Magistratura democratica

Le perquisizioni disposte dall’autorità giudiziaria

di Daniela Cardamone
La sentenza Brazzi affronta la questione della mancanza, nel sistema processuale italiano, di un controllo giurisdizionale ex ante e di un rimedio ex post riferiti all’inviolabilità del domicilio, in caso di provvedimento di perquisizione domiciliare non seguito da sequestro. Il presente commento, dopo alcuni spunti critici sulle carenze valutative della Corte rispetto a specifici profili fondanti il nostro sistema, analizza gli effettivi rimedi prevedibili per colmare la ritenuta lacuna.

1. L’assenza di un controllo giurisdizionale ex ante della perquisizione domiciliare. La mancata valutazione da parte della Corte Edu del ruolo del pm nel sistema costituzionale italiano di organizzazione dei poteri di garanzia

Con la sentenza Brazzi c. Italia del 27 settembre 2018[1], la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata) in un caso di perquisizione domiciliare disposta dal pubblico ministero, non seguita da sequestro, ritenendo che il ricorrente non disponesse né di un controllo di legalità ex ante della misura né di un sindacato ex post della legittimità della stessa.

Il primo aspetto critico che la Corte Edu individua nel sistema italiano è costituito dall’assenza di un “controllo giurisdizionale” ex ante delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari, poiché «non è previsto che il pubblico ministero chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione» (par. 43).

Si tratta di un’affermazione che prescinde, però, da un’analisi dei tratti salienti del sistema giuridico nazionale e delle scelte di valore compiute dal legislatore nell’inquadrare il pubblico ministero nella qualifica di “autorità giudiziaria” (si veda rel. prog. prel. cpp, p. 68), che ne collega la funzione anche alle garanzie di esercizio dei diritti di libertà e, quindi, alla protezione dei diritti fondamentali.

La Costituzione italiana, che ha posto alla base dell’ordinamento giuridico l’universalità dei diritti fondamentali e delle libertà individuali e collettive, ha organizzato i pubblici poteri in base a un sistema di pesi e contrappesi, disegnando un sistema nel quale il maggiore elemento di discontinuità rispetto all’assetto politico antecedente è rappresentato dalla netta separazione tra i poteri di governo e amministrazione attiva, e i poteri di garanzia, primo fra tutti il controllo di legalità esercitato in modo indipendente dall’autorità giudiziaria.

Per rendere effettiva tale indipendenza, la Costituzione ha disegnato la figura di un pubblico ministero sottratto alla sfera d’influenza del potere esecutivo e incluso a pieno titolo nella sfera di indipendenza dell’autorità giudiziaria, presidiata dal Consiglio superiore della magistratura. In questo modo, il pubblico ministero non solo è sottratto alla dipendenza del Ministro della giustizia, ma ha le medesime guarentigie dei magistrati giudicanti, con i quali condivide la stessa carriera.

La solenne proclamazione dell’autonomia e indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art. 104 Cost.) e l’estensione a tutti i magistrati della garanzia dell’inamovibilità (art. 107 Cost.) delineano un sistema di guarentigie finalizzate a consentire all’autorità giudiziaria di esercitare la funzione di effettivo controllo della legalità e di garanzia dello Stato di diritto. La previsione secondo la quale «L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria» (art. 109 Cost.) assegna al pm il compito di direzione di quest’ultima, al fine di garantire la tecnicità, la legalità e l’efficacia dell’attività investigativa; in questo modo, anche l’operato della polizia giudiziaria viene sottratto alla sfera di esclusivo controllo del potere esecutivo, assegnando alla magistratura la funzione di garanzia indipendente della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e di prima garanzia della libertà individuale.

La figura del pm così delineata dal nostro sistema costituzionale e processuale appare, inoltre, del tutto in linea con quella che emerge dalla giurisprudenza europea.

