1. una prima fase, dal 9 marzo 2020 al 22 marzo 2020, in cui: (a) le udienze dei procedimenti penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020; (b) sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti; ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, è differito alla fine del periodo; fanno eccezione a queste previsioni i procedimenti penali considerati dall’art. 2, comma 2, lett. g), del dl n. 11 del 2020 [art. 1, dl n. 11 del 2020];
  2. una seconda fase, dal 23 marzo 2020 al 31 maggio 2020, durante la quale – al seguito di una articolata procedura – i dirigenti degli uffici giudiziari possono: (a) adottare misure di limitazione all’accesso agli uffici giudiziari e agli sportelli di cancelleria; (b) prevedere lo svolgimento dei giudizi penali a porte chiuse, in deroga alle previsioni dell’art. 472 cpp; (c) adottare linee guida vincolanti per i magistrati per la fissazione e trattazione delle udienze; (d) prevedere il rinvio di ufficio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020, con alcune eccezioni, il cui catalogo è elencato all’art. 2, comma 2, lett. g) del dl n. 11 del 2020.

L’art. 2, comma 4, dl n. 11 del 2020 stabilisce che nei procedimenti penali : (a) è sospeso il decorso del termine di prescrizione; (b) sono sospesi i termini di durata massima della custodia cautelare previsti dall’art. 303 cpp (non essendo richiamato l’art. 308 cpp); (c) sono sospesi alcuni termini in materia di giudizi di impugnazione cautelare (quelli previsti dagli artt. 309, comma 9, 311, commi 5 e 5-bis e 324, comma 7 (riesame cautelare reale), del codice di procedura penale; (d) sono sospesi i termini previsti dagli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (procedimenti di confisca del codice antimafia).

L’estensione temporale della sospensione dei termini di prescrizione e dei termini processuali sopra indicati è commisurata al «tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 2, lettera g) , e, in ogni caso, non oltre il 31 maggio 2020».

Gli artt. 1 e 2 del decreto legge n. 11 del 2020 appena sintetizzato sono stati poi abrogati dall’art. 83, comma 22, decreto legge n. 18 del 2020, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (17 marzo 2020; v. art. 127 dl n. 18 del 2020): si tratta del c.d. decreto Cura-Italia (di cui questa Rivista ha già proposto una prima lettura). I singoli problemi che il decreto solleva saranno trattati nel prosieguo. Qui però è utile mettere in evidenza il fatto che l’art. 83 tratteggia due diversi segmenti temporali precisi:

  1. un primo segmento – dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 – in cui si può dire (con larga approssimazione; v. infra) che tutte le attività processuali (fatte salve alcune eccezioni, su cui v. infra) e il decorso di quasi tutti i termini processuali è sospeso ex lege [v. art. 83, commi 1 e 2];
  2. un secondo segmento temporale – dal 16 aprile 2020 al 30 giugno 2020 – nel corso del quale i dirigenti degli uffici giudiziari «adottano le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico sanitarie (…) al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone» [art. 83, comma 6; il successivo comma 7 declina un catalogo delle misure adottabili dai dirigenti degli uffici giudiziari].

È probabilmente in ragione di questa scansione temporale (che fissa una prima deadline al 15 aprile) che il Parlamento sta lavorando a tappe forzate per la conversione del decreto (pur scadendo il termine per la conversione solo a maggio). Il disegno di legge di conversione [Atto Senato n. 1766] è stato oggetto di una miriade di emendamenti [solo per dare un’idea: gli emendamenti presentati in Senato sono raccolti in quattro volumi che, complessivamente, superano le duemila pagine…]. Come era prevedibile (e, forse inevitabile, data la situazione), il Governo ha formulato un maxiemendamento sul quale ha posto la questione di fiducia. Il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge di conversione così emendato alla seduta del 9 aprile 2020 [presenti 246, votanti 245, favorevoli 142, contrari 99, astenuti 4]. Il disegno di legge di conversione è ora all’esame della Camera dei Deputati [Atto Camera n. 2463].

Sennonché, nelle more della conversione del decreto legge n. 18 del 2020, il Governo ha emanato un ulteriore decreto legge che viene qui in rilievo. Si tratta del decreto legge n. 23 del 2020, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’8 aprile 2020, in vigore dal 9 aprile 2020 (art. 44). Per quanto qui di interesse, viene in rilievo quanto prevede l’art. 36 che, al comma 1, interviene sui due segmenti di cui si è appena detto:

  1. il primo segmento (la sospensione ex lege di quasi tutte le attività processuali e procedimentali, salvo eccezioni) è prorogato sino all’11 maggio 2020;
  2. il secondo segmento (nel quale i dirigenti degli uffici giudiziari possono adottare misure organizzative funzionali ad assicurare il distanziamento sociale) è circoscritto nella finestra temporale che va dal 12 maggio 2020 sino al 30 giugno 2020.

È il caso di evidenziare che – su tali segmenti temporali – non è ad oggi intervenuto il Parlamento che ha all’esame il disegno di legge di conversione del decreto legge n. 18 del 2020 (il decreto cura-Italia).

Si possono dunque (ad oggi) identificare due fasi: (1) dal 9 marzo all’11 maggio 2020; (2) dal 12 maggio al 30 giugno 2020.

 

1.1 La portata retroattiva del dl n. 18 del 2020 (per il periodo 9-17 marzo)

Quanto alla prima fase, è doveroso mettere subito in luce una prima criticità (senza poterla però approfondire). La sospensione ex lege dell’attività (e dei termini) processuali (ivi compresi i termini massimi di durata delle misure cautelari) è stata dettata con un atto avente forza di legge entrato in vigore in data 17 marzo 2020; i suoi effetti, però, retroagiscono a far data dal 9 marzo 2020.

L’art. 83, commi 1 e 2, d. n. 18 del 2020 ha pertanto portata retroattiva per il periodo compreso tra il 9 e il 17 marzo 2020. L’art. 83, comma 4, del dl n. 18 del 2020 dispone – per lo stesso periodo – la sospensione ex lege dei termini previsti dagli artt. 303 e 308 cpp.

La portata retroattiva del decreto – soprattutto per quanto riguarda i termini massimi delle misure cautelari – si determina per il fatto che il primo provvedimento legislativo di sospensione ex lege dei termini di durata delle misure cautelari (l’art. 2, comma 4, dl n. 11 del 2020, in vigore dall’8 marzo 2020) è stato abrogato dall’art. 83, comma 22, del dl n. 18 del 2020. È il caso di segnalare che, opportunamente, tale abrogazione viene eliminata dal maxiemendamento proposto dal Governo in sede di conversione del decreto n. 18. Sennonché, la portata retroattiva della sterilizzazione dei termini massimi di durata delle misure cautelari è – nonostante il maxi-emendamento – da ritenere sussistente e persistente con riferimento alla sospensione ex lege (con vigore dal 9 marzo 2020) dei termini di durata massima delle misure cautelari NON custodiali. Infatti, l’art. 2, comma 4, del dl n. 11 del 2020 evocava solo i termini previsti dall’art. 303 cpp e non quelli previsti dall’art. 308 cpp; conseguentemente, per le misure non custodiali, la sospensione dei termini di durata massima prevista dall’art. 83, comma 4, del decreto cura Italia ha indiscutibilmente portata retroattiva per il periodo compreso tra il 9 e il 17 marzo 2020.

È noto che – secondo la giurisprudenza costituzionale – «il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost.», riservata alla materia penale, con la conseguenza che «il legislatore − nel rispetto di tale previsione – può emanare norme con efficacia retroattiva, (…) purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (…)» [così, riflettendo una giurisprudenza consolidata, Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 2013, considerato in diritto 4.3].

Tuttavia – avverte sempre la Consulta – «occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti», tanto che la Corte «ha individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono ricompresi “il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (…). In particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha già avuto modo di precisare che la norma retroattiva non può tradire l'affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali» [così sempre Corte costituzionale sentenza n. 170 del 2013, considerato in diritto 4.3].

È in questa chiave di lettura che dovrà analizzarsi la portata retroattiva del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 83 dl n. 18 del 2020, evidenziando che il problema di possibile frizione con il dettato costituzionale, ovviamente, si porrà – pur limitato a pochi giorni (dal 9 al 17 marzo) – con massimo rilievo soprattutto con riferimento al decorso dei termini massimi di durata delle misure cautelari (anch’essi sospesi, ex art. 83, comma 4, dl n. 18 del 2020).

È appena il caso di evidenziare che un intervento con portata retroattiva sulla durata dei termini massimi di durata delle misure cautelari appare problematico, sebbene sia avvenuto con atto avente forza di legge; esso va ad incidere ex post su una situazione di primario rilievo costituzionale (la libertà personale) e in ordine ad una situazione già consolidatasi (considerato che – dal 9 al 17 marzo – i termini erano già decorsi e la “sospensione di essi disposta ex post” priva l’indagato/imputato di una situazione di decorso del tempo già consolidatasi.

Per completezza di ragionamento, si deve però evidenziare che il dubbio di legittimità costituzionale ora segnalato potrebbe essere superato sulla scorta di una considerazione: le persone sottoposte a misura cautelare possono espressamente chiedere che, nei loro confronti, non operi la sospensione del procedimento [e potevano già evitare la sospensione del procedimento e il rinvio dell’udienza nel vigore del decreto legge n. 11 del 2020; v. art. 2, comma 2, lett. g) n. 2, lett. b)].

Sicché, la sterilizzazione dei termini di custodia sino ad allora decorsi non costituirebbe un atto di imperio al quale le persone sottoposte a misura cautelare non potrebbero sottrarsi, ma un effetto sinergico del dato legislativo e della volontà/acquiescenza delle persone sottoposte a misure cautelari. Il che sembra poter sdrammatizzare il problema di legittimità costituzionale, altrimenti da ritenere tutt’altro che peregrino. 

1.2 La fase successiva al 12 maggio 2020 (sino al 30 giugno 2020): la decisione del dirigente dell’ufficio giudiziario

Merita una breve considerazione preliminare anche la disciplina della “seconda fase” [relativa per il periodo compreso tra la conclusione del primo segmento (originariamente: 16 aprile 2020, ora – in forza dell’art. 36 dl n. 23 del 2020 – dal 12 maggio 2020) e il 30 giugno 2020].

Si tratta della fase in cui – in forza dell’art. 83, comma 6, dl 18 del 2020 – i dirigenti degli uffici giudiziari possono adottare «misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico sanitarie» (…) «al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone». Come detto, il successivo comma 7 dell’art. 83 prevede un elenco di misure adottabili dal dirigente di ciascun ufficio giudiziario. Tali misure – tra l’altro – contemplano la possibilità di disporre limitazioni dell’accesso al pubblico agli uffici giudiziari o dell’apertura al pubblico dei servizi di cancelleria.

Per quanto riguarda il settore penale rilevano in modo particolare alcune previsioni, relative alla possibilità – per i dirigenti – di: (i) adottare linee guida vincolanti per la fissazione e trattazione delle udienze [lett. d]; (ii) disporre la celebrazione dei giudizi penali a porte chiuse [lett. e]; (iii) disporre il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno (limitatamente alla categoria di procedimenti diversi da quelli considerati dall’art. 83, comma 3) [lett. g].

