Sommario: 1. Premessa - 2. La motivazione - 3. Qualche dubbio e qualche osservazione critica. A) Analisi critica del ragionamento giuridico del TAR. A1) Pubblicazione, pubblicità e l’art. 6 CEDU. A2) Pubblicazione in archivi online e protezione dei dati personali. B) Anonimizzazione e pseudo-anonimizzazione come «salvaguardia appropriata» per il trattamento dei dati. C) Una policy degli archivi di giurisprudenza. Profili metodologici e istituzionali. Cenni. D) Le decisioni su casi di pubblico interesse - 4. Conclusioni sparse e provvisorie.
1. Premessa
Decidendo sul ricorso proposto da due avvocati contro il Ministero della Giustizia con l’intervento adesivo di alcuni professori, del CdOA di Milano e di un’associazione per lo studio del diritto d’impresa, il TAR del Lazio ha ritenuto «contraria al disposto degli artt. 51 e 52 d.lgs. 196/2003 la decisione dell’amministrazione della giustizia di oscurare in maniera generalizzata i dati personali delle parti coinvolti in tutti i procedimenti civili pubblicati nella b.d.p.» (banca dati di merito pubblica) e ha «per l’effetto» e «nei limiti di cui in motivazione» annullato il «provvedimento impugnato».
Le brevi osservazioni che seguono si focalizzano sul principio affermato e sui dubbi interpretativi che fa sorgere. Non saranno affrontate le molte questioni procedurali, che traspaiono dal testo della decisione ma che questa non consente di affrontare con sufficiente conoscenza (la legittimazione, l’interesse legittimo fatto valere, la natura dell’intervento, la correlazione tra l’atto impugnato, l’oggetto del ricorso e la pronuncia, l’identificazione di quanto annullato), poggiando la decisione su affermazioni suggestive (come quella che uno dei due ricorrenti persona fisica sarebbe il curatore e responsabile scientifico del «noto progetto» Giurisprudenza delle imprese e quella che l’anonimizzazione dei provvedimenti nella nuova banca dati precluderebbe il perseguimento degli obiettivi del portale Giurisprudenza delle imprese) correlate all’enucleazione di un oggetto («la decisione di procedere alla costituzione delle due banche dati con oscuramento dei dati nei provvedimenti accessibili agli avvocati») estraneo al provvedimento che in epigrafe si identifica come gravato. E cioè il provvedimento del 1° dicembre 2023 con cui il Ministero della giustizia comunicava che da tale data sarebbero stati «deprecati i web services per l’accesso in consultazione all’archivio giurisprudenziale nazionale (a.g.n.) descritti nel paragrafo 3.3 della documentazione dei servizi web, a seguito della prossima disponibilità della nuova banca dati di merito pubblica (b.d.p.)». L’avvenuta costituzione e l’imminente lancio di due banche dati erano stati invero comunicati dal Ministero in data 13 novembre 2023 e l’anonimizzazione e pseudo-anonimizzazione dei provvedimenti era preannunciata in numerosi atti (tra cui Relazione del Ministero sull’Amministrazione della giustizia anno 2022, pag. 598).
2. La motivazione
La sentenza sgombra innanzitutto il campo da una serie di ragioni addotte dai ricorrenti, statuendo: - che l’interruzione del servizio è irrilevante essendosi protratta per un lasso di tempo non significativo; - che i tempi di aggiornamento dell’archivio, attraverso un sistema informatico ancora in rodaggio, costituiscono mera modalità operativa del provvedimento e non danno luogo a profili di legittimità; - che le limitazioni all’accesso, possibile via SPID, CNS o CIE, sono legittime in relazione alle informazioni che si ottengono e non impongono un onere irragionevole sull’utente; - che la diversa strutturazione rispetto a altri archivi giurisprudenziali è frutto di decisioni ampiamente discrezionali; - che ugualmente frutto di decisione discrezionale logica e coerente è la chiusura della a.g.n. perché sostituita dalla b.d.p..
