Magistratura democratica
Magistratura e società

I bambini nel bosco

di Ennio Tomaselli
magistrato in pensione, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino

1. La famiglia nel bosco

L’atteggiamento di larga parte dell’opinione pubblica e dei media sul caso dei “bambini nel bosco” ˗ una bambina di otto anni e due gemelli di sei, per la cui tutela è intervenuto il Tribunale per i minorenni di L’Aquila ˗ conferma, al di là delle specificità di esso, la diffusione in Italia di un certo modo di pensare e di agire, o agitarsi, rispetto alle vicende giudiziarie minorili. O meglio a certe vicende, la cui fortuna mediatica è spesso sganciata da una scala razionale di effettiva, maggiore o minore, gravità dei casi. Il livello di quello teatino (la famiglia abita in provincia di Chieti) non è trascurabile, ma certo non si parla di procedure di adottabilità, non c’è un parallelo procedimento penale in cui siano contestati maltrattamenti o abusi, ecc… Eppure ˗ tra scorci agresti, volti anche sorridenti a favore di fotografi e telecamere e qualche aspetto di colore che farebbe pensare più al lieto fine da molti auspicato (“a casa per Natale!”) che a un dramma a tinte più o meno cupe ˗ nel giro di pochi giorni, anzi di poche ore, dall’ordinanza deliberata dal T.M. e dall’inserimento dei minori in una casa famiglia dove vi è posto anche per la madre, il caso è esploso su media e social al punto da sottrarre spazio anche a notizie, d’interni ed esteri, con ripercussioni ben maggiori sulla vita degli italiani e non solo.

Ciò sorprende relativamente in questo Paese in cui si inneggia (anche) alla tutela dei bambini, ma le idee non sono affatto chiare su titolarità, presupposti e modi di questa. Del resto le prese di posizione di taluni governanti non giovano certo alla chiarezza. Il ministro delle infrastrutture sembra non concepire che qualcuno/qualcosa possa interferire nel rapporto genitori-figli, a meno che non si tratti di rom e di stranieri. Il ministro della giustizia ha parlato da subito del possibile invio degli ispettori presso il T.M. aquilano e, a quanto leggo, esterna perplessità «sulla circostanza che, dopo anni e anni di bombardamento anche mediatico contro la civiltà dei consumi, la modernizzazione della vita, l’industrializzazione, poi, quando una famiglia decide di vivere pacificamente, secondo i criteri di Rousseau, nella natura, si debba arrivare a provvedimenti così estremi» (v. La Stampa del 27.11.2025). Come se in Italia non esistesse da quasi un secolo il Tribunale per i minorenni e quello aquilano non avesse deliberato, in termini forse non così estremi, all’esito di un’istruttoria svolta con le dovute garanzie procedurali.

A parte certe autorità, e qualche critico qualificato di cui si dirà più avanti, la maggior parte della gente ˗ anche quella maggioranza cd. silenziosa che poi scrive ai giornali o si sfoga più decisamente sui social ˗ si immedesima da sempre con quelle mamme e quei papà a cui con qualche scusa o “cavillo” lo Stato (l’eterno spettro dello statalismo…) “sottrae” i figli, grazie a giudici che sembrano vivere in una torre d’avorio e alle solite assistenti sociali ladre di bambini. Il tutto confortato dal fatto che qui la famiglia, se non proprio come quella del Mulino Bianco, si presenta sorridente e temprata dalla vita nella natura e all’aria aperta…

 