Anche se la Corte di Strasburgo non disegna un modello di pubblico ministero europeo, taluni principi cardine sono enucleabili da quelle sentenze in cui, chiamata a valutare la sussistenza di una violazione del diritto della persona arrestata di essere tradotta al più presto dinanzi a un «giudice» o a un altro «magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie» (art. 5, par. 3, Cedu), la Corte ha analizzato la nozione di “autorità giudiziaria”. Mentre non vi sono stati particolari problemi interpretativi per quanto riguarda la nozione di “giudice”, qualche difficoltà in più vi è stata nell’individuare i connotati della figura del «magistrato autorizzato (…) a esercitare funzioni giudiziarie». A tal proposito, la Corte Edu ha stabilito che l’organo dinanzi al quale deve essere tradotto l’arrestato non deve necessariamente avere tutte le caratteristiche della giurisdizionalità, dovendo, piuttosto, essere un organo indipendente dal potere esecutivo e dinanzi al quale l’arrestato possa esercitare il diritto di difesa, individuando un elemento di criticità solo nell’ipotesi in cui assuma la veste di accusa in una successiva fase processuale[2].

In quest’ottica, nel valutare a quali condizioni al pubblico ministero possa essere riconosciuta la funzione di garanzia propria dell’autorità giudiziaria, la Corte Edu ha individuato un importante indice rivelatore della natura “giurisdizionale” nell’«indipendenza dal potere esecutivo»[3].

Emblematica, in tal senso, è la pronunzia Moulin c. Francia[4], nella quale la Corte Edu affronta il tema dell’indipendenza dal potere esecutivo del magistrato incaricato del primo controllo sulla legittimità della restrizione della libertà personale. Dopo aver compiuto un’analisi accurata delle relazioni tra autorità governativa e pubblici ministeri nel sistema francese, la Corte giunge alla conclusione che lo statuto differenziato di questi ultimi rispetto a quello dei giudici e, in particolare, la mancanza dei requisiti della inamovibilità e la sottoposizione all’autorità del Ministro della giustizia nell’ambito di una struttura gerarchica, impedisce di ravvisare nel magistrat du parquet quel requisito di indipendenza rispetto al potere esecutivo che rappresenta un connotato essenziale della nozione di “autorità giudiziaria”.

Si tratta di principi generali che vanno anche nella stessa direzione indicata da una serie di atti, emanati nell’ambito del Consiglio d’Europa (CdE), rispetto ai quali il sistema costituzionale e processuale italiano appare del tutto in linea[5].

Ad esempio, la raccomandazione del Comitato dei ministri CM/Rec(2000)19 impegna gli Stati membri ad assumere iniziative appropriate per consentire al pubblico ministero di svolgere le proprie funzioni senza ingiustificate interferenze ed esposizioni a responsabilità civile, penale o di altro genere. Vi è poi l’opinione n. 9 (2014) in materia di «norme e principi europei sui pubblici ministeri», stilata dal Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei (CCPE), istituito dal Comitato dei ministri del CdE nel 2005, e contenente la “Carta di Roma”, che fissa norme e principi condivisi dai 47 Paesi membri del CdE: essi concordano sul fatto che il valore dell’indipendenza e autonomia del pm rappresenta un indispensabile corollario dell’indipendenza del potere giudiziario in genere.

Tanto premesso, un’analisi del sistema costituzionale italiano e delle scelte compiute dal nostro legislatore, le quali sono conformi alle indicazioni europee e disegnano un sistema unico nello scenario internazionale – tanto da far parlare di “anomalia italiana”[6] – avrebbe potuto contribuire a una maggiore aderenza della pronunzia della Corte di Strasburgo alle peculiarità del sistema interno, anche alla luce delle garanzie procedimentali che assistono la fase dell’esecuzione della perquisizione (delle quali si tratterà nel successivo paragrafo).

2. La possibilità di controbilanciare la mancanza di controllo ex ante con garanzie procedimentali nella fase di esecuzione della perquisizione

La Corte di Strasburgo afferma poi che, in assenza di un controllo giurisdizionale ex ante sulla legalità e necessità della perquisizione, dovrebbero esistere altre garanzie procedimentali nella fase di esecuzione della stessa, idonee a «controbilanciare le imperfezioni legate alla fase di emissione del mandato stesso» (par. 43).

La sentenza non contiene, però, un’analisi delle garanzie difensive in tema di perquisizioni, le quali si innestano nel mutato contesto costituzionale, a tutela della inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost., e si rapportano alla logica dell’intervento della difesa in sede di indagini preliminari, nell’intento di contemperarlo con le esigenze investigative che si ricollegano alla perquisizione, la quale è, per sua natura, atto urgente e riservato[7].

