Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

L’etica del magistrato dirigente *

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

L’auspicio di una “tendenziale indisponibilità” del magistrato ad assumere incarichi dirigenziali, teorizzato da Luigi Ferrajoli come regola deontologica, non si misura adeguatamente con i problemi e le esigenze della realtà effettuale, nella quale i cittadini non chiedono al giudiziario solo la tutela dei loro diritti ma anche che sia realizzata la promessa costituzionale della “ragionevole durata” dei processi civili e penali e che sia assicurato un ragionevole grado di prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Obiettivi - entrambi - che non è possibile raggiungere, o almeno avvicinare, senza puntare sull’organizzazione, sul coordinamento e sulla direzione degli uffici giudiziari requirenti e giudicanti. In una parola senza puntare anche sull’apporto di una dirigenza in grado di coordinare, armonizzare e velocizzare “ragionevolmente” le attività svolte negli uffici. Nel delineare i tratti dell’etica del magistrato dirigente va ricordato che egli è innanzitutto un magistrato, soggetto con intensità eguale o maggiore a tutti i precetti del codice etico della magistratura, e che, come dirigente, è tenuto nella sua azione a coniugare etica della convinzione ed etica della responsabilità, tenendo insieme la piena fedeltà ai valori della Costituzione «con l’analisi spassionata dei differenti mezzi per perseguirli». 

Sommario: 1. L’etica è terreno di vivaci contrapposizioni. Come dimostra una polemica, peraltro garbata e quasi in famiglia, con Luigi Ferrajoli sul tema della dirigenza - 2. La domanda di giustizia che viene da una società esigente e il bisogno di organizzazione e coordinamento degli uffici - 3. L’etica del magistrato–dirigente - 4.Fedeltà ai principi e razionalità pratica - 5.Non si dirige un ufficio con la leva disciplinare - 6. Sulle doti di leadership del dirigente di un ufficio

 

1. L’etica è terreno di vivaci contrapposizioni. Come dimostra una polemica, peraltro garbata e quasi in famiglia, con Luigi Ferrajoli sul tema della dirigenza

L’etica non è affatto una disciplina uggiosa, scontata, monocorde. Al contrario è un terreno nel quale germogliano casi spinosi e talvolta nascono forti contrasti sui principi. 

Un esempio di queste contrapposizioni è offerto proprio dall’etica del magistrato dirigente.

In una lezione tenuta alla Scuola Superiore della Magistratura il 24 aprile del 2024 Luigi Ferrajoli ha enunciato dodici regole deontologiche del magistrato[1]

L’ultima regola del dodecalogo riguarda il ruolo e la figura del dirigente dell’ufficio giudiziario. 

Leggiamola insieme, integralmente: «…la dodicesima e ultima regola deontologica è un’elementare regola di stile: la tendenziale indisponibilità del singolo magistrato, o quanto meno la sua non eccessiva aspirazione a rivestire ruoli di potere interni all’ordine giudiziario. La carriera dei giudici, secondo l’unanime parere della migliore cultura giuridica, contraddice una regola elementare della deontologia giudiziaria: il principio che i magistrati devono svolgere le loro funzioni sine spe et sine metu. Essa è peraltro incompatibile sia con il principio stabilito dall’art. 101 della Costituzione della soggezione dei giudici soltanto alla legge, e non anche alle valutazioni di professionalità richieste dagli avanzamenti in carriera, sia al principio dell’uguaglianza dei magistrati, che secondo l’art. 107, comma 3° della Costituzione “si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”. L’attuazione di questi due principi richiederebbe perciò una riforma dell’ordinamento giudiziario diretta a ridurre la carriera e le pratiche da essa predisposte. Ma al di là di tale riforma, un antidoto al carrierismo dovrebbe consistere nella regola deontologica del tendenziale rifiuto della carriera e dell’indisponibilità dei magistrati a soddisfare le varie norme e prassi da cui essa è determinata, incluse le valutazioni di professionalità. Tali valutazioni, infatti, oltre ad essere spesso arbitrarie, finiscono di fatto per instaurare rapporti impropri di potere tra i magistrati e così per minarne l’indipendenza. Quest’ultima regola di stile vale a fondare un amor proprio professionale e un costume intellettuale che formano non solo il presupposto dell’indipendenza di giudizio e dell’imparzialità dei magistrati, ma anche il migliore antidoto alla pigrizia burocratica, all’omologazione e al conformismo».