Afferma poi l’illegittimità dell’«oscuramento tout court di tutti i dati personali contenuti nelle sentenze pubblicate e rese accessibili tramite b.d.p.», in quanto non ragionevole, né proporzionato o necessario. Ritenuto che «l’obiettivo [della banca dati pubblica, NdA] è garantire la diffusione della cultura giuridica, rendendo conoscibili gli indirizzi ermeneutici giurisprudenziali che, sebbene non vincolanti, possono guidare l’azione degli operatori giuridici», sviluppa così gli argomenti a supporto della decisione: a) benché l’oscuramento concerna solo i dati personali, «la mancata pubblicazione integrale è sicuramente incidente sull’esatta intellegibilità della sentenza»; b) l’oscuramento impedisce l’esatta definizione della vicenda fattuale e quindi la comprensione della portata della pronuncia giurisdizionale; c) gli artt. 51 e 52 d.lgs 196/2003 prevedono la pubblicazione delle pronunce e la diffusione (anche con pubblicazione in una banca dati accessibile alla generalità dei cittadini) con oscuramento dei dati personali solamente in alcune limitate ipotesi, ossia su richiesta della parte interessata (art. 52, co.1), oppure d’ufficio quando ciò risulti necessario per tutelare i diritti e la dignità dell’interessato (art. 52, co.2).; d) l’amministrazione che gestisce la banca dati non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nella valutazione sulla necessità dell’oscuramento, il contrario costituendo un’interferenza con una decisione attribuita al giudice; e) il principio di pubblicità sancito dall’art 6 CEDU (e 111 Cost.) si estende alla sentenza, la quale deve essere di regola resa disponibile in maniera integrale al pubblico; f) il bilanciamento tra pubblicità e tutela della vita privata va fatto dal giudice caso per caso e non con atto generale.
3. Qualche dubbio e qualche osservazione critica
Salutata da alcuni come una vittoria contro l’oscurantismo giudiziario, la sentenza pone più problemi di quanti intendesse risolvere, appare costruita su basi opinabili e certamente solleva dubbi di consistenza con la normativa interna e sovranazionale in materia di protezione dei dati personali.
Molti approfondimenti saranno necessari; qui ci si limiterà a lanciare un esame critico della decisione e delle sue implicazioni. Si cercherà di tratteggiare gli standard europei in materia e il ruolo dei soggetti istituzionali coinvolti nel processo.
A) Analisi critica del ragionamento giuridico del TAR
A1) Pubblicazione, pubblicità e art. 6 CEDU. Il giudice amministrativo pone la sua interpretazione - preclusiva dell’anonimizzazione massiva delle sentenze a fini di creazione di una banca dati pubblica - sotto l’ombrello dell’art. 6 CEDU (e 111 Cost.)
