Magistratura democratica

Lo statuto del Greffe e il suo ruolo nel processo decisionale della Corte

di Federico Di Salvo
Il presente contributo analizza lo statuto e il ruolo della Cancelleria in un’ottica statica e dinamica, nel rispetto delle differenze con i giudici convenzionali: la peculiarità delle funzioni del personale e il ruolo che assume nel processo decisionale della Corte Edu; la natura dell’opera dei giuristi e il suo sempre maggior peso nell’esercizio della giurisdizione.

1. I giudici della Corte e il Greffe

Come i due “tamburi” che ospitano le due aule principali della Corte Edu contraddistinguono la facciata del Palazzo dei Diritti dell’Uomodi Strasburgo rendendola inconfondibile in tutto il mondo, così, per disposizione convenzionale, i due “pilastri” sui cui si regge il funzionamento della Corte e che la caratterizzano più di ogni altra giurisdizione internazionale sono, da un lato, l’insieme dei giudici, nel numero di 47 – uno per Alta Parte Contraente – e, dall’altro, la Cancelleria, il Registry o Greffe[1], un apparato che ad oggi conta circa 650 funzionari tra giuristi, linguisti, assistenti amministrativi e tecnici informatici.

1.1. Una visione statica e organica: lo statuto, le funzioni e il ruolo del Greffe nelle fonti formali… e in quelle informali

Rilevantissimo, ma invisibile nel processo di decision-making delle pronunce della Corte, il ruolo della Cancelleria di Strasburgo e, in particolare, dei suoi giuristi rimane ancor oggi velato da un cauto riserbo. La coltre di nebbie strasburghesi che avvolge questo apparato, unico nel suo genere, merita tuttavia di essere dissipata a beneficio di una maggiore comprensione del sistema nel suo complesso.

Contrariamente alle cancellerie giudiziarie dell’ordinamento interno – uffici amministrativi finalizzati all’erogazione del servizio-giustizia –, le fonti internazionali ci consegnano già sotto il profilo formale un complesso di strutture, ruoli e prerogative della Cancelleria della Corte europea quantomeno para-giudiziario o, meglio, co-giudiziario (se si potesse usare questo neologismo per indicare un insieme di attribuzioni coessenziale all’esercizio del potere giurisdizionale), a sua volta distinto dagli omologhi uffici di giurisdizioni internazionali, dal sistema degli assistenti di studio della nostra Corte costituzionale o dei referendari della Corte di giustizia dell’Unione europea[2].

Si potrebbe, quindi, dire che il concetto di “Cancelleria”, nella materia che ci occupa, goda della consueta autonomia semantica che contraddistingue le cd. “nozioni autonome” convenzionali, che è onere dell’operatore di diritto comune (in quanto primo interprete della Convenzione nell’ordinamento interno) intendere.

Secondo una lettura combinata degli artt. 19 e 24 della Convenzione, «per assicurare il rispetto degli impegni derivanti (…) dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, è istituita una Corte europea dei Diritti dell’Uomo» la quale, dall’entrata in vigore del Protocollo n. 11 – il 1 gennaio 1998 –, «funziona in modo permanente» e «dispone di una Cancelleria i cui compiti e la cui organizzazione sono stabiliti dal Regolamento della Corte».

Il Regolamento – per quanto non costituisca uno strumento fondato sul consenso pattizio interstatale, ma tragga la sua legittimazione dalla deliberazione dell’assemblea plenaria dei giudici – è «lo strumento attraverso il quale si estrinseca l’autonomia normativa della Corte nella disciplina delle proprie competenze giurisdizionali»[3] e «non solo contiene le norme di attuazione e specificazione delle disposizioni convenzionali relative all’organizzazione interna della Corte ed allo svolgimento della procedura, ma assolve anche ad una funzione di completamento ed integrazione di tali disposizioni, sino ad assurgere talvolta ad autonoma fonte di poteri»[4], tra i quali quello del greffier (o registrar) di nominare (e quindi di scegliere) sotto l’autorità del Presidente gli agenti del Greffe (art. 18, par. 3, Regolamento) e di preparare istruzioni generali approvate dal Presidente della Corte per regolare internamente il funzionamento del Greffe (art. 17, par. 4, Regolamento) e quindi, indirettamente, talune fasi endoprocedimentali dell’iter che condurrà alla decisione della Corte.

Rimanendo queste ultime meri interna corporis, per individuare con precisione la figura del greffier, circoscrivere le prerogative e le funzioni del Greffe e descriverne la composizione, può farsi riferimento alle fonti anzidette, alla presentazione che la Corte fa di se stessa sul suo sito internet ufficiale e alla produzione scientifica inerente alla cronaca della prassi di eminenti giudici, dirigenti della Cancelleria e avvocati “convenzionalisti”.

Queste fonti più o meno formali descrivono un personale in pianta organica che, per composizione, statuto e funzioni, si allontana da quello dei funzionari del Consiglio tout court e si avvicina di gran lunga al giudiziario: «assunti per concorso, tutti gli agenti della Cancelleria devono rispettare delle condizioni strette in materia di indipendenza e imparzialità», sono pertanto svincolati da una qualche lealtà o condizionamento con l’ordinamento di provenienza e devono all’uopo «prestare giuramento o impegno solenne di svolgere in tutta lealtà, coscienza e discrezione le funzioni affidate come ufficiale della Cancelleria della Corte».