Solo per completezza si deve riferire che, sul tema delle misure organizzative adottabili dai dirigenti in base all’art. 83, comma 7, dl n. 18 del 2020 è intervenuto anche il Csm dettando apposite linee guida (da ultimo con delibera del 26 marzo 2020). Su esse non ci si può soffermare in questa sede; qui è sufficiente evidenziare che nella delibera si invitano i dirigenti a favorire forme di lavoro “da remoto”; a prevedere forme di comunicazione tra uffici essenzialmente telematiche; ad adottare misure utili a contenere il numero di persone che hanno accesso agli uffici giudiziari; a coinvolgere i consigli dell’Ordine degli avvocati, stipulando con essi protocolli per «individuare modalità condivise di partecipazione da remoto dei soggetti del processo»; a predisporre turni di servizio dei magistrati – anche in deroga alle destinazioni tabellari vigenti – per “coprire” i servizi urgenti, suddividendo il carico di lavoro (e il rischio di esposizione al contagio) tra i magistrati in servizio; ad adottare le misure organizzative all’esito di procedure partecipate.

Gli effetti delle misure organizzative che i dirigenti possono adottare sono estremamente rilevanti, considerato che l’art. 83, comma 9, del dl n. 18 del 2020 prevede che – ove sia previsto il rinvio del procedimento ai sensi dell’art. 83, comma 7 lett. g) – siano sospesi: (a) il corso della prescrizione; (b) i termini di durata massima delle misure cautelari previsti dagli artt. 303 e 308 cpp; (c) i termini relativi ad alcune procedure incidentali de libertate; (d) i termini previsti dal decreto legislativo n. 159 del 2011 in materia di misure di prevenzione.

L’attribuzione ai dirigenti giudiziari di una simile responsabilità decisionale è stata oggetto di variegate opinioni [per esempio, si rimanda al contributo di M.G. Civinini, La giustizia in quarantena, pubblicato su questa Rivista il 31 marzo 2020].

Da un lato, si paventa l’affermazione di una giustizia diversificata sul territorio nazionale (e pertanto: ineguale), nonché l’attribuzione ai dirigenti degli uffici giudiziari di poteri di incisione su beni di primario rilievo costituzionale (come la libertà personale, per esempio); il tutto all’esito dell’esercizio di poteri discrezionali, con una discrezionalità che è solo in parte determinata dalla legge.

Dall’altro lato, si è evidenziato che una simile impostazione consente al dirigente di ciascun ufficio giudiziario di tenere conto della concreta realtà presente in quella parte di territorio nazionale, sì da poter effettivamente assicurare che – ove necessario – sia assicurata la possibilità di garantire il c.d. distanziamento sociale. Nella stessa prospettiva, si è altresì evidenziato che tale misura consente altresì al Dirigente di un ufficio giudiziario di gestire concretamente il rischio sanitario dal quale egli deve tutelare chi frequenta un palazzo di giustizia [anche in ragione della veste di datore di lavoro che è attribuita ai dirigenti degli uffici giudiziari dall’art. 1, comma 1, lett. g), DM 12.2.2002; sul tema del dirigente di ufficio giudiziario come datore di lavoro, si rinvia a M. Orlando, La gestione delle risorse dell’ufficio giudiziario e i rapporti tra Capo dell’ufficio giudiziario e dirigente amministrativo, pubblicato su questa Rivista il 14 gennaio 2020].

Occorre dire con chiarezza che non convincono le perplessità mosse sotto il profilo del principio di uguaglianza. Esso implica la necessità di trattare in modo uguale situazioni uguali, ma consente di trattare in modo differenziato situazioni diverse. Ciò posto – e considerato che la diffusione del COVID-19 si presenta diseguale sul territorio nazionale – la previsione in parola consente ai dirigenti degli uffici giudiziari di tenere conto della specifica situazione in essere sul territorio sul quale insiste l’ufficio giudiziario. Non a caso – proprio per consentire un’adeguata valutazione della situazione sanitaria e un’equilibrata ponderazione di tutti gli interessi in gioco – la decisione del dirigente dell’ufficio giudiziario deve intervenire all’esito di una procedura partecipata che coinvolge autorità sanitaria regionale, organismi di emanazione politica e perfino i locali consigli dell’Ordine degli Avvocati.

Tuttavia, il nodo resta estremamente delicato, perché, effettivamente, si attribuisce ad una determinazione del dirigente dell’ufficio giudiziario (ancorché in base ad una previsione con forza di legge) la possibilità di incidere su termini di natura processuale che hanno importanti riflessi sulla libertà personale.

E, al riguardo, non si può tacere un possibile profilo di frizione tra le previsioni dell’art. 83, comma 9, dl n. 18 del 2020 in relazione alla previsione del precedente comma 7 lett. g). In base a tali disposizioni, il dirigente di un ufficio giudiziario può disporre il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020, con effetto sospensivo del decorso del termine di durata massima delle misure cautelari.

Sennonché, tale previsione sembra entrare in contrasto il dettato costituzionale, nella parte in cui non si prevede un rimedio processuale nei confronti di un provvedimento che implica indubbi effetti sul piano della libertà personale adottato da un soggetto estraneo al processo e fuori dal contraddittorio con la parte che subisce gli effetti di quella determinazione (arg. ex art. 111, comma 7, Cost.).

2. I procedimenti rinviati ex lege e quelli non sospesi: le ipotesi

L’art. 83 del dl n. 18 del 2020 prevede un generalizzato rinvio ex lege di quasi tutti i procedimenti penali; l’effetto – dal punto di vista sostanziale – è paragonabile ad una sospensione del procedimento e, pertanto, a tale fenomeno (la sospensione) si farà riferimento (per comodità descrittiva). L’art. 83 ora in esame (sulla cui portata temporale è intervenuto l’art. 36 del dl n. 23 del 2020) consente di individuare – schematizzando e semplificando il ragionamento – tre categorie di procedimenti:

(a) i procedimenti che non debbono essere trattati sino all’11 maggio 2020 [tutti i procedimenti, salve le eccezioni considerate dall’art. 83, comma 3, dl n. 18 del 2020];

(b) i procedimenti che debbono essere trattati anche nel periodo di generalizzata sospensione dell’attività processuale penale [art. 83, comma 3, lett. b) prima parte, dl n. 18 del 2020];

(c) i procedimenti che – a determinate condizioni – possono essere trattati nel periodo di generalizzata sospensione dell’attività processuale [art. 83, comma 3, lett. b) seconda parte, e lett. c), dl n. 18 del 2020: procedimenti in cui si debba procedere a seguito di espressa richiesta e procedimenti in cui è necessario assumere prove la cui assunzione è indifferibile].

Sennonché tanto l’individuazione dei procedimenti da collocare in una delle tre categorie, quanto l’oggetto della sospensione dettata dal legislatore solleva alcuni problemi, sui quali è bene soffermarsi.

2.1 I procedimenti rinviati ex lege: il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini.

L’art. 83, comma 1, dl n. 18 del 2020 prevede il rinvio generalizzato di tutte le udienze penali a data successiva al 15 aprile 2020. Come detto, ai sensi dell’art. 36 del dl n. 23 del 2020 tale termine è stato prorogato sino all' 11 maggio 2020.

Alla luce del tenore letterale della disposizione, si ritiene si tratti di un rinvio generalizzato che opera ex lege e include tutte le udienze penali, esclusi i procedimenti di cui all’art. 83, comma 3, su cui si dirà infra ai paragrafi 2.2. 2.3.

Siccome è il legislatore stesso a disporre il rinvio, appare superflua e non necessaria l’adozione di un apposito provvedimento (anche fuori udienza) di rinvio delle udienze già calendarizzate da parte del giudice.

Alcuni operatori e commentatori si sono domandati se il rinvio riguardi anche le udienze non ancora fissate: al quesito si reputa di dover dare risposta affermativa per una pluralità di ragioni.

Anzitutto la lettera della legge depone in tal senso. Il legislatore ha prescritto il rinvio di tutte le udienze penali, senza distinguere tra udienze già fissate o ancora da fissare. Tanto più che – ove si dovesse ritenere che l’art. 83, comma 1, abbia ad oggetto solo le udienze già fissate – si avrebbe un esito paradossale: ipotizzando che un giudice fissi udienza in una data anteriore all’11 maggio 2020, si avrebbe il risultato che quell’udienza poi non potrebbe essere celebrata, perché rinviata ex lege. Elementari esigenze di economia processuale (e di razionalità) impongono dunque di ritenere che il rinvio ex lege abbia ad oggetto tanto le udienze già fissate, quanto quelle ancora da fissare.

Anche la finalità dell’intervento normativo milita nel senso di includere nel differimento ex lege anche le udienze non ancora fissate, al fine di limitare al minimo indispensabile l’attività giudiziaria (e il conseguente accesso di persone presso gli uffici giudiziari), sì da poter utilmente contenere la diffusione del virus [in tal senso si esprime anche un passaggio della relazione illustrativa al decreto legge, ove si osserva che la sospensione dei termini è «da riferirsi a tutti i procedimenti civili e penali e non certo ai soli procedimenti in cui sia stato disposto un rinvio di udienza»].

D’altra parte, il comma 2 dell’art. 83 si pone a sostegno dell’impostazione sopra tratteggiata: esso prevede la sospensione di ogni attività processuale non essenziale (in cui deve ritenersi compresa anche la fissazione delle udienze nei procedimenti diversi da quelli urgenti e indifferibili enucleati al comma terzo) che avrebbe dovuto essere compiuta durante il periodo oggetto del provvedimento di sospensione.

Una volta preso atto del rinvio ex lege delle udienze già calendarizzate, si pone il problema delle forme che dovrà assumere il successivo atto di impulso, con il quale – cessata la causa di “sospensione” – si dovrà rimettere in moto il procedimento.

Si tratta, evidentemente, di un decreto di fissazione udienza (quale che sia l’udienza). In ordine alle forme con cui tale decreto dovrà essere comunicato alle parti, giova evidenziare che l’art. 83, comma 13, dl 18 del 2020 prevede espressamente che tutte le notifiche e le comunicazioni alle parti – da intendersi le parti private – siano eseguite a mezzo PEC al difensore di fiducia, con la conseguenza che, nel caso di mandato fiduciario, la notifica della fissazione dell’udienza dovrà essere effettuata al solo difensore, il quale avrà l’onere di informare il proprio assistito del contenuto dell’atto notificato.

Viceversa, in assenza di una disciplina derogatoria, nel caso in cui l’interessato sia difeso d’ufficio, la notifica dell’avviso di fissazione dovrà avvenire nelle forme ordinarie, ossia, direttamente alla sua persona (presso il luogo di detenzione, il domicilio dichiarato/eletto o presso la sua residenza).

Circa il momento in cui dovrà essere adottato l’atto di impulso, si ritiene preferibile che il decreto di fissazione – o ricalendarizzazione delle udienze già differite ex lege - sia assunto al termine del periodo di sospensione (e cioè a partire dal 12 maggio); ciò, da un lato, è coerente alla disposizione sulla generalizzata ed estesa sospensione dei termini; dall’altro lato, consentirà ai singoli giudici di tenere conto dei provvedimenti organizzativi che dovranno nel frattempo essere adottati dai dirigenti degli uffici giudiziari ai sensi dell’art. 83, commi 6 e 7, dl n. 18 del 2020.

Tale accorgimento, oltre a porsi in linea con la lettera e lo spirito dell’intervento normativo - si ripete teso a ridurre al minimo indispensabile l’attività giudiziaria onde contenere l’emergenza epidemiologica in atto e impedire la diffusione del virus – consentirà di programmare più agevolmente e razionalmente la graduale ripresa dell’attività giudiziaria, adeguandosi ai criteri organizzativi e di priorità nella trattazione dei procedimenti che i dirigenti degli uffici dovranno nelle more adottare, nel necessario rispetto delle cautele igienico- sanitarie.

