Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Il potenziamento delle risorse e gli strumenti a disposizione. Protocolli, partnership e rapporti con enti esterni. Distacchi e comandi del personale amministrativo *

di Gaetano Campo
Consigliere Sez. lavoro Corte d'appello di Venezia, già capo dipartimento D.O.G. del Ministero della Giustizia

1. I protocolli e le convenzioni tra uffici giudiziari, pubbliche amministrazioni e privati

La materia delle convenzioni tra uffici giudiziari, altre pubbliche amministrazioni e soggetti privati ha ricevuto, a partire dalla fine degli anni 90, un progressivo incremento tanto degli uffici coinvolti che degli ambiti di intervento, che spaziano dal supporto più stretto e diretto alla giurisdizione, all’acquisizione di servizi di carattere materiale, fino al coinvolgimento di personale assegnato alle attività di supporto alle cancellerie e segreterie.

Si tratta di un fenomeno che corre di pari passo con una più attuale concezione della dirigenza giudiziaria, sempre più collegata al raggiungimento di risultati misurabili in termini di efficienza del servizio, che cerca nei territori e nel rapporto con i soggetti economici privati e con le altre pubbliche amministrazioni forme di interazione, di condivisione di obiettivi comuni, di sinergie in grado di comporre i diversi interessi dei soggetti coinvolti.

Proprio la materia delle convenzioni peraltro ha consentito di anticipare alcune delle linee programmatiche del PNRR. In questa direzione si sono mossi e si muovono infatti gli accordi tra uffici giudiziari, università, scuole di formazione per le professioni legali e consigli dell’ordine degli avvocati per la selezione e il successivo svolgimento dei tirocini, disciplinati dall’art. 37 d.l. 98/2011, convertito con l. 111/2011, ma anche frutto di accordi con gli ordini forensi, che hanno consentito di popolare gli uffici giudiziari, in particolare quelli giudicanti, di tirocinanti, praticanti avvocati, neolaureati, consentendo la creazione e la funzionalità dell’ufficio per il processo ben prima dell’attuazione del PNRR.

Ma l’ambito delle convenzioni e dei protocolli riguarda anche aspetti più strettamente inerenti all’esercizio della giurisdizione. Si pensi a questo proposito a quei protocolli diretti a disciplinare materie come la liquidazione delle spese per il patrocinio a spese dello Stato o, più direttamente, le modalità di acquisizione di atti e documenti inerenti al processo, fino agli stessi criteri di misurazione del contenuto di obbligazioni (si pensi per tutte alle tabelle per la liquidazione del danno biologico, nate e sviluppatesi nel confronto tra gli operatori giuridici all’interno dell’Osservatorio sulla giustizia civile o ai protocolli sperimentali in materia di separazione e divorzio).

Tutto questo ha portato diversi autori a sottolineare come le esigenze di uniformità dell’interpretazione delle leggi debbano essere adeguatamente composte in un quadro che salvaguardi l’autonomia del giudice, che costituisce principio costituzionale espresso dal secondo comma dell’art. 101 della Costituzione[1].

Questo intervento non intende toccare il tema dei protocolli più direttamente incidenti sull’esercizio della giurisdizione, che pure interessa un ambito non certo secondario in un contesto nel quale la prevedibilità dell’interpretazione normativa e dell’esito del processo e l’uniformità degli indirizzi giurisprudenziali costituiscono uno dei temi più al centro della discussione sul ruolo e l’autonomia della giurisdizione, anche con riferimento alla problematica che riguarda gli sviluppi dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni all’attività giudiziaria.

L’intervento è invece diretto a individuare gli esatti confini entro i quali l’attività amministrativa che fa capo ai singoli uffici giudiziari possa esplicarsi tanto nei rapporti con l’amministrazione centrale, il Ministero della Giustizia in particolare, che in quelli con enti e soggetti economici, pubblici e privati, che operano nei territori.

Da tempo si assiste ad una proliferazione di iniziative in questa direzione, direttamente proporzionale allo spirito d’iniziativa, alla capacità anche relazionale, a volte alla creatività di diversi capi degli uffici giudiziari. Le convenzioni e i protocolli hanno costituito, e costituiscono anche ora, uno dei principali strumenti per assicurare efficienza all’attività anche amministrativa degli uffici, per garantire forme adeguate di accesso dell’utenza esterna e della cittadinanza coinvolta, per provvedere all’acquisizione di servizi che l’amministrazione centrale, non sempre per inerzia o disattenzione, non riesce tempestivamente o efficacemente a procurare, per compiere in molti casi una vera e propria opera di supporto e a volte di supplenza dei compiti di supporto amministrativo alla giurisdizione che l’art. 110 della Costituzione assegna al Ministero della Giustizia, infine per attuare linee d’intervento dirette a favorire il benessere organizzativo come fattore attrattivo e di fidelizzazione del personale amministrativo.

In questa prospettiva, il sistema magmatico, a volte disordinato, che caratterizza questo spazio d’azione deve tenere conto di un dato di realtà, costituito dall’inattuazione del sistema di decentramento amministrativo che pure è stato anticipato dal D. Lgs. 240/2006. Si riprenderà questo tema in occasione delle considerazioni conclusive. Tuttavia, si può già affermare che la materia degli accordi e convenzioni mette sotto tensione il rapporto tra amministrazione centrale e uffici giudiziari, rapporto non  sempre facile da gestire, per la difficoltà di evitare tanto le trappole di un localismo esasperato, che crea le premesse di un’ulteriore diversificazione territoriale dell’amministrazione della giustizia, quanto un eccessivo dirigismo ministeriale che potrebbe, se non ben governato, esondare dall’azione amministrativa di supporto all’esercizio della giurisdizione, per la stretta connessione e l’interferenza tra i due ambiti.

