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Digitalizzazione e processo penale *

di Benedetta Galgani
Professore di diritto processuale penale, Università di Pisa

Ben prima ed indipendentemente dalle sollecitazioni venute dalla crisi pandemica, il nostro processo penale avrebbe meritato di essere maggiormente “ripensato” alla luce delle molteplici potenzialità messe a disposizione dall’evoluzione tecnologica. Il momento, infine, è adesso, e richiede l’apporto consapevole e propositivo da parte di tutti gli stakeholders.

1. I “termini” della materia

Non vi è dubbio che quello di Digitalizzazione e processo penale sia un titolo ambizioso, un titolo che promette molto più di quanto sia possibile “disegnare” in pochi e rapidi tratti.

Con tutta l’assertività del caso, non possiamo fare a meno di porre una proposizione a premessa del nostro ragionamento, e di soffermarci su una questione di ordine per così dire “linguistico”, solo in apparenza dalla funzione puramente estetica.

Tra le scienze umane il diritto processuale, e dunque anche il diritto processuale penale, è quella naturaliter più vocata ad accogliere l’ingresso dell’informatica … del resto, basterebbe pensare alla circostanza per cui lo stesso codice di rito è strutturato alla stregua di vera e propria rete, e il procedimento penale è di per sé un “flusso di lavoro”, un flusso di informazioni ontologicamente predisposto alla modellazione in linguaggio matematico.

Quanto, invece, alla precisazione linguistica, mentre sono a tutti note le radici etimologiche del termine “digitale”, da ricercarsi nell’inglese digit che sta appunto per “cifra numerica”, è invece rimasta del tutto nell’ombra un’altra distinzione semantica – anch’essa rinvenibile nel vocabolario angloamericano – che intercorre tra digitization e digitalization.

È proprio in questo distinguo che, a mio parere, è possibile rintracciare il miglior ritratto di ciò che è – ancora e allo stato – la gestione informatica del processo penale nel nostro ordinamento, e di ciò che, invece, dovrebbe essere lo scenario auspicabilmente prossimo.

Col primo termine, quello di digitization, si qualifica la mera rappresentazione di oggetti analogici in formato digitale (si digitalizzano, insomma, le informazioni[1]), mentre col secondo, quello di digitalization, si allude alle mutazioni, alle trasformazioni e alle ristrutturazioni dei “flussi” di volta in volta presi in esame grazie all’uso delle tecnologie digitali e dei dati digitalizzati (in questo caso ad essere digitalizzata, e dunque trasformata, è la procedura nel suo insieme, la sua organizzazione ecc.)[2].

Ebbene, se questo è vero, è incontestabile che per un lungo arco di tempo il cammino del nostro ordinamento processualistico si sia attestato (o, meglio sarebbe dire, si sia arrestato…) al primo stadio, quello, insomma, della mera “alfabetizzazione informatica”[3].

Di fatto, l’idea guida è stata quella di limitarsi a trasporre alcuni “oggetti analogici” – vale a dire certi istituti presenti nella trama codicistica – in una logica binaria. Tali e quali. Concepiti e disciplinati in ragione del rapporto di esclusività con la tecnologia imperante al momento della redazione del codice – la carta come unico veicolo di scrittura – quegli istituti sono stati sic et simpliciter tradotti in una sequenza di bit. Al riguardo, gli informatici sono soliti utilizzare un’immagine molto efficace come quella dell’“elefante trasposto in formato digitale” ed una chiara esemplificazione di questa modalità di replicare l’esistente, la si può agevolmente rintracciare nell’informatizzazione dei registri penali di cancelleria, la cui strutturazione “a voci obbligate” facilitava di per sé un passaggio, come si dice, as is.

Ma, al netto di una fisiologica fase di “convivenza” tipica di ogni transizione verso il digitale (si pensi, da ultimo, all’attuale morfologia dell’archivio delle intercettazioni che, al di là dell’archivio digitale vero e proprio, si sdoppia in archivio Tiap ed in archivio documentale[4]), ciò che tocca osservare con peculiare riferimento al plesso giurisdizionale penale, è qualcosa di altro e di diverso: siamo, infatti, tuttora dinanzi alla mera giustapposizione di una dimensione fisica predominante ad una dimensione digitale (residuale e mal tollerata), giustapposizione che in quanto tale crea disparità trattamentali e stalli garantistici tutt’altro che ineluttabili.