Le loro funzioni si articolano attorno alle sezioni giudiziarie e, infatti, vi sono tanti greffiers e tanti greffes di sezione quante sono le sezioni giudiziarie (art. 18, par. 1, Regolamento). Organicamente, invece, la struttura è ripartita in divisioni e servizi. Le prime, coordinate dai capi di divisione (heads of division, chefs de division, giuristi di comprovata esperienza e rilevante anzianità di servizio), sono incaricate della trattazione dei casi e i secondi svolgono un supporto giuridico, linguistico tecnico o manageriale.

Gli agenti della Cancelleria sono a tutti gli effetti funzionari del Consiglio d’Europa – assunti per pubblico concorso, bandito dal segretario generale e gestito dalla Direzione risorse umane – e, pertanto, ne dipendono amministrativamente ed economicamente. Tuttavia essi, dal punto di vista funzionale, godono di uno statuto particolare non solo in ordine alle garanzie di autonomia e indipendenza dai poteri governativi e dagli altri organi del Consiglio stesso, ma anche per quanto concerne l’immunità dalla giurisdizione nell’esercizio delle loro funzioni al servizio di un organo giurisdizionale internazionale. Da un lato, l’immunità di cui godono può essere revocata dal segretario generale del Consiglio d’Europa, in una logica sostanzialmente gerarchica; tuttavia, in un’ottica funzionale, tale garanzia può cadere solo con l’assenso del presidente della Corte (art. 5, par. 4 del sesto Protocollo aggiuntivo all’Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d’Europa).  Dall’altro, tutti i documenti e le carte impiegati, nella misura in cui concernono l’attività della Corte, rimangono inviolabili e la corrispondenza e le comunicazioni ufficiali non posso essere trattenuti o sottoposti a censura (art. 4 del quarto Protocollo addizionale dell’Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d’Europa). Le immunità giurisdizionali riconosciute ai giudici e ai loro famigliari sono peraltro estese anche al greffier e ai greffiers aggiunti (art. 7).

Secondo il Regolamento della Corte, il greffier, dirigente apicale dell’intera Cancelleria, e i greffiers aggiunti sono eletti dalla Corte in assemblea plenaria a maggioranza assoluta per cinque anni e sono rieleggibili. Il greffier non può essere revocato se non previa sua adizione di fronte alla assemblea plenaria e con voto a maggioranza qualificata.

Il greffier «assiste la Corte nel compimento delle sue funzioni. È responsabile dell’organizzazione e delle attività della Cancelleria sotto l’autorità del presidente.  Ha la custodia degli archivi della Corte e serve da intermediario per le comunicazioni e notificazioni (…) riguardo agli affari a lei sottoposti o da sottoporre» (art. 17).

Il documento di presentazione rinvenibile sul sito specifica che il greffier «assume la responsabilità generale delle attività tanto giudiziarie che amministrative della Cancelleria, di cui è a capo». Infatti, il compito della Cancelleria tutta è quello di «fornire supporto giuridico e amministrativo alla Corte nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie» e ha per principale funzione quella di «trattare e preparare i ricorsi sottoposti alla Corte, in vista dell’adozione di una decisione o di una sentenza». Il documento prosegue preoccupandosi di specificare che «concretamente, prepara (…) i fascicoli e le note di analisi all’attenzione dei giudici e cura (…) la corrispondenza con le parti su questioni di procedura, ma non decid[e] i casi».

Tale supporto è assicurato in specifico dai giuristi della Cancelleria. Nell’espletamento delle anzidette attribuzioni, ciascuno di essi è a sua volta affiancato da assistenti che curano gli aspetti prettamente burocratico-amministrativi e di corrispondenza, dovendo la funzione primaria rimanere il cosiddetto case-processing (il trattamento e l’analisi giuridica dei casi, la cura del fascicolo) e la redazione di progetti di decisioni o sentenze. All’uopo, nel gergo interno, i giuristi applicati a queste funzioni prendono anche la specifica denominazione di case-processing lawyers (giuristi incaricati del trattamento di ricorsi), per distinguersi dai giuristi applicati al servizio ricerca, alla divisione responsabile dei metodi di lavoro o ai dirigenti apicali.

I giuristi e, a cominciare dal loro vertice, il greffier non solo godono di particolari garanzie quanto alla loro assunzione, al loro trattamento e allo svolgimento delle loro funzioni, ma si vedono assegnati specifici compiti di natura istruttoria e procedurale: non amministrativi (perché tale aspetto è assolto dagli assistenti), bensì, potremmo dire, quasi giudiziari, ossia – lo vedremo più avanti – di indole più giurisdizionale che burocratica in quanto prodromici alle decisioni. Per questo non deve stupire che, nel corso della loro carriera, essi siano soggetti a uno stretto programma di formazione continua, segnatamente finalizzato all’aggiornamento giurisprudenziale-convenzionale e allo sviluppo delle capacità argomentativo-redazionali, e siano sottoposti a valutazioni semestrali di produttività, soprattutto redazionale.

La figura che maggiormente incarna l’assimilazione funzionale all’archetipo giudiziario è quella dei “giuristi A” o semplicemente “giuristi”, i funzionari strutturati, incardinati nel sistema della Corte in modo permanente e principali titolari delle garanzie e dei compiti anzidetti.

