Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

È possibile applicare gli arresti domiciliari in altro Paese dell'UE?

di Andrea Natale
giudice del Tribunale di Torino

Segnaliamo un recente contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità relativo alla possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro paese dell’Unione europea

In attesa di tornare sul tema con commenti più approfonditi, questa Rivista ritiene utile segnalare ai lettori l’emersione di un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità relativo alla possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro paese dell’Unione europea.

Due recenti decisioni offrono infatti alla questione risposte simmetriche.

Il necessario punto di partenza è dato dal testo del decreto legislativo n. 36 del 2016 [Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione Quadro 2009/828/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare].

Con il decreto legislativo in parola si intende dare corpo al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, ivi comprese quelle in materia cautelare. Stando al dato letterale cristallizzato nell’art. 4 d. lgs. n. 36 del 2016, le previsioni del decreto legislativo si applicano «alle seguenti misure cautelari: (a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un'audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; (b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; (c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; (d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; (e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; (f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; (g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali».

Altre previsioni del decreto legislativo n. 36 del 2016 si occupano poi di delineare gli aspetti procedurali e i rapporti tra lo Stato di emissione e lo Stato di esecuzione della misura cautelare e di tratteggiare le condizioni in presenza delle quali può essere o non essere accordato il riconoscimento alla decisione cautelare. Occorre mettere in rilievo che – allorché una decisione cautelare emessa in Italia abbia “riconoscimento” in altro Paese dell’UE - l’autorità giudiziaria italiana «non è più tenuta all'adozione dei provvedimenti necessari alla sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni impartiti» [di cui deve farsi carico lo Stato di esecuzione, fatte salve alcune ipotesi esplicitamente previste]; fermo il fatto che resta invece in capo all’autorità giudiziaria italiana «la competenza a decidere in ordine alla proroga, alla revoca della decisione sulle misure cautelari, alla modifica degli obblighi e delle prescrizioni imposti e all'emissione di un mandato di arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva avente medesima forza» [art. 8, comma 3, d.lgs. n. 36 del 2016].

Il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità verte sull’interpretazione del già citato art. 4 del decreto legislativo n. 36 del 2016. Secondo Cass. Pen., 3^ sez., sentenza n. 26010 del 29.4.2021 (dep. 8.7.2021), «l’art. 4 d.lgs. n. 36/2016 si riferisce chiaramente ed esclusivamente alle misure cautelari non detentive; in particolare, la lettera c) si riferisce all’obbligo di dimora, che prevede anche la possibilità di imporre l’obbligo di non allontanarsi dal domicilio in determinate ore del giorno».  Di qui «l’impossibilità giuridica di concedere gli arresti domiciliari all’estero».

Opposta la risposta alla questione che si propone in Cass. Pen., 4^ sez., sentenza n. 37739 del 15.9.2021 (dep. 20.10.2021). Si anticipa subito la conclusione raggiunta dalla quarta sezione penale: «il giudice non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria – ivi compresa quella degli arresti domiciliari – sul mero presupposto dell’assenza di un indirizzo di esecuzione sul territori nazionale, perché la disponibilità di un indirizzo presso altro Stato dell’Unione, in cui l’interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un indirizzo in Italia».

La conclusione è formulata all’esito di un ricco e articolato impianto motivazionale che qui è possibile solo schematizzare.

Il ragionamento della quarta sezione prende le mosse dal rilievo attribuito nell’ordinamento UE al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e, per quanto qui di interesse, al reciproco riconoscimento «delle decisioni sulle misure alternative alla “detenzione cautelare”», oggetto della Decisione Quadro 2009/828/GAI del Consiglio dell’UE del 23 ottobre 2009.

La Corte valorizza diversi dei consideranda introduttivi della decisione quadro; in particolare la Corte ricorda come che «l’obiettivo della decisione quadro “è la promozione, ove opportuno, del ricorso a misure non detentive come alternativa alla detenzione cautelare, anche quando, a norma della legislazione dello Stato membro interessato, la detenzione cautelare non potrebbe essere disposta ab initio”» [considerando n. 4]; il tutto nel necessario contemperamento tra le esigenze di protezione dei cittadini (per un verso) e di rafforzamento delle garanzie e delle libertà delle persone sottoposte ad indagini (per altro verso). Tra i consideranda che – nell’economia motivazionale della decisione qui presentata – riveste particolare rilievo il considerando n. 5.

Il considerando n. 5 pone in evidenza che un ulteriore obiettivo perseguito con la Decisione Quadro 2009/828/GAI è quello di evitare «disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo»; la possibile disparità di trattamento è data dal fatto che «la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe». Rischio che – prosegue il considerando n. 5 – occorre contenere: «in uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente».