Nell’ambito del diritto processuale penale pertinente, la sentenza si limita a indicare (parr. 17 e 18) che l’autorità giudiziaria dispone la perquisizione mediante un decreto motivato (art. 247 cpp), che il mandato di perquisizione deve essere consegnato all’indagato o a chi abbia la disponibilità dei luoghi, i quali hanno la facoltà di farsi assistere da un avvocato (art. 250 cpp) e che è prevista una fascia oraria nella quale la perquisizione può essere eseguita (art. 251 cpp).

Non è fatto alcun cenno, invece, alle altre garanzie procedimentali quali, ad esempio, la designazione di un difensore di ufficio alla persona che ne sia priva e il diritto del difensore dell’indagato di assistere alla perquisizione, pur senza diritto al preavviso (art. 365, commi 1 e 2, cpp); non è menzionata la facoltà del difensore di intervenire presentando al pm richieste, osservazioni e riserve delle quali è esplicitamente previsto che venga fatta menzione nel verbale di perquisizione (art. 364, comma 7, cpp), attesa la futura “utilizzazione” nel fascicolo del dibattimento dell’atto, tipicamente irripetibile ai sensi dell’art. 431, lett. c, cpp. Mancano anche riferimenti alle garanzie procedimentali successive alle operazioni di perquisizione: ad esempio quella che, ex art. 366 cpp, prevede che il pm debba depositare presso la sua segreteria, entro il terzo giorno dal compimento dell’atto, il verbale di perquisizione, con facoltà del difensore – al quale va immediatamente notificato l’avviso di deposito – di prenderlo in esame ed estrarne copia; ciò anche in funzione della facoltà, attribuita ai difensori nella fase delle indagini, di presentare memorie e richieste scritte al pm (art. 367 cpp).

Si tratta di garanzie previste dalla legge (consegna del decreto motivato ai sensi degli artt. 250 e 253, comma 4, cpp; invito a nominare un difensore di fiducia o, in mancanza, nomina di un difensore di ufficio ex art. 365, comma 1, cpp), sostitutive, nel concreto, dell’informazione di garanzia che, nella perquisizione – al pari degli altri atti “a sorpresa” diretti alla ricerca della prova, per i quali non sia previsto l’avviso al difensore –, non deve essere previamente inoltrata all’indagato, qualora questi sia presente. Ove, invece, la persona non abbia assistito all’atto, una volta che questo sia concluso e che, quindi, venga meno quell’esigenza preclusiva connessa alla sua natura di “atto a sorpresa”, riemerge l’obbligo del pm del tempestivo inoltro dell’informazione di garanzia, al fine di assicurare all’indagato il pieno esercizio delle facoltà difensive riconducibili al deposito degli atti previsto dall’art. 366 cpp[8].

Né va sottovalutato il requisito della motivazione del decreto di perquisizione, primo strumento di garanzia, la cui osservanza è prescritta a pena di nullità dal combinato disposto degli artt. 247, comma 2, e 125, comma 3, cpp[9], e il cui vizio può essere fatto valere come causa di nullità ai sensi dell’art. 182, comma 2, cpp al momento della perquisizione o immediatamente dopo[10]. Il contenuto di tale obbligo di motivazione è stato delineato compiutamente a seguito di una costante elaborazione giurisprudenziale, che ha chiarito che l’autorità giudiziaria, nel disporre la perquisizione – che presuppone l’esistenza di indizi di reato – non può fare riferimento a semplici sospetti o congetture né, tanto meno, a denunce anonime o provenienti da fonti confidenziali[11], ma deve riferirsi a indizi di un certo rilievo, convergenti nell’accreditare la probabilità che l’oggetto da ricercare si trovi nel luogo oggetto di perquisizione[12]. Inoltre, rilevando l’obbigo di indicazione del thema probandum (reato per il quale si procede, elementi essenziali del fatto, quanto meno a livello embrionale, e delle norme che si assumono violate), la giurisprudenza ha chiarito che la perquisizione non può tradursi in un improprio mezzo di ricerca della notitia criminis, essendo invece un mezzo di ricerca delle prove di un determinato reato[13]. Sono, infine, da ricondurre al medesimo rimedio di carattere generale di cui all’art. 182, comma 2, cpp – esercitabile mediante lo strumento delle «memorie o richieste» che, ai sensi dell’art. 121 cpp, possono essere inoltrate «in ogni stato e grado del procedimento» – anche altri motivi di nullità quali, ad esempio, la violazione dell’art. 114 disp. att. cpp per mancato avviso, da parte della polizia giudiziaria, della facoltà per l’indagato di farsi assistere da un difensore[14].