Ne risulta una specie di “ircocervo”, una strana creatura (in questo caso nient’affatto mitologica…) che stenta, e non poco, a trasformarsi in un “giusto processo telematico” (per riprendere qui l’espressione coniata dal CSM nell’ambito delle sue relazioni sullo stato della giustizia penale telematica)[5].

 

2. La prolungata assenza dell’accademia e le sue (tangibili) ricadute

La responsabilità di questo stato di cose – tocca ammetterlo – non è tanto (o quantomeno non soltanto) delle difficoltà materiali e politiche pure derivanti dal difetto di una governance unitaria del processo di innovazione tecnologica e da una gestione bicefala come quella che la nostra stessa Costituzione rimette, da una parte, al Ministero della Giustizia e, dall’altra, all’organo di autogoverno e al corpo magistratuale nel suo complesso) ma anche della lunga latitanza, se non della vera e propria riluttanza, del dibattito accademico rispetto al tema de quo[6].

Sì, perché la comunità scientifica, mentre ha presto accettato di fare i conti con una metamorfosi della grammatica delle prove ingenerata dal ricorso sempre più frequente alle scienze informatiche nei casi di investigazione e di accertamento su dati “immateriali”, tuttora fa una certa fatica a confrontarsi con il profilo stricto e lato sensu documentale della tecnologia nel processo penale, magari ritenendolo meramente “descrittivo” e in quanto tale meno solenne, meno “determinante” e/o destabilizzante.

Era pressoché fatale, dunque, che proprio un’informatizzazione così giocata “al ribasso” – un’informatizzazione unilateralmente abbozzata che non ha beneficiato, da parte della riflessione scientifica, della curiosità invece rivolta alle nuove tecnologie come strumento di analisi e di giudizio eventualmente in grado di agevolare il processo decisionale umano[7] – entrasse in rotta di collisione, in prima battuta, con il principio di legalità processuale nelle sue plurime sfaccettature.

Altro avrebbe dovuto essere l’approccio: innanzitutto, ci si sarebbe dovuti guardare dall’accontentarsi del “millefoglie giuridico” che costituisce, allo stato, la disciplina concreta del PPT: essa rinviene le sue fondamenta in un testo, il Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni) a tutt’altri fini realizzato ed i cui “principi generali” trovano implementazione (anche) nel processo penale per mezzo del d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, che è un regolamento di natura spiccatamente amministrativa, comunemente indicato con il sintagma “regole tecniche”, che a loro volta legittimano l’adozione delle cc.dd. “specifiche tecniche”.

È di tutta evidenza come questo modus procedendi sovverta significato e valore ascrivibili alla gerarchia delle fonti, veicolando il messaggio, errato, di un’adesione passiva alla dimensione stipulativa delle tecnologie oltre che una visione, se non unilaterale, certo istituzionalmente meno “sensibile” ad intercettare e recepire tutte le istanze in campo.

Dinanzi a queste randomiche (eppure sempre più frequenti) etero-integrazioni del codice ad opera di una sorta di “manuale operativo” che inevitabilmente allontana la legge processuale dal suo archetipo di luogo di garanzie; dinanzi, ancora e soltanto ad esempio, alla prospettazione di un “documento informatico” (nativo o meno che sia) che catapulta l’atto processuale penale in un’orbita giuridica diversa da quella cui siamo abituati, disegnata intorno alla generazione fisica e alla fisica fruizione degli atti, non sembra ulteriormente rinviabile un riposizionamento delle categorie e dei modelli legali di riferimento alla luce delle nuove potenzialità tecniche.

Occorre muovere, insomma, ad una condivisa rivisitazione dei requisiti formali dell’atto processuale, delle difformità eventualmente censurabili alla stregua di vizi e delle conseguenze a questi ricollegabili[8].

Peraltro, a conferma della necessità di rinsaldare il design legale delle disposizioni relative alla nostra giustizia telematica, possono altresì addursi le suggestioni ricavabili dall’ultimo report Cepej, pubblicato il 22 ottobre 2020[9]. Nel passare in rassegna le diverse ipotesi di «bringing a case to courts by electronic means; requesting legal aid by electronic means; transmitting summons to a judicial meeting or a hearing by electronic means » o, ancora, di avvalersi di «electronic communication between courts and lawyers and/or parties; electronic communication with professionals other than lawyers; videoconferencing between courts, professionals and/or users; the recording of hearings or debates; submission of electronic evidences» come allo stato disponibili in ciascuno dei 47 sistemi giudiziari posti sotto lente d’ingrandimento, ad emergere è, infatti, una corrispondenza abbastanza nitida tra fruttuosa diffusione degli strumenti ICT ed adeguata cornice legislativa[10]