Nessun dubbio sulla titolarità da parte del singolo ufficio giudiziario della potestà di concludere convenzioni con altre pubbliche amministrazioni e con soggetti privati.

Ben prima dell’entrata in vigore dell’art. 37 D.L. 98/2011, dell’art. 1 commi da 784 a 787 l. 208/2015 e sotto la vigenza dell’art. 15 l. 24171990, l’ufficio giudiziario è stato visto come pubblica amministrazione pienamente legittimata alla stipulazione di accordi con altre amministrazioni e con soggetti privati[2].

I (pochi) commentatori hanno infatti ricondotto la legittimazione degli uffici giudiziari alla previsione del Regio Decreto 12/1941 (ordinamento giudiziario) che a fonti regolamentari e amministrative (ad esempio la circolare n. 5/2012 del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che esclude specificamente gli uffici giudiziari “quando esercitano attività giurisdizionale” dall’ambito delle pubbliche amministrazioni). In questo senso, l’ufficio giudiziario, nel momento in cui esplica funzioni non direttamente giurisdizionali, ma riferibili all’ambito delle azioni amministrative, va compreso nel novero delle pubbliche amministrazioni ed è pertanto legittimato alla stipulazione di convenzioni ai sensi dell’art. 15 l. 241/1990[3].

 

2. Il quadro normativo

L’art. 15 della legge 241/1990, quasi automaticamente richiamato in tutti i protocolli e le convenzioni stipulate dagli uffici giudiziari, prevede «Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune».

La norma è inserita nel capo IV della legge 241, dedicato alla semplificazione amministrativa e risponde all’esigenza di affiancare alla tradizionale azione amministrativa strumenti più flessibili, incentrati su un maggiore coordinamento tra le pubbliche amministrazioni coinvolte, nel perseguimento dell’interesse pubblico comune, con suddivisione di compiti e responsabilità. Si tratta quindi di una norma che introduce nel nostro ordinamento una forma di partenariato pubblico, che verrà esteso anche al rapporto pubblico-privato, e mira a un esercizio non autoritativo, ma sinergico e concordato, delle potestà pubbliche dirette al perseguimento di un interesse pubblico.

Si tratta, come ha affermato la giurisprudenza amministrativa[4], di una vera e propria clausola generale, che consente alle pubbliche amministrazioni di concludere accordi per disciplinare lo svolgimento, in collaborazione, di attività d’interesse comune, riconducibili all’esercizio delle pubbliche funzioni loro assegnate dall’ordinamento.

Accanto alla norma generale dell’art. 15, occorre in ogni caso fare riferimento all’art. 11 della legge 241/1990, che è invece destinata agli accordi che le amministrazioni possono concludere con i destinatari e gli interessati per l’esercizio della propria discrezionalità.

 

3. Il regime giuridico delle convenzioni

Il secondo comma dell’art. 15 della legge 241 del 1990 richiama, per il regime giuridico delle convenzioni, i commi 2 e 3 del precedente articolo 11.

In forza del richiamo al secondo comma dell’art. 11, le convenzioni di cui all’art. 15 l. 241/1990 devono essere redatte in forma scritta a pena di nullità.

Quanto al regime giuridico applicabile, alle convenzioni si applicano «i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti» in quanto compatibili e se non diversamente stabilito[5].

Si tratta di un principio ripreso dall’articolo 1 bis l. 15/2005, per cui «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».

La giurisprudenza amministrativa[6] ha puntualizzato che l’applicazione della disciplina civilistica in materia di obbligazioni dipende dal contenuto degli accordi e delle singole clausole contenute in essi e ha distinto in questa prospettiva gli accordi con valenza politica e istituzionale, come gli accordi quadro o protocolli d’intesa tra diverse amministrazioni, centrali o locali, che necessitano di successivi atti per il concreto perseguimento degli obiettivi comuni, da quegli accordi più specifici e dettagliati, che pongono problematiche di carattere direttamente gestionale. Questa distinzione è necessaria per escludere che agli accordi del primo tipo possano applicarsi le norme civilistiche in materia di obbligazioni e contratti, discendendo dal loro inadempimento esclusivamente conseguenze di carattere politico.

Fanno parte della prima categoria quei protocolli di carattere generale, che occupano un ambito prettamente politico e istituzionale e ribadiscono, in termini generali e programmatici, l’intento concorde di perseguire interessi pubblici comuni. Si tratta, ad esempio, degli accordi quadro che il Ministero della giustizia ha stipulato con alcune delle regioni maggiormente interessate dalle scoperture di organico del personale amministrativo. Con questi accordi Ministero e Regione hanno individuato nella funzionalità ed efficienza degli uffici giudiziari un obiettivo di comune interesse per le esigenze di cittadini e imprese del territorio e hanno rimesso a successive intese e convenzioni l’attuazione delle misure individuate per la soluzione di questo problema. In attuazione di questi accordi quadro, le singole articolazioni amministrative hanno poi stipulato convenzioni più precise e di dettaglio per l’utilizzazione di graduatorie formatesi al termine di procedure selettive e concorsi organizzati dagli enti territoriali, con l’esonero dell’amministrazione giudiziaria dalla partecipazione ai costi e ai rimborsi per le spese sostenute dagli enti titolari delle graduatorie. Una particolarità di questi accordi di dettaglio risiede nell’assenza di qualsiasi obbligo di assunzione attraverso le graduatorie locali, dal momento che rimane nella discrezionalità dell’amministrazione giudiziaria la decisione di avvalersi o meno di questa opportunità, in relazione alle specifiche esigenze degli uffici coinvolti, alla professionalità richiesta dalle specifiche procedure di reclutamento e alla loro compatibilità con quelle richieste dal contratto integrativo, alle capacità assunzionale come determinate dal Piano organizzativo triennale.

