Magistratura democratica
Magistratura e società

Le correnti dell’ANM dai programmi ai segni della crisi: "una prospettiva storica"

a cura di Mirella Cervadoro
già presidente di Sezione della Corte di Cassazione

Intervista di Mirella Cervadoro a Wladimiro De Nunzio - Corso “Storia della magistratura e dell’associazionismo” (Scandicci, 3-5 ottobre 2022)

Ringrazio la Scuola, il presidente Francesco Antonio Genovese e i responsabili del corso Costantino De Robbio, Fabrizio Di Marzio e Gianluca Grasso, per l’invito a partecipare al corso della storia della magistratura e dell’associazionismo giudiziario, nella veste peraltro inusuale di intervistatrice; un’occasione unica e originale per ripercorrere con il mio illustre intervistato la storia fino al 2000 di una delle correnti storiche dell’associazione nazionale magistrati, e per approfondire lo studio della storia della magistratura, e con essa quella della funzione del giudice, tema a me caro sin dai tempi della mia formazione universitaria. E, non da ultimo, occasione per incontrare e conoscere di persona Wladimiro De Nunzio, magistrato di alto profilo, che mi ha positivamente colpita e, se posso dire, anche emozionata per la serietà e la semplicità con cui ha descritto il suo percorso professionale nella relazione inviata alla Scuola giorni fa. Trapela, infatti, dalla sua narrazione l’amore, l’impegno e l’entusiasmo con cui egli ha svolto sia l’attività professionale che quella associativa. Mi accingo, pertanto, a intervistare il presidente Wladimiro De Nunzio, che per il suo percorso personale, professionale e associativo, durato dal 1970 al 2016, non ha bisogno di presentazioni, ed è un testimone eccezionale della nascita e della vita della corrente Unità per la Costituzione.  Prima – se mi consentite – vorrei leggere poche righe che Adolfo Beria d’Argentine scrisse nell’anno 1982: 
«Il potere, questo oscuro e antico oggetto di paura e di desiderio, che ci attira e ci respinge quotidianamente. Forse per questo, per l’intreccio costante di paure e di desideri, il potere vive nel cuore degli uomini e nella storia di ogni popolo da sempre; e da sempre si ricollega alla vita delle istituzioni, della loro vitalità, dei loro rapporti. E per questo è anche e forse specialmente un problema dei magistrati… e non solo perché uomini come gli altri esposti come tutti alla paura e al desiderio di avere più potere e di esercitarlo, ma anche perché il mestiere del magistrato è un mestiere solitario che ci lascia più scoperti rispetto ad altri agli intrecci interiori ed esteriori di desiderio e paura del potere….se non ci sarà in tempi brevi una serie armonica di interventi di riforma e di politica dell’amministrazione della giustizia, noi magistrati siamo condannati a veder accentuata la nostra solitudine istituzionale e professionale……ognuno di noi è un’isola, ed il sistema giudiziario è quindi più un arcipelago che una piramide…. e questa caratteristica non gerarchica del sistema impone che l’amministrazione della giustizia abbia tutte le risorse e le razionalizzazioni per renderla efficace; altrimenti essa rischia di non avere neppure quella efficienza povera e illusoria dei sistemi burocratici e verticalizzati…chiediamo quindi una politica della giustizia non per aumentare il potere di una istituzione….ma proprio per non restare separati, isolati, in (quella) solitudine….(che) spesso porta al pericolo di cadere nel protagonismo, anche politico, nell’incompetenza fantasmatica, nella stessa non serenità nei confronti del proprio convincimento» (Magistrati, Potere, Consenso in Giustizia Anni Difficili, p.199 ss). 
Dallo scritto di Beria d’Argentine sono passati 40 anni. Wladimiro, tu che hai aderito agli inizi del tuo impegno associativo al movimento “Impegno costituzionale” fondato proprio da Adolfo Beria D’Argentine puoi dirci quali furono all’epoca le tue motivazioni e quali i dati più rilevanti e le ragioni della tua scelta?