2.1.1 La generalizzata sospensione dei termini: cenni e rinvio

L’art. 83, comma 2, dl n. 18 del 2020 prevede poi la sospensione generalizzata dei termini per il compimento di qualsiasi atto del procedimento. La stasi – per effetto dell’art. 36 del dl n. 23 del 2020, in vigore dal 9.4.2020 – abbraccia un periodo di 64 giorni compreso tra il 9 marzo e l’11 maggio ed opera anche per le fase delle indagini preliminari (ad esempio: termini di durata delle indagini preliminari, termini per l’esercizio dell’azione penale, investigazioni suppletive dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari), per l’adozione dei provvedimenti giudiziari e il deposito della motivazione, per la proposizione di atti di impugnazione e per i procedimenti esecutivi. Sulle questioni che pone la generalizzata sospensione dei termini si tornerà nel prosieguo.

2.2  I procedimenti che debbono essere trattati [art. 83, comma 3, lett. b) prima parte].

Il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini processuali non operano nei casi previsti dal comma 3 lett. b) e c) dello stesso articolo 83.

L’ art. 83, comma 3, lett. b) prima parte, dl n. 18 del 2020 individua un elenco di procedimenti che debbono necessariamente essere trattati anche nel periodo compreso tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020. Si tratta di: (i) procedimenti relativi alle convalide di arresti e fermi; (ii) procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 cpp; (ii) procedimenti nei quali è stata richiesta o applicata una misura di sicurezza detentiva).

Il riferimento alla necessaria celebrazione delle udienze di convalida dell’arresto e del fermo è costituzionalmente imposto dal dettato dell’art. 13 Cost., che impone che la convalida della misura precautelare avvenga entro un preciso arco temporale.

Lasciando per il momento da parte il riferimento all’art. 304 cpp (che solleva alcune delicate questioni interpretative, su cui ci si soffermerà al paragrafo 2.4) è il caso di dare conto di alcune integrazioni a tali previsioni approvate – in sede di conversione del decreto legge n. 18 del 2020 – dal Senato della Repubblica. Con il maxiemendamento formulato dal Governo e approvato dal Senato, infatti, è stato aggiunto al catalogo dei procedimenti da trattare senza condizioni anche il riferimento ai procedimenti in cui deve essere convalidata la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384 bis cpp); tale esplicita previsione è da ritenere opportuna, benché, forse, non indispensabile, considerato che l’art. 384 bis cpp richiama le norme sull’arresto e sul fermo (sicché tale ipotesi poteva forse ritenersi già inclusa nell’elenco inizialmente previsto dal legislatore).

Sempre in sede di conversione del decreto legge n. 18 del 2020 è stato altresì previsto che debbano essere trattati (e dunque siano da considerare sottratti alla “sospensione” ex lege) i procedimenti relativi alla consegna di un imputato o condannato all’estero ex legge n. 69/2005 (MAE), e i procedimenti di estradizione per l’estero disciplinati agli artt. 697 e s.s. del codice di rito.

Con riferimento al dettato dell’art. 83, comma 3, lett. b) prima parte si pone una questione interpretativa. Il richiamo alla convalida dell’arresto sottrae – o meno – dal generalizzato regime di “sospensione” i giudizi direttissimi destinati alla convalida dell’arresto e il contestuale giudizio.

Al riguardo, a favore della possibilità di celebrare i giudizi direttissimi, milita la struttura stessa del giudizio direttissimo che – per chiaro dettato normativo – evoca la necessità di procedere al giudizio di convalida della misura pre-cautelare entro 48 ore dall’arresto, nonché la celebrazione del “contestuale” giudizio direttissimo; dal che sembra potersi ricavare l’inoperatività del rinvio e della sospensione ex art. 83 c. 1 e 2.

Sennonché, la giurisprudenza di legittimità formatasi sul giudizio direttissimo in relazione alla c.d. sospensione feriale ex lege n. 741 del 1969 impone qualche precisazione. In materia, si registrano infatti decisioni che affermano l'istituto della sospensione dei termini nel periodo feriale è incompatibile con il giudizio direttissimo – al quale si deve dunque procedere anche in assenza di rinuncia alla sospensione feriale – in ragione della «necessità di convalidare l'arresto in flagranza nei ristretti termini previsti» e in considerazione di quanto previsto dall’art. 449, cpp «che impone, successivamente alla convalida dell'arresto, di procedere "immediatamente" al giudizio, determinando così l'inoperatività dell'art. 2 della legge n. 742 del 1969» (così, Sez. 3, n. 19982 del 20/04/2011 - dep. 20/05/2011, Alì, Rv. 25038801). Si registrano, tuttavia, decisioni di segno contrario. Per esempio, è stato ritenuto che «la rinuncia alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale è un atto specifico d'impulso processuale, rimesso alla determinazione della parte, che richiede una manifestazione espressa ed inequivoca della volontà di rinunciare» (Sez. 4, n. 28110 del 23/05/2007 - dep. 16/07/2007, Zunino, Rv. 23705301; in senso conforme, con riferimento non al giudizio, ma al termine per impugnare, Sez. 6, n. 10347 del 06/02/2013 - dep. 06/03/2013, Hamed, Rv. 25458801, Sez. 2, n. 34862 del 19/07/2016 - dep. 12/08/2016, Ricchiuti, Rv. 26777101, Sez. 5, n. 12011 del 01/12/2016 - dep. 13/03/2017, Scriosteanu, Rv. 26947001; per la sentenza da ultimo citata, la rinuncia alla sospensione può dunque essere anche tacita, purché inequivoca). Tentando allora di comporre un quadro giurisprudenziale non del tutto lineare, si può ritenere che la sospensione del procedimento ex art. 83 dl n. 18 del 2020 non operi nei giudizi direttissimi relativi al segmento della convalida della misura pre-cautelare; per procedere invece al momento del giudizio vero e proprio, pare opportuno che l’interessato rinunci (espressamente o anche solo per facta concludentia alla sospensione del procedimento, in analogia con la giurisprudenza stratificatasi in punto di sospensione feriale dei termini).

2.3 I procedimenti che possono essere trattati [art. 83, comma 3, lett. b) seconda parte e lett. c)]

L’art. 83, comma 3, dl n. 18 del 2020 prevede poi due ulteriori categorie di procedimenti che – a determinate condizioni – possono essere trattati durante il periodo di “sospensione” ex lege.

2.3.1  I procedimenti considerati dall’art. 83, comma 3, lett. c): l’assunzione di prove urgenti

L’art. 83, comma 3 lett. c), dl n. 18 del 2020 prevede che possano essere sottratti alla generalizzata “sospensione” dei procedimenti penali quei procedimenti «che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’art. 392 cpp».

Il testo della norma sembra chiaro nell’individuare la categoria di procedimenti: si tratta dei procedimenti che presentano la necessità di assumere prove urgenti e non rinviabili. Tale disposizione è chiaramente volta a salvaguardare il principio di non dispersione della prova, evitando di procrastinare l’assunzione di prove non rinviabili e urgenti.

Sennonché, si pongono alcuni (più o meno semplici) problemi di natura interpretativa.

Primo problema: la disciplina riguarda solo i procedimenti in cui vi siano da assumere prove in incidente probatorio, o si estende anche alla fase del giudizio di merito? La risposta da dare a tale quesito è – ad avviso di chi scrive – la seconda. Tale conclusione si fonda su due dati testuali e sistematici. Da un lato, la disciplina dell’assunzione di prove “urgenti” è prevista anche per la fase del giudizio di merito (gli atti preliminari al dibattimento), per cui l’art. 467 cpp prevede un espresso richiamo alle ipotesi previste dall’art. 392 cpp Dall’altro lato, l’art. 83, comma 1, lett. c) prevede espressamente un riferimento al giudice o al presidente del collegio giudicante, con ciò chiarendo al di là di ogni possibile dubbio interpretativo che tale disciplina si applichi anche alla fase del giudizio.

Secondo problema: nel caso vi siano da assumere prove urgenti e indifferibili, la mancata sospensione dell’attività procedimentali è prevista limitatamente all’assunzione della prova urgente, ovvero si estende a tutto il procedimento penale? Da un punto di vista testuale, la previsione relativa alla “mancata sospensione” è riferita al procedimento (e non all’assunzione della prova urgente). Tuttavia, un simile esito interpretativo rischia di porsi in frizione con le esigenze di contenimento di rischio di diffusione del virus COVID, determinando la mancata sospensione del procedimento anche per assumere prove che potrebbero e dovrebbero essere assunte in epoca successiva alla “sospensione” del processo. Un ragionevole contemperamento dell’esigenza di assumere la prova urgente con quella di assicurare – per il resto – l’efficacia delle misure di contenimento può essere raggiunto però per altra via: da un lato, l’organo giudicante può celebrare l’incombente processuale volto ad acquisire le prove urgenti e rinviare il procedimento a data successiva all’11 maggio 2020 per l’assunzione delle prove non urgenti; dall’altro lato, i dirigenti degli uffici giudicanti, possono adottare linee guida sul punto che indichino ai giudici del loro ufficio che l’attività processuale da celebrare deve intendersi limitata all’assunzione di prove urgenti [ciò nell’esercizio del potere di adottare misure organizzative per il periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020, ivi compresa l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e trattazione delle udienze, come consente l’art. 83, comma 5, in combinato disposto con i commi 6 e 7 lett. d), del dl n. 18 del 2020].

In ogni caso, resta il fatto che – in base all’art. 83, comma 3, lett. c) – il dato testuale sembra imporre di ritenere che sia il procedimento intero a “non essere sospeso” (con le conseguenze che si danno in punto decorso di tutti i termini processuali e di prescrizione del reato).

Terzo problema: il riferimento all’art. 392 cpp implica che ogni ipotesi di incidente probatorio implichi la possibilità di non sospendere il procedimento? L’art. 83, comma 3, lett. c) non impone tale esito interpretativo: la disposizione infatti non sembra includere tutte le tipologie di incidente probatorio ma soltanto quelle ipotesi aventi ad oggetto la necessità di assumere prove urgenti e indifferibili; tale esito interpretativo si ricava dal fatto che il giudice è chiamato a valutare – e le parti ad allegare – una concreta e specifica situazione di “urgenza” e non rinviabilità della prova da acquisire.

Quanto agli aspetti procedimentali implicati dall’art. 83, comma 3, lett. c), si deve dare conto di quanto segue. La scansione procedimentale prevede una esplicita richiesta di procedere proveniente dalle parti (accusa, difesa imputato o parte civile) e un successivo provvedimento motivato del giudice. Il provvedimento con cui si riconosce o si nega l’indifferibilità e urgenza della prova da assumere non è soggetto a impugnazione. La previsione dell’inoppugnabilità è del tutto coerente alle esigenze di snellezza procedimentali coessenziali a questa fase emergenziale.

L’inoppugnabilità, però, solleva un qualche problema di frizione – per il vero, forse più teorico che reale – con il dato costituzionale, considerato che tale decisione ha un riflesso diretto sulla sospensione dei termini di custodia cautelare, di cui può protrarsi la sospensione nel caso in cui il giudice decida che non vi sia una situazione di indifferibilità dell’assunzione di una prova urgente (arg. ex art. 111, comma 7, Cost.). 