Diversamente, finché ci si affiderà ad interventi normativi estemporanei e per di più slegati da una visione organica del processo penale come una “catena di valore” end-to-end, come un’unica “filiera” da digitalizzare, continueranno a profilarsi “corto circuiti” e così ad alimentarsi due inconvenienti: per un verso, le fughe in avanti di taluni dirigenti degli uffici che, per quanto spesso encomiabili nella ricerca di inedite forme di equilibrio tra intenti di razionalizzazione e buon senso, vanno comunque a detrimento dell’omogeneità sul territorio delle garanzie e delle tutele da approntarsi[11]; per l’altro, il timore che la tutela dell’accertamento giurisdizionale in sé e di coloro che vi partecipano rimanga per così dire “ostaggio” degli strumenti informatici e dei desiderata dei cc.dd. tech giants[12].

Non deve stupire, pertanto, che anche a seguito di quella che non senza toni enfatici è stata definita la “svolta informatica” impressa al processo penale dal legislatore pandemico, ci si sia ritrovati, ancora una volta, a dibattersi nel groviglio di questioni interpretative che muovono da quell’originario “labirinto normativo” su cui si vanno innestando le novità che – quand’anche meritevoli di plauso in sé – sono destinate a “collassare” sotto il peso della mancanza di una visione d’insieme, di un sistema che effettivamente possa dirsi tale[13].

Basti por mente, a titolo di esempio, alla declaratoria di inammissibilità che ha subito investito l’impugnazione presentata a mezzo pec sulla scorta dell’ampia formulazione del novello art. 24 co 4 d.l. n. 137/2020 (c.d. “decreto ristori”)[14]: a ragione il Supremo Collegio si è fatto guidare, più che da un’interpretazione che potrebbe definirsi inutilmente formalistica o restrittiva della littera legis, dall’intento di censurare il deficit di legalità che complessivamente attinge la materia e di riaffermare un bisogno di forme, e di tutela dell’affidamento nelle medesime, che non può essere affidata né alla funzione nomopoietica della DGSIA[15], né a letture aleatoriamente ispirate al buon senso od alla peculiarità del contesto storico[16].

Oppure, ancora, si rifletta sulla situazione di “incompatibilità” che è venuta subito a determinarsi tra la stessa previsione dell’art. 24 comma 4 d.l. n. 137/2020 – laddove stabilisce che l’atto da depositare debba provenire da una casella di posta inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del già citato d.m. 44/2011 – e la possibilità, per l’imputato, di presentare personalmente l’impugnazione. Già solo a questo primo “stadio” normativo, la legittimazione che l’art. 571 comma 1 c.p.p. riconosce in capo all’imputato quale «impugnante par excellence»[17] ed in deroga al canone della rappresentanza legale[18], rischiava di rivelarsi del tutto velleitaria nella misura in cui, come noto, il c.d. ReGIndE non contempla gli indirizzi di posta elettronica certificata dei privati, ma soltanto quelli dei «soggetti abilitati» tra i quali si annoverano i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti per legge[19]. Senza colpo ferire, da ultimo, la tutt’altro che anodina “opera” di “sottrazione” è stata portata a termine dalla legge di conversione del “decreto ristori” ove, al comma 6-ter dell’art. 24, ci si è limitati a prevedere che «l’impugnazione è trasmessa tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».

 

3. The named present

In definitiva, non c’è in queste brevi note alcuna volontà di promuovere il processo penale paperless alla stregua di un “talismano”, extravagante e fine a se stesso[20].

C’è, semmai, la convinzione che processo penale e digitalizzazione – anche dal punto di vista di questa partizione (seppur fittizia[21]) tutta incentrata sul versante per così dire “documentale” – siano “entità” (ancora) inconciliate, ma non inconciliabili, e che proprio da un impiego meno sporadico ed improvvisato di questo “nominabile attuale”[22] possano derivare benefici effetti di “sistema”, discenderne insomma un’architettura processuale più snella e garantita per tutte le parti in gioco, in grado, persino e paradossalmente, di contenere taluni degli effetti distorsivi e delle “flessioni” di garanzie imputate ad una “remotizzazione” dell’attività processuale da più fronti giudicata ultronea come quella messa in campo dalla recente decretazione d’urgenza.

Lo dico con un’iperbole che sa di ossimoro: una “dose maggiore di tecnologia” può, a certe condizioni e in certi ambiti, contribuire a contrastare le “torsioni” garantistiche per l’appunto derivanti da un uso non adeguatamente ponderato di tecnologia.