Il mio impegno associativo si svolse in “Unità per la Costituzione”, costituitasi il 17 marzo 1979 con la fusione di “Impegno Costituzionale” fondato da Adolfo Beria D’Argentine con “Terzo Potere”,  gruppo guidato da Adalberto Margadonna, e prima corrente a raccogliere tutta la  cosiddetta “magistratura bassa” costituita soprattutto di giovani e che sosteneva, con un approccio sindacale, le varie istanze attinenti allo status, alla carriera, agli stipendi (ricordo che il mio primo stipendio nel 1970 era stato di 150.000 lire e pagavo 50.000 di fitto per la casa). Va ricordato, a riguardo, il ruolo dell’ANM in quegli anni nella promozione delle leggi Breganze (1966) e Breganzone (1973), che abolirono esami e scrutini con promozioni a ruoli aperti.  Aderivo quindi a tale gruppo condividendo l’obiettivo di realizzare, attraverso il superamento dell’esasperato frazionismo, la convergenza in un’unica formazione di tutti i magistrati che si riconoscevano in un identico patrimonio ideologico. Nel documento approvato all’unanimità all’assemblea costituente di Unità per la Costituzione del 17 marzo 1979, dopo aver affermato che andava intransigentemente combattuto l’attacco eversivo alle istituzioni democratiche con una linea d’intervento di rifiuto della logica del ricorso a leggi eccezionali, si richiedeva - in particolare - dagli aderenti al gruppo l’impegno per l’attuazione della Costituzione, dapprima con riguardo particolare ai temi dell’ordinamento della magistratura e via via con riguardo al più vasto quadro delle riforme del sistema giustizia; il riconoscimento del ruolo centrale e portante nel processo di rinnovamento degli artt. 2 e 3 della Costituzione, la consapevolezza che la funzione giurisdizionale è da qualificare come un fondamentale servizio sociale, chiamata a rendere concrete le scelte normative in relazione ai bisogni degli individui e della convivenza sociale. Il gruppo sosteneva, quindi, la difesa della giurisdizione non solo come difesa dall’erosione dell’ambito di giurisdizione posta in atto da parte di altri poteri dello Stato, ma anche come rifiuto delle tendenze che scaricano sulla magistratura compiti e funzioni che non le sono propri; la necessità di affermare e garantire, pur nel rifiutare ogni separatezza dell’ordine giudiziario rispetto al corpo sociale, la più rigorosa laicità della vita associativa e il pluralismo delle idee (e il libero confronto) considerato come fattore positivo di una costruttiva dialettica interna, tesa a rifiutare la tendenza ad una strumentale cristallizzazione delle ideologie della corrente.  In questo quadro, il documento fondativo del 1979 concludeva: “Gli obiettivi posti dall’azione associativa si pongono su quattro livelli:  a) culturale ( promuovere e favorire lo sviluppo di una attività culturale  su alcuni temi di fondo quali  il ruolo del giudice, la  sua professionalità più aderente alle necessità della società, i rapporti fra il giudice e la società b) deontologico c) riformatore  (collaborare alla formazione della legislazione  processuale e sostanziale di maggiore importanza d) sindacale (ad oggetto oltre al trattamento economico,  quello normativo e in via generale la ferma tutela delle condizioni di lavoro in funzione del servizio che deve essere reso ai cittadini e alla collettività)”. 

 

Il 6/9 dicembre 1989 si svolgeva a Perugia il XX Congresso Magistrati organizzato da te come Presidente della Sezione locale dell’ANM e da Giacomo Fumu come Segretario sul tema: “La giustizia per i cittadini: professionalità, indipendenza e responsabilità dei magistrati e Consiglio Superiore della magistratura”. Cosa puoi raccontarci di tale evento?