La creazione di archivi di giurisprudenza pubblici, accessibili online da tutti i consociati e organizzati in modo completo, trasparente e comprensibile contribuisce alla conoscenza della legge e dell’applicazione giudiziaria della legge, obbiettivo essenziale per le democrazie liberali, in quanto l’accesso a tali informazioni e alle conoscenze giuridiche in generale è condizione per il buon funzionamento della società, per garantire l’accesso alla giustizia e per dare ai cittadini certezza rispetto alle conseguenze giuridiche delle loro azioni. L'obiettivo perseguito con la creazione degli archivi è così molteplice: garantire la trasparenza e il diritto all'informazione, facilitare la ricerca delle decisioni e dei precedenti, promuovere l'uniformità degli orientamenti giurisprudenziali, consolidare la certezza del diritto, gettare le basi per un'applicazione del diritto conforme al principio di uguaglianza, rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia e nella legittimità dei giudici, facilitare il lavoro di tutti i professionisti della giustizia. Come si legge nel Rapporto di valutazione della CEPEJ 2022, «Le decisioni giudiziarie sono emesse in nome del popolo e la legittimità del sistema giudiziario all'interno di una società dipende in larga misura dalla sua capacità di rispondere sistematicamente alle esigenze e alle aspettative degli utenti della giustizia. La legittimità e la fiducia nei tribunali e nel sistema giudiziario nel suo complesso consentono il funzionamento dei tribunali: in assenza di fiducia, le decisioni giudiziarie non vengono rispettate, la cooperazione con i tribunali non è garantita e lo Stato di diritto è compromesso» (TdA; https://rm.coe.int/cepej-report-2020-22-e-web/1680a86279, p. 103). Per questo, si raccomanda agli Stati di adottare misure per garantire la conoscenza legale (anche) attraverso archivi online di giurisprudenza (si vedano le raccomandazioni del CM del CdE già a partire degli anni ’90: Recommendation No. R (95) 11 Concerning the Selection, Processing, Presentation and Archiving of Court Decisions in Legal Information Retrieval Systems) e la CEPEJ ha recentemente adottato Linee Guida sulla pubblicazione online delle decisioni giudiziarie (https://rm.coe.int/cepej-2024-9-guidelines-on-the-online-publication-of-judicial-decision/1680b2d0de).
Non può però confondersi la pubblicazione con la pubblicità delle sentenze, come sembra fare la decisione del TAR. Non esiste un obbligo convenzionale (né costituzionale) di pubblicazione e raccolta in archivi pubblici delle sentenze mentre esiste un obbligo di pubblicità del procedimento e della decisione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (per l’analisi approfondita della cui giurisprudenza si veda la Guida all’art. 6, https://ks.echr.coe.int/documents/d/echr-ks/guide_art_6_civil_fre) ha ripetutamente ricordato che la pubblicità del procedimento giudiziario tutela i cittadini contro una giustizia segreta che sfugge al controllo pubblico e costituisce una garanzia fondamentale contro l'arbitrarietà (Fazliyski c. Bulgaria), essendo al contempo uno dei mezzi per preservare la fiducia nei tribunali (Pretto e altri c. Italia). In particolare, l'art. 6, § 1 - che stabilisce che «la sentenza deve essere pronunciata pubblicamente» - implicherebbe la lettura pubblica della sentenza da parte del giudice ma la Corte ha ritenuto compatibili con tale articolo «altri mezzi per rendere pubblica una sentenza»: ad es. - in casi di decisioni pronunciate legittimamente a porte chiuse, la Corte ha ritenuto soddisfatto il requisito della pubblicità quando chiunque abbia un interesse può consultare o ottenere una copia del testo integrale delle decisioni (v. B. e P. c. Regno Unito; v. anche Vasil Vasilev c. Bulgaria); - in casi di decisioni di corti superiore pronunciate fuori udienza, ha ritenuto che il detto requisito fosse soddisfatto quando, mediante deposito presso la cancelleria, il testo integrale della sentenza era accessibile a tutti (Pretto e altri c. Italia) e pubblicato nella raccolta ufficiale (Straume c. Lettonia; Ernst e altri c. Belgio), o quando una sentenza che confermava una sentenza pronunciata in udienza pubblica era stata pronunciata senza udienza (Axen c. Germania).
Il sistema legale italiano prevede norme dettagliate per la pubblicità dei procedimenti e delle decisioni, fissa strette regole per l’esclusione motivata della pubblicità delle udienze (c.d. a porte chiuse), prevede per tutti i procedimenti, civili e penali, il diritto delle parti a ricevere le decisioni che le riguardano e la possibilità per chiunque ne ha interesse di chiedere il rilascio di una copia integrale al giudice o al cancelliere (art. 116 CPP, artt. 744 e 745 CPC).
Alla luce dell’interpretazione dell’art. 6 CEDU fornita dalla Corte di Strasburgo, il requisito convenzionale della pubblicità è garantito nel nostro sistema da questo insieme di norme. Non vi è alcuna necessità che la pubblicazione delle decisioni (su riviste o archivi cartacei o digitali) sia effettuata in modo integrale a fini di pubblicità.