Si pensi alla possibilità (ormai realizzabile a costi davvero irrisori) della riproduzione audiovisiva come forma ordinaria di documentazione in fase di indagini preliminari: si muove proprio in questa direzione il ddl 1709 presentato al Senato nel febbraio 2020[23], ove si ipotizza di riformulare l’art. 141-bis c.p.p. in modo che ogni assunzione fuori udienza delle dichiarazioni rese dall’indagato, dalla persona offesa e dalla persona informata sui fatti sia «documentata integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva, con redazione del verbale in forma riassuntiva e trascrizione della riproduzione disposta se richiesta dalle parti». Ebbene, un’opzione di questo genere sarebbe funzionale non soltanto a scoraggiare gli eventuali comportamenti abusivi integrabili nell’“affanno” investigativo di ottenere fonti di prova e di individuare responsabili ma, per restare al qui ed ora, potrebbe contribuire a ridurre lo scetticismo nei confronti degli stessi atti di indagine assunti dal pubblico ministero o dalla p.g avvalendosi dei collegamenti da remoto secondo quanto da ultimo previsto (anche) dal d.l. n. 137/2020[24] e caldeggiato dalle più recenti Linee guida dell’organo di autogoverno[25].

Ancora: se quel fascicolo informatico di cui si fa vago cenno all’art. 9 del d.m. 44/2011 fosse realtà, e non rivestisse invece le sbiadite quanto ancora del tutto eventuali sembianze di un fascicolo “tiappizzato” che, come confermato a chiare lettere dal Supremo Collegio[26], è e resta una sorta di “fascicolo di cortesia” rispetto a quello ufficiale e cartaceo – non sarebbe stata forse accolta con minor disagio la previsione di una camera di consiglio “diffusa” (art. 23 comma 9 d.l. n. 137/2020[27]) che, anche e soprattutto a causa dell’indisponibilità del materiale d’udienza da parte di tutti i giudici, si è detto incentivare il “gigantismo del relatore”, ed attentare alla collegialità effettiva della deliberazione?

Di sicuro, non è più tempo di sottrarsi a questo tipo di confronto.

Il rischio, altrimenti, è quello, più che attuale, di rimanere “fuori” dall’ideazione e dalla costruzione di “mappe” di un mondo che comunque già c’è[28].

In proposito, sarebbe sufficiente volgere lo sguardo al pressing a favore della c.d. e-justice o, meglio, della c.d. cyberjustice che permea la Grande e la Piccola Europa dagli anni Ottanta del XX secolo e che anche di recente ha ricevuto un’importante spinta propulsiva ad opera di un documento il cui titolo[29] – giova evidenziarlo per coerenza con le notazioni semantiche poste in apertura di queste riflessioni – è il seguente: Digitalisation of justice in the European Union. A toolbox of opportunities[30].

Una volta rimarcato come l’accesso alla giustizia da un lato, e la facilitazione della cooperazione tra gli Stati dall’altro, siano tra gli obiettivi principali dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia consacrato dal Trattato sul funzionamento dell’UE, l’Esecutivo europeo si propone un obiettivo ambizioso («further digitalising public justice services, promoting the use of secure and high-quality distance communication technology (videoconferencing), facilitating the interconnection of national databases and registers, and promoting the use of secure electronic transmission channels between competent authorities») e nel farlo descrive un approccio inedito alla digitalizzazione nell’ambito della giustizia, un approccio che viene testualmente definito come «globale». Difatti, non soltanto le misure ricomprese nel “pacchetto di strumenti” dei quali la comunicazione governativa fornisce dettagliato elenco[31] si muovono su ambiti materiali distinti eppure tutti sinergicamente correlati, ma, soprattutto, la loro adozione risulta concepita in funzione di una crescita finalmente omogenea ed uniforme – in punto di soluzioni digitali – dei diversi sistemi giudiziari domestici.

Dunque, a prescindere dal fatto che la gran parte delle previsioni nazionali poco sopra randomicamente menzionate siano destinate ad operare soltanto fino alla scadenza del termine dello stato di emergenza sanitaria (per adesso fissato al 31 gennaio 2021[32]), non è ulteriormente procrastinabile il momento in cui gli studiosi del processo penale, abbandonando l’atteggiamento retrotopico che sembra averli in gran parte dominati finora, si impegnino ad “indirizzare” le tendenze che la crisi epidemiologica ha accelerato nel loro (comunque ineludibile) manifestarsi, in modo da poter rintracciare nell’applicazione delle nuove tecnologie al processo penale non solo e non tanto un’ingovernabile “fonte di rischio” per i capisaldi della giurisdizione nel cono dei valori costituzionali, quanto, e piuttosto, un moltiplicatore di opportunità per una loro (più) effettiva realizzazione[33].