La giurisprudenza amministrativa ha inoltre affermato che dall’applicabilità della disciplina civilistica per le obbligazioni e i contratti discende anche l’applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362 e seguenti del codice civile[7].

Una riflessione particolare va svolta in merito al potere di recesso unilaterale da parte dell’ufficio giudiziario.

Sul punto va sottolineato come l’art. 15 l. 241/1990 non richiami il quarto comma dell’art. 11, per cui «Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato».

Sul punto ad una tesi che esclude l’applicabilità di questa norma alle convenzioni tra pubbliche amministrazioni, valorizzando il dato letterale costituito dall’omesso richiamo contenuto nell’art. 15, e ritiene che il potere di recesso possa essere esercitato solo se previsto dall’accordo, se ne contrappone un’altra che sostiene la piena valenza del potere di recesso nelle convenzioni ex art. 15, quale espressione del principio di inesauribilità del potere pubblico[8].

La prima tesi risulta peraltro quella in maggiore raccordo con i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 121/2010, che sottolinea la natura paritaria della codeterminazione che caratterizza questi accordi e che esclude l’attribuzione a una di esse di una posizione preminente.

Deve quindi escludersi che gi accordi in questione si caratterizzino per un regime di libera recedibilità, per cui il potere di recesso dev’essere espressamente convenuto e, quando esercitato, dev’essere motivato con riferimento all’interesse pubblico che suggerisce o impone la cessazione degli effetti. Occorre inoltre considerare che per interesse pubblico legittimante il recesso dell’ufficio giudiziario s’intende non solo quello sopravvenuto alla stipulazione dell’accordo, ma anche la riconsiderazione dello stesso interesse pubblico per effetto di una diversa valutazione degli stessi elementi.

La giurisprudenza amministrativa ha inoltre sottolineato che il potere di recesso non esaurisce l’ambito di esercizio dello ius poenitendi della pubblica amministrazione, che si esprime anche attraverso il potere di autotutela, da esercitarsi nelle forme previste dall’ordinamento[9].

 

4. L’art. 1 comma 787 l. 208/2015

La materia delle convenzioni stipulate dagli uffici giudiziari ha trovato una propria sistemazione grazie ai commi da 784 a 787 della legge 208/2015.

In particolare, il comma 787 stabilisce espressamente che «Le convenzioni, anche diverse da quelle dei commi 784 e 785, stipulate dai capi degli uffici giudiziari con le amministrazioni pubbliche devono essere preventivamente autorizzate, a pena di inefficacia, dal Ministero della giustizia e devono essere realizzate senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». 

La norma non ha innovato il regime disciplinato dall’art. 15 l. 241/1990, per cui restano confermate tutte le questioni trattate in precedenza in tema di requisiti formali e di disciplina applicabile. La novità introdotta dalla norma in esame è costituita dalla necessità della preventiva autorizzazione del Ministero della giustizia, quale condizione di efficacia della convenzione.

L’entrata in vigore della norma ha reso necessaria l’emanazione di due circolari da parte del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, la prima dell’8 novembre 2016, n.160067, e la seconda del 13 ottobre 2017, n. 186223, destinate rispettivamente alle convenzioni sottoscritte con altre pubbliche amministrazioni e a quelle sottoscritte con privati.

La prima circolare precisa che la norma non trova applicazione nei casi in cui altra disposizione normativa preveda già uno specifico procedimento autorizzatorio (ad esempio le convenzioni stipulate nell’ambito dell’accordo quadro con l’ANCI o in materia di lavori di pubblica utilità, così come in materia di tirocinio ex art. 37 DL 98/2011 o ex art. 73 DL 69/2013). Viceversa, viene affermata la necessità di autorizzazione per le convenzioni stipulate con le scuole di specializzazione delle professioni forensi e con le università. La circolare interviene in modo dettagliato a disciplinare i limiti e le condizioni per l’utilizzazione di personale messo a disposizione da altra pubblica amministrazione. In particolare, viene escluso qualsiasi onere, anche indiretto, a carico del Ministero, vengono previsti l’obbligo di copertura assicurativa INAIL e di responsabilità civile verso i terzi, l’esclusione della possibilità di costituire un rapporto di lavoro a carico del Ministero, la previsione di durata massima non superiore a un anno dell’utilizzazione di questo personale, il possesso delle qualità morali previste dalla legge, l’impegno di assicurare la riservatezza e la riconducibilità delle prestazioni a un progetto iniziale.

La circolare del 13 ottobre 2017 riguarda invece le convenzioni con soggetti diversi da quelli contemplati dall’art. 1 comma 787, sostanzialmente con i soggetti privati.

Gli ambiti di intervento di queste convenzioni vengono così individuati:

a) Recupero o digitalizzazione del patrimonio documentale degli uffici giudiziari;

b) Istituzione di punti informativi o sportelli di servizio per cittadini, imprese e professionisti;

c) Messa a disposizione di risorse umane;

d) Realizzazione, gestione e hosting di siti internet o portali web;

e) Gestione di servizi pubblicitari relativi delle vendite;

f) Supporto al processo telematico e all’uso di strumenti informatici;

g) Fornitura di software complementari o sostitutivi di quelli distribuiti dal Ministero.