A fianco ai giuristi strutturati, altre due peculiari categorie di giuristi e una figura tipicamente interna restituiscono bene i numeri e l’immagine della natura quasi-decisoria del ruolo di questo personale: i giuristi assistenti (o “giovani giuristi” o “giuristi B”), i magistrati distaccati (o “messi a disposizione”) e la figura del giureconsulto.

I primi, essenzialmente giuristi in formazione, sono incaricati di «trattare i ricorsi individuali che si riferiscono al Paese di cui sono cittadini e/o sono redatti nella loro lingua madre», «dedicano la maggior parte del tempo a trattare le migliaia di ricorsi rigettati ogni anno per non rispetto delle condizioni di ammissibilità fissate dalla Convenzione» e «sotto l’autorità di giuristi d’esperienza partecipano inoltre alla trattazione di ricorsi più complessi (…) vedendosi attribuite funzioni sempre più esigenti (…) Ciascuno di essi è affidatario di una lista di casi di cui è responsabile a ogni stadio della procedura»[5]. Questa funzione è aperta, tramite concorso, a giovani laureati in giurisprudenza cittadini degli Stati membri del Consiglio d’Europa, offrendo loro l’opportunità di lavorare presso la Corte per un periodo determinato, proprio per il trattamento delle migliaia di ricorsi individuali manifestamente inammissibili riconducibili al sistema giuridico del proprio Paese.

Non di rado questi giuristi, se pur giovani, possiedono altre esperienze internazionali e conoscenze giuridiche e linguistiche riferite anche a ordinamenti diversi dall’italiano, e ciò per dimostrare flessibilità mentale e attitudine alla comparazione giuridica. Sono selezionati tra candidati riferibili a estrazioni professionali eterogenee: laureati con spiccate attitudini internazionali, studiosi universitari, giuristi con esperienza in organizzazioni internazionali, giuristi di ong, giovani avvocati, al fine di integrare la Cancelleria con sensibilità e preparazioni giuridiche differenti.

Quel che più rileva è che, sotto l’autorità del relatore non giudiziario – loro capo ufficio e diretto superiore –, essi sono chiamati a un compito vertiginoso per mole e responsabilità: la cernita e scrematura dei ricorsi in entrata e la cruciale formulazione della proposta di decisione sulla loro ricevibilità.

I secondi sono magistrati provenienti dagli ordini giudiziari degli Stati parte, temporaneamente presso la Corte in visita di studio ovvero in regime di distacco, i quali – preziosissimi per la loro conoscenza del diritto nazionale – sono inseriti sic et simpliciter nell’organizzazione della Corte, sottoposti agli obblighi tipici dello staff, e svolgono a tutti gli effetti gli stessi compiti dei giuristi interni, siano essi di natura istruttoria-redazionale o di ricerca.

Il giureconsulto, infine, è una figura del tutto peculiare che merita attenzione perché, come noto, non è assimilabile né all’istituto dell’avvocato generale né a quello del procuratore generale. Esso non rappresenta l’interesse pubblico nella controversia, non è parte, ma è un’articolazione della Cancelleria stessa: un servizio giuridico centralizzato di supporto, al quale partecipano trasversalmente giuristi esperti di ogni divisione e al cui vertice siede un giurista anziano, alto in grado e di riconosciuta competenza e autorevolezza.

Come una sorta di Ufficio del massimario, il giureconsulto interviene nella fase endoprocedimentale e a fini puramente interni. Pur non curando la massimazione, è incaricato, con il suo prezioso lavoro, di assicurare la qualità e la coerenza della giurisprudenza. A tal fine, fornisce alle varie formazioni giudiziarie autorevoli e seguitissimi pareri interni – talvolta obbligatori, ancorché non vincolanti – sulla consistency, vale a dire sulla coerenza e uniformità dei vari progetti di decisione o sentenza con quello che potremmo definire il diritto convenzionale vivente. Inoltre, prepara ricerche e note informative per i giudici e per i membri tutti della Cancelleria (art. 18B, Regolamento).

Attualmente, alla Divisione n. 3, articolazione incaricata della trattazione dei casi italiani, sono in funzione sette giuristi di cui un capo di divisione, un relatore non giudiziario e un giurista che è anche membro del servizio centralizzato del giureconsulto, sei “giovani giuristi” (“giuristi B” o “giuristi assistenti”), due magistrati distaccati e otto assistenti amministrativi.

Come si vede, il corpo dei giuristi (in maggioranza strutturati e permanenti), anche solo in termini di organico, può arrivare a intrattenere un rapporto con i giudici – il cui mandato è temporaneo – esprimente una proporzione numerica di 13 a 1, come nella Divisone italiana. Soprattutto, se si pone mente al fatto che il giudice monocratico dell’irricevibilità (cd. single judge o juge unique) non è mai il giudice nazionale, in termini funzionali tutto questo si riassume in una inevitabile dipendenza dei giudici dalle funzioni dei giuristi, per le evidenti ragioni linguistiche e di conoscenza del diritto nazionale insite nell’esame del ricorso.