A2) Pubblicazione in archivi online e protezione dei dati personali. La questione della compatibilità dell’oscuramento o del non-oscuramento dei dati personali con la normativa nazionale e sovranazionale è evidentemente centrale. Il quadro regolamentare e convenzionale (GDPR - Regolamento (UE) 2016/679, EU AI Act e Convenzione 108 del Consiglio d’Europa) non è preso in considerazione dalla sentenza, che si concentra sugli artt. 51 e 52 d.lgs 196/2003.
Il Codice in materia di protezione dei dati personali non contiene alcuna norma sulla creazione di archivi online, completi e accessibili dal grande pubblico, della giurisprudenza delle corti (come è ovvio data l’epoca di approvazione) e si limita a prevedere che «Le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo» (art. 51, co. 2) e che «Fuori dei casi indicati nel presente articolo [decisioni in materia di famiglia e concernenti minori, sentenze anonime su richiesta di parte, NdA] è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali» (art. 52, co. 7). Nessun elemento aggiuntivo emerge dalle Linee guida in materia di trattamento dei dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica del 2 dicembre 2010.
La sentenza interpreta queste disposizioni e le espressioni «sono rese accessibili» e «è ammessa la diffusione» ivi contenute nel senso che il gestore di un archivio giurisprudenziale pubblico non possa pubblicare le decisioni in forma anonimizzata o pseudo-anonimizzata (salva previsione espressa di legge o decisione del giudice), arrivando a ritenere che così facendo si realizzerebbe una interferenza con la funzione giurisdizionale.
Il salto logico non potrebbe essere più arrischiato! Ancora una volta emerge una sovrapposizione della pubblicità alla pubblicazione unita alla teorizzazione di un obbligo generale di ostensione dei dati personali (se vale per la PA non può che valere a maggior ragione per il privato).
Non solo un tale obbligo è del tutto irragionevole – una volta garantita la pubblicità delle decisioni ogni modalità di diffusione che rafforza la tutela dei dati personali deve essere sempre ammissibile – ma ignora l’assetto della tutela dei dati personali risultante dai Regolamenti Europei (non solo GDPR ma anche il Reg. UE 2018/1725 sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione e sulla libera circolazione di tali dati, il Reg. 2022/868 relativo alla governance europea dei dati e che modifica il regolamento (UE) 2018/1724) e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa per la Protezione degli individuai in relazione al trattamento dei dati personali, detta Convenzione 108.
Nel sistema del GDPR sono contenute varie eccezioni alla tutela ordinaria e alle limitazioni al trattamento dei dati per quei dati che sono inerenti all’esercizio del diritto di difesa e all’esercizio dell’attività giurisdizionale ma i dati contenuti negli atti giudiziari ricadono sotto la disciplina generale quando sono riutilizzati al di fuori dell’esercizio di una tale attività (e che la pubblicazione delle sentenze non rientri nell’esercizio di funzioni giurisdizionali pare incontestabile). Nell’affermazione del giudice amministrativo di un obbligo di ostensione è omessa ogni considerazione relativa all’applicabilità dell’art. 9 GDPR (trattamento di categorie particolari di dati personali, «che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona») esclusa solo nel caso in cui «il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali» (art 9, co. 2 lett f; v. anche art. 5 Conv. 108).