La posizione assunta da Ferrajoli - enunciata con riferimento ai principi costituzionali della “soggezione dei giudici solo alla legge” e dell’“uguaglianza dei magistrati” – è certamente in grado di esercitare una forte carica di suggestione ma, se attentamente analizzata, suscita non pochi dubbi ed interrogativi. 

L’auspicio di una “tendenziale indisponibilità” del magistrato ad assumere incarichi dirigenziali si misura adeguatamente con i problemi e le esigenze del presente? 

E tiene nel giusto conto i caratteri dell’attuale assetto della dirigenza, scaturito da una – sia pur parziale - riflessione critica sui difetti e sui guasti del carrierismo[2]

Non sarò certo io a sminuire il valore dei principi costituzionali richiamati da Luigi Ferrajoli e dell’esperienza storica della magistratura nella seconda metà del secolo scorso. 

Nell’arco di tempo che va dalla metà degli anni sessanta fino alla fine del secolo la magistratura “senza carriera” - nella quale i dirigenti degli uffici giudiziari erano prevalentemente selezionati sulla base del criterio dell’anzianità senza demerito - ha conseguito grandi realizzazioni e raggiunto straordinari traguardi. 

Ha efficacemente contrastato fenomeni criminali pericolosi e pervasivi come il terrorismo, le mafie, la corruzione. 

Ha dato vita ad una giurisprudenza innovativa che ha mutato il volto dell’impresa, della scuola, della famiglia, concorrendo a liberare queste strutture sociali dai tratti autoritari che le caratterizzavano. 

Ha infine realizzato una profonda rivoluzione dell’etica professionale. Rifiutando una interpretazione burocratica del ruolo del giudice. Sostituendo il valore della “credibilità” del magistrato al concetto, formale e astratto, di “prestigio” della magistratura. Praticando la libertà di criticare le sentenze – all’epoca ancora bollata come interferenza - di contro all’omertà della corporazione che non ammetteva critiche dall’interno. Preferendo la pubblicità del procedimento disciplinare al preesistente regime della segretezza. 

 

2. La domanda di giustizia che viene da una società esigente e il bisogno di organizzazione e coordinamento degli uffici

I risultati raggiunti e i valori affermati nella stagione ora ricordata vanno riconosciuti e difesi senza esitazioni dagli insidiosi tentativi oggi messi in atto di negarli e di revocarli in dubbio, da parte di chi auspica un ritorno al passato del “corporativismo” e della “gerarchia”. 

Il che significa rivendicare la persistente attualità - come fondamentali regole di organizzazione e di vita del giudiziario - tanto dell’esclusiva soggezione del giudice alla legge quanto dell’uguaglianza delle funzioni dei magistrati.

Allo stesso tempo si deve però prendere atto dei peculiari caratteri assunti dalla domanda di giustizia che proviene da una società esigente. 

Oggi i cittadini non chiedono al giudiziario solo la tutela dei loro diritti ma vogliono anche che essa sia attuata con tempestività e certezza. 

Chiedono perciò che sia realizzata la promessa costituzionale della “ragionevole durata” dei processi civili e penali e che sia assicurato un ragionevole grado di prevedibilità delle decisioni giudiziarie. 

Obiettivi - entrambi - che non è possibile raggiungere, o almeno avvicinare, senza puntare sull’organizzazione, sul coordinamento e sulla direzione degli uffici giudiziari, requirenti e giudicanti. 

In una parola senza puntare anche sull’apporto di una dirigenza in grado di coordinare, armonizzare e velocizzare “ragionevolmente” le attività svolte negli uffici. 

Naturalmente, nel porre l’accento sui bisogni di “organizzazione” e di “direzione” del giudiziario è indispensabile fare opera di chiarificazione concettuale. 

In ogni ufficio giudiziario vi è certamente una dimensione materiale dell’organizzazione, rappresentata dalle strutture e dai mezzi adeguati allo svolgimento dei compiti di istituto e dalle modalità di una loro coerente ed efficace utilizzazione. 

Ma quando si parla di “organizzazione” di un ufficio giudiziario non ci si può affatto limitare a questa dimensione. 

Va invece posto l’accento sull’organizzazione culturale e tecnica dell’ufficio e sul coordinamento dei magistrati che lo compongono. 

Organizzazione e coordinamento che sono destinati ad essere realizzati, su impulso del dirigente, in forme diverse a seconda della natura dell’ufficio, delle sue dimensioni e delle sue esigenze, grazie ad una serie di azioni riguardanti i magistrati come singoli e come collettivo. 