La panoramica appena esposta esprime bene l’idea di un Greffe come di un articolato servizio giuridico:

  • imparziale e indipendente dai governi degli Stati parte;
  • per molti versi autonomo rispetto agli altri servizi del Consiglio d’Europa;
  • qualificato e, in taluni casi, sostanzialmente equiparabile ai fini interni alle magistrature nazionali, le quali infatti possono integrarlo, in regime di distacco, con i medesimi compiti;
  • specializzato nell’istruttoria dei casi e nella redazione;
  • affidatario in prima persona dei fascicoli di ricorsi individuali;
  • eterogeneo nella sua composizione;
  • messo a disposizione della Corte nel suo complesso e non servente i soli 47 giudici;
  • custode della memoria storica e guardiano della coerenza della giurisprudenza della Corte (in misura forse persino maggiore dei giudici, se si pensa che questi ultimi sono eletti per “soli” nove anni, a fronte del carattere permanente dei posti di Cancelleria);
  • risorsa imprescindibile per i giudici, sia in termini numerici per la trattazione dei casi, sia per l’inevitabile conoscenza delle lingue nazionali e degli ordinamenti interni;
  • infine, niente affatto subalterno ad essi, se non nel momento strettamente deliberativo, e quindi solo in materia di scelte ultime, cioè in termini di responsabilità e paternità giurisdizionale delle pronunce[6].

 

Significativa a tale ultimo riguardo è la nota vicenda che ha interessato la “falsa” innovazione introdotta nel 1994 dal Protocollo n. 11, che all’articolo 25 della Convenzione rubricava «Cancelleria e referendari», stabilendo che «la Corte è assistita da referendari», tratteggiando un sistema analogo a quello della Corte di Lussemburgo, dove i giudici sono assistiti da giuristi – chiamati «referendari» – da loro scelti e alle loro dirette dipendenze. Il rapporto esplicativo accluso al Protocollo lasciava sostanzialmente al Regolamento la scelta tra un vero e proprio sistema di referendari, vale a dire di collaboratori personali chiamati a “riferire” al loro giudice, e la creazione di un servizio composto da giuristi messi a disposizione della Corte nel suo complesso, «il cui ruolo mal si sarebbe distinto da quello degli altri funzionari del Greffe»[7].

Nell’adozione del Regolamento, i giudici si sono orientati verso questa seconda opzione e infatti i giuristi della Cancelleria di Strasburgo non sono mai stati referendari o assistenti personali dei giudici, divenendo il Greffe – di fatto e di diritto – l’altro pilastro della giurisprudenza della Corte.

Dopo periodi di riflessione e gruppi di lavoro in seno allo stesso Consiglio, anni di note statistiche gravide di cifre a tre zeri che hanno segnato il “successo” della Corte e la mole pletorica di ricorsi in entrata, Conferenze intergovernative e appelli della Cancelleria per una riforma nel segno della maggior efficienza e dell’alleggerimento della procedura, l’adozione del Protocollo n. 14 ha chiuso definitivamente il dibattito espungendo la nozione di «referendario» dalla Convenzione. Sul punto, il rapporto esplicativo giustifica brevemente questa modifica con il rilievo che il sistema dei referendari non ha mai avuto esistenza propria nella pratica.

Si è, così, addivenuti a istituire nuovi moduli procedimentali per particolari trattazioni (della stragrande maggioranza di casi manifestamente irricevibili o riferiti a giurisprudenza ben consolidata[8]) e, in specifico, una figura: il relatore non giudiziario, nominato direttamente dal Presidente tra i giuristi con maggior anzianità di servizio all’interno del Greffe. Questa figura, dietro un’apparente vicinanza terminologica al concetto di referendario, è quanto di più diametralmente opposto vi sia alla nozione conosciuta, e testimonia di un ruolo tutt’altro che dipendente e assistenziale, ma autonomo nella proposta e decisivo (ancorché non formalmente “decisorio”) nell’adozione delle pronunce della Corte, riflesso di un sistema peculiare pervasivo di tutte le funzioni della Cancelleria[9].

Vediamo quindi queste funzioni e questo ruolo decisivi del Greffe e delle sue articolazioni in una prospettiva dinamica, cioè nel divenire dei processi di drafting e decision-making riferiti ai principali moduli procedurali e tipi di pronunce che la Corte può adottare.

2. Una prospettiva dinamica e funzionale. Accenni alle competenze, funzioni e ruolo del Greffe nel processo decisionale…

2.1. … nella verifica preliminare del ricorso ex art. 47 del Regolamento

A norma dell’art. 47 del Regolamento, in vigore dal gennaio 2014, i ricorsi che non rispettano i requisiti elencati nei paragrafi da 1 a 3 dello stesso articolo potrebbero non essere neppure esaminati dalla Corte. L’organo incaricato di questa primissima verifica giuridica, amministrativa ma non giurisdizionale, preliminare alla stessa assegnazione o meno a una formazione giudiziaria, è la Cancelleria. Questa compie un rigoroso esame giuridico, ma senza che un giudice intervenga nella procedura. La pronuncia all’esito di tale verifica sarà, sì, di natura giuridica e impegnerà la Corte, ma non si estrinsecherà in un decisum giurisdizionale.

All’atto del ricevimento del ricorso, la Cancelleria verifica che esso contenga tutte le informazioni e tutti i documenti necessari. Dopo lo smistamento alle divisioni competenti per nazionalità e l’attribuzione di un numero di registro, il giurista assegnatario del fascicolo in sede di filtro di ammissibilità – perlopiù un giurista B operante sotto la responsabilità del relatore non giudiziario –, esaminerà la documentazione pervenuta verificando puntualmente che il ricorso soddisfi tutti i requisiti.