2. Il provvedimento

C’è molto meno da sorridere se si considerano i contenuti della decisione del T.M., pur se non è questa la sede per esaminarla analiticamente, tanto più che la situazione è in fieri e il caso verrà rivalutato dalla Corte d’appello. In sintesi, comunque: il tribunale ha disposto all’esito di una istruttoria nel complesso adeguata (residua la necessità di rinnovare l’ascolto dei minori- v. infra), complicata dagli atteggiamenti altalenanti, e poi più apertamente non collaborativi, dei genitori, che in pratica non hanno mai receduto dalle loro posizioni. Di fronte a una certificazione pediatrica che evidenziava la necessità di accertamenti neuropsichiatrici, psicologici e comportamentali, nonché di esami ematochimici per una valutazione dello stato immunitario vaccinale, hanno subordinato il loro consenso alla ricezione di 50.000 euro per ogni minore (!). Fra le varie criticità evidenziate, il T.M. ha sottolineato anche l’inadeguatezza della condizione abitativa, il pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione e la deliberata esposizione mediatica dei bambini da parte dei genitori (che li hanno fatti partecipare alla trasmissione televisiva Le Iene).

 

3. Le questioni di fondo

Detto ciò, conviene concentrarsi sulle questioni di fondo che la vicenda al momento propone e che, ad avviso di chi scrive, sono due: 1) L’autorità giudiziaria minorile di fronte a casi che, come questo, si connotano, nella loro distanza dalla routine, muovendo dalla scelta da parte dei genitori (o, eventualmente, di quello che sia, di diritto o di fatto, l’unico ad esercitare la responsabilità genitoriale) di uno stile di vita “alternativo”; 2) il “potere costituito”, che è anche quello giudiziario, di fronte ad una parte considerevole della società e della cultura che contesta trasversalmente interventi considerati arbitrariamente punitivi e, da parte di non pochi, discriminatori rispetto a quelle situazioni che davvero giustificherebbero interventi forti, se non radicali.

Si tratta di temi di una certa complessità, che tratterò qui, per non appesantire una riflessione scaturita nell’immediatezza, soprattutto per proporre spunti eventualmente utili per approfondimenti da parte di altri. La mia riflessione, del resto, è quella di un cittadino, ex magistrato, che si avvale della propria esperienza ma guarda soprattutto alla società di oggi e di ieri.

Quanto alla prima questione, mi sembra, anche in base a casi seguiti come giudice e pubblico ministero minorile, che la problematica si ripresenti periodicamente, assumendo sembianze molto varie. Per evitare confusioni che potrebbero fare il gioco di chi, all’esplodere del nostro caso, si è affrettato a chiamare in causa i rom per stigmatizzare il (presunto) non intervento nei loro confronti da parte dell’a.g. minorile, lascerei i nuclei rom decisamente fuori dal discorso odierno. Le modalità di vita dei rom, così come dei sinti, nei campi con baracche e roulotte ma anche nelle periferie di città e paesi o decisamente in campagna, sono in realtà varie a seconda dei territori e non possono essere trattate in modo massificato (anche se, nei fatti, gli sgomberi hanno di solito proprio questa fisionomia). Se conosciute e seguite, come si dovrebbe, nucleo per nucleo e “senza fare d’ogni erba un fascio”, le vicende di queste famiglie possono in realtà non richiedere alcun intervento giudiziario o, diversamente, presentare problemi di varia ed anche estrema gravità (a me è capitato sia di chiedere, come p.m.m., dichiarazioni di stato di adottabilità che, come componente di collegi giudicanti minorili, di concorrere a tali dichiarazioni). Ciò per dire che non si tratta di nuclei in una sorta di bolla immune dagli interventi a tutela dei minori e che, in ogni caso, è una problematica davvero diversa da quella che ha tanto coinvolto l’opinione pubblica per i “bambini nel bosco”.

