Magistratura democratica

Efficacia della dissenting opinion

di Paulo Pinto de Albuquerque e Daniela Cardamone
La Convenzione è uno strumento vivente che si adatta ai cambiamenti della società. Il suo diritto, in continua evoluzione, si costruisce poco a poco, nel dialogo tra giudici e tra questi ultimi e le parti. La visibilità di questo procedimento deliberativo, mediante la pubblicazione delle opinioni separate dei giudici, contribuisce non solo alla migliore comprensione della decisione, ma anche allo sviluppo della giurisprudenza e alla trasparenza della Corte.

1. L’opinione separata nelle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo: un’analisi quantitativa

Le opinioni separate, sia concorrenti che dissenzienti, sono sempre state una caratteristica delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, sin dai suoi esordi. L’art. 45 della Convenzione richiede che le sentenze e le decisioni della Corte siano motivate. La motivazione è la principale fonte di autorevolezza e di legittimazione dei provvedimenti di natura giurisdizionale. Ciò vale, ancora di più, per la Corte di Strasburgo, il cui mandato scaturisce dal consenso degli Stati, che è una fonte di legittimazione derivata, del tutto diversa rispetto a quella delle autorità giudiziarie interne.

Qualora la sentenza non esprima in tutto o in parte l’opinione unanime dei giudici, l’art. 45 citato prevede che ogni giudice ha diritto di allegarvi l’esposizione della sua opinione separata. L’art. 74, par. 2, del Regolamento di procedura prevede poi che «i giudici (…) hanno il diritto di allegare alla sentenza l’esposizione della loro opinione separata, concordante o dissenziente, o una semplice dichiarazione di dissenso».

Il numero di studi dettagliati sulle opinioni separate allegate alle sentenze della Corte di Strasburgo è scarso, nonostante la loro consistente presenza e il carattere variegato che possono assumere[1]. Le due principali tipologie di opinioni sono quelle dissenzienti, nelle quali il disaccordo è sull’esito della decisione, e quelle concorrenti, nelle quali, invece, vi è accordo sul risultato, ma non sul modo in cui questo è stato raggiunto dalla maggioranza. Vi sono, poi, opinioni parzialmente dissenzienti o parzialmente concorrenti, dove tale divergenza di convincimento riguarda solo alcuni motivi di ricorso. In altri casi, vi sono opinioni dissenzienti e/o concorrenti o parzialmente dissenzienti e/o parzialmente concorrenti comuni a più giudici. Infine, può esistere un’opinione in parte concorrente e in parte dissenziente comune a più giudici o una semplice dichiarazione di dissenso.

A parte il numero delle diverse tipologie di opinioni separate, ciò che sorprende è la frequenza con cui esse sono presenti all’interno delle sentenze. Ad esempio, dall’inizio dell’attività della Corte al 1998, vi sono state ben 908 opinioni separate nelle sentenze di merito, di cui ben 413 dissenzienti, 204 concorrenti e 170 parzialmente dissenzienti[2]. Successivamente, uno studio condotto sulle sentenze emesse dal 1999 al 2004, che rappresentano i primi sei anni di funzionamento della Corte permanente istituita con il Protocollo n. 11, ha rilevato che il numero delle pronunce non unanimi è stato pressoché costante, oscillando dal 69,5 % nel 1999 all’ 85,5 % nel 2001[3]. Un’analisi condotta sulle sole sentenze della Grande Camera, emesse dal 1 gennaio 1999 al 31 dicembre 2007, ha consentito di evidenziare che, di 166 sentenze, solo 24 erano state decise all’unanimità (ossia il 14,5 %). Il divario si assottiglia a seguito di un esame più approfondito, in quanto emerge che la Corte è stata sostanzialmente unanime sulle questioni essenziali nel 42 % dei casi[4].

Quindi, almeno fino al 2007, si può dire che, approssimativamente, solo il 25 % delle sentenze della Corte Edu sono frutto di un giudizio espresso all’unanimità, mentre il resto delle pronunce contiene almeno un’opinione dissenziente (percentuale stimata nel 15 %) o concorrente (approssimativamente, in misura del 60 %) [5].

Le proporzioni appaiono mutate nel periodo successivo. Dai dati estratti dal database della Corte (HUDOC) emerge che, dal 1° gennaio 2008 al 30 giugno 2018, delle 9841 sentenze di camera e di Grande Camera, solo 1596 pronunce recano opinioni separate (173 di Grande Camera e 1423 di camera), pari a una percentuale del 16,22 %, mentre ben 8245 sentenze (pari all’83,78 %) non recano tali opinioni.