Si tratta di garanzie procedimentali presenti nel diritto interno le quali, in ottemperanza alla protezione costituzionale offerta al domicilio dall’art. 14 della Costituzione, hanno comportato, nel codice in vigore e nell’elaborazione giurisprudenziale, un rafforzamento della dimensione garantistica dell’istituto che la Corte di Strasburgo omette semplicemente di considerare, lasciando irrisolto il dubbio se, in caso di adeguata valutazione, le stesse sarebbero state ritenute idonee a controbilanciare le ritenute «imperfezioni nella fase di emissione del mandato di perquisizione».

3. La mancanza di un rimedio ex post

La Corte Edu afferma poi che, qualora un controllo ex ante sulla perquisizione non sia previsto, una garanzia adeguata a norma dell’art. 8 Cedu può essere integrata da un controllo ex post sulla legittimità e sulla necessità della misura. In particolare, la Corte richiede un «controllo giurisdizionale effettivo» della misura e delle modalità di svolgimento della stessa. Qualora, invece, l’operazione considerata irregolare abbia già avuto luogo, il rimedio deve fornire all’interessato «una riparazione adeguata» (par. 44).

Si tratta di un principio di carattere generale nella giurisprudenza europea, secondo il quale l’inoppugnabilità di un atto di ingerenza di una pubblica autorità in un diritto fondamentale è incompatibile con le garanzie richieste dall’art. 8 Cedu.

Nel censurare il sistema processuale italiano anche sotto questo profilo, la sentenza non individua, però, uno specifico rimedio effettivo e fornisce solo delle indicazioni di massima, facendo riferimento a precedenti pronunzie nelle quali la Corte ha affrontato questioni analoghe.

Ad esempio, la Corte Edu rammenta che la possibilità del soggetto di contestare la legittimità e la necessità della misura investigativa adottata e, se del caso, di ottenere la declaratoria d’inutilizzabilità del risultato probatorio, è un rimedio giurisdizionale effettivo[15]. Peraltro, essa rileva che, nel caso in esame, tale rimedio di carattere processuale non era esperibile perché la perquisizione aveva avuto esito negativo e non vi era alcun elemento di prova da rendere inutilizzabile in un processo che, inoltre, non era mai iniziato (par. 46).

La Corte Edu evidenzia anche che, nel caso in esame, non essendovi stato alcun sequestro, il ricorrente non avrebbe potuto neanche esperire il ricorso al tribunale del riesame (par. 47).

La giurisprudenza di legittimità, in applicazione del principio di tassatività delle impugnazioni è, infatti, costante nell’affermare che non è autonomamente impugnabile, neppure per motivi di legittimità, sia il decreto con il quale sia disposta la perquisizione da parte del pm, sia quello con cui lo stesso proceda alla sua convalida, qualora l’atto istruttorio sia stato compiuto per motivi di urgenza su iniziativa della polizia giudiziaria[16]. Secondo tale impostazione, al principio di tassatività delle impugnazioni fa eccezione la sola ipotesi dell’abnormità del provvedimento, nel qual caso l’autonoma impugnazione del decreto di perquisizione dinanzi al giudice di legittimità costituisce un’ipotesi eccezionale, avente finalità di “chiusura del sistema”. A parte tale ipotesi eccezionale, quindi, l’inosservanza delle norme che disciplinano i presupposti e i limiti della perquisizione dà luogo unicamente a rilievi disciplinari[17].

La sentenza Brazzi, comunque, non prende in considerazione i rimedi disciplinari che il nostro sistema prevede in via generale (art. 124 cpp) e, in modo specifico, per le condotte della polizia giudiziaria agli artt. 16 ss. d.lgs 28 luglio 1989, n. 271 («Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale»), né il rimedio di natura penale, segnatamente l’art. 615 cp, che prevede come reato la «Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale».

Essa, inoltre, respinge anche l’eccezione governativa sulla possibilità, per il ricorrente, di avvalersi dell’azione risarcitoria di cui alla l. n. 117/1998 (par. 49), ribadendo che è la normativa processuale a presentare una lacuna ed è, innanzitutto, nell’ambito delle garanzie procedimentali che va garantito ai soggetti un rimedio contro i possibili abusi di potere delle autorità pubbliche (par. 50).