Chiusa questa digressione e tornando sul filone principale del discorso, la casistica può fare, invece, corretto riferimento a nuclei familiari, italiani e non, che, singolarmente o in gruppi, scelgono di vivere per proprio conto, maggiore o minore che sia la distanza dal centro abitato più prossimo. Ciò per questioni di rapporto con l’ambiente e la natura (nel caso abruzzese si parla di “neorurali” stanziati in aree vicine a quella di abitazione del nucleo attenzionato dal T.M.) ma anche in linea con certe ideologie o fedi, talvolta credenze quasi settarie legate alla presenza di qualche “santone” o “santona”. Ma può anche capitare che sia una singola coppia o un singolo genitore affidatario, anche solo di fatto, a decidere che i figli debbano vivere come in un’area protetta e ricevere un’educazione domestica che accorpi anche l’istruzione, senza inserimenti in asili e scuole pubbliche. Si pongono, così, questioni che non vanno problematizzate preventivamente e “a tutti i costi”, ma che consigliano comunque un monitoraggio in chiave preventiva da parte dei Servizi (sulla base della loro autonoma operatività sul territorio) poiché non è infrequente che, con l’andar del tempo e la crescita dei bambini, si creino problemi che si ripercuotono, in concreto, su di loro. Vanno anche considerate, da un lato, l’evoluzione di una società che ˗ volente o nolente e con una pur faticosa e spesso contrastata consapevolezza di ciò ˗ si scopre sempre più complessa e variegata anche dal punto di vista delle culture e degli stili di vita; e, dall’altro, l’accresciuta abitudine dei Servizi e della magistratura minorile a confrontarsi con situazioni che riflettono tutto ciò, il che concorre ad evitare che si formino orientamenti aprioristicamente ostili nei confronti delle “diversità”. Tutto questo discorso deve poi, naturalmente, confrontarsi con ciò che in ambito minorile è decisivo: la capacità genitoriale e, di riflesso, la concreta condizione dei figli minori, l’adeguatezza o meno dell’ambiente familiare, l’assistenza morale e materiale, la qualità delle relazioni e dei legami fra i minori e le figure di riferimento genitoriale o parentale.

Per concludere: nel caso teatino, per come si configura allo stato, Servizi e autorità giudiziaria sembrano aver impostato le loro indagini correttamente, ponendo la giusta attenzione a rischi seri e a problemi concreti ˗ non solo supposti o, peggio, inventati ˗ pur se l’istruttoria è stata laboriosa e per qualche aspetto incompleta (si fa riferimento alla già accennata questione dell’ascolto dei minori, che «dovrà pertanto essere rinnovato con la partecipazione di un interprete e all’esito della maturazione delle condizioni che consentano ai minori di esprimersi liberamente al riparo da potenziali condizionamenti dei genitori o delle altre controparti» (v. p.2 dell’ordinanza del T.M.).

 

4. Opinioni critiche

Tratterò questo tema estrapolando dall’enorme numero di commenti sparsi in ogni dove mediatico un paio di idee ricorrenti.

Una muove dal presupposto che servizi sociali e tribunali minorili siano di solito arroccati su posizioni preconcette, distanti dalla “vita vera”, e inseguano modelli ideali e idee pericolose, come quella di accanirsi nei confronti di persone che non condividono la loro idea del mondo. Ma è proprio questa opinione ad essere distante dalla realtà, di cui è, evidentemente, poco informata. Quanto ai Servizi ˗ categoria di operatori che in questi giorni si sono mossi autonomamente per chiarire e sottolineare su cosa si fonda e come si esprime la loro professionalità ˗ è emblematico che, anche al di là del caso specifico, si parli quasi sempre solo di Servizio sociale, mentre la rete dei Servizi è ben più ampia (neuropsichiatri infantili, psicologi dell’età evolutiva, operatori che si occupano di salute mentale e di dipendenze…). La logica è appunto quella dell’operatività in rete, purtroppo complicata dal fatto che i tagli della spesa pubblica hanno inciso fortemente e negativamente sul numero degli operatori e sulle risorse a disposizione.