Parliamo di aggiornamento costante; di discussione e confronto interno; lavoro collegiale di ricerca di orientamenti condivisi; di individuazione di obiettivi e delle modalità da adottare per raggiungerli; di relazioni con altri uffici giudiziari e con altre istituzioni, e così via…

E’ in quest’ambito che emerge la centralità della figura del dirigente - rispecchiata nella normativa sull’organizzazione degli uffici, nelle norme disciplinari e nei precetti etici - come motore dell’azione coordinata dei magistrati che compongono i diversi uffici giudiziari e come organo di impulso nella ricerca di una uniformità di orientamenti, non imposta dall’alto ma attuata tramite il confronto e la discussione. 

E’ perciò ampiamente illusorio sostenere - come non di rado avviene - che i bisogni di organizzazione degli uffici giudiziari possano essere integralmente assolti da un manager impegnato nella fornitura di mezzi e di servizi efficienti a magistrati che per parte loro continuino ad operare come monadi. 

Solo un magistrato tecnicamente molto preparato, colto e dotato di leadership, consapevole del suo ruolo e rispettoso di quello dei suoi colleghi, fino in fondo partecipe della cultura della giurisdizione e della “amministrazione della giurisdizione”, può misurarsi, con speranza di successo, con la molteplicità e la complessità dei compiti propri del dirigente dell’ufficio. 

Non è dunque auspicabile «la tendenziale indisponibilità del singolo magistrato... a rivestire ruoli di potere interni all’ordine giudiziario» teorizzata nel suo dodecalogo etico da Luigi Ferrajoli, che nella sua riflessione declina in chiave di potere un compito di servizio oggi assolutamente indispensabile mentre dai guasti del carrierismo trae spunto per ripudiare ogni aspirazione e vocazione a svolgere una funzione cruciale per la credibilità e la legittimazione della giurisdizione. 

E’ preferibile invece un’altra scelta, non meno alta sul piano etico ma più attenta e coerente alla normativa vigente -che è imperniata su norme ordinamentali mirate a contrastare il deleterio fenomeno del carrierismo - ed orientata ad una interpretazione rigorosa delle potenzialità e dei limiti del ruolo del dirigente. 

Nel valorizzare tali potenzialità e nell’individuare tali limiti sta, appunto, il compito dell’etica professionale del dirigente di un ufficio giudiziario. 

 

3. L’etica del magistrato-dirigente

Nel delineare, sia pure solo per rapidi cenni, la fisionomia di quest’etica non bisogna mai dimenticare che il dirigente è un magistrato che svolge pro-tempore un incarico di direzione e di coordinamento e, come tale, è destinatario di tutti i precetti del codice etico[3]

Perciò, prima ancora di ricordare le specifiche regole dettate dall’art. 14 del codice etico in tema di «doveri del dirigente» occorre ricordare che tutti gli altri precetti del codice si indirizzano al magistrato-dirigente con una intensità eguale o maggiore di quella riguardante ogni singolo magistrato. 

Ciò vale innanzitutto per i principi di fondo e per le «regole generali» dettate dagli articoli iniziali (dall’art. 1 all’art. 7 bis) del codice. 

Si pensi, a titolo esemplificativo: 

- al divieto di utilizzare la qualifica di dirigente nelle relazioni sociali ed istituzionali «al fine di trarne vantaggi a sé o ad altre persone» (art. 2); divieto che per il dirigente è ancora più stringente perché l’utilizzo improprio della qualifica rischia di coinvolgere indebitamente l’intero ufficio; 

- ai doveri di aggiornamento professionale e di partecipazione alle iniziative comuni dirette alla formazione ed all’approfondimento (art. 3), imprescindibili per chi, come il dirigente, tali attività ha il dovere di promuovere; 

- alla cura nell’impiego dei mezzi, delle dotazioni e delle risorse di ufficio (art. 4) che va letto in combinazione con la “cura al meglio” dell’organizzazione menzionata tra i doveri specifici del dirigente elencati nell’art. 14; 

- alla preclusione di ogni forma di indebito utilizzo a fini non istituzionali delle informazioni d’ufficio (art. 5); preclusione particolarmente incisiva per chi, come il dirigente, è normalmente il collettore di una massa di informazioni superiore a quella dei singoli magistrati; 

- ai rapporti con la stampa ed i mezzi di comunicazione di massa (art. 6) in relazione ai quali i precetti etici vanno letti unitamente alle disposizioni di legge che ai dirigenti degli uffici riservano compiti particolarmente significativi. 

In più casi, inoltre, il magistrato dirigente deve muoversi su di uno stretto crinale svolgendo le sue funzioni di impulso organizzativo senza che esse assumano un connotato particolaristico e si traducano nelle indebite interferenze precluse dal codice etico (art. 2) e sanzionate dal codice disciplinare. 