La circolare si sofferma su alcuni aspetti più problematici. Anzitutto, con riferimento alla messa a disposizione del personale, ribadisce che l’impiego non è sostitutivo del personale amministrativo, ma riservato a servizi e compiti meramente esecutivi di supporto e ribadisce quindi le condizioni già previste dalla circolare del novembre 2016.

Prevede inoltre che i soggetti privati non possano detenere e alimentare banche dati diverse da quelle ministeriali.

Quanto al potere di recesso, ne disciplina l’esercizio:

a) Nel caso in cui l’ufficio o il Ministero individuino nuovi strumenti idonei a garantire altrimenti gli stessi servizi della convenzione;

b) Nel caso di superamento delle esigenze poste alla base della convenzione;

c) Nel caso in cui il Ministero abbia evidenziato profili di incompatibilità con le regole che governano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi della giustizia.

A seguito del processo di riorganizzazione del Ministero della giustizia, in particolare con l’istituzione del Dipartimento per la transizione digitale della giustizia, l’analisi statistica e le politiche di coesione, oggi Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia, che ha comportato una nuova distribuzione di compiti con il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi, è stata emanata il 12 settembre 2023 una nuova circolare, la n. 199613, che ha espressamente abrogato le due precedenti e ha tenuto conto di questo nuovo assetto organizzativo.

Questa circolare riguarda tanto le convenzioni con le pubbliche amministrazioni che quelle con i soggetti privati.

Riguardo all’oggetto delle convenzioni, non vi sono sostanziali differenze rispetto alle precedenti circolari.

Per quanto concerne le convenzioni di affidamento di servizi, la circolare ribadisce la necessità di rispettare il principio dell’evidenza pubblica e quelli di rotazione, trasparenza e concorrenza. 

Ribadisce inoltre che il loro contenuto non deve interferire con l’esercizio della giurisdizione e con la discrezionalità del magistrato[10]

In merito alla nozione di evidenza pubblica, che evoca la disciplina in materia di appalti pubblici, la circolare si riferisce all’orientamento che afferma la sussistenza di una forma di evidenza pubblica “attenuata”, caratterizzata da una fase pubblica di avviso al mercato (bando, avviso di manifestazione di interesse) per la competizione-selezione. L’evidenza pubblica è riferita in questi casi alla necessità di motivare la scelta dell’operatore economico affidatario diretto, connessa alla dimostrazione dell’adeguatezza dell’organizzazione e dell’efficienza del soggetto con cui la convenzione viene conclusa, rispetto alla prestazione da realizzare[11].

La circolare precisa inoltre i limiti di durata delle convenzioni e stabilisce che non debbano superare il triennio, con esclusione di clausole di tacita rinnovazione. Al termine del triennio, infatti, dovrà essere rivalutato l’interesse alla stipulazione della convenzione e, nel caso di convenzione stipulata con privati, andrà riconsiderata l’attuazione dei principi di rotazione, trasparenza e concorrenza.

Quanto al recesso da parte dell’ufficio giudiziario, nel confermare le ipotesi indicate dalle precedenti, la nuova circolare impone che le convenzioni non debbano contenere alcuna previsione di indennità in favore della parte che non recede, come invece previsto dall’art. 11 l. 241/1990, attraverso un’interpretazione che esclude la natura indisponibile del diritto all’indennizzo e ne fa oggetto di una rinuncia preventiva.

Con specifico riferimento all’utilizzazione del personale, sottolinea che la sua messa a disposizione non deve costituire la finalità prioritaria della convenzione, confermando quindi la centralità di un progetto a monte nel cui ambito le prestazioni rese da questo personale devono essere riferite. Rispetto alle circolari precedenti, viene introdotta la necessità che i compiti di questo personale siano inseriti in una specifica scheda di progetto, da comunicare all’ufficio giudiziario e al personale amministrativo, proprio per rafforzare la stretta connessione tra progetto e prestazione lavorativa, alla cui realizzazione questa è funzionale.

Più analitico rispetto al passato è il “decalogo” relativo all’utilizzazione di sistemi e apparecchiature informatiche. I passaggi principali sono costituiti dal divieto dell’uso di applicativi diretti ad assicurare le stesse esigenze di quelli ministeriali; il divieto di privati di alimentare e utilizzare banche dati, la necessità di una preventiva autorizzazione di DGSIA, oggi DGAPP, per l’uso di qualsiasi software, il nullaosta preventivo dei CISIA per l’uso di apparecchiature connesse alla rete giustizia, il divieto di nominare terzi estranei all’amministrazione quali amministratori di sistema.

La circolare individua quindi gli ambiti di competenza ad autorizzare le singole convenzioni sulla base dell’attuale organizzazione del Ministero della giustizia e delle attribuzioni dei singoli dipartimenti e delle loro articolazioni interne. È importante sottolineare come le convenzioni o gli accordi che comportino l’uso dei fondi di coesione debbano essere autorizzati dal Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia e in particolare dalla Direzione Generale per il coordinamento delle politiche di coesione, che è la struttura ministeriale preposta a coordinare la pianificazione strategica e operativa degli interventi della politica regionale e nazionale finanziata o cofinanziata dall’Unione europea, per il perseguimento degli obiettivi e dei compiti istituzionali del Ministero, in relazione al fabbisogno delle articolazioni ministeriali interessate all’attuazione delle riforme, a gestire, monitorare e rendicontare i programmi e gli interventi finanziati nell’ambito del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e dei Fondi strutturali e di investimento europei (FONDI SIE) e le attività inerenti alla materia degli aiuti di Stato.

Le applicazioni concrete di queste circolari e del regime autorizzatorio mettono in evidenza l’estrema varietà dell’oggetto e dei soggetti con cui queste convenzioni vengono stipulate, per l’ampiezza degli ambiti nei quali si esplica l’attività diretta a una migliore organizzazione degli uffici.