2.3.2  I procedimenti considerati dall’art. 83, comma 3, lett. b), seconda parte: la trattazione a seguito di “espressa richiesta”

L’art. 83, comma 3, lett. b), seconda parte, del dl n. 18 del 2020 considera una serie di procedimenti la cui trattazione è rimessa ad una esplicita richiesta dell’imputato o del suo difensore, non sindacabile dal giudice (procedimenti a carico di soggetti detenuti, procedimenti in cui è stata applicata una misura cautelare, procedimenti in cui è stata applicata una misura di sicurezza - di natura non detentiva -, procedimenti in cui è stata richiesta o disposta una misura di prevenzione). Si tratta di una scelta del legislatore che fissa un punto di equilibrio nel bilanciamento tra due esigenze in possibile frizione tra loro: l’esigenza di garantire il diritto alla celebrazione di procedimenti nei confronti di persone la cui posizione soggettiva è già pesantemente segnata dalla pendenza del procedimento vs. le esigenze di assicurare il c.d. distanziamento sociale. Con la previsione ora in commento, il legislatore garantisce alla persona soggetta a procedimento il diritto a veder trattato il suo giudizio (individuando – nell’insieme di tutti i procedimenti penali – un preciso sotto-insieme di procedimenti individuati alla stregua di un “servizio essenziale”); lo stesso legislatore rimette tuttavia alla scelta dell’indagato/imputato la determinazione sul “se” si debba procedere (considerato che lo stesso indagato/imputato potrebbe avere interesse a conservare, a sua volta, il distanziamento sociale). Si tratta, quindi, di un diritto a procedere al quale l’indagato/imputato, può rinunciare.

Quanto alla categoria di procedimenti per cui occorre un’espressa richiesta di procedere ai fini della trattazione, sono individuabili le seguenti problematiche aventi maggiore impatto pratico.

Anzitutto, ci si domanda se nei procedimenti carico di detenuti siano inclusi quelli esecutivi. Al quesito sembra doversi dare risposta positiva, non essendo previste eccezioni per la fase esecutiva. Di conseguenza le istanze proposte in sede esecutiva da soggetti in vinculis – ad esempio tese ad ottenere il riconoscimento dell’istituto della continuazione ex art. 671 cpp – nella quali sia contenuta una esplicita richiesta di procedere, sono sottratte al regime di “sospensione”.

Ci si chiede, poi, se il riferimento alle persone detenute includa anche le persone ristrette per altra causa; in tal caso si reputa che il procedimento pendente nei confronti di persona detenuta per altra causa ricada nella previsione di generalizzata “sospensione”. L’esigenza di trattare il procedimento – nonostante la generalizzata “sospensione” – si impone infatti per assicurare all’indagato e l’imputato che lo voglia il diritto ad ottenere una “risposta giudiziaria” nell’ambito del giudizio (ma solo di quel giudizio) in cui un suo diritto di libertà/di proprietà è inciso (magari a seguito di determinazioni cautelari). Il fatto che sussistano altri titoli cautelari o custodiali non rileva dunque in ogni giudizio che coinvolga il detenuto, ma solo in quei procedimenti in cui sussiste il titolo custodiale.

Inoltre, si è posto il dubbio se il riferimento ai procedimenti ai procedimenti in cui è applicata una misura cautelare in corso di esecuzione includa le misure interdittive e le misure cautelari reali.

Al quesito sembra doversi dare risposta positiva: la norma parla di misure cautelari senza distinzioni, dovendosi dunque ritenere comprese anche quelle personali interdittive (art. 287-290 cpp) e quelle reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo, con esclusione del sequestro probatorio che non rientra tra le misure cautelari reali, trattandosi di un mezzo di ricerca della prova). Per tali misure cautelari, infatti, non escluse dalla lettera della legge, si pone infatti la stessa esigenza di contemperamento che si pone per le persone in stato di detenzione: anche le persone colpite da misure cautelari reali o da misura interdittiva si deve assicurare il contemperamento tra esigenze di contenimento dell’epidemia e l’esigenza di assicurare il diritto a veder celermente trattata la loro posizione in un procedimento in cui un bene di rilievo costituzionale è già compresso da misure cautelari.

Vari dubbi emergono in relazione a portata, forme e tempistiche della richiesta di procedere.

Quanto ai soggetti legittimati alla proposizione della richiesta, stante il tenore della disposizione (che indica alternativamente interessato 0 difensore), si ritiene che essa possa provenire sia dall’interessato sia dal difensore, anche se non munito di procura speciale, non trattandosi di atto personalissimo. Chiaramente, ove l’espressa richiesta di procedere sia presentata dal difensore e non vi sia il consenso dell’interessato (che, magari, preferisce che il procedimento resti sospeso), valgono le regole ordinarie dettate dall’art. 99, comma 2, cpp: prevale la volontà dell’indagato/imputato.

Un punto problematico che rileva sotto il profilo soggettivo è il seguente: che succede in caso di processo cumulativo, in cui soltanto uno solo degli interessati avanzi richiesta di procedere (essendo viceversa scelta degli altri imputati quella di prestare acquiescenza alla sospensione ex lege)? Il decreto legge n. 18 del 2020 non offre indicazioni sul punto. Pare potersi condividere l’opzione interpretativa proposta nella Relazione sul dl n. 18 del 2020 predisposta dall'Ufficio del Massimario della Corte di cassazione: «sul punto, pare potersi ritenere che l’esigenza di tutelare la salute pubblica impedisca di far partecipare al giudizio persone, anche detenute, che non abbiamo richiesto di evitare il differimento. Non sembra estensibile, dunque, in considerazione delle ragioni sottese al rinvio del procedimento, l’indirizzo giurisprudenziale che si è formato in tema di legittima astensione dalle udienze dei difensori e che permette la trattazione del giudizio anche nel caso in cui uno solo di essi non aderisce alla richiesta di rinvio (cfr. Sez.4, n.40724 del 15/06/2017, Rv. 270768, Sez.5, n.54509 del 08/10/2018, Rv. 275334; contra Sez.1, n.37286 del 27/05/2015, Rv. 264523)».

È di tutta evidenza che una scissione di un provvedimento soggettivamente cumulativo comporterebbe rilevantissimi costi sul piano dell’efficiente gestione del processo. In tali casi – ove solo uno degli imputati chiedesse di procedere (e gli altri no) – si potrebbe, laddove ne ricorrano i presupposti, ricorrere alla disciplina dettata dall’art. 18 cpp [che consente di non procedere alla separazione dei procedimenti, quando la riunione sia assolutamente indispensabile per l’accertamento dei fatti]. In tal caso, però, la sospensione dei termini di durata della misura cautelare (e di prescrizione) non si determinerebbe nei confronti di colui che ha chiesto espressamente di procedere.

In assenza di disposizioni sul punto, si ritiene che la richiesta possa essere revocata, nel senso che a fronte di un’iniziale richiesta di procedere l’istante può rinunciare all’istanza, ovviamente con conseguente applicazione per intero del regime della sospensione dei termini processuali (la revocabilità della richiesta – non preclusa dal dato testuale – sembra infatti coerente con l’esigenza di limitare l’espletamento di incombenti processuali e l’accesso di persone ai palazzi di giustizia).

Quanto alle modalità della richiesta essa può essere inoltrata a mezzo pec a mente dell’art. 83 c. 11 dl n. 83/2020.

Un primo problema interpreativo che si pone è relativo alla mancata previsione di un termine entro il quale l’interessato o il suo difensore possono formulare la richiesta di procedere. La lettera della legge non esclude, dunque, che la richiesta possa essere formulata anche in momento prossimo a quello in cui l’udienza avrebbe dovuto essere celebrata. Si tratta – sotto il profilo pratico – di una grave carenza. Infatti, la formulazione della richiesta di procedere in momento troppo “a ridosso” dell’udienza calendarizzata (essendo sino a quel momento il procedimento sospeso) determina infatti gravi inconvenienti: non è possibile programmare le modalità di gestione dell’udienza (considerato che, in molti uffici giudiziari, i dirigenti hanno contingentato gli accessi al palazzo di giustizia); né è possibile convocare con il necessario preavviso i testimoni che eventualmente debbono essere esaminati. È in questa prospettiva che molti dirigenti di uffici giudiziari hanno stipulato protocolli di intesa con i consigli dell’Ordine degli Avvocati con i quali si conviene che la richiesta di procedere sia presentata entro un congruo termine (variamente determinato); è nella stessa prospettiva che il Primo presidente della Corte di cassazione ha disposto che la richiesta di trattazione del procedimento «debba essere formulata dalla parte interessata entro il termine di tre giorni, decorrente dalla data di pubblicazione del decreto sul sito della Corte, da inoltrarsi anche via PEC inviata alla cancelleria della Sezione penale dinanzi alla quale è fissata l’udienza». Il dato problematico è cosa accada quanto le richieste di trattazione intervengano non tempestivamente. Sul punto si è soffermata la Relazione sul dl n. 18 del 2020 predisposta dall'Ufficio del Massimario della Corte di cassazione; in essa si pone come dato problematico la questione di una eventuale «efficacia preclusiva del termine previsto per la presentazione delle istanze», in ragione della assenza di «una specifica previsione normativa che consenta di dichiarare la tardività delle istanze pervenute oltre il limite dei tre giorni» [previsto dal decreto del Primo presidente]. Sul rilievo della necessità di assicurare effettività a tali – indispensabili – provvedimenti di tipo organizzatorio, l’Ufficio del massimario rileva che «pare quanto meno ipotizzabile che le istanze pervenute dopo che sia stato disposto il rinvio d’ufficio dell’udienza non siano in ogni caso accoglibili. Essendo il rinvio stabilito ex lege e costituendo la richiesta di trattazione un’eccezione rimessa all’iniziativa della parte interessata, sembra corretto affermare che ove l’effetto del rinvio si sia già prodotto, in quanto il differimento sia stato precedente rispetto alla richiesta di trattazione, quest’ultima non possa essere accolta».

Una seconda questione riguarda gli effetti nel tempo della formulazione della richiesta di procedere: al riguardo, l’art. 83, comma 3, del dl n. 18 del 2020 non offre alcuna indicazione esplicita; pertanto, alcuni operatori si sono domandati se la sospensione dei termini cessi di operare all’atto della richiesta di procedere proveniente dall’interessato o dal suo difensore oppure se, in caso di richiesta di procedere, ciò comporti il venir meno di qualsiasi effetto sospensivo, sin dal 9.3.2020.

Che succede insomma se il difensore o l’indagato/imputato chiede di procedere, poniamo, in data 17 aprile 2020? In tale ipotesi, che sorte ha il decorso dei termini di custodia in relazione al periodo compreso tra il 9.3.2020 e la richiesta? Tale periodo ricade nella sospensione ex lege oppure la richiesta di procedere spiega efficacia anche per il passato, elidendo la sospensione già a partire dal 9.3.2020?

Nulla sul punto dice il legislatore, sicché sembrerebbero sostenibili entrambe le interpretazioni.

La tesi per cui la richiesta di procedere, in qualunque momento intervenga, priva di effetti la sospensione dei termini ex lege per tutto il periodo previsto dal legislatore è sicuramente più favorevole al reo; sennonché, tale linea interpretativa può condurre a strumentalizzazioni e conseguenze paradossali, nel caso in cui ad esempio la richiesta di procedere potrebbe determinare la scadenza ex post dei termini di fase della misura cautelare.

La soluzione più ragionevole e logica appare dunque quella secondo cui la sospensione ex lege opera sino al pervenimento della richiesta di procedere, momento dal quale i termini ricominciano a decorrere normalmente.

D’altra parte, ciò risulta anche conforme alla fisionomia dell’istituto congegnato dal legislatore: (i) l’art. 83, comma 2, dl 18 del 2020 prevede una sospensione del termine; (ii) l’espressa richiesta è causa di cessazione della sospensione del decorso dei termini; (iii) cessata la causa di sospensione, il termine ricomincia a decorrere (vale a dire: dal momento della cessazione della causa di sospensione).

Nell’esempio sopra ipotizzato – in cui la richiesta di procedere intervenga il 17 aprile 2020 – i termini rimangono quindi sospesi sino al 16 aprile 2020 e riprendono a decorrere dal 17 aprile 2020, giorno di ricezione della richiesta di procedere.