I predetti consideranda – in una prospettiva di interpretazione del diritto interno in modo conforme al diritto UE – portano la Corte a ritenere che il sintagma «detenzione cautelare» (adottato nella Decisione Quadro 2009/828/GAI e usato in modo necessariamente generico, trattandosi di decisione che deve armonizzare una pluralità di ordinamenti nazionali) debba intendersi riferito alla sola condizione di detenzione in carcere. Solo in tal modo si assicura il perseguimento dell’obiettivo fissato nella decisione quadro: «se si ritiene che per “detenzione cautelare” si intenda la solo la misura della custodia in carcere, siffatta discriminazione non si realizza, posto che viene consentito che qualsiasi misura diversa dalla detenzione carceraria (….) sia eseguita nello Stato dell’Unione ove l’interessato ha la residenza. E ciò esprime proprio il risultato perseguito dalla citata Decisione Quadro, perché evita la discriminazione fondata sulla residenza, anche nel caso in cui la misura “adeguata” sia quella degli arresti domiciliari» [Cass. Pen., ., 4^ sez., sentenza n. 37739 del 15.9.2021 (dep. 20.10.2021), considerato in diritto 15.4].

Del resto – osserva la Corte di cassazione – la misura degli arresti domiciliari può essere ricondotta ad almeno una delle ipotesi considerate dal decreto legislativo n. 36 del 2016 con cui si è data attuazione nel nostro ordinamento alla decisione quadro; si allude alla disposizione con cui si prevede che il mutuo riconoscimento delle decisioni cautelari avvenga anche per quei provvedimenti che impongano «l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite» [art. 4, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 36 del 2016]. 

Con l’ulteriore precisazione – opportunamente evidenziata dalla Corte – che l’accertamento di eventuali violazioni della misura degli arresti domiciliari eseguiti in altro Paese dell’UE non sarebbe privo di conseguenze e non frustrerebbe pertanto la necessaria tutela delle esigenze cautelari: in caso di violazione degli obblighi, infatti, le autorità dello Stato di esecuzione dovrebbero informare l’autorità giudiziaria italiana «senza indugio» [art. 19 §3 della decisione quadro] e quest’ultima potrebbe assumere le conseguenti determinazioni in ordine alla adeguatezza della misura sino ad allora in essere [essendo integra la competenza dell’AG italiana «in ordine alla proroga, alla revoca della decisione sulle misure cautelari, alla modifica degli obblighi e delle prescrizioni imposti e all'emissione di un mandato di arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva avente medesima forza»; art. 8, comma 3, d.lgs. n. 36 del 2016].

In ragione di questo approdo interpretativo euro-unitariamente orientato – per cui il concetto di “detenzione cautelare” si riferisce alla sola custodia in carcere e non alla misura degli arresti domiciliari, con conseguente possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro Paese UE – la Corte di cassazione ritiene non necessario sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione (secondo i principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE a partire dalla nota sentenza Cilfit), aggiungendo che – ove invece si dovesse giungere ad una diversa lettura – si renderebbe necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 11, 117 Cost. (posto che la diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’obiettivo del mutuo riconoscimento delle decisioni e con l’obiettivo antidiscriminatorio perseguito dalla decisione quadro).

La decisione della Corte qui sintetizzata abbraccia una nozione di “detenzione cautelare” (da cui vengono esclusi gli arresti domiciliari) che sembra scontrarsi con un dato del codice di rito (v. art. 284, comma 5, c.p.p.). Tuttavia, quest’ultima previsione è funzionale ad ampliare il perimetro di garanzie della persona sottoposta a misura cautelare e non sembra poter essere utilmente impiegata per sterilizzare il dovere di interpretazione conforme della normativa interna rispetto al diritto UE che grava sull’autorità giudiziaria italiana. Si tratta di un dovere di interpretazione conforme che la Corte di cassazione – nella sentenza n. 37739 del 15.9.2021 (dep. 20.10.2021) – àncora su persuasive basi testuali che sembrano coerenti rispetto agli obiettivi – anche antidiscriminatori – perseguiti con la Decisione Quadro 2009/828/GAI.

Certamente – ove dovesse prevalere l’indirizzo interpretativo appena sintetizzato – si porranno problemi operativi di primario rilievo (dovendo il giudice chiedersi se, per esempio, nello Stato di esecuzione, siano praticabili o meno gli arresti domiciliari con dispositivi di sorveglianza elettronica o, ancora, comprendere lo stato di attuazione della Decisione Quadro 2009/828/GAI in uno specifico Paese).

Ma si tratta di problemi operativi che debbono essere considerati partendo dal punto di vista del necessario rispetto del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Anche in materia cautelare.

Non è un fuor d’opera – in presenza di una posta in gioco così “alta” e di un contrasto di decisioni così netto – auspicare un intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

29/10/2021
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