La sentenza del TAR enfatizza a fini decisionali il ruolo della banca dati pubblica a fini di ricerca. Ciò nonostante, non si fa applicazione del principio di minimizzazione dei dati (art. 5 lett. e GDPR e art. 6 Conv. 108) e delle regole fissate all’art. 89 GDPR, intitolato «Garanzie e deroghe relative al trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici», secondo cui: «1. Il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici è soggetto a garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, in conformità del presente regolamento. Tali garanzie assicurano che siano state predisposte misure tecniche e organizzative, in particolare al fine di garantire il rispetto del principio della minimizzazione dei dati. Tali misure possono includere la pseudonimizzazione purché le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo. Qualora possano essere conseguite attraverso il trattamento ulteriore che non consenta o non consenta più di identificare l’interessato, tali finalità devono essere conseguite in tal modo» (si vedano i considerando da §156 a §163). Ugualmente il TAR non fa applicazione del principio di necessità (su cui v. il leading case CGUE Case C-524/06, Huber) in relazione alle finalità della ricerca, limitandosi all’apodittica (e generalmente invalida in ogni campo della ricerca) affermazione per cui l’anonimizzazione danneggia o potenzialmente distorce i risultati della ricerca.
La letteratura sull’art. 89 GDPR è molto vasta (specialmente con riferimento alla ricerca nel campo medico ed epidemiologico) e accompagnata da specifici studi in vista dell’adozione di linee guida europee; dato il limitato scopo di queste brevi note, non può che rinviarsi alla stessa (facilmente reperibile in open source). Ci si limita qui a sottolineare che il concetto di ricerca scientifica è molto ampio e include certamente la ricerca giurisprudenziale effettuata per scopi accademici o professionali (ma non quella effettuata dal giudice al fine di adottare una decisione nell’esercizio della funzione giudiziaria, da cui il fondamento per una banca dati pubblica e una banca dati riservata ai magistrati).
B) Anonimizzazione e pseudo-anonimizzazione come «salvaguardia appropriata» per il trattamento dei dati. È grazie all’avvento di sistemi automatizzati di pseudo-anonimizzazione, anonimizzazione, generalizzazione, soppressione e randomizzazione dei dati personali che la creazione di archivi giurisprudenziali completi e conformi al GDPR e alla politica Open Data dell’Unione Europea è divenuta possibile, e non a caso è stata inclusa come obiettivo per l’utilizzo dei Recovery Funds in vari Paesi europei. L’anonimizzazione manuale può infatti interessare solo un numero limitato di decisioni, selezionate dal giudice o dal presidente della corte, e non può essere elevata a sistema per la creazione di un archivio omnicomprensivo (che dire di un ordine giudiziale di anonimizzazione preconizzato dal TAR?).
Nelle conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea n. 16933/24 sull'uso dell'intelligenza artificiale nel settore della giustizia del dicembre 2024 si riafferma con forza al punto 18) che: «La disponibilità di decisioni giudiziarie anonimizzate o pseudonimizzate è un fattore essenziale per le applicazioni di IA nel settore della giustizia, che richiedono un'accessibilità su larga scala a tali decisioni per effettuarne l'analisi, in particolare nella fase di addestramento dei sistemi di IA» (v. anche il considerando 9).
Ancora, come accennato, la CEPEJ ha adottato a dicembre 2024 Linee Guida per la pubblicazione online di decisioni giudiziarie, frutto di un lavoro complesso di ricerca - incluso un Survey tra i Paesi Membri del CdE attraverso il European Cyberjustice Network, che ha ricevuto risposte da 30 partecipanti, provenienti da un totale di 21 Stati membri del Consiglio d'Europa, tra cui Austria, Belgio, Svizzera, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Finlandia, Francia, Ungheria, Irlanda, Islanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Lettonia, Moldavia, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Regno Unito - e studio che ha visto l’impegno di esperti, in primis la Prof. Monica Palmirani dell’Università di Bologna, e dei membri del Gruppo CYBERJUST della CEPEJ.
