Il presente contributo costituisce anticipazione del fascicolo di Questione Giustizia trimestrale, di prossima pubblicazione, dedicato alle riforme dell'ordinamento giudiziario.
La dirigenza degli uffici giudiziari: luci e ombre della riforma *
Due linee principali hanno ispirato il disegno riformatore.
La prima: una reazione allo scandalo delle nomine romane e della caduta etica riscontrata nella magistratura e nel suo organo di governo autonomo. Nessuna riforma del sistema di selezione sarà, però, mai sufficiente a superare la crisi che ha coinvolto la magistratura e il rapporto dei magistrati con la “carriera” se non sarà accompagnata da un nuovo patto etico e di responsabilità, che assicuri un vero cambio di rotta rispetto a quanto è emerso dalle chat perugine.
La seconda: l’essere permeato da una non condivisibile impronta aziendalistica e produttivistica, in linea con l’esigenza di raggiungere gli obiettivi del PNRR ma lontana dall’esigenza di rendere “giustizia”, che dovrà essere attentamente considerata in sede di elaborazione dei decreti delegati e di normativa secondaria.
L’auspicio di una “tendenziale indisponibilità” del magistrato ad assumere incarichi dirigenziali, teorizzato da Luigi Ferrajoli come regola deontologica, non si misura adeguatamente con i problemi e le esigenze della realtà effettuale, nella quale i cittadini non chiedono al giudiziario solo la tutela dei loro diritti ma anche che sia realizzata la promessa costituzionale della “ragionevole durata” dei processi civili e penali e che sia assicurato un ragionevole grado di prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Obiettivi - entrambi - che non è possibile raggiungere, o almeno avvicinare, senza puntare sull’organizzazione, sul coordinamento e sulla direzione degli uffici giudiziari requirenti e giudicanti. In una parola senza puntare anche sull’apporto di una dirigenza in grado di coordinare, armonizzare e velocizzare “ragionevolmente” le attività svolte negli uffici. Nel delineare i tratti dell’etica del magistrato dirigente va ricordato che egli è innanzitutto un magistrato, soggetto con intensità eguale o maggiore a tutti i precetti del codice etico della magistratura, e che, come dirigente, è tenuto nella sua azione a coniugare etica della convinzione ed etica della responsabilità, tenendo insieme la piena fedeltà ai valori della Costituzione «con l’analisi spassionata dei differenti mezzi per perseguirli».
Il presente contributo intende riflettere sull'impatto della riforma costituzionale Norme sull'organizzazione della giustizia e sull'istituzione della Corte di disciplina sul modello costituzionale di rapporto tra il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministro della Giustizia. Per farlo, si analizzerà sia il testo del disegno di legge costituzionale attualmente all'esame del Parlamento italiano, sia il suo contesto, rappresentato in ultima analisi dallo “Stato costituzionale in trasformazione”.
La recensione al volume di Francesca Biondi (Il Mulino, 2024)