Ulteriori dubbi si pongono inoltre sul contenuto che deve assumere tale richiesta affinchè non operi la sospensione e il rinvio delle udienze di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83.

Ci si chiede infatti se sia sufficiente il deposito dell’atto di impugnazione, di una richiesta di applicazione pena ex art. 444 cpp oppure la presentazione di una richiesta di riesame ovvero la presentazione di una richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare per desumere la richiesta di procedere.

Al riguardo si evidenzia che il legislatore prevede che la richiesta di procedere debba essere “espressa”, richiedendosi dunque una manifestazione esplicita, chiara e univoca in tal senso.

Non è dunque sufficiente la mera proposizione di una istanza ex art. 299 cpp o di un atto di impugnazione, dovendo tale attività essere accompagnata da una esplicita e specifica richiesta di procedere ex art. 83 c. 3 lett. b) dl n. 18/2020.

In assenza di una chiara e manifesta intenzione di procedere si ritiene che l’attività da compiere, specie se consistente nella fissazione di un’udienza (di riesame, di appello ecc), possa essere legittimamente posticipata al periodo successivo alla sospensione.

Nulla vieta, ovviamente, che il giudice della cautela provveda su una istanza de libertate formulata ex art. 299 cpp; tale determinazione non è preclusa dalla lettera della legge, che sospende i termini, ma non vieta di provvedere ove il giudice sia nelle possibilità di farlo; d’altra parte, le ordinanze su istanze de libertate ex art. 299 cpp non richiedono, di norma, lo svolgimento di udienze; sicché si ritiene opportuno che il giudice sollecitato ex art. 299 cpp, provveda sulle istanze di revoca o sostituzione della misura anche in difetto di espressa richiesta di procedere, considerato che tale intervento si rivela massimamente opportuno, venendo in gioco i diritti fondamentali dell’individuo e la sua libertà personale. Altro discorso, invece, è la trattazione delle impugnazioni cautelari: per esse – richiedendosi la celebrazione di un’udienza – si ritiene che sia necessaria la formulazione di una espressa richiesta di procedere.

Altro problema non risolto esplicitamente dalla lettera della legge è quello relativo alla efficacia – o meno – nel procedimento di merito della espressa richiesta di procedere ad un’udienza relativa ad un’impugnazione cautelare. Per essere più chiari: l’espressa richiesta di procedere in relazione ad un’istanza di riesame, determina – come conseguenza – la cessazione della causa di “sospensione” del procedimento?

Da un lato, si osserva che, nel silenzio della legge, sembra doversi ritenere che – a fronte di una condizione di soggezione a misura cautelare e a fronte di una esplicita manifestazione di procedere al giudizio di riesame – la richiesta di procedere non possa che produrre effetti in ogni stato e grado del procedimento, anche di merito, così precludendo ogni regime di rinvio o sospensione dei termini. L’art. 83, comma 3, lett. b), seconda parte, non sembra autorizzare una espressa richiesta di procedere in modo “selettivo”.

Dall’altro lato, però, si deve considerare – come dato problematico – l’autonomia del giudizio incidentale cautelare rispetto al giudizio di merito (tanto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, una nomina a difensore di fiducia operata dall'indagato per il procedimento incidentale di riesame «non produce alcun effetto nel procedimento principale, che è del tutto autonomo e separato dal primo, non essendone prevista la conoscenza da parte dell'autorità giudiziaria procedente, che è avvisata della richiesta di riesame soltanto al fine della trasmissione degli atti» (così, Sez. 3, n. 2199 del 19/11/2019 - dep. 21/01/2020, Trionfanti, Rv. 27764602; conf. Sez. 4, n. 22042 del 06/05/2009 - dep. 26/05/2009, Curraj, Rv. 24396801; Sez. 3, n. 4653 del 03/03/1999 - dep. 14/04/1999, Ventriglia L, Rv. 21309101).

Non si hanno soluzioni sul punto (considerato, d’altra parte, che – con riferimento ad altre procedure incidentali – la giurisprudenza di legittimità è giunta a conclusioni diverse; v. per esempio Sez. 4, n. 12243 del 13/02/2018 - dep. 16/03/2018, Villani, Rv. 27224601, secondo cui «l'elezione di domicilio contenuta nell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato opera anche nel procedimento principale per cui il beneficio è richiesto, a nulla rilevando l'espressa volontà dell'imputato di limitarne gli effetti esclusivamente al procedimento incidentale, in quanto, ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen., non sono consentite parcellizzazioni degli effetti delle dichiarazioni di domicilio effettuate nell'ambito di uno stesso procedimento»).

In assenza di soluzioni sul punto, ci si limita a segnalare il dato come problematico (e come meritevole di attenzione in linea di prassi: per esempio, con una accurata interlocuzione – anche informale, dati i tempi – tra uffici e tra giudice procedente e parti processuali).

2.4 La complicata esegesi dei riferimenti operati all’art. 304 cpp

Deve preliminarmente essere posta una premessa: l’art. 83, comma 4, dl n. 18 del 2020 ha previsto la sospensione dei termini di cui all’art. 303 e 308 cpp. (con la problematica questione della retroattività di tale previsione con riferimento alle misure non custodiali; v. supra paragrafo 1.1). Tale sospensione si riferisce a tutte le misure cautelari personali, incluse quelle interdittive e opera in tutte le fasi del procedimento, fatta eccezione per i procedimenti non sospesi di cui al comma terzo dell’art. 83 (e ora anche di quelli non sospesi ex art. 36 comma 2 dl n. 23 del 2020).

L’art. 83, comma 3, lett. b) prima parte, dl n. 18 del 2020 indica tra i procedimenti sottratti alla generalizzata sospensione e che dunque «debbono» essere trattati, i «procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 cpp». A mente dell’art. 36 comma 2 del dl n. 23 del 2020, poi, sono sottratti alla generalizzata sospensione anche i procedimenti «in cui i termini di cui all’art 304 cpp scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020»che debbono pertanto essere trattati obbligatoriamente, senza che occorra alcuna richiesta dell’interessato o del difensore (e senza che costoro possano opporsi alla trattazione).

La formulazione delle due disposizioni comporta una pluralità di problemi sollevati dal richiamo operato all’art. 304 cpp. Sulla portata applicativa di tale disposizione si sono infatti registrate – nei confronti avvenuti all’interno degli uffici e tra gli operatori del diritto – diverse opinioni.

Ebbene, secondo un primo orientamento il riferimento all’art. 304 cpp presuppone necessariamente la previa esistenza di un provvedimento di sospensione del giudice nelle ipotesi previste dai commi 1 e e 4 della citata disposizione. Solo così – secondo tale opinione – si spiegherebbe il richiamo all’art. 304 cpp nella sua interezza (essendo altrimenti sufficiente il mero richiamo all’art. 304, comma 6, cpp). La norma dunque si riferirebbe ai soli procedimenti in cui sia già stata adottata un’ordinanza di sospensione nei casi previsti dall’art. 304, commi 1,2 e 4, cpp.

Secondo un’altra interpretazione il richiamo ai termini di cui all’art. 304 cpp evoca esclusivamente i termini massimi di cui al comma 6 della citata disposizione, che non possono essere superati per effetto della sospensione disposta ex lege dagli artt. 83 dl n. 18/2020 e 36 dl n. 23 del 2020 (sospensione suscettibile di essere estesa per effetto dei provvedimenti organizzativi dei Dirigenti degli uffici da assumere nel periodo successivo al 12 maggio e sino al 30 giugno 2020).

In sostanza, riferendosi all’art. 304 cpp, il legislatore avrebbe equiparato le ipotesi di sospensione ex lege previste dalla normativa emergenziale a quelle enumerate nel citato art. 304 cpp, estendendo anche alle prime i termini massimi sanciti dal comma sesto di quest’ultima norma [in tal senso si è anche espressa la Relazione sul dl n. 18 del 2020 predisposta dall'Ufficio del Massimario della Corte di cassazione].

All’interno di quest’ultimo orientamento alcuni commentatori hanno però sostenuto che:

  1. a) l’art. 304 cpp non opera nella fase delle indagini preliminari in quanto le ipotesi di sospensione ivi previste si riferiscono esclusivamente alla fase successiva all’esercizio dell’azione penale;
  2. b) l’art. 304 cpp, per giurisprudenza consolidata, riguarda esclusivamente le misure cautelari custodiali e non anche le altre misure personali coercitive (si veda Cass. Pen. Sez IV n. 30294/2013);
  3. c) il richiamo all’art. 304 cpp si riferisce unicamente i termini massimi globali di cui all’art. 303 c. 4 cpp e non anche i termini massimi di fase.

Nell’incertezza interpretativa, si ritiene maggiormente condivisibile l’esegesi secondo cui, nel richiamare i termini di cui all’art. 304 cpp, il legislatore abbia inteso riferirsi ai termini massimi – di fase e globali – indicati dall’art. 304, comma 6, cpp: tali termini massimi non possono essere superati per effetto delle sospensioni dei termini previste dal decreto legge n. 18 del 2020 e dal successivo decreto legge n. 23 del 2020 (periodi di sospensione nel cui computo devono essere aggiunti anche i periodi di sospensione eventualmente disposti dal giudice nei casi previsti dall’art. 304 cpp; la necessità di cumulare alla sospensione ex lege emergenziale anche i precedenti periodi di sospensione disposta dal giudice ex art. 304, commi 1,2,4 cpp giustifica peraltro il richiamo all’art. 304 cpp nella sua interezza; il richiamo, non al solo comma 6, ma all’intero art. 304 cpp sembra inoltre giustificato dal fatto che – in tal modo – può anche trovare effetto la previsione del successivo comma 7). D’altra parte, l’opposta interpretazione comporterebbe una portata estremamente riduttiva dell’art. 36, comma 2, dl n. 23 del 2020.

L’opzione ermeneutica qui prediletta appare aderente al dato letterale e risulta più favorevole per gli indagati/imputati, garantendo che in nessun caso, per effetto delle sospensioni disposte dalla normativa emergenziale, siano superati i termini massimi della custodia cautelare sanciti dalla legge.

È solo il caso di evidenziare che l’art. 304, comma 6, c.p.p richiama tutti i termini previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3 cpp; il che rende chiaro che i termini che il legislatore considera all’art. 36, comma 2, dl n. 23 del 2020 sono anche quelli relativi alle indagini preliminari (che altrimenti ricadrebbero nella previsione di sospensione ex lege disposta dall’art. 83, comma 4, dl n. 18 del 2020).

Se l’interpretazione sopra proposta risulta corretta, ne discende che la sospensione dei termini di durata delle misure cautelari opera per tutti i procedimenti (art. 83, comma 4, dl n. 18 del 2020); con le seguenti eccezioni:

  1. I termini previsti dall’art. 304, comma 6, cpp non siano in scadenza nel semestre successivo all’11 maggio 2020, ma l’interessato formuli espressa richiesta di procedere; in tal caso, i procedimenti possono essere sottratti al regime di sospensione del procedimento ex lege;
  2. I termini previsti dall’art. 304, comma 6, cpp vengano a scadere in periodo compreso tra l’11 maggio 2020 e il 10 novembre 2020; in tal caso, i procedimenti sono sottratti al regime di sospensione del procedimento ex lege (senza che l’interessato possa opporsi alla celebrazione del procedimento).

Il che – da un punto di vista pratico – comporta che, salvo passaggi alla fase successiva, sono sottratti alla sospensione ex lege tutti i procedimenti in cui sono state emesse misure custodiali per reati puniti con pena non superiore nel massimo a sei anni di reclusione, aventi il termine di tre mesi come termine massimo relativo alla fase delle indagini preliminari. 