Ricordo, in particolare, la relazione d’apertura del Presidente dell’ANM Raffaele Bertoni, trascinante rappresentante di Unicost, nella quale venivano elencate le innumerevoli disfunzioni che assillavano il pianeta giustizia, considerati i danni gravissimi che subiscono i cittadini per l’inefficienza del sistema giudiziario. Ampio spazio era poi dedicato all’indipendenza dei magistrati con un accenno preoccupato al progetto di revisione della struttura del CSM che tendeva all’aumento dei componenti di estrazione politica col rischio di consegnare il Consiglio nelle mani dei partiti; ribadiva che si sarebbe dovuto spezzare ogni forma di rapporto dei giudici con la politica militante, e non solo relativamente ai partiti di opposizione, ma anche a quelli di governo, impedendo ai magistrati tutti quegli incarichi giudiziari, a cominciare dagli arbitrati, che possono appannare l’imparzialità; ricordava poi la richiesta dell’ANM di una nuova normativa sulla responsabilità disciplinare con la tassativa previsione delle singole fattispecie di illeciti disciplinari  e  la proposta di dare vita a un codice deontologico.  

Queste erano le linee di politica giudiziaria che facevano parte del patrimonio culturale di Unicost, e che  venivano poi integrate dalle profonde e ancora attuali riflessioni fatte dall’allora Segretario di Unicost  Gioacchino Izzo, il quale evidenziò la necessità di bandire ogni tentazione dirigistica di gestione del personale magistratuale, in quanto ciò avrebbe comportato una rivisitazione oggettivamente in contrasto con un modello di giudice che renda giustizia, senza speranza né timore per la propria carriera (come dal brocardo latino: nec spe nec metu). Il governo sui giudici deve essere invece praticato attraverso verifiche dei comportamenti processuali, e acquisizioni penetranti di elementi valutativi della professionalità. Nonché attraverso la prevenzione del formarsi di concrezioni di potere per il tramite della rotazione degli incarichi direttivi. Una condivisibile azione di governo abbisogna poi della valorizzazione dei dati attitudinali nel rispetto delle regole vigenti per la concorsualità; dell’aggiornamento professionale e della formazione permanente e obbligatoria; del rigore della giustizia disciplinare; della contrazione degli incarichi extragiudiziari retribuiti.  

Rileggendo le relazioni di quel congresso, mi sono accorto di quanto siano ancora attuali le riflessioni del segretario di Unicost quando evidenziava l’importanza del tema della professionalità, e manifestava la sua preoccupazione per i progetti di rivisitazione della composizione dell’organo di governo autonomo, nonché dei rischi connessi ad un progetto di bipolarizzazione della magistratura associata, tendenti ad accreditare una visione dualistica come attestata su poli di conservazione e progressismo, e lo strisciante scivolamento verso l’estraneazione del PM dall’area del giudiziario.  Così pure quando rilevava come dalla disaffezione dei magistrati verso la propria Associazione, con ricadute di partecipazione ai momenti assembleari, conseguiva non solo un’apatia interna ma anche una calcolata apatia esterna capace di alimentare un disegno di marginalizzazione dell’ANM la cui vitalità ha costituito la pre-condizione per le conquiste più significative della Magistratura in punto di effettività del ruolo indipendente della giurisdizione.

 

Nel 1992 sei stato nominato Segretario nazionale di Unicost. Quali impegni hai ritenuto prioritari? 