Un particolare accenno va fatto alle convenzioni stipulate dagli uffici giudiziari con i Comuni, nell’ambito della convenzione quadro stipulata dal Ministero della giustizia e dall’ANCI. La convenzione ha trovato la propria fonte normativa nell’art. 21 quinquies del DL 83/2015 e le sue applicazioni hanno avuto a oggetto attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria fino ad allora svolte da personale dipendente dei Comuni in posizione di distacco. La norma, oggetto di proroghe, non è stata rinnovata in occasione dell’ultimo DL “Milleproroghe 2025” (DL 202/2024, convertito con l. 15/2025).

Attesa la mancata proroga del termine di efficacia di questi accordi, dall’1.1.2025 è cessata la possibilità di avvalersi di questo personale.

Per assicurarsi la prosecuzione di questi servizi occorrerà pertanto fare riferimento alla convenzione CONSIP Facility Management-FM 4 per alcune attività, mentre, in parallelo, occorrerà procedere a una ridefinizione dell’accordo con ANCI, anche in via provvisoria. Gli aspetti relativi alla gestione della convenzione CONSIP fanno capo alla Direzione Generale delle risorse materiali e delle tecnologie, che è articolazione del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi. In attesa di un nuovo e diverso accordo quadro, che deve tenere conto delle risorse disponibili, le convenzioni con gli enti locali dirette a sopperire alla cessazione dell’efficacia della convenzione ANCI rientrano nella sfera di applicazione della circolare del 12 settembre 2023.

 

5. Le convenzioni come strumento di promozione del benessere organizzativo

Tanto l’amministrazione centrale che gli uffici giudiziari possono utilizzare la possibilità di stipulare convenzioni come strumento di politica del personale finalizzata al benessere organizzativo e alla conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita privata, promuovendo iniziative finalizzate alla crescita formativa, alla tutela della salute, al tempo libero. Altre iniziative mirano a incidere su temi strutturali, comuni alle pubbliche amministrazioni, legate a esigenze fondamentali come l’alloggio e l’accesso a servizi, particolarmente difficili soprattutto nelle aree metropolitane del Paese.

A differenza delle forme di welfare aziendali, i cui costi sono sostenuti dal datore di lavoro, queste convenzioni devono rispondere al divieto di assunzione di nuovi oneri a carico dell’amministrazione, come stabilito dall’art. 1 comma 787 l. 208/2015. Eventuali forme di finanziamento trovano il loro titolo esclusivamente nella gestione del Fondo Risorse Decentrate (FRD), che comprende tutte le voci di retribuzione accessoria e di destinazione di somme a favore del benessere organizzativo.

Anche in questo caso sono molteplici gli ambiti d’intervento: da protocolli per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, a convenzioni non onerose che diano ai dipendenti amministrativi la possibilità di accedere, con apposita scontistica, all’acquisto di polizze assicurative, di biglietti aerei o ferroviari, di beni e servizi di varia natura, di accesso a corsi di formazione privati.

Per convenzione non onerosa si intende un accordo senza alcun tipo di onere per l’Amministrazione, con il quale sono disciplinate condizioni di maggiore favore, cioè sconti e tariffe agevolate, che la persona giuridica o fisica, nello svolgere la propria attività professionale o commerciale, intende praticare a favore dei dipendenti dell’amministrazione giudiziaria. Le proposte devono specificare quali siano le condizioni di maggior favore offerte rispetto al listino prezzi praticato al momento della richiesta, indicando il prezzo più vantaggioso riservato al personale giudiziario del D.O.G. – Ministero della Giustizia. 

Lo strumento utilizzato in questi casi è quello dell’avviso generale pubblicato sul sito del Ministero o dell’ufficio giudiziario, diretto a manifestare l’interesse a ricevere proposte per la (successiva ed eventuale) stipula di convenzioni non onerose indicando altresì ai proponenti le condizioni per procedere alla stipula delle convenzioni. All’avviso generale anzidetto sono solitamente allegati i modelli per la “manifestazione d’interesse”, l’autocertificazione ex artt.94-98 del Dlgs.n.36/23, e il modello di convezione. Dalla convenzione nessun onere potrà scaturire in capo all’amministrazione per eventuali inadempimenti dei dipendenti con le società convenzionate ovvero per inadempimenti di queste ultime in quanto l’amministrazione si limita esclusivamente a mettere a disposizione dei dipendenti la scontistica e le condizioni di maggior favore pattuite con i proponenti. Dovrà prevedersi il potere dell’amministrazione di eseguire un monitoraggio sulla qualità del servizio offerto e sull’applicazione effettiva degli sconti e delle condizioni di maggior favore offerte ai dipendenti, ciò al fine di valutare l’eventuale rinnovo della convenzione o l’immediata sospensione della stessa.

Anche in questo caso le convenzioni stipulate localmente vanno comunicate al Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria per una valutazione preventiva e per l’eventuale autorizzazione.

 

6. Le convenzioni estranee all’ambito di applicazione dell’’articolo 1 comma 787 l. 208/2015

Le circolari richiamate hanno chiarito l’ambito di applicazione della norma, con particolare riferimento alla necessità dell’autorizzazione ministeriale quale condizione di efficacia delle convenzioni stipulate dagli uffici giudiziari.

Si collocano al di fuori di questo ambito tutte quelle convenzioni che investono aspetti relativi all’applicazione di norme processuali, gli accordi o i protocolli diretti a disciplinare lo svolgimento di attività processuali come la tenuta delle udienze, o a stabilire tariffari concordati per le attività dei professionisti e degli ausiliari del giudice. Si collocano in particolare al di fuori della previsione normativa quegli accordi su cui si fondano le attività dei diversi osservatori sulla giustizia.