Occorre, in sostanza, tenere fermo il “classico” e avere il coraggio di rivisitarne talune forme: nessuna adesione acritica al passato solo perché passato ed idealtipico, così come nessuna cessione fideistica al soluzionismo tecnologico e tecnocratico.

Si ampli piuttosto la prospettiva e si pensi, ad esempio, alla ricchezza delle opere di Igor Mitoraj: diversamente dal Canova che è il classico puro, sereno eppur privo di anima, lo scultore e pittore polacco è stato felicemente definito come “il più antico dei moderni”, il classico fruttuosamente contaminato dalla modernità[34].

 

[1] Si pensi, per stare ad esempi (purtroppo) di ordinaria quotidianità, al passaggio dal termometro a mercurio al termometro digitale: quest’ultimo, attraverso il proprio sensore, registra un certo valore di temperatura che corrisponde a una certa sequenza di 0 e di 1, sequenza che viene poi tradotta in gradi sul display.

[2] Per la traduzione letterale dei due lemmi si è fatto riferimento all’Oxford English Dictionary (https://www.oed.com/). Cfr. altresì J. Bloomberg, Digitization, Digitalization, And Digital Transformation: Confuse Them At Your Peril, in forbes.com, 29 aprile 2018; C. Chapco-Wade, Digitization, Digitalization, and Digital Transformation: What’s the Difference?, in http://medium.com, 21 ottobre 2018.

[3] Con la consueta lucidità e perspicacia parlava di «analogismo tecnologico» P. Liccardo, Ragione tecnologica e processo: ovvero delle ere del processo telematico, in questa Rivista, 2015, n. 4.

[4] Cfr. L. Giordano, Archivio delle intercettazioni (PPT), in ilProcessotelematico, 1 agosto 2020 e A. Camon, Alcuni tratti della riforma, “Speciale” LP sulle nuove intercettazioni, in http://www.lalegislazionepenale.eu, 24 novembre 2020, p. 3, il quale fa riferimento ad un inevitabile «periodo di rodaggio». Si veda altresì, per tutte, la Direttiva in materia di intercettazioni n.163/2020 emanata in data 6 luglio 2020 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, il cui testo è reperibile in ilPenalista, 20 luglio 2020.

[5] Vd. la delibera del 14 ottobre 2015 intitolata Verifica dello stato di informatizzazione del processo penale e quella plenaria del 9 gennaio 2019, intitolata Relazione sullo stato della giustizia penale telematica 2018: entrambi i documenti sono reperibili all’indirizzo https://www.csm.it/.

[6] … al punto che ci sarebbe dovuti interrogare se qui non trovassero singolare inveramento le parole di chi parrebbe suggerire come proprio la comunità dei processualpenalisti sia la meno adatta ad occuparsi di processo penale (sic!): cfr. S. Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Il Mulino, 2015, p. 78.

[7] Nella letteratura già imponente, si veda da ultimo S. Quattrocolo, Artificial Intelligence, Computational Modelling and Criminal Proceedings. A Framework for A European Legal Discussion, Springer, 2020.

[8] Per preziosi spunti in questo senso, sviluppati in seno alla giurisdizione civile, si vedano le riflessioni di G. Ruffini, Il processo civile di fronte alla svolta telematica, in Riv. dir. proc., 2019, n. 4/5, p. 973 ss.

[9] Vd. Report on European judicial systems - CEPEJ Evaluation report - 2020 Evaluation cycle (2018 data), reperibile all’indirizzo https://rm.coe.int/evaluation-report-part-1-english/16809fc058.

[10] Cfr. quanto specificamente riportato nel grafico 4.3.3. ed alla p. 97 della Part I del Report.

[11] Parla di «dedalo inestricabile» a proposito delle direttive e delle circolari che hanno costituito e costituiscono «le regole di “ingaggio” dell’avvocatura con gli “uffici” al tempo del Covid» G. Losappio, Covid, depositi, comunicazione e giustizia penale (sotto la lente di un microscopio), in disCrimen, 9 novembre 2020.