4. Gli effetti della pronuncia. Analisi dei possibili rimedi effettivi

A parte gli spunti critici sopra evidenziati, la pronunzia della Corte di Strasburgo ha il merito di portare all’attenzione degli interpreti il tema, già presente nella dottrina e nella giurisprudenza italiane, del diritto a un ricorso effettivo, con particolare riferimento all’inviolabilità del domicilio, e della assenza nel nostro sistema processuale di uno specifico rimedio impugnatorio per il decreto di perquisizione non seguito da sequestro.

Una questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento al profilo della mancanza di un controllo ex ante da parte di un giudice, è stata ritenuta manifestamente infondata dalla Cassazione nel 2002[18], essendosi ritenuto che i principi del giusto processo e della parità delle armi tra accusa e difesa, recepiti dal novellato art. 111 Cost., attengano alla fase del “processo” e non a quella delle indagini preliminari, con una motivazione non conforme ai principi della giurisprudenza europea per la quale, invece, i principi del fair trial si applicano, mutatis mutandis, anche alla fase delle indagini.

Un’altra questione di illegittimità costituzionale, sollevata in relazione all’art. 247 cpp, nella parte in cui non consente il ricorso al tribunale del riesame avverso i decreti che dispongono la perquisizione locale, è stata ritenuta manifestamente infondata dalla suprema Corte nel 2003[19], ritenendosi che la garanzia costituzionale in materia di provvedimenti che incidono sulla libertà personale è limitata al controllo della legittimità del provvedimento e non del merito, e che tale garanzia non si estende a limitazioni diverse da quelle indicate dall’art. 111, comma 7, Cost.

Per quanto riguarda i possibili strumenti di tutela, in dottrina – de iure condendo – si trova chi è favorevole all’introduzione di un’autonoma ipotesi di riesame del decreto di perquisizione, a prescindere da un sequestro[20]. Secondo altri, invece, la strada preferibile non sarebbe il controllo di merito attuabile con il riesame autonomo del provvedimento (a prescindere dal sequestro) quanto, piuttosto, l’effettiva applicazione delle sanzioni penali (artt. 609 e 615 cp) e disciplinari (art. 124 cpp) agli autori degli abusi[21].

Non può negarsi, invero, che la perquisizione non seguita da sequestro si risolve in una mera attività materiale che si esaurisce nel momento in cui è compiuta e non può essere messa nel nulla; né l’annullamento del decreto di perquisizione varrebbe a eliminare l’accaduto e ad elidere le conseguenze pregiudizievoli derivanti da una illegittima ingerenza nella sfera privata.

Per quanto riguarda la perquisizione domiciliare, parte della dottrina è favorevole a ritenere che il decreto sia immediatamente ricorribile per cassazione, inquadrando la inviolabilità del domicilio quale species del genus “libertà personale”[22].

Al tal fine, si fa leva sull’art. 111, comma 7, Cost., recepito a livello di legge ordinaria dall’art. 568, comma 2, cpp, che fornisce copertura costituzionale alla generale ricorribilità per cassazione di tutti i provvedimenti sulla libertà personale. Tale tesi sarebbe avvalorata dal rinvio operato dall’art. 14, comma 2, Cost. alle garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, tra le quali andrebbe ricompreso il controllo di legalità dei provvedimenti restrittivi di cui all’art. 111, comma 7, Cost. e consentirebbe, quindi, un’interpretazione conforme alla Cedu, a legislazione invariata.

Non mancano, comunque, rilievi critici da parte di chi ritiene che il ricorso per cassazione, non avendo funzione inibitoria, non varrebbe a eliminare l’accaduto e non consentirebbe di elidere il nocumento personale subito[23].

In tema di possibili rimedi effettivi, occorre prendere atto che, allo stato, la giurisprudenza della Corte Edu, limitandosi a fornire indicazioni di carattere generale, non chiarisce con certezza quale tipo di rimedio possa costituire un redressement approprié. Il rimedio richiesto sembrerebbe essere di natura processuale, tale da consentire al soggetto destinatario di un atto invasivo della propria sfera personale di presentare le proprie doglianze dinanzi a una giurisdizione terza rispetto a quella che ha disposto la misura. La possibilità di ottenere tale scrutinio parrebbe rappresentare, di per sé, un rimedio effettivo nel senso richiesto dall’art. 8 Cedu, e idoneo a elidere le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla illegittima ingerenza nella sfera privata del soggetto.