In questo ruolo di responsabilità ritenni prioritario l’impegno volto a garantire a tutte le componenti e aree culturali e territoriali del Gruppo una partecipazione paritaria e libera al dibattito interno onde recepire e adottare, con una operazione di sintesi democraticamente da tutti accettata, le linee di politica associativa da seguire. In questo impegno non posso non segnalare il grande contributo culturale ricevuto da tanti colleghi, fra i quali, in particolare due magistrati che ci hanno lasciati: Sandro Criscuolo e Nino Abbate. Il 16/18 ottobre 1992, relazionavo al Congresso di Sorrento su “Quale associazione oggi?”, partendo dalla preoccupante analisi fatta da Unicost nel suo programma elettorale per il rinnovo del CDA dell’ANM: “Le divaricazioni, i frazionismi e le contrapposizioni interne all’ANM hanno preso di fatto il sopravvento sul pluralismo ideale e culturale, che per anni ha costituito il naturale lievito per la crescita complessiva della cultura della giurisdizione. Sullo sfondo vi è verosimilmente la prospettiva di gruppi rigidamente separati in funzione di gestione di un potere di governo dell’ANM che, svuotati di contenuti ideali, rischia di diventare realtà priva di ogni valenza interna ed esterna, con l’effetto di presumibile consunzione dello stesso fenomeno associativo”. E osservavo: “A questa visione preoccupante si aggiunge l’altra ancora più allarmante legata alle vicende politiche, economiche e sociali del nostro Paese, in particolare alla crisi dei partiti e delle istituzioni, alle stragi di mafia con gli omicidi di Falcone e Borsellino, alle vicende penali di tangentopoli, alla svalutazione della lira, all’esplosione del debito pubblico, alla pressione fiscale. E questo quadro gravissimo trova una ANM in crisi e impreparata”. Ritenevo quindi che occorreva studiare a fondo il nostro fenomeno associativo, le ragioni della sua crisi, l’inserimento nel contesto politico e sociale, verificare la sua organizzazione, l’attualità delle correnti, le finalità, la rispondenza alle nuove esigenze. Rilevavo poi che le correnti avevano coltivato e alimentato nel tempo una cultura della separatezza e dell’appartenenza e che l’opinione pubblica, per un martellamento continuo e prolungato dei mezzi di informazione, spesso identificava le correnti con i partiti politici, anzi con le loro degenerazioni e, poiché nella cultura italiana è radicata l’idea di una magistratura indipendente ed estranea alle logiche politiche, essa è portata ad esprimere severi giudizi di disvalore sull’organizzazione correntizia. Al Congresso del gruppo a Orvieto del 22/23 ottobre 1994 veniva approvata la mia relazione introduttiva su “politica e magistratura”, che poneva, in un momento nel quale i rapporti apparivano particolarmente tesi (corruzione politica e finanziamenti illeciti), il problema del self-restraint come valore istituzionale e costituzionale. Il conseguente deliberato fu ripreso dalla successiva risoluzione del CSM sul riserbo dei magistrati. Nominato Segretario nazionale dell’ANM il 14.12.96, fino al 17.10.98 seguivo, con la Presidente Elena Paciotti, i lavori della Commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. Va ricordato, a riguardo, che il relatore Marco Boato aveva sottoposto al Comitato per il sistema delle garanzie nella seduta del 7 maggio 1997 una proposta di modifica degli artt. 99113; 134-137 della Costituzione. Proposte che ritenevamo pericolose nei punti che riguardavano il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, e viceversa, solo per concorso e in distretti diversi, la previsione di due sezioni del CSM e l’accentuazione della presenza laica nell’organo di governo autonomo. L’ANM dette un rilevante contributo critico alla bicamerale che portò all’organizzazione del XXIV Congresso dell’ANM del 29 gennaio 1998 sul tema “Giustizia e riforme costituzionali”. Alcuni osservatori definirono “storico” tale Congresso. La giornata inaugurale nell’aula magna della Corte di Cassazione permetteva di evidenziare, plasticamente, l’unità d’intenti che legava tutta la magistratura - al di là delle rappresentanze associative - sul terreno delle riforme costituzionali; di sottolineare il ruolo centrale della magistratura  a  garanzia dell’assetto democratico dello Stato e dei suoi Poteri; di conquistare l’attenzione di tutte le forze politiche alle osservazioni critiche al progetto di riforma costituzionale, riprese dal Presidente dell’ANM Elena Paciotti nel suo intervento introduttivo.

La conseguenza fu che la Bicamerale falliva perché le forze di maggioranza e un partito dell’opposizione avevano fatto marcia indietro rispetto al progetto di Riforma costituzionale sulla divisione del CSM in due sezioni e il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro aveva avallato la linea espressa dall’ANM al Congresso.

 

Con delibera del CSM del 30 aprile 1998 ti venivano conferite le funzioni di magistrato di cassazione con destinazione alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione con funzioni di Sostituto procuratore generale. Come Segretario di Unicost in Cassazione hai contribuivo a preparare l’assemblea generale della Corte di Cassazione del 23 aprile 1999, con proposta di istituzione di un Consiglio Consultivo in attesa che il Legislatore istituisse il Consiglio giudiziario della Cassazione conformandolo alla peculiarità del ruolo e delle funzioni della Corte stessa (il Consiglio Direttivo non esisteva all’epoca, e sarà istituito solo successivamente con decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25). Venivi nominato Presidente del Centro studi di Unicost. Nel 2002, sei stato eletto, in rappresentanza della Cassazione, al Consiglio Superiore della Magistratura. Puoi ripercorrere per noi sia pur sinteticamente le tue esperienze e le posizioni del gruppo Unicost in questo periodo? 