Si tratta in questi casi di convenzioni che incidono più direttamente sull’attività giurisdizionale strettamente intesa e per questo motivo sono sottratte alla preventiva autorizzazione del ministero, per essere invece riferibili alle competenze del Consiglio Superiore della Magistratura, nell’ambito delle prerogative in materia di organizzazione degli uffici giudiziari dell’organo di autogoverno.

Infatti, il Codice dell’organizzazione, predisposto dalla Settima commissione consiliare, mette in evidenza come le convenzioni stipulate in questi ambiti costituiscano strumenti di soft law, «che non sono imposizioni di regole o comportamenti, ma suggeriscono e veicolano prassi virtuose e promuovono l’adozione di moduli organizzativi sperimentati. Il CSM, dunque, non si sostituisce alle decisioni di competenza del giudice e dei dirigenti degli uffici giudiziari, ma ne accompagna le scelte fornendo strumenti utili di consultazione e prassi che si sono rivelati efficaci in alcuni contesti giudiziari». Coerentemente, nel secondo volume del codice vi è un’ampia parte dedicata alla raccolta di buone prassi e linee guida che abbracciano tutti questi ambiti, nei quali la giurisdizione si confronta con altri saperi al fine di predisporre regole condivise dirette a rendere più efficace la risposta giurisdizionale negli ambiti in cui si esplica[12].

Numerosi sono stati gli interventi, compiuti sia attraverso le più tradizionali forme della circolare e della risoluzione, sia mediante l’approvazione di linee guida e buone prassi finalizzate a rendere più efficiente ed efficace il servizio giustizia.

Si pensi ai programmi di gestione dei procedimenti civili, al tema delle esecuzioni immobiliari, all’esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti, alla nomina dei consulenti e dei periti nei procedimenti di responsabilità sanitaria, alla protezione internazionale, alle intercettazioni, all’organizzazione degli uffici di procura ed all’avocazione, alla ricostituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito, alla violenza di genere e alle tecniche di comunicazione degli uffici giudiziari.

 

7. Il reclutamento del personale amministrativo. La mobilità del personale amministrativo. Distacchi e comandi da e per altre amministrazioni

Di recente l’attività del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria e, in particolare, della Direzione generale del personale e della formazione, è stata rivolta ad attivare il percorso dell’assunzione attraverso l’utilizzazione di graduatorie di idonei formatesi nell’ambito dell’attività assunzionale di regioni, enti locali e altre pubbliche amministrazioni (camere di commercio, ordini professionali, aziende sanitarie). Il ricorso a questo sistema presenta l’indubbio vantaggio di eliminare i tempi e i costi per l’indizione di autonome procedure assunzionali e, soprattutto, di reclutare personale tendenzialmente residente nei territori degli enti locali che hanno attivato le procedure di reclutamento, per favorire la copertura degli organici in alcune aree del Paese, ma presenta alcuni aspetti problematici, costituiti essenzialmente dalla subordinazione delle esigenze dell’amministrazione giudiziaria a quelle, preminenti, dell’ente che ha bandito il concorso, e dalla corrispondenza tra i profili professionali e la preparazione specifica al concorso e le esigenze dell’amministrazione della giustizia riferite alle professionalità necessarie, oltre che dalla parificazione tra profili professionali secondo tabelle di comparazione fondate sulla diversa contrattazione collettiva di riferimento.

Una volta effettuata questa prima analisi, di corrispondenza dei profili professionali e delle esigenze dell’ente che ha indetto il concorso e del suo interesse ad attingere dalla graduatoria, sarà possibile stipulare con queste amministrazioni una convenzione che consenta a quella giudiziaria di scorrere la graduatoria degli idonei e di ottenere il loro consenso all’assunzione. Va detto, a questo proposito, che la persona inserita in graduatoria come idoneo non decade dalla graduatoria in caso di rifiuto dell’assunzione presso altra amministrazione, per cui in questi casi è preferibile utilizzare graduatorie vicine al periodo di scadenza.

La possibilità di scorrimento di graduatorie da parte di amministrazioni diverse da quelle che hanno indetto il concorso è possibile ai sensi dell’art. 3 comma 61 legge 350/2003 e presuppone un accordo preventivo tra le due amministrazioni

Competente a stipulare questi accordi è tuttavia solo la Direzione generale del personale e della formazione, quale unico organo legittimato all’attività assunzionale presso l’amministrazione giudiziaria. In questo senso non vi sono spazi per un’attività concorrente degli uffici giudiziari, privi di competenza in materia assunzionale. In questo contesto, gli uffici giudiziari che vengano a conoscenza di concorsi locali, nel caso fossero interessati, devono segnalare alla Direzione generale l’esistenza di queste graduatorie e sarà poi compito dell’amministrazione centrale contattare l’ente pubblico titolare della graduatoria, esaminare i profili professionali che ne sono oggetto per valutarne la compatibilità con quelli previsti dall’ordinamento professionale dell’amministrazione giudiziaria e procedere alla stipulazione dell’accordo con l’ente pubblico.

Sul punto occorre poi fare riferimento al DL 25/2025, convertito con l. 69/2025, che conferma la regola generale per cui le amministrazioni non possono scorrere le graduatorie oltre il limite del 20% degli idonei, questo per ribadire la centralità del concorso come strumento ordinario di reclutamento del personale. Tuttavia, l’art. 4 comma 9 esonera da questo limite le graduatorie approvate nel 2024 e nel 2025.