La Linea Guida n. 12 è dedicata all’anonimizzazione e alla pseudo-anonimizzazione. La riporto integralmente, perché non disponibile in italiano:
«72. Le norme relative all'anonimizzazione o alla pseudonimizzazione delle decisioni giudiziarie pubblicate online devono essere applicate per proteggere efficacemente la vita privata e la sicurezza delle persone, nel rispetto del principio di trasparenza e dell'accesso alle informazioni di interesse pubblico. In particolare, è importante ridurre il più possibile qualsiasi rischio di re-identificazione e prestare particolare attenzione ai dati sensibili e alle persone vulnerabili. L'obbiettivo è quello di garantire un equilibrio tra la protezione dei dati personali e la necessità di comprendere le decisioni giudiziarie, offrendo al contempo meccanismi di ricorso ove necessario.
73. Le norme in materia di anonimizzazione o pseudonimizzazione delle decisioni giudiziarie pubblicate online dovrebbero garantire un giusto equilibrio tra il principio della pubblicità dei procedimenti giudiziari, la libertà di accesso alle informazioni di interesse pubblico e la protezione dei dati personali e il diritto alla sicurezza e alla privacy tutelati dalla Convenzione 108. Quando si tratta di dati sensibili (orientamento sessuale, salute, questioni familiari, ecc.) o quando è necessario garantire una protezione speciale a soggetti vulnerabili (ad esempio minori o vittime di violenza sessuale), occorre prestare particolare attenzione all'anonimizzazione/pseudonimizzazione.
74. I giudici dovrebbero sempre essere consapevoli che, anche se i dati personali vengono successivamente cancellati, le persone citate potrebbero comunque essere identificate. È quindi necessario prestare particolare attenzione alla protezione dei dati personali in una fase ex ante, evitando di menzionare qualsiasi elemento sensibile che non sia necessario per comprendere il ragionamento alla base della decisione. Dovrebbero inoltre evitare di includere elementi che potrebbero portare all'identificazione delle parti e che non sono strettamente necessari.
75. Le norme in materia di anonimizzazione/pseudonimizzazione, in particolare per quanto riguarda le persone fisiche e giuridiche interessate, dovrebbero essere emanate dall'organo responsabile della governance della magistratura, che è tenuto a pubblicarle e a spiegarle, in modo che si applichino a chiunque pubblichi decisioni giudiziarie.
76. L'anonimizzazione/pseudonimizzazione dovrebbe avere il minor impatto possibile sulla leggibilità della decisione e dovrebbe in ogni caso consentirne la comprensione.
77. La re-identificazione dovrebbe essere resa il più difficile possibile. L'uso di iniziali casuali o di etichette generiche dovrebbe essere preferito alle iniziali reali delle parti in causa. Dovrebbe essere evitata, per quanto possibile, qualsiasi possibilità di trovare dati personali non anonimizzati collegati a un determinato numero di causa.
78. Dovrebbe esistere un meccanismo semplice e rapido per richiedere la revisione dell'anonimizzazione/ pseudonimizzazione, che dovrebbe essere adeguatamente pubblicizzato sul portale di pubblicazione.
79. Nei sistemi giudiziari in cui le decisioni giudiziarie sono pubblicate senza anonimizzazione o pseudonimizzazione, occorre garantire il diritto all'oblio e il principio di non influenza delle iscrizioni cancellate dai casellari giudiziari».
Sul tema, utili riferimenti si rinvengono anche in Publication of judicial decisions: Council of Europe’s points for consideration, uno studio redatto nell’ambito del progetto Foster Transparency of Judicial Decisions and Enhancing the National Implementation of the European Convention on Human Rights (TJENI) https://rm.coe.int/publication-of-judicial-decisions-the-council-of-europe-s-points-for-c/1680aeb36d.
C) Una policy degli archivi di giurisprudenza. Profili metodologici e istituzionali. Cenni. Importantissimo il punto 76 delle linee guida che pone l’accento su leggibilità e comprensibilità delle decisioni.
Si tratta di un profilo che, con evidenza, non concerne il “se” anonimizzare ma il “come” farlo.