3. Alcune questioni problematiche in ordine alla sospensione dei termini procedimentali

Come detto, l’art. 83, comma 2, dl n. 18 del 2020 prevede poi la sospensione generalizzata dei termini per il compimento di qualsiasi atto del procedimento. La previsione opera anche per la fase delle indagini preliminari (ad esempio: termini di durata delle indagini preliminari, termini per l’esercizio dell’azione penale, investigazioni suppletive dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari), per l’adozione dei provvedimenti giudiziari e il deposito della motivazione, per la proposizione di atti di impugnazione e per i procedimenti esecutivi.

Nonostante l’apparente chiarezza della previsione, si pongono comunque alcune delicate questioni interpretative.

Alcuni commentatori si sono chiesti se tra i termini sospesi sia incluso anche quello – di natura sostanziale – previsto per la proposizione della querela.

Come noto, tale termine non è, per pacifica giurisprudenza, annoverato tra quelli soggetti alla sospensione feriale ex L. n. 742/1969, sul presupposto – tradizionalmente affermato in giurisprudenza – che tale termine abbia natura sostanziale e non processuale. Applicando al caso in esame gli schemi concettuali di tale consolidato orientamento di legittimità si dovrebbe sostenere che i termini per la proposizione della querela sono sottratti alla sospensione disposta con il recente dl n. 18/2020. D’altra parte, si aggiunge, l’art. 83, comma 2, dl n. 18 del 2020 prevede espressamente la sospensione dei soli termini procedurali. E – trattandosi di disposizione di carattere eccezionale – essa è di stretta interpretazione e difficilmente può essere applicata oltre i casi in essa espressamente considerati (sul presupposto che la querela sia condizione di procedibilità, che precede l’avvio del procedimento penale e si colloca, dunque, al di fuori della sequenza procedimentale).

A tale opzione ermeneutica, senza dubbio sostenibile, si contrappongono però numerosi e convincenti argomenti che rendono, quantomeno ad avviso di chi scrive, maggiormente condivisibile e persuasiva l’affermazione secondo cui anche il termine per proporre la querela può ritenersi incluso nella sospensione dei termini prevista dalla normativa emergenziale.

In primo luogo, si sottolinea come la disposizione di cui all’art. 83, comma 2, decreto legge n. 18 del 2020 sia diversa e molto più ampia di quella tradizionale relativa alla sospensione dei termini nel periodo feriale: ai sensi del recente decreto legge sono infatti sospesi i termini concernenti ogni tipo di atto e attività del procedimento penale.

Tra gli atti del procedimento possono ragionevolmente annoverarsi anche quelli relativi alle condizioni di procedibilità, atti che rivestono indubbiamente anche rilievo – e dunque natura (anche) – procedimentale [tant’è che il codice di procedura penale ne disciplina contenuto e formalità; cfr. artt. 336 e ss. cpp]. Non a caso – seppur ad altri fini – la giurisprudenza di legittimità ha esplicitamente riconosciuto che «la querela, per come disciplinata nel vigente codice di rito, che le ha riservato una collocazione sistematica di univoca significatività nel Titolo III del Libro V, tra le condizioni di procedibilità, presenta una vocazione essenzialmente processuale, vocazione che risulta più accentuata che in passato» [così Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018 - dep. 07/09/2018, Salatino, Rv. 27355201 (considerato in diritto n. 5), che – evocando il «polimorfismo» della querela, rilevano come in giurisprudenza si vada affermando una adesione alla teoria c.d. mista sulla natura dell’istituto].

Il tenore letterale della disposizione di cui all’art. 83 c. 2 dl n. 18/2020 non sembra dunque precludere un inquadramento della querela tra gli atti di impulso procedimentale che ricadono nella sospensione.

A ciò si aggiunga che la finalità della disposizione – ossia evitare il diffondersi del contagio e limitare il più possibile gli spostamenti delle persone – è ben diversa da quella che presiede il diverso istituto della sospensione feriale dei termini e rende del tutto ragionevole la considerazione della querela nel novero degli atti per cui la disciplina dei termini soggiace al regime di generalizzata sospensione.

Diversamente opinando si sanzionerebbe la persona offesa, specie ove non assistita da un difensore, per un’inattività e inerzia, che allo stato, stante il dilagare dell’epidemia e le stringenti limitazioni imposte agli spostamenti dei soggetti, non appare rimproverabile.

La questione è delicata e la soluzione qui accolta non è – lo si riconosce – irresistibile. Un semplice tratto di penna del legislatore potrebbe fare chiarezza.

Altro dubbio interpretativo che rileva sotto il profilo della sospensione dei termini processuali riguarda l’applicabilità della sospensione dei termini processuali agli interrogatori di garanzia di misure cautelari già eseguite e applicate. Il tenore letterale della disposizione sembrerebbe includere anche lo svolgimento dell’interrogatorio tra le attività sospese, salva l’esplicita richiesta del difensore. È solo il caso di segnalare che diversi uffici – sul presupposto di una sostanziale assimilabilità dell’interrogatorio di garanzia rispetto all’udienza di convalida dell’arresto e del fermo – hanno ritenuto di dover procedere ugualmente alla celebrazione degli interrogatori di garanzia, anche a prescindere da una esplicita richiesta della difesa, al fine di prevenire questioni sulla perdita di efficacia della misura cautelare e onde favorire un immediato contatto con l’interessato e un pieno esercizio del diritto di difesa.  

Altro problema è il seguente: che dire dell’interrogatorio che necessariamente deve precedere l’applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio di cui all’art. 289 cpp.? Sul punto, l’art. 83 del decreto legge n. 18 del 2020 tace. Tale incombente processuale non può considerarsi relativo ad uno dei procedimenti non sospesi ex art. 83, comma 3, lett. b); infatti, tale norma prevede la “non sospendibilità” su richiesta dell’imputato/indagato e solo nei procedimenti in cui siano state già applicate misure cautelari. Né può farsi rientrare la situazione ora in esame sotto la previsione dell’art. 83, comma 3, lett. c) [assunzione di prove indifferibili nei casi previsti dall’art. 392 cpp], considerato che la natura del previo interrogatorio è affatto diversa da quella di una prova indifferibile da assumere con urgenza.

I due problemi appena considerati (interrogatorio di garanzia e previo interrogatorio in caso di richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblici uffici o servizi) potrebbero trovare una soluzione nel caso il decreto legge n. 18 del 2020 venisse definitivamente approvato nella versione licenziata dal Senato a seguito della presentazione del maxi-emendamento governativo; quest’ultimo introduce nel testo dell’art. 83 il comma 12 quater che prevede che «nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero e il giudice possono avvalersi di collegamenti da remoto (…) per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini (…), del difensore, nei casi in cui la presenza fisica di costoro non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del virus COVID-19».

Utilizzando tale strumento tecnico (utilizzabile non solo dal PM, ma anche dal giudice), infatti, sarebbe possibile procedere agli interrogatori di cui ora si discute senza pregiudicare il perseguimento della ratio che informa tutto il decreto legge (tuttavia - si osserva – il comma 12 quater disciplina uno strumento utilizzabile dall’autorità giudiziaria, ma non interviene sulla disciplina della sospensione dei termini; sicché, alla conclusione sopra raggiunta, si potrebbe obiettare che, in assenza di espressa richiesta di procedere all’interrogatorio di garanzia, i termini resterebbero comunque sospesi). Anche qua, un semplice tratto di penna del legislatore aiuterebbe a fare chiarezza.

Tra le attività urgenti e indefferibili sottratte al regime di sospensione dei termini processuali non sono inseriti i provvedimenti di convalida delle intercettazioni disposte dal P.M. in via di urgenza e i decreti di proroga dell’attività di intercettazione.

Si tratta – con ogni probabilità – di una dimenticanza del legislatore. Nel silenzio della legge – e in assenza di vincoli di natura costituzionale in ordine alla tempistica degli atti (come invece avviene per le convalide dell’arresto) – si potrebbe ritenere che anche tali provvedimenti ricadano nell’ambito di quelli per cui vige la sospensione dei termini.

Tuttavia, si ritiene preferibile la tesi di chi afferma che tale attività procedimentale – senza dubbio di natura urgente e presidiata da rigide sanzioni processuali - non sia soggetta alla sospensione, anche considerata la natura dei beni in gioco, di sicuro rilievo costituzionale. Diversamente argomentando si perverrebbe a conseguenze paradossali e difficilmente accettabili: da un lato, si correrebbe il rischio di incidere su un bene di rilievo costituzionale con un’attività di intercettazione, protratta anche per mesi, in assenza di un controllo che deve intervenire con provvedimento motivato del giudice all’atto della convalida o della proroga; dall’altro lato, si esporrebbe il risultato di tale attività di indagine al rischio di essere vanificata dalla inevitabile proposizione di questioni di inutilizzabilità.

Elementari ragioni di prudenza processuale e di rispetto delle garanzie suggeriscono di evitare un simile risultato interpretativo. Del resto, la disposizione che disciplina la sospensione dei termini prevede – appunto – la sospensione, ma non anche il divieto di espletamento di determinate autorità da parte dell’autorità giudiziaria. Ciò posto, va considerato che, alla convalida di intercettazioni disposte in via di urgenza o alla proroga dell’attività di intercettazione, il giudice può provvedere con modalità di lavoro tali da non pregiudicare le esigenze di contenimento del contagio; sicché si ritiene assolutamente preferibile che i decreti motivati del GIP relativi all’attività di intercettazione siano adottati tempestivamente, nonostante la generalizzata sospensione dei termini processuali.

Parimenti nell’elenco dei procedimenti da trattare sempre e comunque non è inclusa la convalida del sequestro preventivo di urgenza disposto dal P.M. o dalla Polizia Giudiziaria ex art. 321 c. 3 cpp.

Anche in questo caso – e per le stesse ragioni considerate trattando dell’attività di intercettazione telefonica – si propende per la tesi che include tale attività tra quelle urgenti e indefferibili, trattandosi di garantire il controllo giudiziale su un diritto fondamentale dell’individuo.

 

4. Altre problematiche in materia cautelare

L’emergenza epidemiologica in atto non può non avere un rilievo sui criteri di scelta delle misure cautelari. Sul punto sono sufficienti poche battute, potendosi qui limitare la riflessione ad un rinvio sostanzialmente adesivo alle considerazioni svolte dal Procuratore generale della Corte di cassazione, nella nota del 1.4.2020; con tale atto, il Procuratore generale ha condivisibilmente richiamato la necessità di tenere conto del rischio epidemiologico -che «costituisce un elemento valutativo nell’applicazione di tutti gli istituti normativi vigenti e ne rappresenta un presupposto interpretativo necessario» - nella scelta delle misure cautelari personali, nell’ottica di ridurre le presenze in carcere ai soli casi di massima pericolosità e assoluta necessità.

Parimenti il Procuratore Generale ha sottolineato la tendenziale incompatibilità della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria che si presenta incoerente rispetto alle stringenti limitazioni imposte alla circolazione dei soggetti e all’esigenza di assicurare il c.d. distanziamento sociale.

Del pari, con riferimento alle ipotesi di revoca o sostituzione ex art. 299 cpp, lo stato di sovraffollamento nelle carceri e il pericolo di estensione del contagio impone di valutare con accresciuto rigore la permanenza delle condizioni che avevano determinato l’adozione della misura massimamente afflittiva, ferma la necessità di operare un giudizio personalizzato e circoscritto al caso concreto, tenendo conto delle modalità e circostanze del fatto, delle esigenze cautelari da salvaguardare nel caso concreto, dell’effettiva pericolosità della persona soggetta a cautela e delle sue condizioni di salute.