Ove il ricorso non possieda i requisiti minimi, lo stesso non sarà attribuito a una formazione giudiziaria e verrà rigettato a uno stadio anticipato della procedura, in sede meramente amministrativa. Sul piano pratico, l’operazione decisoria (amministrativa), è ormai quasi interamente automatizzata, atteso che il sistema informatico interno riproduce il fascicolo e impone in una scheda la verifica (checklist o liste de contrôle) del soddisfacimento dei requisiti ex art. 47 del Regolamento. Nella checklist, alla “spunta” da parte del giurista del tipo di vizio, o alla sua rilevazione e specificazione per esteso, seguono l’invio della scheda virtuale in un flusso informatico (workflow) al relatore non giudiziario e, una volta che la soluzione indicata sia da questo approvata, il generarsi della lettera destinata al ricorrente con l’esplicitazione del vizio riscontrato.

L’iter suesposto prevede l’emissione di una lettera di cancelleria con la notifica del vizio riscontrato e si conclude, per rigorosissime disposizioni interne, in poche settimane, proprio per consentire all’aspirante ricorrente un nuovo tempestivo deposito del plico. La natura amministrativa e non giurisdizionale della “decisione”, infatti, conferma l’inesistenza di qualsiasi intervenuta litispendenza e non esprime nessuna attitudine al giudicato: con la duplice conseguenza della non interruzione del termine semestrale e la possibilità (onere, per il ricorrente) di riproposizione, nei termini, del medesimo ricorso purgato dai vizi indicati, senza incorrere nell’inammissibilità per “identità di ricorso” ex art. 35, par. 2, lett. b) della Convenzione.

Definitività e perentorietà della “decisione” sono lasciate, di fatto, solo alla tempestività con cui il ricorrente proponga il ricorso in prima e, all’occorrenza, in seconda battuta. Diversamente, la reazione ricevuta dalla Corte in risposta alle sue aspettative di giustizia sarà una pronuncia amministrativa – certamente giuridica e legittima, ma non giurisdizionale – e, dati i termini decadenziali, a carattere definitivo.

Al rigore con cui, in sede di verifica preliminare, è solitamente applicato l’art. 47 del Regolamento sono previste deroghe, ma possono essere concesse solo dal Presidente della Corte ricorrendo certe condizioni, su indicazione del giurista e proposta del relatore non giudiziario. Come si comprende bene dal regime delle eccezioni, la pronuncia ex art. 47, attesa la sostanziale standardizzazione della verifica sottesa, può competere a un organo amministrativo, ma funzionalmente rimane inserita nel procedimento e, quindi, attratta da una logica giudiziaria, tanto da imporre, per qualsiasi scelta atipica incidentale, l’intervento giurisdizionale della Corte nella sua più alta e centralizzata espressione.

2.2. … nell’esame preliminare di ricevibilità dei ricorsi e nella trattazione dei casi manifestamente irricevibili

A seguito dell’entrata in vigore del Protocollo n. 14, accanto alle procedure dinanzi alle classiche formazioni giudiziarie decidenti (comitato di tre giudici ora competente per i WECL cases, camera di sette giudici per le questioni nuove e non manifestamente irricevibili, e Grande Camera di diciassette giudici su rinvio approvato da un panel o rimessione diretta), si è introdotta la possibilità di definire i ricorsi manifestamente inammissibili con un modello procedurale sommario e semplificato: sommario, perché inaudita altera parte, allo stato degli atti e senza udienza; semplificato, perché assegnato alla cognizione di un giudice unico in luogo di un comitato di tre giudici, e ciò per aumentare la capacità della Corte di smaltire i ricorsi in entrata, in stragrande maggioranza irricevibili.

Delineate queste competenze, al pervenimento di un ricorso alla Corte si pone quindi il tema cruciale della scelta della formazione giudiziaria, cioè dell’assegnazione del relativo fascicolo alla cognizione di un giudice (poniamo il caso: al giudice unico) rispetto a un altro, in base a una previa analisi delle questioni giuridiche sottese e, talvolta, a una prognosi sull’esito (nel nostro esempio: la manifesta irricevibilità).

Una volta registrato, il ricorso è intestato a un giurista. In tema di assegnazione dei fascicoli, le disposizioni interne della Corte stabiliscono alcune regole fondamentali, quali la ripartizione secondo l’oggetto, l’ordine alfabetico o regole matematiche, allo scopo di assicurare una ripartizione “naturale” ed equilibrata tra i vari giuristi o anche l’affidamento del fascicolo in relazione a eventuali competenze o specializzazioni di fatto createsi (per garantire sia la qualità del trattamento del caso, sia la consistency delle soluzioni proposte).

Ed ecco che si rivela, ancora una volta, essenziale il ruolo del giurista assegnatario del fascicolo: il vero avamposto della Corte sull’ordinamento interno, il primo soggetto a sfogliare il ricorso dopo il ricorrente che lo ha spedito. Dopo aver condotto la verifica ex art. 47, con una scelta ispirata a una logica sostanzialmente capovolta rispetto ai nostri uffici giudiziari nazionali (dove formalmente è il presidente, dopo l’iscrizione a ruolo, ad assegnare il giudice in base alla competenza) è il giurista, che sulla base dell’analisi dei fatti e delle questioni giuridiche, effettuerà una prognosi sull’esito, preparerà un progetto di decisione e proporrà la formazione competente al relatore non giudiziario.