 

4. Fedeltà ai principi e razionalità pratica

Nello svolgimento del ruolo del magistrato dirigente l’adesione ai principi costituzionali ed ai valori della giurisdizione contemplati nella carta fondamentale è chiamata a combinarsi con la razionalità pratica che ricerca le forme e i modi per realizzare in concreto quei principi e quei valori. 

Non è questa la sede per affrontare la tematica - posta in anni lontani da Max Weber - del dualismo tra etica della convinzione ed etica della responsabilità, che nel tempo è stato oggetto di letture molto differenti: da quella dell’assoluta inconciliabilità a quella della tendenziale convergenza dei due atteggiamenti morali[4]

E’ certo però che nella figura del dirigente di un ufficio giudiziario la contrapposizione tra le due etiche è destinata a stemperarsi e a comporsi, in quanto il compito del dirigente è coniugare la piena fedeltà ai valori ultimi «con l’analisi spassionata dei differenti mezzi per perseguirli[5]», facendo sì che «gli scopi selezionati in base alla razionalità rispetto al valore» siano «realizzati grazie a dei mezzi selezionati in base alla razionalità rispetto allo scopo[6]». 

E’ in quest’ottica che va letto il testo “lungo” dell’art. 14 del codice etico che al magistrato chiamato a dirigere l’ufficio assegna una pluralità di compiti: dalla cura dell’organizzazione e delle risorse personali alla garanzia dell’indipendenza e serenità di tutti gli addetti all’ufficio; dalla valutazione delle lagnanze alla vigilanza sul comportamento dei magistrati e del personale amministrativo; dal coinvolgimento nella gestione dell’ufficio, attraverso pareri e confronti, degli attori della giustizia all’attuazione del principio del giudice naturale, sino alla redazione, completa ed oggettiva, dei pareri e delle relazioni sui magistrati dell’ufficio[7]

Il quadro che ne emerge è quello di un dirigente molto presente nei diversi momenti della vita dell’ufficio, capace di ascolto e di confronto, in grado di dare impulso all’attività giudiziaria, garantendo costantemente il rispetto dei principi e delle persone e difendendo l’indipendenza, la legittimazione e la credibilità dell’istituzione giudiziaria. 

 

5. Non si dirige un ufficio con la leva disciplinare 

Su di un punto, in particolare, è opportuno richiamare l’attenzione. 

Come è noto il dirigente - investito di incisivi compiti di sorveglianza e di vigilanza sull’andamento dell’ufficio e su quanti vi lavorano - è a sua volta passibile di sanzioni disciplinari in caso di omessa segnalazione di illeciti disciplinari e di specifiche situazioni critiche o di omessa adozione di iniziative dirette a porre rimedio ad inefficienze. 

E’ infatti illecito disciplinare «l’omissione da parte del dirigente dell’ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell’ufficio, della sezione o del collegio» (art. 2, comma 1, lett. dd) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109)[8]

Del pari è illecito disciplinare (art. 2, comma 1, lett. ee) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109) l’omissione, da parte del dirigente l’ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura delle «situazioni di incompatibilità previste dagli artt. 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario» (relative rispettivamente a rapporti di parentela con esercenti la professione forense ed a rapporti di parentela ed affinità con magistrati, ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede) o delle «situazioni che possono dar luogo all’adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 2 e 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511» (relative rispettivamente al trasferimento d’ufficio e alla dispensa dal servizio o collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità)[9]

Di recente, infine, la legge 17 giugno 2022 n. 71 (nota come Riforma Cartabia) ha introdotto nuovi e specifici illeciti disciplinari per i presidenti di sezione e i capi degli uffici, introducendo la responsabilità disciplinare dei magistrati con funzioni direttive e semidirettive per difetti organizzativi ed omessi controlli sugli accumuli di arretrato e sulla durata irragionevole dei processi[10]

In particolare è stata sanzionata (art. 2, comma 1, lett. ee bis) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109) l’omessa adozione da parte del capo dell’ufficio delle iniziative di cui all’art. 37 commi 5-bis e 5-ter del dl n. 98 del 2011[11], nonché l’omessa adozione della segnalazione al dirigente da parte del semidirettivo delle situazioni di cui all’art. 37-comma 5 -quater del citato d.l. n. 98[12]

E’ inoltre punita (art. 2, comma 1, lett. ee ter) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109) l’omissione della segnalazione da parte della dirigenza, rispettivamente, al consiglio giudiziario e al capo dell’ufficio delle condotte del magistrato che non collabori all’attuazione delle misure di cui all’art. 37, comma 5-bis, del dl n. 98 del 2011[13]

Nè va sottovalutato il fatto che questi ultimi illeciti, omissivi di pura condotta, comportano la sanzione dell’incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo. 