Il 2/2/2003 si tenne il Congresso straordinario di Unicost a Crema, nel corso del quale si rappresentò, quanto ai valori di Unicost, che “il pericolo da alcuni paventato, di una polarizzazione del dibattito politico e, per il suo tramite, degli schieramenti associativi, trova(va) una adeguata risposta nell’affermazione che Unicost può diventare forza di opposizione culturale sulle varie tematiche, quando i modelli di giurisdizione stravolgono i principi costituzionali e gli ideali fondanti i principi del patto sociale. Il ruolo della corrente dovrà essere di confronto e di convergenza sui singoli temi nella consapevolezza della centralità della base associativa fondata sul pluralismo ideale e culturale e sul ripudio di ogni forma di collateralismo”.  Nella relazione che tenni al Congresso di Todi del 19/20 maggio 2006 sui dati salienti della consiliatura che stava per terminare, diedi conto anche delle posizioni più rilevanti espresse da Unicost, evidenziando tra i temi di maggior impegno e importanza la difesa dell’indipendenza della magistratura che veniva messa reiteratamente in pericolo su diversi fronti. In particolare dalla legge n.150/2005 sull’ordinamento giudiziario, disegnata per limitare le prerogative costituzionali del CSM e quindi in grado di incidere negativamente sulla indipendenza del magistrato (attraverso la gerarchizzazione degli uffici, il ruolo di vertice della Corte di Cassazione, le Commissioni esterne al CSM, la riduzione del sistema tabellare, la competenza valutativa della Scuola della magistratura, un sistema disciplinare punitivo).  

Nel corso della consiliatura furono affrontate varie e rilevanti questioni, tra cui quella relativa alla possibilità o meno di esprimere da parte del CSM pareri non richiesti dal Ministro. Una minoranza non li riteneva possibili, sul rilievo che tali pareri non erano previsti tra le prerogative costituzionali e neppure nella legge n 195 del 58; la maggioranza si espresse per la loro possibilità, osservando in contrario che tale facoltà trovava la sua ratio nel principio generale della collaborazione leale, paritetica tra organi costituzionali che consente di offrire contributi tecnicamente qualificati e politicamente neutri, non obbligatori, né vincolati, nell’ambito di rapporti tra istituzioni chiamate ad avere cura di un medesimo interesse pubblico anche se su piani assolutamente diversi. La delibera a riguardo non fu approvata al plenum, mancando il numero legale per l’assenza di quattro consiglieri laici della maggioranza. Il contrasto sulla possibilità di esprimere pareri d’iniziativa continuò nel corso della consiliatura con interventi da un lato del Presidente del Senato Marcello Pera e dall’altro del Vice Presidente del CSM Virginio Rognoni, che nella risposta del 20 maggio 2005 ricordava, quindi, che questa prassi aveva anche ricevuto il prezioso avallo del Presidente della Repubblica nel corso dell’intervento svolto in Consiglio superiore il 26 maggio 1999 seppur precisando che tale facoltà di esprimere pareri era “da esercitare con profondo, leale spirito collaborativo e nella consapevolezza del suo limite consultivo”. Queste parole furono per me e gli altri consiglieri di Unicost di particolare conforto perché in tutto il corso della consiliatura eravamo stati strenui assertori dei poteri consiliari contestati dalla maggioranza laica, ma vigili e attenti a che la deliberazione rimanesse sempre nei limiti di un atto tecnico con finalità collaborativa e non politica, da destinare in ogni caso al Ministro che, come è noto, anche nel corso dei lavori parlamentari, ha la possibilità di proporre emendamenti.  