[12] Non può ovviamente essere sottovalutato il “potere” di cui le big tech companies dispongono nella predisposizione di programmi che potrebbero “snaturare” l’esercizio della giurisdizione asservendola a moduli di gestione precostituiti per finalità magari del tutto aliene rispetto a quelle che devono invece informare il “servizio giustizia”. E della consapevolezza che le stesse big tech hanno del loro ruolo, sono fin troppo chiara testimonianza le parole del Direttore di Worldwide Public Safety and Justice per Microsoft, K. Arthur (E-justice: Digitizing today’s courts, 7 giugno 2016, in https://cloudblogs.microsoft.com.), il quale chiude le proprie considerazioni puntando tutto, com’è ovvio, sul profilo più appealing ma, al contempo, anche più insidioso per la tenuta dei diritti fondamentali, ovvero quello dell’efficienza del sistema: «these are just some of the ways that Microsoft tecnology can dramatically improve the judicial operations».

[13] Si esprime, a sua volta, in favore di un processo telematico calato in un sistema legalmente ri-orientato in base agli strumenti digitali C. Bonzano, La parabola del contraddittorio dal giusto processo all’efficientismo emergenziale, in Dir. pen. proc., 2020 n. 11, p. 1418.

[14] Dopo il comma 1 dedicato al deposito degli atti conseguenti all’avviso ex art. 415-bis c.p.p., il primo periodo del comma 4 così recitava: «Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta  elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44». Ebbene, proprio allo scopo di poter “superare” quanto fondatamente affermato da Cass. I, 3.11.2020, n. 32566 (in Dir. & Giust., 20 novembre 2020) in merito alla tassatività delle forme e delle modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione (nella specie il casus era fornito da motivi nuovi ex artt. 585 comma 4 e 311 comma 4 c.p.p. trasmessi via pec dal pubblico ministero), la legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, entrata in vigore il 25 dicembre 2020, ha rinnovato la lettera del citato articolo con l’integrazione dei commi 6-bis e seguenti: ivi si stabilisce che nel rispetto delle regole per la loro presentazione (artt. 581, 682 comma 1 e 583 c.p.p. con esclusione del comma 2 dell’art. 582 c.p.p.), gli atti di impugnazione comunque denominati, in forma di documento informatico  e sottoscritti digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore DGSIA di cui al comma 4 e contenenti la specifica indicazione degli allegati (a loro volta trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale) sono trasmessi tramite pec del difensore all’indirizzo pec dell’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento impugnato.  A proposito delle innovazioni introdotte, l’UCPI ha sottolineato come la rigorosa disciplina delle modalità di deposito telematico e la previsione espressa di nuove cause di inammissibilità abbiano finalmente “messo al sicuro il deposito delle impugnazioni via pec”: cfr. Carcere e camere di consiglio da remoto: l'iniziativa UCPI nel dibattito parlamentare, 14 dicembre 2020, in https://camerepenali.it

[15] Ci si riferisce, nel caso di specie, all’adozione del provvedimento direttoriale 9 novembre 2020 n. 10791 (https://pst.giustizia.it/), che indica non soltanto gli indirizzi pec degli uffici giudiziari cui bisogna trasmettere ma, soprattutto, quali siano le modalità di formazione e di inoltro degli atti digitali. Orbene, se è indubbio che la necessità – per l’appunto stabilita nell’intervento della DGSIA – di inviare atti in formati pdf originario con firma digitale o con firma elettronica qualificata del depositante (art. 3 Formato dell’atto del procedimento e modalità di invio dei documenti allegati in forma di documento informatico) consentisse ex se di superare le incertezze in ordine all’autenticità della provenienza dell’atto, non si poteva non rimanere scettici circa l’opportunità che ad integrare una normativa primaria aspecifica e poco chiara dovesse essere (solo) una fonte ministeriale che, di fatto, finisce per determinare nuovi ed ulteriori casi di invalidità. Di diverso avviso M. M. Turtur, A. A. Salemme, Epopea dell’impiego della posta elettronica certificata nel procedimento penale, in ilPenalista, 10 dicembre 2020, § 7.

[16] …come quelle pure condivise da alcuni commentatori del provvedimento: cfr. M. Gialuz, J. Della Torre, Le novità del DL 137/2020 in tema di processo penale virtuale, in Sist. pen., 9 novembre 2020; L. Agostino, Art. 24 del decreto “ristori: l’interpretazione restrittiva della Cassazione in tema di deposito telematico degli atti durante il periodo emergenziale, ivi, 2 dicembre 2020 e M. M. Turtur, A. A. Salemme, Epopea dell’impiego della posta elettronica certificata nel procedimento penale, cit., § 8.