 

8. Il comando e il distacco

In tema di pubblico impiego privatizzato, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito l’ambito nel quale si collocano questi due istituti.

In particolare, con ordinanza n. 1471/2023, confermata dalla sentenza 8672/2025, la Corte di Cassazione ha messo in evidenza che:

a) in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ricorre l'istituto, di natura straordinaria, del comando quando il dipendente, titolare di un posto di ruolo presso una pubblica amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso differente amministrazione o diverso ente pubblico per esigenze esclusive delle organizzazioni di destinazione, determinandosi una dissociazione fra titolarità del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione, cui consegue una modifica del c.d. "rapporto di servizio", in quanto il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera. 

b) il cd. "distacco di diritto pubblico" (da non confondere con il "distacco" disciplinato nell'ambito del lavoro privato) è configurabile nell'ipotesi in cui l'impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una P.A., è utilizzato in via temporanea presso un ufficio della medesima P.A. diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, risultando così assegnato, a differenza delle ipotesi di comando, non ad un'Amministrazione distinta da quella di appartenenza, bensì ad un ufficio, diverso da quello in cui è formalmente incardinato, del medesimo ente datore di lavoro, al fine di soddisfare esigenze esclusivamente di quest'ultimo.

Per quanto concerne la fattispecie del comando, sono noti gli accordi stipulati con altri enti pubblici per l’assegnazione agli uffici giudiziari di personale amministrativo. La fattispecie ha trovato un forte ridimensionamento ad opera del recente DL 25/2025, convertito con l. 69/2025.

In particolare, l’art. 3 comma 2 viene stabilito che le pubbliche amministrazioni sono obbligate ad assorbire almeno il 15% del personale in comando da oltre 12 mesi, entro il limite delle facoltà assunzionali e sanziona le amministrazioni inadempimenti con la riduzione proporzionale delle assunzioni nei due anni successivi.

In sostanza, le amministrazioni sono di fronte all’alternativa di stabilizzare il personale o di rinunciare alle risorse. A partire dal 31 dicembre 2025 i comandi non trasformati in assunzione cessano automaticamente e non potranno essere riattivati per almeno 18 mesi. La norma trova applicazione a tutte le ipotesi di comando, anche quelli che trovano la loro fonte ne D.L. 18/2020. Va infine sottolineato che le amministrazioni debbano aggiornare il PIAO (Piano Integrato di Attività e Organizzazione), con una mappatura dettagliata dei comandi attivi e delle assunzioni correlate.

È evidente che questi limiti e la stretta connessione tra comandi, capacità assunzionali e nuovo regime delle stabilizzazioni collocano anche la gestione di questo istituto nell’ambito della competenza della Direzione generale del personale, escludendola dalle attribuzioni degli uffici giudiziari.

 

9. La mobilità interna del personale giudiziario

La mobilità interna del personale giudiziario è disciplinata dall’Accordo sulla mobilità interna stipulato il 15 aprile 2020, integrato dall’addendum stipulato dal ministero con le organizzazioni sindacali il 22 marzo 2023.

L’accordo del 2020 disciplina gli istituti e le modalità di attuazione della mobilità interna del personale dell’amministrazione giudiziaria.

Gli strumenti previsti dall’accordo sono costituiti dall’interpello ordinario, che costituisce la modalità ordinaria di mobilità interna, e dall’interpello straordinario, a fronte di situazioni di straordinaria criticità in specifici ambiti territoriali, individuati attraverso la valutazione della Direzione generale del personale e della formazione, previa interlocuzione con le organizzazioni sindacali (è materia di confronto, non di contrattazione).

L’accordo prevede che l’interpello ordinario abbia cadenza biennale e valenza nazionale e sia intervallato dall’interpello di sede, che ha invece un ambito territoriale delimitato al circondario.

L’utilizzazione dello strumento ordinario è stata tuttavia problematica, per la necessità di evitare situazioni ulteriori di scopertura nelle sedi maggiormente in tensione per la copertura degli organici. L’ultimo interpello ordinario nazionale risale 26 luglio 2023 per 9.739 posti vacanti.

In una situazione di forte scopertura degli organici è invece frequente il ricorso allo strumento dell’interpello straordinario, che comporta la copertura solo temporanea del posto bandito. Si tratta di uno strumento che tuttavia non può essere utilizzato come modalità ordinaria di gestione del personale, perché comporta a sua volta scoperture negli uffici di provenienza e coperture solo temporanee e non definitive negli uffici di destinazione.

In ogni caso, prima di procedere a nuove assunzioni, l’amministrazione dovrà attivare procedure di assestamento dirette a stabilizzare tanto il personale in distacco che quello in situazioni di assegnazione provvisoria.

Occorre poi fare riferimento all’art. 20 dell’accordo, come integrato dall’addendum del 2023, diretto a regolare l’applicazione temporanea disposta dall’amministrazione. La norma disciplina le applicazioni di personale all’interno del distretto, ponendo la relativa competenza in capo al presidente della corte d’appello per gli uffici giudicanti e al procuratore generale per gli uffici requirenti. I presupposti per l’applicazione dell’istituto sono costituiti dal tasso di scopertura dell’organico dell’ufficio interessato, superiore al 35%, e dalla grave ricaduta sulla funzionalità dell’ufficio, corrispondente ad una situazione di eccezionalità che dev’essere dichiarata dalla Direzione generale del personale. La procedura si articola sulla diramazione di un interpello, comunicato anche alle organizzazioni sindacali e alla Direzione generale del personale, chiamata a esprimere il proprio parere nei venti giorni successivi, contenente le indicazioni dei profili professionali interessati, sentito il capo dell’ufficio giudiziario interessato. L’applicazione temporanea non può avere durata superiore a sei mesi ed è prorogabile, sentiti i Capi degli Uffici di provenienza e di destinazione, solo con il consenso espresso dell’interessato. Il dipendente già destinatario di un provvedimento di applicazione temporanea presso Uffici di un’altra sede non potrà essere applicato nuovamente presso Uffici di un’altra sede, prima di tre anni dalla cessazione della precedente applicazione, se non con il suo consenso espresso.