L’altro versante che vedeva esposta l’indipendenza della magistratura a seri pericoli era rappresentato dagli inusitati, reiterati, talora violenti e delegittimanti attacchi a singoli magistrati e in genere alla magistratura da parte di uomini politici e da rappresentanti delle istituzioni. Il CSM ritenne all’epoca di dover esercitare con fermezza, seppur con pacatezza e senso istituzionale, quel potere di tutela che nel passato era stato costantemente riconosciuto ma che stava trovando, sin dall’inizio dei lavori consiliari, una forte opposizione da una parte dei consiglieri laici sull’assunta mancata previsione nella Costituzione e nella legge ordinaria. Purtroppo agli interventi, pur pacati, del CSM sono seguite reazioni spesso scomposte di contestazione dello stesso ruolo del CSM accusato sovente di corporativismo. La stessa ripetizione, cadenzata e ravvicinata, degli interventi a tutela ha offuscato il loro reale significato, e rischiato poi di far apparire l’iniziativa consiliare come un adempimento ormai formale, rituale, sterile, quindi privo di capacità incisiva. Da qui il suggerimento del Vice Presidente del CSM che “occorre andare oltre” e la riflessione del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, nel suo saluto di commiato al CSM del 26.4.06, secondo cui “il Paese deve poter contare sulla serenità, sulla riservatezza e sul superiore equilibrio del magistrato. Per questo è necessaria una particolare attenzione alla necessità di non alimentare tensioni, evitando reazioni emotive anche davanti ad attacchi ritenuti ingiusti, diretti a singoli magistrati sia all’intero ordine giudiziario”.  

Tra le tante iniziative assunte dal gruppo Unicost, quanto all’amministrazione della giurisdizione, che hanno portato a significative modifiche di circolari, mi piace ricordare quelle riguardanti le modifiche della circolare 15098/93 sul ricollocamento in ruolo, e sull’accesso in Cassazione, perché esse sono chiara testimonianza di quella visione culturale che ha portato sempre Unicost a contrastare collateralismi politici, a valorizzare il lavoro giudiziario, a escludere posizioni privilegiate in magistratura. Quanto all’accesso in Cassazione, proprio su iniziativa del nostro gruppo si perveniva alla modifica della circolare in questione, così che l’attitudine allo studio e alla ricerca dovesse desumersi “soprattutto” dagli atti e dai provvedimenti redatti dal magistrato che evidenziavano impegno ricostruttivo e metodologico su questioni di fatto e di diritto particolarmente complesse. Mentre invece, in precedenza, le prassi consiliari avevano portato ad attribuire valore quasi assorbente ai titoli scientifici, così frapponendo ostacoli ingiustificati e insormontabili per il magistrato, pur bravissimo, che si era concentrato nell’attività giurisdizionale.

Voglio ricordare in questa sede le parole del Capo dello Stato che, nel ricordato saluto di commiato, dichiarava: “comprendo le affinità elettive, ma non discipline di gruppo che tendano a influenzare le valutazioni dei singoli”. Il gruppo di Unicost, proprio per garantire il giusto riconoscimento di posizioni culturali diverse, adottò all’epoca alcune regole di condotta in totale trasparenza. Considerato che al plenum il dibattito era meramente formale, sostanzialmente destinato a registrare le posizioni assunte in sede di commissione con le dichiarazioni di voto, tutte le pratiche rilevanti venivano esaminate all’interno del gruppo in una riunione preparatoria di approfondimento che si concludeva con una posizione da tutti condivisa a cui liberamente si attenevano i singoli consiglieri nelle varie deliberazioni. A queste riunioni di approfondimento potevano partecipare anche i magistrati segretari e i componenti dell’ufficio studi e ciò costituiva non solo un arricchimento - con il loro contributo - del dibattito sulle singole pratiche, ma anche una forma reale di trasparenza. Questo modus operandi rappresentò allora un efficace anticorpo rispetto a tentativi di condizionamenti, quali quelli provenienti da colleghi che cercavano di ottenere singoli voti per conseguire la maggioranza consiliare sulla delibera d’interesse.  