Un tema che può sollevare qualche profilo problematico nella prassi è costituito dalla necessità – prescritta a pena di inammissibilità – di notificare alla persona offesa le istanze di revoca o sostituzione delle misure cautelari concernenti delitti commessi con violenza alla persona (art. 299, comma 3, secondo periodo, cpp).

Non si danno questioni di rilievo laddove la persona offesa sia assistita da un difensore (in tal caso la notifica dell’istanza può agevolmente essere effettuata a mezzo pec); qualche problema sul piano pratico, invece, sorge ove la persona offesa – dotata di domicilio idoneo e facilmente identificabile e priva di difensore – debba essere notiziata a mezzo posta o ufficiale giudiziario. In tal caso le limitazioni agli spostamenti dei soggetti (postini, ufficiali, giudiziari, avvocati) potrebbero porsi in conflitto con la necessità, prevista dalle norme processuali a pena di inammissibilità, della notifica dell’istanza ex art. 299 cpp alla persona offesa.

Anche su tale profilo, forse, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, volto ad introdurre o una semplificazione delle forme di informazione della persona offesa (eventualmente autorizzando l’uso di posta elettronica, anche non certificata con trasmissione dell’istanza posta a carico dell’ufficio giudiziario, onde garantire comunque sufficienti garanzie di effettività della comunicazione) o a sospendere temporaneamente la necessità di tale incombente informativo. 

5. Sempre sulla sospensione dei termini: il problema della sospensione del corso della prescrizione

I vari decreti legge succedutisi nel tempo, dispongono che – per il periodo in cui il procedimento è sospeso (ex lege, nella c.d. prima fase; a seguito dell’adozione dei provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici giudiziari ex art. 83, comma 7, nella c.d. seconda fase) – è sospeso anche il decorso del termine di prescrizione [v. art. 2, comma 3, dl n. 11 del 2020; art. 83, commi 4 e 9, del dl n. 18 del 2020].

Un simile intervento “emergenziale” non è un novum assoluto. In passato il legislatore ha già emanato disposizioni emergenziali volte a sospendere i procedimenti penali, ma anche il decorso del termine di prescrizione (in concomitanza con alcune calamità – naturali e non – che interessavano specifiche zone del territorio nazionale): si allude all’art. 1, comma 1, del dl n. 73 del 2018 (Sospensione dei termini e dei procedimenti penali pendenti dinanzi al Tribunale di Bari); all’art. 49, comma 9 del dl n. 189 del 2016 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016); all’art. 6, comma 9, del dl n. 74 del 2012 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012); all’art. 5, comma 8, del dl n. 39 del 2009 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile).

Con il decreto legge n. 18 del 2020, all’ art. 83, comma 4, il legislatore stabilisce anzitutto che nel periodo di sospensione dei termini di cui al comma 2 (ossia, per effetto della novella di cui al dl n. 23/2020, dal 9 marzo all’11 maggio 2020) è sospeso anche il corso della prescrizione.

Inoltre al comma 9 della citata disposizione, il legislatore dispone che «il corso della prescrizione riman[e] sospeso per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7 lett. g) e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020».

Orbene. La tecnica di individuazione del perimetro della sospensione del decorso del termine di prescrizione suscita alcuni problemi interpretativi.

Con riferimento alla c.d. prima fase il corso della prescrizione è sospeso dal 9 marzo all’11 maggio 2020 [art. 83, commi 2 e 4, dl n. 18 del 2020 e art. 36 dl n. 23 del 2020; ovviamente alla sospensione sono sottratti i procedimenti indicati da comma 3 lett. b) e lett. c)].

Con riferimento alla c.d. seconda fase la formulazione letterale dell’art. 83, comma 9, dl n. 18 del 2020 individua come momento iniziale di sospensione del decorso della prescrizione il giorno in cui l’udienza avrebbe dovuto essere celebrata [ove non fosse stata rinviata, in conseguenza delle misure organizzative adottate dal dirigente ex art. 83, comma 7, lett g)]. Ciò sembra voler dire che – in tali ipotesi (e sempre con le eccezioni previste dal comma 3) – il decorso della prescrizione non è sospeso dal 12 maggio a seguire, ma solo per il periodo che parte dalla data di udienza che è stata rinviata.

Non solleva invece particolari problemi – sebbene siano emerse incertezze anche su tale punto -l’individuazione del momento in cui il termine finale del periodo di sospensione del termine di prescrizione: il corso della prescrizione ri-comincerà a decorrere a far data dal giorno in cui è fissata l’udienza del procedimento che è stato rinviato d’ufficio (o ex lege). Ove l’udienza possa essere fissata solo in un momento successivo al 30 giugno 2020, il termine di prescrizione ricomincerà comunque a decorrere da quella data (30 giugno) e non dal giorno in cui sarà possibile fissare la “nuova” udienza.

Quanto alla seconda fase, sembra da evidenziare dunque che – alla luce del tenore testuale dell’art. 83, comma 9, del decreto legge n. 18 del 2020 –la sospensione del corso della prescrizione non è prevista per tutti i procedimenti penali, ma solo per quelli che abbiano subìto un rinvio di ufficio ex art. 83 del c.d. decreto cura Italia.

Per essere più chiari: immaginando che per un processo penale sia stato (lodevolmente) predisposto un calendario delle udienze, con fissazione di una prima udienza al 24 febbraio 2020 e una seconda udienza al 3 luglio 2020, ebbene, per quel processo, si avrà una sospensione del decorso della prescrizione dal 9 marzo all’11 maggio 2020; ma la prescrizione non risulterà sospesa per il periodo successivo (compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020), considerato che nessun rinvio ex art. 83, comma 7 lett. g), dl n. 18 del 2020 si è reso necessario. Un simile effetto della tecnica normativa utilizzata – limitando la sospensione solo ad alcuni processi – suscita qualche perplessità: è infatti del tutto prevedibile che anche il processo del nostro esempio – come migliaia di altri – subirà dei ritardi in conseguenza della situazione in atto (essendo entrata in fibrillazione tutta la macchina giudiziaria ed essendo conseguentemente prevedibile un radicale sconvolgimento di tutti i ruoli di udienza).

Ma il vero profilo di criticità della previsione della sospensione del corso della prescrizione si annida altrove e, precisamente, sotto il profilo del rispetto del principio di irretroattività della legge penale.

L’art. 83, commi 4 e 9, dl n. 18 del 2020 detta infatti una disciplina della prescrizione come se si trattasse di un istituto di carattere processuale.

Sennonché – come insegna la nota saga Taricco – nell’ordinamento italiano, «il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma», con tutti i corollari che si danno in punto di legalità, tassatività e divieto di retroattività dei trattamenti sfavorevoli: è cioè necessario che il regime legale della prescrizione sia «analiticamente descritto, al pari del reato e della pena, da una norma che vige al tempo di commissione del fatto» [così Corte costituzionale, ord. n. 24 del 2017, punto 4].

Orbene. L’art. 159 c.p. prevede – tra le altre ipotesi – anche la possibilità che il corso della prescrizione possa essere sospeso «in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge».

L’applicazione letterale dell’art. 159 c.p. sembrerebbe dunque tollerare la sospensione del corso della prescrizione in un caso come quello in esame. Ma la domanda che ci si deve porre è, piuttosto, un’altra. È conforme al divieto di irretroattività della legge penale sfavorevole all’imputato l’introduzione di “nuove” cause di sospensione del corso della prescrizione in epoca successiva al fatto di reato commesso (anche ove essa sia disposta per legge)?

È infatti indubbio che l’introduzione di una “nuova” causa di sospensione del corso della prescrizione sia previsione sfavorevole all’imputato; è altresì evidente che – nel caso ora in esame – la nuova causa di sospensione del corso della prescrizione è stata introdotta in epoca successiva a tutti i reati commessi sino al 8 marzo 2020.

In tale prospettiva, i dubbi di legittimità costituzionale ora sommariamente delineati appaiono tutt’altro che manifestamente infondati, essendo ravvisabile una frizione tra la previsione in esame e il divieto di retroattività degli istituti penali sostanziali sfavorevoli (ciò anche alla luce del fatto che la Corte costituzionale – nella sentenza n. 114 del 1994 – aveva esplicitamente evidenziato che anche il regime delle cause di sospensione del corso della prescrizione previsto dall’art. 159 c.p. è sottoposto al principio di legalità cristallizzato nell’art. 25 Cost., dichiarando così infondata una questione di legittimità costituzionale con cui si chiedeva alla Consulta di introdurre – con un intervento additivo in malam partem – un’ulteriore ipotesi di sospensione del corso della prescrizione).

I dubbi di legittimità costituzionale appena segnalati, ovviamente, si accrescono ulteriormente ove si abbia riguardo alla possibilità che il corso della prescrizione sia sospeso «per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020» (ossia per effetto delle misure organizzative che i dirigenti degli uffici giudiziari possono adottare nella c.d. seconda fase compresa tra l’11 maggio 2020 e il 30 giugno 2020). In tale caso, la sospensione del corso della prescrizione è dettata non “dalla legge”, ma “in base alla legge”, che rinvia – per relationem – a provvedimenti che: (i) non sono ancora esistenti al momento dell’adozione della legge; (ii) sono adottabili dai dirigenti degli uffici nell’esercizio di un potere amministrativo che è determinato dalla legge soprattutto sotto il profilo procedurale (l’interlocuzione con le altre autorità), ma disciplinato piuttosto vagamente quanto ai parametri che devono guidare l’esercizio della discrezionalità amministrativa; (iii) non sono nemmeno soggetti ad impugnazione.

E dunque con riferimento alla “seconda fase”, si pongono ancor più pregnanti dubbi di legittimità costituzionale. Al riguardo, vengono nuovamente in mente le parole della Consulta nel contesto della saga Taricco: «il principio di legalità penale riguarda anche il regime legale della prescrizione (…). Le norme di diritto penale sostanziale (…) devono quindi essere formulate in termini chiari, precisi e stringenti, sia allo scopo di consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale, sia allo scopo di impedire l’arbitrio applicativo del giudice» [Corte costituzionale, ord. n. 24 del 2017, punto 5]. Sotto il profilo ora in esame, ovviamente, viene in rilievo non tanto l’arbitrio applicativo del giudice, quanto piuttosto, il rischio che il corso della prescrizione possa essere sospeso per effetto dell’esercizio di una discrezionalità dei dirigenti che appare difficilmente sindacabile (in difetto di parametri di legge chiaramente delineati).

Insomma. Benché non risulti che la Consulta sia mai stata chiamata ad occuparsi delle omologhe previsioni di sospensione del corso della prescrizione in occasione delle precedenti leggi emergenziali, sembra che la previsione dell’art. 83, commi 4 e 9, dl n. 18 del 2020 sia suscettibile di rilievi di illegittimità costituzionale, considerato che sembra trattare la prescrizione come istituto processuale e non sostanziale.

È stato detto che la prescrizione «è un istituto bizzarro», la cui fisionomia non è “costituzionalmente delineata”, «nel senso che i suoi connotati non appaiono né definiti, né in qualche modo postulati dalla Carta fondamentale», con la conseguenza che, in assenza di vincoli di rango costituzionale, resta aperto il campo alla scelta di opzioni squisitamente riservate al legislatore; tuttavia, è stato correttamente osservato che, «al di là di qualsiasi approccio nominalistico, ciò che conta è il concreto atteggiarsi dell’istituto nel sistema, ad evitare possibili “truffe delle etichette”: ma una volta che la scelta di campo ove collocare la prescrizione sia stata compiuta dal legislatore, le conseguenze – stavolta anche sul piano costituzionale – non potranno essere che quelle limpidamente tracciate nella ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017» [così A. Macchia, Prescrizione, Taricco e dintorni, spunti a margine di un sistema da riformare, Questione giustizia trimestrale, n. 1/2017].