[17] Così F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2012, p.1096.

[18] Sull’eccezionalità della facoltà di impugnazione personale vd. per tutte le risalenti Cass. VI, 14 aprile 2003, Maiga, in Guida dir., 2003, n. 37, p. 77 e Cass. III, 2 aprile 2003, Amendola, ivi, 2003, 31, p. 74.

[19] Vd. pure L. Giordano, L’art. 24 del cd. decreto Ristori permette la presentazione di impugnazioni a mezzo PEC?, in ilProcessotelematico, 16 novembre 2020. In corrispondenza, sempre, dell’entrata in vigore del decreto ristori, il tema si è proposto con riguardo all’eventualità che il privato presenti denuncia all’autorità giudiziaria via posta elettronica certificata: per l’appunto, tra i vari argomenti adducibili per destituire di fondamento normativo una simile eventualità, vi è l’estraneità degli indirizzi dei soggetti privati in quanto tali dall’elenco di cui al ReGIndE. Cfr. Gip Perugia, ord. 29 ottobre 2020 (dep. 13 novembre 2020), giud. D’Andria, in Sist. pen., 28 dicembre 2020, con scheda di lettura di A. Malacarne, La denuncia non può essere presentata dal privato via posta elettronica.

[20] Per un quadro più esaustivo di una riflessione sviluppata nel tempo, si vis, B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà affascinante, ancora in divenire, in L. Luparia, L. Marafioti, G. Paolozzi (a cura di), Dimensione tecnologica e prova penale, Giappichelli, 2019, 245-272.

[21] Sull’importanza dell’unitarietà di visione che deve contraddistinguere la digitalizzazione del processo penale cfr. S. Lorusso, Processo penale e bit oltre l’emergenza, in Proc. pen. giust., 2020, n. 5.

[22] È chiara l’allusione al titolo del libro di R. Calasso (L’innominabile attuale, Adelphi, 2017) in cui, per vero, l’“inconsistenza” criticata dall’Autore non è poi così “senza nome”, giacché se ne rinvengono le cause nella «trasposizione dell’universo in forma digitale e [nel]la sua disponibilità al contatto delle dita» che integrano «un fatto senza precedenti nella storia di Homo sapiens e toccano le regioni più remote e più oscure della sua vita mentale» (cfr. testualmente p. 75).  

[23] Si tratta della proposta di legge intitolata Modifiche agli articoli 134, 139 e 141-bis del codice di procedura penale in materia di riproduzione fonografica e audiovisiva degli atti del processo penale e delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari e reperibile all’indirizzo http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/52760.htm.

[24] Ci si riferisce, per la precisione, all’art. 23 comma 2 («Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono  avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza») che è rimasto invariato nella versione della già citata legge di conversione n. 176/2020.

[25] Cfr. Emergenza COVID – Linee guida agli uffici giudiziari (delibera 4 novembre 2020), il cui testo è reperibile all’indirizzo https://www.csm.it/. Per un commento “a caldo” del corposo documento vd. C. Gallo, Prima lettura delle nuove linee guida del CSM in materia di emergenza COVID, in https://www.giustiziainsieme.it,  9 novembre 2020.

[26] Cass. I, 29 aprile 2016, n. 44424, reperibile all’indirizzo https://www.csm.it.

[27] La lettera della disposizione – che nei suoi due primi periodi recita «Nei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge» – è stata trasposta tale e quale nella legge di conversione 176/2020.  

[28] A questo proposito non può non venire alla mente un’opera tanto suggestiva quanto (ancora) attuale quale è il libro di F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Milano, 2009, passim. Nell’esaminare il modificarsi della concezione dello spazio dall’epoca moderna fino ad oggi, l’Autore ci fa apprezzare il passaggio da un’idea imperante di “cartografizzazione del mondo” ad una visione in cui la Terra – anche e soprattutto in forza degli inediti angoli prospettici offerti dalle nuove tecnologie – è divenuta “globo” e “rete”. Lo spazio, perdendo consistenza, si è sottratto alla riducibilità matematica tipica della geometria classica. Ed ecco che, in maniera analoga a quanto per l’appunto richiesto ai geografi, chiamati a rivedere il modo di “mappare” territori e popolazioni, lo studioso del processo penale deve finalmente impegnarsi a ridisegnare i meccanismi di un iter accertativo che, lungi dall’abbandonare le garanzie implicate dalla nozione di fairness processuale, non può ad ogni buon conto ignorare la realtà in cui è immerso.