 

Nel 2006 hai ripreso l’esercizio delle funzioni di Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, e venivi nominato Presidente di Unicost fino al 2008. Nel 2010 venivi nominato Presidente della Corte d’Appello di Perugia. Poiché l’impostazione storica del corso ci impone di fermarci al 2000, l’ultima domanda te la pongo in materia di organizzazione degli Uffici e sul passaggio del testimone alle più giovani generazioni, dei quali – leggo – ti continui a interessare anche dopo il pensionamento. Quanto incide a tuo parere ai fini di un miglioramento del servizio giustizia l’organizzazione degli uffici? L’organizzazione degli uffici da parte del dirigente dell’ufficio può portare a una gerarchizzazione all’interno dell’ufficio medesimo in violazione del principio costituzionale che i magistrati si distinguono solo per funzioni? Ritieni utili per i giovani le manifestazioni per la legalità? 

Ho affrontato l’impegno di presidente della Corte d’Appello di Perugia, applicando in concreto quei principi e valori che avevo introitati con la lunga militanza in ruoli di responsabilità nell’associazione e nelle Istituzioni. Quindi, ho sempre assunto una posizione di assoluta parità con tutti i colleghi e col personale amministrativo, nella consapevolezza, però, che il mio ruolo, da gestire con moderazione, misura e responsabilità, doveva essere di esempio e trainante, in grado di suscitare curiosità e interesse  ai progetti, stimolando i colleghi a dare il meglio, nell’ acquisita loro consapevolezza di poter confidare sull’ausilio del Presidente e sul senso di profonda fiducia che stavo infondendo in tutti.  La qualità dell’organizzazione è certamente uno dei fattori che incide sulla diversa durata dei processi nei vari uffici. Naturalmente l’impegno organizzativo, per essere realmente efficace, deve essere unitario e partecipato. Come gli studi di management insegnano l’evoluzione economica e sociale evidenzia che le risorse umane sono il vero asset strategico di qualsiasi organizzazione. Le persone che fanno parte di una organizzazione dispongono di un patrimonio di conoscenze e di idee accumulate con l’esperienza che viene spesso parzialmente utilizzato. Ma l’accesso alla risorsa conoscenza e il suo efficace utilizzo sono consentiti e rafforzati solo dallo scambio e condivisione delle conoscenze tra i diversi soggetti. I dirigenti sono chiamati, quindi, a stimolare incontri che coinvolgano tutti gli addetti all’ufficio, magistrati e amministrativi, a qualsiasi livello, perché tutti sono in grado di dare un utile contributo e perché si sentano concretamente partecipi e responsabili di un progetto trasferibile in scelte decisionali. Ho seguito puntualmente questi suggerimenti trovando il costante contributo dei magistrati e degli amministrativi.  

Da sempre ho avvertito, infine, l’esigenza che nei ragazzi cresca la cultura della legalità: ebbene, assai prima che il tema formasse oggetto di una più larga condivisione, anche a livello nazionale, prendevo, unitamente al Procuratore Generale, l’iniziativa di siglare dei protocolli di intesa, al fine di consentire ai giovani studenti di svolgere periodi di stage presso gli uffici giudiziari e nel contempo di impegnare i magistrati umbri a svolgere lezioni e conferenze all’interno degli istituti scolastici.

In tale ambito veniva indetto il concorso “Il Valore della Legalità”, che ha visto la partecipazione ogni anno di numerosi studenti umbri, cimentatisi con vari aspetti del più vasto tema della legalità; ho voluto che la premiazione dei vincitori avvenisse ogni anno all’interno di cerimonie ufficiali che hanno costituito ulteriore momento di crescita culturale, attraverso il contributo degli stessi studenti.

18/11/2022
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27/02/2024
I tempi della giustizia. Avvocatura, magistratura e società. Riflessioni su «Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati»

Il contributo – partendo dal rapporto di ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati, che compone il fascicolo n. 4/2023 della Rivista trimestrale – esplora due delle principali cause dei lunghi tempi della giustizia in Italia: un eccessivo carico di lavoro dei magistrati, ulteriormente gravato da un arretrato “patologico”, e un elevato turnover. I rimedi non vanno tanto cercati in una nuova riforma del processo, né tantomeno in un contenimento della domanda giudiziaria, quanto piuttosto in una soluzione che coinvolga tutti gli stakeholder del settore giustizia, puntando su potenziamento dell’organico, tecnologia e innovazione.

15/02/2024