Detto che il magistrato dirigente deve attenersi scrupolosamente agli obblighi nascenti dalle norme ora ricordate, anche per non vedersi escluso per inidoneità dai compiti dirigenziali, è evidente che il capo di un ufficio non può pensare di dirigerlo efficacemente con la leva disciplinare. 

Questa resta infatti una risorsa di ultima istanza da attivare quando si siano rivelati infruttuosi i metodi propri di una direzione imperniata sulla leadership, fondati sulla discussione, sulla persuasione, sull’indicazione dei percorsi da seguire per risolvere i problemi di produttività e di tempestività del lavoro. 

 

6. Sulle doti di leadership del dirigente di un ufficio

E’ sulle doti del dirigente – innate o da coltivare attraverso un training adeguato - che vanno svolte le considerazioni finali di questo scritto. 

C’è stato un tempo in cui si riteneva che essere un buon magistrato fosse sufficiente per essere anche un valido dirigente di un ufficio giudiziario. 

Quel tempo è passato, salvo che per un aspetto. 

Ieri come oggi è indispensabile che il magistrato dirigente sia un buon giurista giacché senza una competenza tecnica riconosciuta e senza autorevolezza sul piano giuridico non si può ottenere la stima e il consenso dei magistrati coordinati e diretti. 

Con questo prerequisito devono però concorrere altre attitudini e altre abilità. 

Come si è già accennato non è attraverso una mera attività di “controllo” che si ottengono i molteplici risultati che è lecito attendersi dal presidente di un Tribunale o di una Corte d’appello o da un Procuratore della Repubblica. 

Utile per il raggiungimento di obiettivi meramente organizzativi, il “controllo” deve cedere il posto ad altre modalità di intervento e ad una chimica più raffinata quando si tratta di orientare l’azione comune, gestire i conflitti, proporre e far accettare soluzioni organizzative efficienti e innovative. 

Per questi compiti devono essere possedute dal dirigente ed impiegate nell’attività quotidiana altre abilità - in parte innate ed in parte apprese grazie ad un accorto training - quali la consapevolezza ed il dominio delle emozioni proprie ed altrui, la capacità di ispirare e motivare i componenti di un ufficio, l’attitudine a risolvere i problemi e conflitti che possono nascere all’interno di una organizzazione, la propensione a comunicare all’interno della struttura diretta e con i soggetti esterni sociali o istituzionali. 

Ciascuna di queste abilità deve essere accompagnata da una genuina tensione etica del magistrato dirigente verso la realizzazione degli obiettivi e dei valori della giurisdizione nel segmento temporaneamente affidato alle sue cure con lo sguardo rivolto al complesso mondo della giustizia di cui ogni ufficio è parte. 


 
[1] Oltre al testo della lezione tenuta alla Scuola Superiore della magistratura presente sul web, da cui è tratta la citazione riportata nel testo, le regole deontologiche formulate da Luigi Ferrajoli si leggono, in versioni leggermente differenti: nel Quaderno n. 17, L’etica giudiziaria della Collana a cura del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, con il titolo Dieci regole di deontologia giudiziaria, conseguenti alla natura cognitiva della giurisdizione, pp. 25-34 e nel Codice disciplinare dei magistrati, a cura di F. Gigliotti, Milano, Giuffrè, 2024, con il titolo L’etica della giurisdizione, pp. 1-14.

