Magistratura democratica
Magistratura e società

Perché non duri solo una notte

di Marina Cirese
consigliere della Corte di cassazione

La Notte bianca della pace e della legalità tenutasi a Roma presso la Corte di Cassazione sabato 28 maggio scorso è un’occasione per riflettere sul rapporto tra società civile e mondo della giustizia e sul modo in cui la percezione della magistratura è cambiata nel tempo.

Durante la Notte bianca della pace e della legalità tenutasi a Roma presso la Corte di Cassazione sabato 28 maggio scorso a partire dalle 14 e fino a tarda sera, la parola più volte pronunciata, quasi una sorta di inconsapevole mantra, è stata cambiamento.

Il primo è stato quello, divenuto ormai parte della storia del paese, evocato nel ricordo di Falcone e Borsellino. Quello cioè della nostra coscienza civile, attonita e scossa, davanti ad un attacco frontale allo Stato ed ai magistrati simbolo della lotta alla mafia e mai più tornata come prima. 

E’ da allora, infatti, che si è cominciato a capire che le parole e le idee, se non sono dei vuoti simulacri, cambiano le persone dal di dentro e per sempre e che la legalità non è un concetto ristretto ad una cerchia di iniziati ma un ideale in movimento da diffondere nelle scuole e fuori dalle scuole. 

Da quel momento, infatti, la cultura democratica con l’introduzione della Educazione alla Legalità da parte del Ministero dell’Istruzione, ha assunto il ruolo di strumento per contrastare le associazioni mafiose e valorizzare la memoria storica, la conoscenza dei diritti umani nonché della Costituzione Italiana.

Cambiare è anche aprire i cancelli e la aule della Suprema Corte di Cassazione agli alunni di alcune classi degli istituti superiori che, divisi in cinque gruppi e vestiti di magliette di diversi colori, hanno fatto il loro ingresso tra le statue silenziose ed i velluti purpurei, sedendosi prima davanti al palco allestito nel cortile d’onore, poi distribuendosi nelle varie aule della Corte. 

E’ qui che sono stati organizzati i “laboratori” tenuti da professori, avvocati e magistrati che hanno lavorato in sinergia per parlare con loro di temi che attraversano il mondo dell’attualità e della loro vita e di cui di spesso sanno qualcosa solo dal loro smartphone o dagli echi di qualche trasmissione televisiva.

Cambiare è trovare nell’aula Giallombardo, dove di solito si tengono le riunioni o i convegni dei magistrati della Corte, la simulazione della scena del crimine preparata dai Carabinieri del Ris di Roma che, vestiti di tute e di guanti in una giornata afosa, hanno spiegato ai ragazzi incuriositi le tecniche per i riscontri investigativi.

Cambiare è assistere all’esibizione di Fasma, occhiali da sole scuri a tarda sera, che irrompe nel silenzioso cortile d’onore della Corte a portare lo stile e le sonorità che ora vanno di moda tra i ragazzi ed a segnalare anche plasticamente che il soffio del nuovo è entrato.  

Cambiare è constatare che nelle logiche imperanti del lucro e dell’apparire, ci sono artisti e calciatori che hanno voluto partecipare anche se non era previsto alcun compenso. Così, per citarne solo alcuni, Maria Grazia Cucinotta, Noemi, Fasma, Ciro Immobile, Beppe Fiorello e Achille Lauro che, impossibilitato, ha inviato un video messaggio ad inizio giornata.

Cambiare è forse anche comprendere che i valori non portano targhe o sigle e possono indossare sia abiti di grisaglia grigi che solo tatuaggi e che, invece, ci si può professare idealisti e chiedere un compenso per farsi solo vedere.  

Ma forse il vero cambiamento è stato tentare di spiegare ai giovani, nell’edificio che più di ogni altro simboleggia il valore della giurisdizione, come funziona un processo e come si forma la prova, come si orienta l’iter decisionale, facendo così anche comprendere, chi sono i magistrati. 

Una categoria che, dopo i fasti della Tangentopoli dei primi anni 1990, ha percorso una lunga ed inesorabile parabola discendente per giungere oggi nel punto forse più basso. 

Vista nell’immaginario collettivo, anche grazie ai sinistri titoli di alcune pubblicazioni, come una sorta di casta arroccata sui propri privilegi, la cui vita si snoda tra intrighi ed oscuri patti con il potere o nella migliore delle ipotesi in una comoda ed impiegatizia routine.

Dopo anni di campagne di delegittimazione, scandali, processi penali e disciplinari, phamplet, dibattiti televisivi, tentativi più o meno riusciti di strumentalizzazione, la scena è completamente mutata anche all’interno.

Correnti che si sono divise, dissolte, che hanno cambiato pelle come i serpenti, talvolta cercando di riannodare le fila, riscoprendo la loro vera essenza storica di centro di riferimento e di scambio culturale interno alla magistratura, anche nel tentativo di intercettare gli umori dei M.O.T.

Cambiare, a questo punto, in un’ottica di futuro quanto più possibile prossimo, potrebbe essere aprire le porte del mondo giudiziario alla società civile spiegando, sia pure in termini essenziali, come si svolge un giudizio civile e penale, che differenza c’è tra giurisdizione di merito e di legittimità, a cosa sono dovute le lungaggini dei processi, che differenza c’é tra giudice e pubblico ministero.

E se è vero che attualmente l’opinione pubblica, reduce da due anni di pandemia, è assorbita da ben altre emergenze, è innegabile che il tema della giustizia debba essere costantemente al centro del dibattito perché da esso si misura la tenuta democratica di un paese.

Aprire le porte ad un rapporto più diretto ed informato tra mondo della giustizia e cittadino, magari istituzionalizzato e trasfuso in eventi che non abbiano il carattere dell’episodicità ma siano invece una sorta di “laboratorio permanente”, potrebbe essere il mezzo più potente per debellare false verità, equivoci più o meno artatamente creati, disinformazione e cattiva informazione. 

Ed anche per superare il cronico problema di comunicazione che affligge la categoria in un mondo dove le sorti di un personaggio o di un fenomeno si giocano quasi completamente sul piano dell’invio e della ricezione di messaggi e dove i contraddittori si sono storicamente avvalsi di uno strumentario di livello ben più elevato.

Al cittadino comune si richiederebbe lo sforzo di avvicinarsi ad una realtà semisconosciuta da apprendere direttamente dagli addetti ai lavori e senza l’apposizione di filtri che ne deformino l’immagine.

Ai magistrati un autodafè cui non si è abituati, un bagno di umiltà, nonché la ricerca o la riscoperta delle vere ragioni di una scelta che non è solo professionale ma anche e soprattutto di vita.

Sarebbe bello un giorno sentir dire di nuovo che la gente ha fiducia nella giustizia e nella magistratura.  

19/07/2022
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