6. Le modalità di celebrazione delle attività processuali da remoto

Solo qualche cenno si può svolgere in ordine alle modalità di celebrazione delle attività processuali nel periodo di emergenza epidemiologica. Il decreto legge n. 18 del 2020 prevede che le udienze (anche dibattimentali) relative alle attività non sospese possano essere celebrate a porte chiuse [l’art. 83, comma 12, d.l, 18 del 2020 richiama il dettato dell’art. 472 comma 3 cpp; la decisione di procedere a porte chiuse – che in base a quest’ultima norma compete al giudice – può essere oggetto di una disposizione organizzativa adottata dal dirigente dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 83, comma 7, lett. e) del medesimo decreto.

Ma, soprattutto, il decreto legge introduce significative innovazioni sotto il profilo delle modalità si svolgimento dell’udienza, prevedendo che – in una serie consistente di casi – l’udienza possa essere celebrata «mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto» [per una diffusa analisi delle innovazioni, si rimanda a G. Santalucia, La tecnica al servizio della giustizia penale]. La possibilità di avvalersi di collegamenti da remoto era inizialmente prevista per la celebrazione delle attività processuali “non sospese” che coinvolgessero persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare (art. 83, comma 12).

In sede di esame parlamentare, il maxi-emendamento del governo ha introdotto una serie di ulteriori ipotesi in cui l’attività procedimentale e processuale può essere celebrata con collegamenti da remoto (art. 83, commi 12 bis, 12 ter, 12 quater, 12 quinquies): limitando i riferimenti agli aspetti di interesse per il giudice di merito, si può dare conto del fatto che è prevista la possibilità di procedere con modalità di partecipazione a distanza:

  1. per celebrare le «udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti» (comma 12 bis);
  2. durante le indagini preliminari «per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, nei casi in cui la presenza fisica di costoro non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del virus COVID-19» (comma 12 quater);
  3. per la celebrazione delle camere di consiglio.

Sotto il profilo tecnico, il decreto legge demanda l’individuazione delle piattaforme utilizzabili ad un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (il DGSIA) e richiama alcune (non tutte) previsioni dell’art. 146 bis disp.att.cpp (i soli commi 3, 4 e 5): deve, cioè, essere assicurata la reciproca visibilità tra tutte le persone coinvolte nella videoconferenza (146 bis, comma 3, disp.att.cpp); deve essere possibile per il difensore scegliere se partecipare alla videoconferenza presso l’ufficio giudiziario o presso il luogo ove è custodito l’indagato/imputato e deve – in ogni caso – assicurarsi la possibilità di comunicazioni riservate tra difensore e assistito (146 bis, comma 4, disp.att.cpp).

L’art. 83, comma 12 bis, dl n. 18 del 2020 [introdotto dal maxi-emendamento] impone che l’udienza celebrata con le modalità della videoconferenza sia condotta con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti.

Al di là di varie tecnicalità relative alle forme di comunicazione dell’avviso di fissazione udienza in modalità videoconferenza (su cui v. il comma 12 bis, terzo periodo), qui occorre svolgere alcune brevi notazioni ulteriori.

La prima notazione ha ad oggetto i “luoghi” dai quali possono connettersi alla videoconferenza gli attori processuali:

  1. l’indagato/imputato, se detenuto, partecipa alla videoconferenza dal luogo di detenzione (art. 83, comma 12); se custodito presso le camere di sicurezza della polizia giudiziaria in attesa della celebrazione dell’udienza di convalida dell’arresto, egli si deve connettere dall’ufficio di polizia (art. 83, comma 12); se custodito in uno dei luoghi previsti dall’art. 284 co. 1.cpp, l’interessato partecipa alla videoconferenza «anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile» (art. 83, comma 12 bis); se soggetto a misure cautelari non custodiali o se libero, l’interessato partecipa alla videoconferenza «solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore» (art. 83, comma 12 bis); in caso di soggezione a misure privative della libertà, l’identità dell’indagato/imputato è attestata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente presso l’ufficio da cui ci si connette in videoconferenza; in caso di imputato libero, invece, l’identità è attestata dal difensore (che, dunque, sul punto assume un potere certificativo); indicazioni analoghe sono dettate dal comma 12 quater per i casi di assunzione di atti delle indagini preliminari in videoconferenza;
  2. i magistrati (requirente e giudicante) – stando alle previsioni introdotte con il maxi-emendamento – possono partecipare alla videoconferenza anch’essi da remoto (e senza recarsi presso l’ufficio giudiziario); tale conclusione si ricava dal fatto che il decreto legge prevede che il cancelliere – oltre a dover dare atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni – debba dare atto, quando se ne presenti l’eventualità, «dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale, o di vistarlo, ai sensi dell'articolo 483, comma 1, del codice di procedura penale» (comma 12 bis, ultimo periodo). Il riferimento al visto del presidente impone di ritenere che il decreto legge preveda la possibilità che anche il giudice lavori da remoto [nello stesso senso, v. G. Santalucia, La tecnica,]. La conclusione è ulteriormente avvalorata dal fatto che il comma 12 quinquies – laddove disciplina lo svolgimento delle camere di consiglio – prevede che «nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell'emergenza sanitaria». Il che implica, evidentemente, che quei magistrati stiano lavorando da remoto;
  3. lo stesso ausiliario del giudice può, a sua volta, lavorare da remoto, laddove il dirigente dell’ufficio così abbia disposto nell’esercizio del potere di adottare misure organizzative volte al contenimento del rischio epidemiologico; in sede di maxi-emendamento è stata infatti introdotta un’ulteriore misura organizzativa (lett. h bis) che prevede la possibilità di disporre «lo svolgimento dell'attività degli ausiliari del giudice con collegamenti da remoto tali da salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti». Tale previsione – evocando gli ausiliari del giudice senza specificazioni – può essere applicata anche ai cancellieri.

La previsione di un massiccio ricorso alla celebrazione di incombenti processuali ha sollevato forti perplessità in parte dell’avvocatura (si vedano alcune prese di posizione dell’Unione Camere Penali Italiane), preoccupazioni nell’accademia (si veda quanto rilevato dall’Associazione tra gli studiosi del processo penale) e in parte della magistratura associata (si veda il comunicato di Magistratura democratica su I rischi dell’udienza telematica).

Non è qui possibile operare valutazioni di ampio respiro; né è questa la sede per ragionare su cosa siano diventati oggi i principi di oralità e immediatezza nel processo penale [principio di immediatezza che, talora, rischia di risolversi in un «mero simulacro», per usare le parole di Corte costituzionale, sent. n. 132 del 2019].

Nella fase attuale [che (è bene ricordarlo) comunque non dovrebbe protrarsi oltre il 30 giugno 2020], le scelte del legislatore risultano forse inevitabili perché necessariamente tese ad assicurare il contenimento del rischio epidemiologico senza determinare la completa paralisi dell’attività giudiziaria. Tuttavia, le perplessità e le preoccupazioni da più parti segnalate non appaiono del tutto peregrine, essendo in questa fase imposto un serio sacrificio all’oralità (e a tutti i valori che ad essa sono connessi) e alla possibilità di contatto tra accusato e giudice. Non è indifferente che una persona arrestata partecipi all’udienza di convalida in un’aula di udienza o nell’ufficio della polizia giudiziaria che lo ha appena tratto in arresto; né è indifferente che – come la recente storia giudiziaria tragicamente insegna – un giudice possa avere un contatto diretto e attento con l’arrestato; né è indifferente che tutti i protagonisti dell’udienza abbiano una possibilità di agile interlocuzione, che non si può nutrire delle sole frasi veicolate dalla telematica.

Vengono in mente le – come sempre affascinanti – parole di Cordero a proposito del dibattimento: «scena pubblica: la governa il presidente (…); l’interno segnala una dialettica accusatoria; pubblico ministero e difensori siedono allo stesso livello, davanti ai giudici. Considerato in chiave antropologica, è teatro e “mistero” (…); gli attori vi celebrano cose fuori dal mondo profano e anche sul piano giuridico l’atto richiede un luogo separato. Riuscirebbe alterato in piazza, oppure sotto l’occhio cinematografico o televisivo (…); e quella pupilla meccanica modifica l’avvenimento, influendo sugli attori» (…). Hanno un costo emotivo, i dibattimenti: e il luogo conta molto nell’economia psichica; non è lo stesso stare nell’aula o in piazza. Sono rilievi antropologicamente ovvi: i processi implicano tempo e spazio separati, ossia sacri» [Cordero, Procedura penale, Milano, 8^ed., 929, 931].

Ma, si diceva, il ricorso alla telematica – per questa fase emergenziale (e non oltre il 30 giugno 2020) – è forse inevitabile. Solo dopo si potrà ragionare sul se – e come e per quali attività e con che limiti – introdurre la modernità nel processo penale, senza comunque rinunciare alla ricchezza delle udienze che consentono alle parti ed al giudice di avere un contatto diretto tra loro.

7. Una chiosa finale

Non vi è più spazio per trattare in questa sede di cosa avverrà nella c.d. seconda fase (dall’11 maggio 2020) e nella terza fase che, auspicabilmente, dovrebbe essere quella del ritorno alla normalità. L’emergenza COVID-19 ha comportato uno stravolgimento dei ruoli di tutti i magistrati penali e determinato l’accumularsi di una quantità di lavoro che difficilmente gli uffici giudiziari potranno affrontare con l’incisività che sarebbe necessaria per offrire a ciascuno una piena garanzia dei diritti.

Sarà un’operazione complessa che richiederà risorse; che ci chiederà di fare scelte; di mappare l’arretrato; di mettere in dialogo tra loro uffici giudiziari (lungo la filiera che, dalle procure della Repubblica, passando attraverso i Tribunali e le Corti di appello, giunge all’esito di una decisione irrevocabile); di coinvolgere l’avvocatura nel dialogo (e, perché no?, anche in alcune scelte); di adottare – come inevitabile – criteri di priorità (auspicabilmente all’esito di percorsi largamente partecipati da tutti gli attori del sistema giustizia). Ma – si diceva – non è possibile trattarne in questa sede.

Ci si limita allora ad una chiosa finale che vorrebbe restituire il “senso” di questo contributo. Nella trattazione che precede si è tentato faticosamente di redigere una mappa delle questioni che la normativa legata all’emergenza COVID-19; con esse, inevitabilmente, ciascun operatore del diritto è, già oggi, chiamato a confrontarsi.

Si è tentato di stilare un elenco dei dubbi interpretativi (alcuni dei quali, per il vero, risolvibili solo dal legislatore), dei rischi connessi all’udienza telematica, delle possibili frizioni con il dato costituzionale (si allude alla sospensione dei termini massimi di durata delle misure cautelari, disposto con portata retroattiva per il periodo 9-17 marzo 2020, come esposto al paragrafo 1.1.; alla sospensione del decorso dei termini di durata delle misure cautelari in relazione alla c.d. seconda fase, tra l’11 maggio e il 30 giugno 2020, come evidenziato al paragrafo 1.2; alla sospensione del corso della prescrizione per i fatti commessi in data anteriore al 9 marzo 2020, come evidenziato al paragrafo 5).

L’analisi interpretativa qui svolta non ha avuto la pretesa di avanzare dubbi pretestuosi. Si è tentato solo di ricordare come – anche in tempi di emergenza – si debba coltivare lo sforzo della razionalità tecnica e la tutela dei principi costituzionali.

[**] Luca Fidelio, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino
Andrea Natale, giudice presso il Tribunale di Torino

16/04/2020
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