In questa logica di de-giurisdizionalizzazione delle attività prodromiche alla decisione finale, l’innovazione più importante del Protocollo n. 14 è stata proprio la valorizzazione convenzionale del ruolo del Greffe nel modulo procedurale a giudice unico, consentendo che le funzioni di rapporteur siano svolte da un relatore non giudiziario – comunemente definito non-judicial rapporteur (NJR) o rapporteur non judiciaire –, scelto per un periodo annuale tra giuristi a tempo indeterminato della Cancelleria (con diversi anni di esperienza, buona conoscenza della lingua e del sistema del Paese interessato, ottima conoscenza delle lingue ufficiali della Corte Edu e vasta conoscenza della sua giurisprudenza), posto alle dirette dipendenze del presidente della Corte e, come tale, oggetto di garanzie di indipendenza funzionali.

Il NJR è responsabile ultimo per l’allocazione dei casi alla formazione giudiziaria, avendo allo scopo compiti di supervisione sul lavoro e sulle proposte dei giuristi della cd. “sezione filtro” o della divisione interessata. Il NJR è, poi, il responsabile del fascicolo e tiene i rapporti con il single judge, comunicando regolarmente con lo stesso e consultandolo per ogni questione di rilievo.

Tra questi due soggetti, l’uno rappresentante della funzione istruttoria incombente sulla Cancelleria e l’altro della responsabilità giurisdizionale spettante ai giudici, si instaura una collaborazione che è stata variamente definita “tandem” o “binomio”, e che vede i due organi dialogare continuativamente in un rapporto strettissimo e più che fiduciario.

Nel caso di prognosi sulla irricevibilità o manifesta infondatezza, il drafting lawyer (giurista redattore) cura due documenti: scrive una nota telematica diretta al giudice unico, con il sommario dei fatti e le ragioni della decisione, e visualizza già l’eventuale decisione finale: nel caso la proposta contenuta nella sua nota sia accolta, essa sarà incorporata direttamente nella decisione. La nota è validata dal titolare della divisione-NJR, che ne assume la responsabilità, e viene sottoposta alla firma del giudice.

Questo modello procedurale è interamente documentale e prevalentemente telematico, non vi è alcuna udienza. Il giudice unico – che per tali procedimenti è sempre un giudice diverso da quello del Paese contro il quale è rivolta la domanda per evidente ragioni di terzietà e imparzialità – non redige un diverso provvedimento, ma esamina i casi in agenda, sottoposti in un documento unico che li distingue in relazione al motivo di irricevibilità; non svolge attività istruttoria ulteriore né interpella lo Stato convenuto. Sulla base di quanto riferitogli, se concorde con la proposta sottoscrive un documento di accettazione e ratifica confermando la bontà di quanto ricevuto, con ciò approvando i casi a lui sottoposti. Il giudice può avere dubbi sulla questione e chiedere chiarimenti al NJR (non invece al giurista, attesa la struttura gerarchica della Cancelleria e la specifica legittimazione che solo il NJR possiede) o, ancora, prendere in visione il fascicolo processuale. In caso positivo, invece – come si è detto – la proposta contenuta nella nota sarà incorporata nella sua decisione.

Il giudice, dominus indiscusso della procedura, naturalmente può anche disattendere la proposta e rigettarla richiedendo una maggiore o diversa analisi, assegnando precise linee direttrici (modificare la motivazione o rilevare un diverso vizio di irricevibilità), oppure riferirla ad altra formazione giudiziaria, impregiudicate in tal caso le prerogative del giudice che poi opererà come rapporteur nella formazione integrata.

Nella prassi regolare e con ricorrenza statisticamente maggioritaria, quello che si crea nel flusso quotidiano di note-validazioni-sottoscrizioni è, in ogni caso – ferma la responsabilità del giudice nella scelta finale –, un rapporto di stretto dialogo tra un redattore-istruttore (il drafting lawyer), un supervisore-relatore (il NJR back-up lawyer) e un decidente… che, con un po’ di fantasia, potremmo definire di collegialità (non certo contestuale, ma) successiva per conformità. Intorno al binomio NJR-giudice, tre o almeno due sono, nei fatti, le menti che si applicano sull’analisi del caso, e triplice – o, quantomeno, duplice – dev’essere, la maggior parte delle volte, la concorde visione sul suo esito.

2.3. … nella trattazione dei casi non manifestamente irricevibili e, in particolare, assegnati alla camera

Ove il ricorso non sia ritenuto manifestamente inammissibile (o meglio: qualora presenti un aspetto problematico alla luce della Convenzione o comunque meritevole di un chiarimento contraddittorio) e non ponga una questione facilmente risolvibile sulla base di una giurisprudenza ben consolidata (WECL cases), il giurista propone al NJR il rinvio (referral) alla camera, preparando all’uopo una referral note: dopo un’esposizione dei fatti e un’analisi giuridica, dovrà illustrare quale aspetto meriti approfondimento in contraddittorio e, in taluni casi, potrà proporre le eventuali domande da sottoporre alle parti. La nota sarà convalidata dal NJR, che si assumerà la responsabilità dell’assegnazione alla formazione giudiziaria, indi sarà trasmessa al capo-divisione. Dopo una sua successiva approvazione, in una logica verticistica e di smistamento per competenze, quest’ultimo accetterà che il ricorso sia incamerato e assegnerà il fascicolo – di cui, nel frattempo, si sarà spogliato il giurista di filtro – a un giurista strutturato per l’analisi finalizzata alla trattazione nella procedura di camera. Contestualmente, dal punto di vista amministrativo, saranno radicati la sezione competente e il giudice relatore.