 

10. Conclusioni

Com’è stato accennato all’inizio di questo intervento, la materia delle convenzioni rappresenta uno dei terreni che, se non governati, amplifica un localismo giudiziario esasperato, che a sua volta incrementa l’efficienza del servizio reso nei territori. In questa prospettiva è necessaria un’interlocuzione con l’amministrazione centrale e con il CSM, per gli ambiti di rispettiva competenza.

Sul versante dei rapporti con l’amministrazione centrale, la struttura così fortemente centralistica del ministero costituisce indubbiamente un limite ad un’efficace interlocuzione con gli uffici giudiziari, soprattutto di fronte a un mercato del lavoro mobile e fortemente concorrenziale come  l'attuale, ed è per questo che modelli organizzativi incentrati sul decentramento amministrativo e sulla creazione di livelli intermedi tra i territori e l’amministrazione centrale rappresenterebbero in prospettiva un elemento di maggior efficienza complessiva del sistema.

In proposito, il decentramento amministrativo prospettato dal D. Lgs. 240/2006 è rimasto a lungo inattuato ed ha avuto solo con il DM 14 aprile 2022 una limitata e parziale attuazione, con l’istituzione di 7 uffici periferici, di diretta dipendenza della Direzione Generale delle risorse materiali e delle tecnologie. Non si vuole in questa sede ripercorrere un tema di questa complessità, che merita da solo una intera sezione di confronto.

Tuttavia è opportuno accendere un faro sulla necessità di modelli organizzativi intermedi, a livello distrettuale, a cui affidare compiti non limitati solo alla gestione degli immobili e delle risorse materiali, ma finalizzati anche alla gestione del personale e ai rapporti con gli enti locali, all’organizzazione di concorsi distrettuali e di gestione delle risorse del FRD e degli emolumenti accessori, alla formazione specifica del personale amministrativo, alla stessa gestione della mobilità del personale all’interno del distretto, lasciando all’amministrazione centrale compiti di indirizzo generale e di collocazione delle risorse.

La creazione di questi livelli, che corrono in parallelo con l’articolazione degli uffici giudiziari secondo il modello territoriale del distretto, consentirebbe all’amministrazione centrale di mantenere competenze in materia di programmazione, distribuzione delle risorse e controllo sulla loro utilizzazione, lasciando ai territori la gestione in concreto di tutte le modalità operative e attuative della programmazione generale, in una logica di maggiore vicinanza ai territori e alle loro specifiche esigenze.

Si tratta di un tema che non va collocato nella sola dimensione dell’ingegneria amministrativa, ma che porta con sé una diversa concezione del rapporto con l’amministrazione e della gestione dell’azione amministrativa di supporto agli uffici giudiziari, secondo i compiti che la nostra Costituzione assegna al Ministero della giustizia, più vicina alle esigenze delle singole realtà e maggiormente flessibile e rapida nelle risposte alle esigenze richieste da questo servizio.

 


 
[1] V. Bove, Brevi riflessioni su protocolli e linee guida: a rischio il principio di legalità?, in Diritto penale contemporaneo, 17 luglio 2015.

[2] V. Giglio, Protocolli di intesa degli uffici giudiziari e i loro effetti in ambito penale, in diritto.it, 2017.

[3] D. Potetti, La natura giuridica dei protocolli giudiziari, in Cassazione Penale, 2021, pag. 398.

[4] Consiglio di Stato sent. n. 3194/2014.

[5] Per un’ampia disamina della portata dell’art. 11 l. 241/1990, M. Renna, Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, in Diritto Amministrativo, 2010.

[6] Consiglio di Stato sent. n. 3194/2014 cit.

[7] Consiglio di Stato sent. n. 7407/2014.

[8] Consiglio di Stato sent. n. 6162/2011. Per un approfondimento, D. Potetti, La natura giuridica dei protocolli giudiziari, cit., V. Giglio, Protocolli di intesa degli uffici giudiziari e i loro effetti in ambito penale, cit.

[9] Cfr. Cons. Stato sent. 7212/2018; nello stesso senso Cons. Stato sent. 354/2001, che afferma la piena legittimità dell’esercizio del potere di autotutela di annullamento della convenzione nei casi stabiliti dall’art. 21 novies l. 241/1990, integrati da ragioni di pubblico interesse, ferma la responsabilità amministrativa fonte di risarcimento del danno.

[10] Per alcuni esempi di convenzioni problematiche per il rischio di esondazione dall’attività amministrativa di supporto a quella giurisdizionale in senso stretto, soprattutto per l’attività degli uffici requirenti, cfr. Potetti, La natura giuridica dei protocolli, e V. Gallo, Protocolli di intesa, cit.

[11] L. Olivieri, Evidenza pubblica “attenuata” nell’affidamento diretto, in Le Autonomie, 16 aprile 2025.

[12] M.R. De Lucia, La soft law all’interno degli uffici del processo, tra normativa regionale, protocolli d’intesa e provvedimenti organizzativi interni, in Quotidiano legale, 14 marzo 2024. 

[*]

Relazione al Corso per magistrati neodirettivi e neo-semidirettivi (cod. DIR25001-FPFP25027), Roma, 16 luglio 2025

16/09/2025
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