Per garantire leggibilità e comprensibilità sono necessari principi e regole chiare, possibilmente fissate in linee guida adottate dal gestore della banca dati, conoscibili da tutti e pubblicate nel sito di ricerca. Un valido esempio è rappresentato dalle GDPR compliant guidelines for processing personal data in legal documents, elaborato nell’ambito del progetto EURO-EXPERT finanziato dal Consiglio delle Ricerche Europeo (https://culturalexpertise.net/wp-content/uploads/2022/01/gdprcompliantguidelinesforlegaldocuments.pdf) e diretto dalla Prof. Livia Holden dell’Università di Parigi Sorbonne.
Una volta fissate le regole, queste possono essere tradotte in istruzioni di un algoritmo, che, adeguatamente addestrato, può costituire la base di uno strumento automatizzato di anonimizzazione o pseudo-anonimizzazione. Il controllo umano dei risultati di questo processo automatico è essenziale per garantire la pulizia dei dati.
Le regole dovrebbero essere elaborate dall’autorità che gestisce la banca dati attraverso un metodo partecipativo, che veda il coinvolgimento o, secondo i casi, la consultazione di tutti i soggetti rilevanti (l’organo di autogoverno, l’organo responsabile per la fornitura e gestione di risorse e servizi, le corti di merito, la scuola della magistratura, la corte di cassazione, il consiglio nazionale forense, i ministeri competenti per la digitalizzazione della PA, il garante della protezione dei dati personali, la conferenza dei rettori, rappresentanti della società civile) e, se necessario, il contributo di esperti.
In un sistema quale il nostro, ispirato alla duplicità dei soggetti responsabili della giustizia – il CSM organo di autogoverno e il Ministero della Giustizia organo di organizzazione e funzionamento dei servizi – deve chiedersi a chi spetti istituzionalmente il compito di creare e gestire una banca dati delle decisioni giudiziarie di merito, finalizzata all’uso secondario delle informazioni e dei dati in esse contenuti. Sembra da escludersi – salva la possibilità degli uffici giudiziari di individuare forme specifiche e ulteriori di pubblicizzazione delle decisioni – che un tale compito rientri nella competenza dei presidenti dei tribunali e delle corti; una tale soluzione non potrebbe che portare a esperienze frammentate e inconsistenti (come dimostra tra l’altro l’esperienza dell’anonimizzazione delle decisioni mediante intervento automatico sui placeholders da effettuarsi prima dell’inserimento in Consolle). La creazione di una banca dati pubblica, avente ad oggetto un’attività non collegata all’esercizio delle funzioni giudiziarie ma finalizzata al riutilizzo secondario dei dati, sembra ricadere, allo stato, nelle competenze e capacità del Ministero della Giustizia. Questi dovrebbe peraltro esercitarle in stretta collaborazione con il CSM, il quale dovrebbe creare al suo interno una struttura specificamente dedicata all’evoluzione tecnologica del sistema giudiziario dotata di risorse umane adeguate (computer scientists, matematici e giuristi), capace di operare in modo agile attraverso meccanismi regolamentari innovativi di collegamento tra struttura e plenum. Solo in questo modo potrà intervenire tempestivamente e in modo propositivo in tutte le attività legate all’innovazione tecnologica. Se la collaborazione Ministero-CSM deve giocare un ruolo di rilievo per la banca dati pubblica, essa è essenziale per quanto concerne la banca dati dedicata ad uso interno della magistratura.
Non sono note, almeno a chi scrive, le modalità con cui le decisioni sul “come” anonimizzare le decisioni della banca dati pubblica siano state assunte, sul contenuto dell’algoritmo, il suo addestramento e controllo. Benché vari “tavoli” abbiano visto il coinvolgimento di CSM e avvocatura, la conoscenza che si ha su contenuti e risultati è insufficiente a formulare un giudizio o una valutazione qualitativa.
La non leggibilità o non comprensibilità di alcune delle decisioni contenute nella banca dati (riferite dai ricorrenti nel caso in esame; nelle mie ricerche non ne ho trovate) sono un problema di realizzazione e perfezionamento del sistema ma le regole devono essere trasparenti e disponibili al grande pubblico, e condivise se se ne vuole assicurare l’accettazione.