[2] Per questa complessa problematica che può essere qui solo evocata si rinvia agli scritti raccolti nel Fascicolo 2-3/2022 di questa Rivista intitolato La riforma dell’ordinamento giudiziario: analisi e commenti alla legge delega n. 71 del 2022. Sui temi della dirigenza cfr. in particolare, nel numero ora citato, E. Maccora, La dirigenza degli uffici giudiziari: luci ed ombre della riforma, pp. 53-63. Nel parere reso in data 23 marzo 2022 dal Consiglio superiore della magistratura sugli emendamenti presentati dal Governo al ddl AC 2681, si osservava: «le disposizioni introdotte in tema di dirigenza, seppure in parte condivisibili, non appaiono idonee ad incidere in maniera effettiva sulla trasformazione del rapporto dei magistrati con la carriera, indotta dalla riforma del 2006, e delle conseguenti distorsioni in sede consiliare nelle procedure di nomina dei dirigenti. Ad avviso del Consiglio, al fine di porre un freno alle possibili derive carrieriste del sistema, sarebbe pertanto necessario introdurre una “effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi”, prevedendo l’obbligo di riprendere lo svolgimento delle attività giudiziarie ordinarie per un congruo periodo di tempo prima di poter aspirare ad un nuovo incarico. In ogni caso, ad avviso del parere, sarebbe necessario prevedere che il termine di legittimazione per un nuovo incarico per i dirigenti e i semidirigenti sia fissato in otto anni, cioè in misura pari alla durata dell’incarico, anche in caso di mancata richiesta di conferma. E ciò allo scopo di assicurare maggiore stabilità nella dirigenza degli uffici, consentire una migliore programmazione delle attività della quinta commissione e ridurre il numero degli aspiranti con un conseguente snellimento delle procedure concorsuali». Con favore veniva però accolto il rilievo attribuito nella procedura di conferma ai provvedimenti organizzativi adottati nel tempo dal dirigente e ai rapporti redatti ai fini delle valutazioni di professionalità: «pur rendendosi in tal modo più pesante la documentazione, già copiosa, da valutare, essa contribuisce infatti ad un controllo più rigoroso del dirigente oggetto di conferma». Il parere valutava infine con favore sia il mantenimento di una valutazione del primo quadriennio nel caso in cui il dirigente non richieda la conferma nell’incarico, sia la previsione di un termine di legittimazione più lungo (cinque anni) per il successivo trasferimento del magistrato dirigente. Norma, questa che impediva di considerare un incarico dirigenziale come l’immediato trampolino di lancio per un successivo posto di direzione.

[3] Sull’etica del magistrato mi sia consentito rinviare al mio scritto Etica, professionalità e disciplina della magistratura nel Quaderno n. 9, L’ordinamento giudiziario, curato dal Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, 2022, pp. 177-205. Vedi anche gli scritti raccolti nel già citato Quaderno n. 17 L’etica giudiziaria, della Collana a cura del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, 2022.

[4] Su questa tematica cfr. da ultimo, M. Bonolis, L. Sabetta, Verso una congiunzione funzionale delle due “etiche” weberiane, in Quaderni di Sociologia, 81- LXIII | 2019, 7-26 e l’ampia bibliografia ivi citata.

[5] R. Brubaker, The Limits of Rationality: An Essay on the Social and Moral Thought of Max Weber, London, Routledge, p. 108.

[6] Ibidem, p. 109.

[7] Codice etico Art. 14 - I doveri dei dirigenti
Il magistrato dirigente dell'ufficio giudiziario cura al meglio l'organizzazione e l'utilizzo delle risorse personali e materiali disponibili. in modo da ottenere il miglior risultato possibile in vista del servizio pubblico che l'ufficio deve garantire.
Assicura la migliore collaborazione con gli altri uffici pubblici, nel rispetto delle specifiche competenze di ciascuna istituzione.
Garantisce l'indipendenza dei magistrati e la serenità del lavoro di tutti gli addetti all'ufficio assicurando trasparenza ed equanimità nella gestione dell'ufficio e respingendo ogni interferenza esterna. Cura in particolare l'inserimento dei giovani magistrati ai quali assicura un carico di lavoro equo.
Si attiva per essere a tempestiva conoscenza di ciò che si verifica nell'ambito dell'ufficio, in modo da assumerne la responsabilità e spiegarne le ragioni e si dà carico delle questioni organizzative generali e di quelle che si riflettono sul lavoro del singolo magistrato.
Esamina le lagnanze provenienti dai cittadini, dagli avvocati e dagli altri uffici giudiziari o amministrativi, vagliandone la fondatezza e assumendo i provvedimenti necessari ad evitare disservizi. Anche a tal fine deve essere disponibile in ufficio.
Vigila sul comportamento dei magistrati e del personale amministrativo intervenendo tempestivamente, nell'esercizio dei suoi poteri, per impedire comportamenti scorretti.
Sollecita pareri e confronti sulle questioni dell'ufficio da parte di tutti i magistrati, del personale amministrativo e, se del caso, degli avvocati.
Cura l'attuazione del principio del giudice naturale.
Redige con serenità, completezza e oggettività i pareri e le relazioni sui magistrati dell'ufficio, così lealmente collaborando con coloro cui è rimessa la vigilanza sui magistrati, con il Consiglio giudiziario e con il C.S.M.
Il dirigente non si avvale della propria posizione per ottenere benefici o privilegi per se o per altri.