Altri argomentano che bisognerebbe ricorrere all’allontanamento dei minori dalle famiglie e alle comunità educative solo in casi di grave pericolo, dopo aver cercato ogni possibile alternativa e comunque coinvolgendo i genitori in percorsi di sostegno/recupero. Ciò, peraltro, è già ben noto a chi opera sul campo e, nello specifico del caso teatino, si è cercato nel corso dell’istruttoria proprio di dialogare con i genitori sulle criticità individuate e, anche a provvedimento eseguito, la madre ha la possibilità di avere contatti quotidiani con i figli. E su quel campo, giova ricordarlo ampliando quanto scritto poco sopra per i Servizi, ormai da parecchio non opera solo la classica diade Servizi-Tribunali, essendosi il quadro arricchito per l’attiva presenza di Procure minorili che, un tempo dedite soprattutto al penale, già da decenni giocano un ruolo importante anche nel civile, avvocati specializzati, anche quali curatori speciali dei minori, Camere Minorili di solito attivissime, ecc… Alla luce di tutto ciò non è davvero il caso di parlare, come pure avvenuto, di giustizialismo. Termine tanto più fuori luogo in un periodo in cui la magistratura è già sotto attacco per tutt’altri motivi da parte di soggetti, anche istituzionali, che ora non esitano a strumentalizzare la vicenda dei “bambini nel bosco” per obiettivi che non hanno nulla a che fare con l’effettivo interesse dei minori. Aspetto negativo non secondario dell’insieme. 

Per concludere: è inevitabile, per l’intrinseca delicatezza della materia minorile e tutto ciò che smuovono gli interventi giudiziari, che si possano creare contrasti su di essi ed è giusto che in una società democratica si dibatta, se del caso anche animatamente, al riguardo. Penso di poterlo dire con cognizione di causa e credibilità, anche quale autore di un saggio, ancorché risalente a dieci anni orsono[1], in cui non ho mancato di segnalare, nel quadro della complessiva positività dell’azione della magistratura minorile, talune criticità, soprattutto nel settore civile, causa di possibili ingiustizie, particolarmente gravi per quanto riguardava la materia dell’adottabilità.

Non sarebbe, invece, affatto inevitabile il deficit di adeguata consapevolezza sia su come si opera davvero e concretamente che su una normativa, oltre che su una giurisprudenza, entrambe in costante evoluzione. Mentre troppo spesso, e anche per questo caso, si continua a parlare, ad es., di potestà genitoriale, se non proprio di patria potestà[2].

 

5. Infine, ma soprattutto, i bambini

Credo che sarà decisiva ˗ al di là di tante parole a tutti i livelli e di opinioni più o meno centrate ˗ la reazione dei bambini, certamente attaccati ai genitori, al mutamento d’ambiente di vita, in un contesto comunque protetto e per quanto possibile familiare, con la vicinanza della madre ma anche la possibilità di interagire con persone e situazioni diverse. Da tempo, troppo, erano obiettivamente esposti, oltre che ai disagi legati ad un ambiente di vita non dei più confortevoli (eufemismo) per dei bambini, anche alle tensioni della battaglia ingaggiata, con varie strategie, dai genitori nei confronti di soggetti istituzionali giustamente preoccupati, ma da loro vissuti come invasivi e ostili. La situazione era sfociata in uno stallo che non giovava ad alcuno ed era anzi negativo per chi è più “preso in mezzo” in queste situazioni, ovviamente i bambini. Ora dovrebbe essere più chiaro per i genitori, assistiti dai loro (nuovi) legali, che l’obiettivo di tutti è il benessere dei minori in un contesto ricomposto ma anche più saldo, non solo di facciata, e aperto a relazioni, che non sono solo quelle con i genitori, fondamentali per una crescita equilibrata.

Così inquadrato nei suoi presupposti, contenuti e auspicabili sbocchi, il provvedimento giudiziale non avrebbe dovuto, e non dovrebbe, suscitare alcuno “scandalo”. Ma tant’è...


 
[1] E. Tomaselli, Giustizia e ingiustizia minorile. Tra profonde certezze e ragionevoli dubbi, Franco Angeli, Milano 2015.

[2] La parola "potestà" (genitoriale) è stata sostituita da quella "responsabilità" dall’art.50 del D.L.vo n.154/2013. Di "patria potestà" non si dovrebbe parlare più già dal secolo scorso.

13/12/2025
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