Si tratta, comunque, di una questione lasciata aperta dalla Corte di Strasburgo, che non si pronuncia sul punto, dovendosene dedurre che viene affidato innanzitutto alle autorità nazionali il compito di colmare la ritenuta lacuna del sistema.

[1] La sentenza è divenuta definitiva a seguito di rigetto da parte del collegio di cinque giudici della richiesta di rinvio alla Grande Camera proposta dal Governo.

[2] Assenov e altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, par. 146; Huber c. Svizzera, 23 ottobre 1990, par. 42.

[3] Si vedano ad esempio: Schiesser c. Svizzera, 4 dicembre 1979, parr. 12-18; Niedbala c. Polonia, 4 luglio 2000, par. 52.

[4] Moulin c. Francia, 23 novembre 2010, parr. 56-57.

[5] In tal senso, si veda A. Balsamo e L. Trizzino, Il rapporto tra indipendenza del Pubblico ministero e tutela della libertà personale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Cass. pen., n. 3/2011, p. 1226.

[6] Per un’analisi di tale “anomalia italiana” si veda, tra gli altri: G. Di Federico, L’indipendenza del pubblico ministero e il principio democratico della responsabilità in Italia: l’analisi di un caso deviante in prospettiva comparata, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 1/2002, p. 99. In prospettiva comparata, si veda S. Shetreet e C. Forsyth (a cura di), The culture of judicial independence, Leiden, Boston, 2012.

[7] Rel. prog. prel. cpp, p. 68.

[8] Cass., sez. unite, 23 febbraio 2000 (dep. 4 maggio 2000), n.7, Mariano.

[9] Cfr., tra le tante: Cass., sez. VI pen., 6 aprile 1993 (dep. 21 maggio 1993), n. 1012.

[10] Cass., sez. V pen., 26 maggio 1998 (dep. 13 luglio 1998), n. 3287.

[11] Cfr., tra le tante: Cass., sez. VI pen., 21 settembre 2006 (dep. 27 ottobre 2006), n. 36003; sez. IV pen., 17 maggio 2005 (dep. 10 agosto 2005), n. 30313; sez. V pen., ord. 13 maggio 2004 (dep. 24 settembre 2004), n. 37941.

[12] Cfr., tra le tante: Cass., sez. V pen., 30 novembre 1995 (dep. 5 gennaio 1996), n. 2834.

[13] Cfr., tra le tante: Cass., sez. III pen., 20 marzo 2013 (dep. 27 giugno 2013), n. 28151; Cass., sez. VI pen., 06 ottobre 1998 (dep. 11 dicembre 1998), n. 2882.

[14] Cass., sez. I pen, 6 giugno 1997 (dep. 24 giugno 1997), n. 4017.

[15] Ad esempio, in Panarisi c. Italia, 10 luglio 2007, con riferimento alle intercettazioni di comunicazioni.

[16] Tra le tante, da ultimo: Cass., sez. III pen., 27 settembre 2016 (dep. 7 giugno 2017), n. 28060. Il principio è stato affermato anche nel caso del ricorrente: Cass., sez. III pen., 10 febbraio 2011 (dep. 8 marzo 2011), n. 8999, Brazzi.

[17] Si veda, di recente, Cass., sez. III pen., 15 maggio 2018 (dep. 21 giugno 2018), n. 28770.

[18] Si veda Cass., sez. III pen., 15 ottobre 2002 (dep. 05 dicembre 2002), n. 40974.

[19] Si veda Cass., sez. III pen., 27 giugno 2003 (dep. 04 settmbre 2003), n. 35049.

[20] G. Bellantoni, Nuovi scritti di procedura penale, Giappichelli, Torino, 2009, p. 209 (vds. cap. III: Provvedimento di perquisizione e impugnazioni).

[21] P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, Giuffrè, Milano, 2012, pag. 209.

[22] R. Malvasi, sub art. 247 cpp, in G. Conso e G. Illuminati (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, CEDAM – Wolters Kluwer, Padova, 2015 (edizione II), p. 967.

[23] F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, Milano, 2012.