Come è noto, il deposito del ricorso realizza l’editio actionis,ma non la vocatio in ius dello Stato convenuto, che avverrà solo dopo la registrazione e l’assegnazione alla camera, con un atto emesso dalla Corte: la comunicazione. Con la “messa in comunicazione” delle parti, si provocherà il contraddittorio sulla base di un’estesa esposizione in fatto, della fissazione tendenziale dei punti rilevanti in materia di ricevibilità (con l’eventuale filtro di eventuali doglianze manifestamente irricevibili), del thema decidendum edel thema probandum sulle questioni individuate, nonché del riconoscimento dell’equa soddisfazione. La comunicazione si conclude con le domande rivolte alle parti, eventuali richieste di informazioni sui punti rilevanti e l’invito a uno scambio di osservazioni scritte.

Alla comunicazione è acclusa l’informazione, rivolta alle parti, secondo cui la Cancelleria è a loro disposizione per assisterle in trattative finalizzate a un regolamento amichevole. La Corte, mediante il suo personale e le risorse tecnico-giuridiche della Cancelleria può infatti avviare d’ufficio un subprocedimento di negoziazione finalizzato a un regolamento amichevole tra le parti (art. 62, par. 1, Regolamento) o assistere le parti che abbiamo dato impulso a un tale tentativo. Questa procedura incidentale si svolge nella più stretta confidenzialità “triangolare” tra le parti e vede la Cancelleria interporre i suoi buoni uffici al fine di addivenire a un accordo (art. 62, par. 2, Regolamento).

Su indicazione del giudice relatore investito della causa, che avrà preso cognizione del fascicolo e individuato i punti rilevanti, il drafting lawyer redigerà materialmente la comunicazione. Le riforme in tema di efficienza dei metodi di lavoro che, negli ultimi anni, hanno investito la Corte hanno inciso anche sulla comunicazione dei ricorsi al governo. Accanto alla comunicazione ordinaria ed estesa per i casi più importanti, sono ora previsti altri due tipi di comunicazione più succinti: l’una per i casi ripetitivi (WECL cases) di competenza del comitato[10]; l’altra, comunemente denominata “IMSI” (immediata-semplificata), caratterizzata dalla mancanza di un’autonoma esposizione in fatto, ma composta dalla semplice esposizione dell’oggetto del ricorso, dall’indicazione delle domande alle parti e, eventualmente, da una richiesta di informazioni.

Trascorsi i termini concessi per le osservazioni, dopo che le parti esprimono per iscritto le proprie posizioni sulle domande loro rivolte, il giurista esaminerà il materiale pervenuto redigendo un progetto di sentenza o decisione che dovrà essere sottoposto al giudice relatore e, in seguito, alla formazione giudiziaria. Ove la novità e la delicatezza del caso lo richiedano, il giurista chiede istruzioni al capo della divisione e/o al giudice nazionale. Così come il progetto di comunicazione, anche il progetto di decisione può essere sottoposto al titolare della divisione (competendo a questi il controllo dell’attività dei giuristi e una verifica di uniformità di approccio all’interno della divisione), il quale opera in contatto con il giudice nazionale per l’orientamento da seguire (spettando a costui l’impostazione del caso e la responsabilità dell’atto finale). La bozza passerà al cancelliere o vice cancelliere della sezione per il cd. quality check, il “controllo di qualità” del prodotto giudiziario, sia sotto il profilo strettamente linguistico (con riguardo alla lingua ufficiale utilizzata), sia in relazione alla verifica di congruità dei precedenti della Corte richiamati. Quindi, il testo approderà al giudice nazionale, poi al relatore del caso. Nell’autonomia del suo munus giurisdizionale, il relatore sceglierà se farlo proprio e presentarlo davanti alla formazione giudicante per la deliberazione.

Talvolta, la bozza è fatta circolare anticipatamente, così da rendere edotti i giudici in un momento anteriore alla deliberazione e provocare tempestivamente il dibattito.

L’udienza davanti alla camera è prevista solo in rarissimi casi: la decisione è presa al momento della deliberazione.

In sede di deliberazione, ogni questione giuridica, sia essa vertente sulla ricevibilità sia sul merito, è messa al voto prima singolarmente e, poi, globalmente. La sede privilegiata è la camera di consiglio, alla quale partecipa anche il giurista che ha redatto il progetto di decisione. All’esito della seduta, può essere chiamato materialmente ad apportare al testo le modifiche necessarie – nella gran parte dei casi, minime e formali, ma in alcuni casi anche radicali, fino a sostanziarsi nella redazione di un testo di contenuto talora anche opposto all’originario, necessitante di una seconda o ulteriore deliberazione. Sovente, tuttavia, può essere costituito un comitato di redazione, il quale annovererà il presidente della camera, il giudice relatore, il greffier di sezione e il giurista redattore.

I compiti anzidetti onerano il giurista di incombenze redazionali non indifferenti e gli impongono, da un lato, un esercizio di attento ascolto delle direttive della camera e presa d’atto delle scelte da questa effettuate; dall’altro, il possesso di indiscusse abilità tecnico-argomentative e un’ottima conoscenza della giurisprudenza della Convenzione.

La responsabilità di tradurre in atti tutte le opzioni e le sotto-opzioni decisorie dei giudici è di particolare momento e si apprezza in tutta la sua decisività se si pone mente anche a ulteriori evenienze tecniche che possono occorrere, talvolta prima della deliberazione, talaltra all’esito della stessa e a cui il giurista deve far fronte con prontezza nel suo compito redazionale.