Una collaborazione fattiva tra Consiglio e Ministero consentirebbe, inoltre, col supporto della Scuola Superiore della Magistratura, di includere nella formazione iniziale dei magistrati dedicata alle tecniche di motivazione un approccio consapevole al tema dell’uso dei dati, secondo i principi di minimizzazione e necessità, nella scrittura delle decisioni.
D) Le decisioni su casi di pubblico interesse. Ogniqualvolta sussista un interesse pubblico, resta ovviamente la possibilità di pubblicare le sentenze in modo integrale o con anonimizzazione limitata a dati non necessari rispetto allo scopo perseguito, ricordando che, ai sensi dell’art. 8 CEDU, la compressione del diritto alla vita privata è legittima se è prevista dalla legge, persegue un fine legittimo ed è necessaria in una società democratica (per una corretta comprensione di questi concetti si rinvia ai materiali rinvenibili sulla piattaforma per la condivisione della conoscenza della CtEDU, CEDH-KS https://ks.echr.coe.int/fr/web/echr-ks/article-8).
4. Conclusioni sparse e provvisorie
Ferma la critica alla decisione del TAR e la necessità di ulteriori approfondimenti, possono formularsi alcune conclusioni, mettendo l’accento su qualche punto fermo (almeno secondo chi scrive):
§ Pubblicità dei processi e delle decisioni giudiziarie e pubblicazione di queste ultime sono concetti diversi
§ La pubblicazione in banche dati pubbliche da parte di un soggetto diverso dall’autorità giudiziaria che le ha pronunciate dà luogo a uso secondario dei dati contenuti nelle decisioni estraneo all’esercizio delle funzioni giudiziarie, e in quanto tale soggetto ai principi del GDPR
§ La anonimizzazione o la pseudo-anonimizzazione rendono i dati usabili e riusabili in aderenza alla policy di open data dell’Unione Europea
§ I criteri per la anonimizzazione o pseudo-anonimizzazione nella banca dati di merito del Ministero della Giustizia devono essere pubblici
§ Il CSM deve innovare e rafforzare la propria struttura organizzativa per svolgere un ruolo significativo nella digitalizzazione della giustizia e nella diffusione della conoscenza legale
§ Nel contesto della formazione tecnologica dei magistrati (richiesta, tra l’altro, dall’EU AI Act e dall’Opinione CCJE n. 26 Moving forward: the use of assistive technology in the judiciary) deve dedicarsi spazio alle tecniche di redazione dei provvedimenti alla luce delle nuove tecnologie e delle regole in materia di protezione dei dati personali
§ Il Garante per la protezione dei dati personali potrebbe rivisitare le sue Linee guida del 2010 alla luce della nuova normativa europea aiutando Ministero e Consiglio nell’adozione delle decisioni sulle banche dati di giurisprudenza.
§ Se la decisione del TAR dovesse essere confermata, l’unico scenario possibile sarebbe la chiusura della banca dati pubblica, per evitare che una enorme miniera di dati personali sia messa nelle mani degli editori, che aderendo per pochi soldi (10.000 euro) alla Convenzione col Ministero della Giustizia 4 luglio 2014, acquisiscono il diritto alla trasmissione per via telematica di tutti i provvedimenti contenuti nella banca dati (https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/convenzione_accordo_protocollo_selezionato?contentId=SCA1434094), ma anche di qualunque soggetto che effettui lo scarico e il salvataggio in locale (inizialmente escluso e ammesso dal gennaio 2024) dei provvedimenti. In tempi di vorticosa evoluzione delle tecnologie dell’informazione, di uso spregiudicato dell’intelligenza artificiale, di aggressività del mercato degli applicativi, di caccia ai dati personali che valgono ormai più dell’oro, non è necessario spiegare perché una tale evenienza sarebbe da scongiurare ad ogni costo.