[29] Va rilevato che – al momento in cui si scrive – non sembra muoversi esattamente in questa direzione l’impegno del Governo italiano nella gestione dei miliardi di euro che saranno attribuiti all’Italia nell’ambito del Recovery Fund. Leggendo infatti la bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), Next Generation Ue ( https://www.lavoce.info) , si constata, innanzitutto, come soltanto 11 delle 124 pagine che compongono il documento siano dedicate al tema delle riforme della giustizia. Non soltanto: con specifico riferimento al versante del processo penale, sono presentati alla stregua di adempimenti già in corso d’opera rispetto alle raccomandazioni provenienti dall’Unione Europea i soli disegni di legge già all’esame delle aule parlamentari, disegni peraltro dal destino quantomai incerto: basti pensare, per tutti, al ddl C 2435 su cui – al netto di ogni possibile censura sotto il profilo del merito (vd. da ultimo G. Canzio, Ancora una riforma del processo penale?, in Dir. pen. proc., 2021, n. 1, p. 5 ss.) – incombe il termine del 21 gennaio prossimo, data entro la quale dovranno essere presentati gli emendamenti alla bozza di legge delega che, rebus sic stantibus, hanno ottime chances di farla naufragare. Gli unici interventi “concreti” di cui viene fatta menzione (seppur non espressi in cifre da investire) sono il ricorso massivo a giudici onorari per lo smaltimento dell’arretrato e gli interventi nel settore dell’edilizia penitenziaria. Per un’analisi critica della bozza governativa cfr. E. Novi, Flick: “L’Ue ci chiede diritti certi e processi veloci, non i bluff sulle riforme della giustizia”, in Il Dubbio, 16 dicembre 2020 e A. Di Amato, Giustizia e Recovery: piano confuso, che non tocca il potere dei pm, in Il Riformista, 15 dicembre 2020. In senso più propositivo si veda, da ultimo, S. Rossetti, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il ruolo dell’Associazione Nazionale Magistrati, in questa Rivista, 2020, il quale invita l’Associazione Nazionale Magistrati a fornire il proprio contributo alla riflessione in merito alla necessità di “migliorare l’efficienza del sistema giudiziario” che costituisce appunto una delle “raccomandazioni specifiche” rivolte dalla Commissione Europea al nostro Paese affinché possa accedere ai fondi europei.

[30] Si tratta, per la precisione, del documento elaborato dalla Commissione europea [COM (2020) 710 final], siglato a Bruxelles il 2 dicembre 2020 e presentato il 17 dello stesso mese, il cui testo è integralmente reperibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0710&from=IT.

[31] In via generale si parla di: 1) sostegno finanziario agli Stati membri; 2) iniziative legislative; 3) strumenti informatici; 4) promozione di strumenti nazionali di coordinamento e monitoraggio.

[32] …ma di cui si invoca un prolungamento, alla stregua di quanto già disposto nel decreto c.d. “milleproroghe” per i processi amministrativi. Cfr. Anm: serve una proroga delle norme di emergenza anche nel civile e penale, in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2021.

[33] La “sfida”, qui specificamente rivolta alla comunità scientifica, è la stessa che, a più riprese, risulta indirizzata al “mondo giustizia” in tutte le sue molteplici componenti, invitando ciascun stakeholder a rinunciare all’attaccamento alle forme note del “procedere”, allorché esse si rivelino vuote di significati garantistici e suscettibili di essere “ripensate” alla luce delle nuove tecnologie: in questo senso, con registri di pregevole equilibrio, vd., M. Guglielmi, Quel “rito” al quale non possiamo facilmente rinunciare, in www.dirittodidifesa.eu, 22 aprile 2020; E. Savarese, Le dieci mosse per realizzare tribunali smart, in Il Riformista, 31 dicembre 2020, p. 1. e S. Lorusso, Un patto tra magistrati e avvocati per sveltire il processo penale, in Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2020, p. 27.

[34] Vd. G. Pucci, Il più antico dei moderni: un profilo di Igor Mitoraj, in teCLa - Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica, 2016, n. 13, pp. 43-71.

[*]

Il contributo, con l’aggiunta di note ed integrazioni testuali minime, riproduce l’intervento al XXXIV Convegno dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “G.D. Pisapia” intitolato L’immediatezza nel processo penale, svoltosi online il 27-28 novembre 2020

19/01/2021
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