Da un lato, infatti, il relatore, se non ancora persuaso di una soluzione da proporre alla camera o intenzionato a presentarvi due o più diverse varianti, potrebbe (cosa che avviene non di rado) richiedere al giurista di predisporre fin dal principio, in parallelo, due o più progetti dall’esito differenziato, che saranno opportunamente inviati per articolare il dibattito e la votazione. Dall’altro, per disposizione regolamentare, il presidente – e ciò, normalmente, a seguito di una deliberazione che abbia stabilito con chiarezza la linea da adottare, ma abbia lasciati aperti alcuni passaggi argomentativi minimi e formali –«può dare istruzione di far circolare fra i giudici un progetto di decisione e stabilire un termine entro il quale i medesimi possano formulare osservazioni», in assenza delle quali «la proposta si intende adottata alla scadenza del predetto termine»(art. 23A Regolamento).

Il prodotto finito, se approvato in ogni sua parte, è il testo della pronuncia. Esso verrà sottoposto alle ultime revisioni formali da parte dell’ufficio pubblicazioni, giuristi e tecnici incaricati di verificarne la compatibilità tipografica, quindi sarà pubblicato inserendolo nella banca dati delle decisioni e sentenze della Corte e contestualmente notificato alle parti (banca dati HUDOC).

3. Il Greffe nel processo decisionale della Corte: considerazioni di sintesi

Quanto sommariamente esposto si limita a descrivere le funzioni quotidiane dei giuristi della Cancelleria nelle varianti procedimentali maggiormente ricorrenti.

A quanto detto deve aggiungersi l’autorevole supporto amministrativo e procedurale alle parti, nell’esercizio del ruolo terzo e imparziale di facilitatore delle negoziazioni nell’ambito del tentativo di regolamento amichevole, e il compito istruttorio nelle procedure d’urgenza ex art. 39 del Regolamento di procedura, le quali impegnano tutte le risorse dei giuristi in termini reattività, reperibilità e conoscenza del diritto e delle procedure interne nonché la consueta solida preparazione convenzionale, il tutto finalizzato a una serena e tempestiva decisione da parte del giudice di turno.

Pertanto, il ruolo della Cancelleria ha un peso notevole nella definizione del contenzioso e nella formazione del convincimento dei giudici. Nel rispetto delle attribuzioni e delle responsabilità condivise o ripartite con il personale giudiziario, tale ruolo meriterebbe di essere rivalutato nella sua professionalità e meditato in punto di autonomia e indipendenza, così come impone lo stesso ruolo dei giudici.

Del resto, questo aspetto è già stato oggetto di segnalazioni di commentatori in più occasioni e di una certa dottrina che, nel descrivere lo statuto e il ruolo del Greffe come cruciali nel processo di decision-making della Corte, li presenta come consustanziali all’esercizio della giurisdizione convenzionale e, addirittura, nei termini del più ampio problema della legittimazione e indipendenza della Corte come istituzione: caratteri che, per ritenersi integrati in toto nel sistema convenzionale, non possono che passare (anche) da una sempre maggiore legittimazione del Greffe stesso[11].

[1] Secondo la versione linguistica prescelta tra le due ufficiali, inglese e francese. Per ragioni espositive, adotteremo qui di seguito la versione italiana preparata dal Ministero della giustizia (e riconosciuta dalla Corte) dei testi la cui traduzione è disponibile; per gli altri, ci sia consentita una traduzione personale, funzionale alla presente trattazione.

[2] Sul punto e per il prosieguo della trattazione, si veda come riferimento F. Buffa, Il Registry della Corte, in Id., Il ricorso alla Cedu e il filtro, Key, Vicalvi (FR), 2018, p. 30.

[3] A. Saccucci, L’entrata in vigore del Protocollo n. 14 e le nuove regole procedurali per la sua applicazione, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 4/2010, p. 321.

[4] Così F. Buffa, op. cit., p. 19.

[5] Dal sito internet della Corte: www.echr.coe.int/Documents/Scheme_assistant_lawyers_FRA.pdf.

[6] Queste, ovviamente, spettano ai giudici convenzionali, i soli soggetti che traggono legittimazione direttamente dalla Convenzione, in quanto eletti dall’Assemblea parlamentare sulla base di terne di nomina governativa.

[7] R. Abraham, La réforme du mécanisme de contrôle de la Convention européenne des droits de l’homme: le Protocole n. 11 à la Convention, in Annuaire français de droit international, vol. XL, Éditions du CNRS, Parigi, 1994, p. 628.

[8] Per un approfondimento sul tema si veda D. Cardamone, Assegnazione a formazioni giudiziarie nei procedimenti dinanzi alla Corte Edu, in questo volume, cap. n. 12.

[9] G. Loucaides, Reflections of a former European Court of human Rights judge on his experiences as a judge, in Roma rights(Journal of the European Roma rights Centre), Implementation of judgments, n. 1/2010, p. 63.

[10] Si veda ancora, in proposito, l’esauriente e dettagliata descrizione offerta da D. Cardamone, Assegnazione a formazioni giudiziarie, op. cit.

[11] K. Dzehtsiarou e D.K. Coffey, Legitimacy and Independence of International Tribunals: An Analysis of the European Court of Human Rights, in Hastings international and comparative law Review, vol. 37, n. 2/2014, pp. 307 ss.