[8] Per un commento della disposizione v. I. Pepe, in Codice disciplinare dei magistrati, a cura di F. Gigliotti, Milano, Giuffrè, 2024, p. 777 e ss. e la bibliografia ivi riportata.

[9] Per un commento della disposizione v. A. Picardi, D. Cardia, in Codice disciplinare dei magistrati, a cura di F. Gigliotti, Milano, Giuffrè, 2024, p. 789 e ss. e la bibliografia ivi riportata.

[10] Per un commento della disposizione v. P. Morosini, in Codice disciplinare dei magistrati, a cura di F. Gigliotti, Milano, Giuffrè, 2024, p.95 e ss. e la bibliografia ivi riportata.

[11] Art.37 del dl. n. 98 del 2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111 del 2011:
comma 5-bis: Il capo dell'ufficio, al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell'ufficio, ne accerta le cause e adotta ogni iniziativa idonea a consentirne l'eliminazione, con la predisposizione di piani mirati di smaltimento, anche prevedendo, ove necessario, la sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro.
La concreta funzionalità del piano è sottoposta a verifica ogni tre mesi. Il piano mirato di smaltimento, anche quando non comporta modifiche tabellari, nonché la documentazione relativa all'esito delle verifiche periodiche sono trasmessi al consiglio giudiziario o, nel caso riguardino magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, al relativo Consiglio direttivo, i quali possono indicare interventi diversi da quelli adottati.
comma 5-ter. Il capo dell'ufficio, al verificarsi di un aumento delle pendenze dell'ufficio o di una sezione in misura superiore al 10 per cento rispetto all'anno precedente e comunque a fronte di andamenti anomali, ne accerta le cause e adotta ogni intervento idoneo a consentire l'eliminazione delle eventuali carenze organizzative. La concreta funzionalità degli interventi è sottoposta a verifica ogni sei mesi. Gli interventi adottati, anche quando non comportano modifiche tabellari, nonché la documentazione relativa alle verifiche periodiche sono trasmessi al consiglio giudiziario o, nel caso riguardino sezioni della Corte di cassazione, al relativo Consiglio direttivo, i quali possono indicare interventi o soluzioni organizzative diversi da quelli adottati.

[12] Art.37 del dl. n. 98 del 2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111 del 2011:
comma 5-quater. Il presidente di sezione segnala immediatamente al capo dell'ufficio:
a) la presenza di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione al magistrato interessato, il quale deve parimenti indicarne le cause;
b) il verificarsi di un rilevante aumento delle pendenze della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione a tutti i magistrati della sezione, i quali possono parimenti indicarne le cause.

[13] Il testo integrale dell’art.5 bis e’ riportato alla nota 11. 

[*]

Testo della relazione svolta il 9 ottobre 2024 alla Scuola Superiore della Magistratura nella sede di Firenze – Scandicci 

08/05/2025
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08/05/2025
Questioni di genere in magistratura: tra femminilizzazione e complessità

Il contributo si focalizza sulle differenze di genere in magistratura alla luce della ricerca, sottolineando i principali elementi emersi sul punto nelle interviste con magistrate e magistrati. Quale tematica ricorrente nelle interviste, viene posta particolare attenzione alla questione della maternità, ricostruendo le varie prospettive che si sono delineate sulla questione. Alla luce della femminilizzazione numerica della magistratura, nel contributo vengono inoltre elaborate alcune riflessioni sulle esperienze delle donne negli uffici giudiziari e sulla – persistente – minore presenza femminile negli incarichi direttivi e semidirettivi.

01/11/2023
E' esigibile un onere di cautela verbale dei magistrati nelle comunicazioni private? Una triste lezione consiliare

Malgrado i ripetuti interventi chiarificatori della Corte Costituzionale circa la riconducibilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, soprattutto, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, rispettivamente tutelati dagli articoli 21 e 15 della Costituzione, alla categoria dei diritti inviolabili previsti dall'art.2 della stessa, appaiono sempre più frequenti ed invasivi i casi in cui il vaglio del tenore letterale e logico degli scambi comunicativi privati, comunque acquisiti in sede penale,  diviene parametro di determinante giudizio nell'ambito di procedimenti amministrativi relativi all'assegnazione o alla conferma di delicate funzioni giurisdizionali. Questa circostanza, oltre a far emergere il problema generale dei limiti della trasmigrazione in ambito amministrativo di materiale proveniente da indagini penali, sembra incoraggiare un atteggiamento di prudente circospezione in ogni comunicazione privata non costituente reato che dovrebbe per definizione costituzionale rimanere libera sia nell'espressione sia nell'utilizzazione in contesti diversi. Resta da vedere se un simile atteggiamento di cautela giovi alla piena esplicazione di libertà fondamentali e se un eventuale difetto  di prudenziale avvedutezza possa legittimare l'autorità amministrativa ad invadere con finalità critiche un'area che andrebbe preservata da contaminazioni esterne.

24/07/2023
La dirigenza degli uffici giudiziari: luci e ombre della riforma

Due linee principali hanno ispirato il disegno riformatore. 
La prima: una reazione allo scandalo delle nomine romane e della caduta etica riscontrata nella magistratura e nel suo organo di governo autonomo. Nessuna riforma del sistema di selezione sarà, però, mai sufficiente a superare la crisi che ha coinvolto la magistratura e il rapporto dei magistrati con la “carriera” se non sarà accompagnata da un nuovo patto etico e di responsabilità, che assicuri un vero cambio di rotta rispetto a quanto è emerso dalle chat perugine. 
La seconda: l’essere permeato da una non condivisibile impronta aziendalistica e produttivistica, in linea con l’esigenza di raggiungere gli obiettivi del PNRR ma lontana dall’esigenza di rendere “giustizia”, che dovrà essere attentamente considerata in sede di elaborazione dei decreti delegati e di normativa secondaria. 

20/09/2022
Discrezionalità, rappresentanza, dirigenza e legittimità. La dirigenza degli uffici giudiziari

Indipendenza e responsabilità sono i due riferimenti inscindibili del modello di giurisdizione disegnato dalla Carta Costituzionale. La loro declinazione investe sempre più direttamente l’esercizio della giurisdizione nella contemporaneità. È quindi necessaria una riflessione su come questi principi debbano essere declinati nel delineare una delle figure su cui più si è incentrato il dibattito negli ultimi anni e che più ha visto all’opera distorsioni, forzature e vere e proprie deformazioni del principio costituzionale stabilito dal terzo comma dell’art. 107 della Costituzione. Una figura sotto tensione, tra le sfide del PNRR e il ruolo sempre più incisivo e orientante del Ministero e, per esso, dell’esecutivo, il rapporto con l’autogoverno, la necessaria orizzontalità dell’organizzazione giudiziaria e il rapporto con la collettività nel cui nome la giustizia viene esercitata. Un ruolo che richiede profonda consapevolezza dei profondi mutamenti della giurisdizione, della necessaria dimensione collettiva e orizzontale dell’organizzazione, dei contenuti della legittimazione democratica della giurisdizione, dei contenuti del principio di responsabilità.

05/07/2022
Il conferimento degli incarichi direttivi ai magistrati tra formale discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura e sostanziale sindacato “sostitutivo” del giudice amministrativo

Il contributo, utilizzando come occasio alcune recenti e note decisioni dei giudici amministrativi, intende analizzare il tema del conferimento degli incarichi direttivi ai magistrati e il successivo, ricorrente sindacato giurisdizionale su tali deliberazioni. L’esame di questa problematica tiene conto, in primo luogo, del rinnovato e delicato contesto nel quale si colloca la questione, al fine di comprendere se la relazione tra chi conferisce l’incarico direttivo (il Csm) e chi giudica l’operato di quest’ultimo (il giudice amministrativo) sia correttamente bilanciata. Per capire appieno la concreta dinamica di questi rapporti, si è inteso isolare la prospettiva di intervento del Csm da quella del giudice amministrativo, con l’obiettivo finale di valutare le due sfere di competenza e approfondire la sostenibilità di possibili riforme.

16/03/2022
Appunti per una riforma della dirigenza giudiziaria

La riforma della dirigenza giudiziaria operata nel 2006-2007, nel prevedere un sistema di progressione in carriera meritocratico, ha innescato una deriva carrieristica nella magistratura che, coniugandosi alla crisi dell’istituzione consiliare, ha portato ad una grave delegittimazione della categoria. Non è con il ritorno all’anzianità senza demerito che può però restituirsi credibilità alla Magistratura e al Consiglio Superiore. Occorre un’attenta revisione tanto dei criteri selettivi, basati su fasce di anzianità, su esperienze giurisdizionali effettive quanto delle procedure di conferimento, assicurando maggiore trasparenza, coerenza degli obiettivi della procedura selettiva e dipanando alcune ambiguità del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria. Solo in questo modo è possibile assicurare che il Consiglio riesca a designare presidenti e procuratori che coniughino capacità organizzative specifiche e una robusta esperienza giurisdizionale generale e specialistica idonee ad assicurare un servizio giustizia qualitativamente e quantitativamente soddisfacente. 

12/04/2021