Ci si domanda, allora, quali siamo i motivi di questa rilevante inversione di tendenza nella manifestazione del dissenso nell’ambito delle pronunce della Corte Edu.

Da uno studio contenutistico delle opinioni separate, apprendiamo che esiste un diverso approccio tra i “pratici” – cioè i giudici che hanno svolto in precedenza attività forense – e gli “accademici” – cioè coloro che, invece, provengono dal mondo delle università. Mentre i primi mostrerebbero una maggiore tendenza ad accettare l’opinione della maggioranza in nome della collegialità, i giudici che hanno svolto attività accademica, quali ricercatori o docenti universitari, hanno una propensione più spiccata a formulare opinioni separate[6].

Per comprendere i motivi della progressiva riduzione della presenza di queste ultime nelle sentenze della Corte Edu si dovrà guardare, piuttosto, al complesso sistema di riforme della Convenzione e della Corte che è stato intrapreso negli ultimi anni per far fronte al massiccio numero di ricorsi e al conseguente ritardo nella loro trattazione. Tale sistema è stato inaugurato con il Protocollo n. 14 ed è proseguito con le Conferenze intergovernative tenutesi a Interlaken nel 2010, a Izmir nel 2011 e a Brighton nel 2012, alle quali sono seguite le Conferenze di Bruxelles del 2015 e, da ultimo, di Copenaghen del 2018.

Come evidenziato recentemente da alcuni studiosi, il processo di riforma della Corte Edu – specie quello sancito dalla Conferenza di Brighton del 2012 – ha inciso profondamente sull’attività della Corte e ha avuto come effetto una limitazione del suo spazio d’intervento, con l’introduzione dei principi di sussidiarietà e del margine di apprezzamento nel preambolo della Convenzione. Dopo la sentenza Hirst[7] del 2005, la Gran Bretagna era stata molto critica nei confronti della Corte di Strasburgo, arrivando a minacciare di abbandonare la sua giurisdizione. Il Governo inglese avrebbe, quindi, utilizzato la sua presidenza del Consiglio d’Europa per proporre riforme istituzionali finalizzate a restringere lo spazio di azione della Corte[8].

Un recente lavoro di ricerca, in particolare, tenta di comprendere quale impatto abbia avuto questo mutato quadro politico sulle pronunce della Corte Edu, analizzando una serie di dati estrapolati dalle sentenze fino al giugno 2016[9].

In primo luogo, emerge che la percentuale di sentenze nelle quali si va oltre la semplice applicazione della giurisprudenza esistente e la Corte Edu ha trovato almeno una violazione, negli ultimi anni, è calata di almeno quindici punti percentuali. Per comprendere le ragioni di questo fenomeno, la ricerca prende in considerazione alcuni dati tratti dalle opinioni separate dei giudici, analizzando quelle “pro-governo”, in cui si afferma che la maggioranza ha trovato una violazione dove non avrebbe dovuto, e quelle “pro-ricorrente”, in cui si afferma che la maggioranza ha sbagliato nel non sancire una violazione laddove avrebbe dovuto.

Ebbene, tale analisi fa notare che l’atteggiamento critico di alcuni Stati nei confronti della Corte Edu ha avuto ripercussioni sulla procedura di nomina dei giudici, la quale, com’è noto, prevede che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa elegga il giudice nell’ambito di una terna di nomi proposta dal governo dello Stato membro.

In particolare, i dati statistici raccolti dimostrerebbero che, mentre tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, i governi delle nuove democrazie, specie di quelle candidate per l’ingresso nell’Unione europea, avevano nominato in prevalenza giudici chiaramente indicati quali attivisti dei diritti umani – per dimostrare il loro impegno nella tutela dei diritti fondamentali –, dal 2005 in poi vi sarebbe stata un’inversione di tendenza[10]. Infatti, i governi avrebbero iniziato a nominare giudici più propensi a concedere agli Stati un più ampio margine di apprezzamento piuttosto che giudici favorevoli a una maggiore espansione della tutela dei diritti fondamentali.

Il lavoro di ricerca osserva, quindi, che il procedimento di nomina dei giudici sarebbe divenuto progressivamente più “politicizzato”, nell’ambito di una logica “destra/sinistra”, e che vi sarebbe una tendenza più spiccata dei governi di destra a nominare giudici più attenti alla protezione degli interessi degli Stati[11]. Inoltre, la Corte stessa, quale istituzione, starebbe intraprendendo una “strategia difensiva” nell’esaminare i casi contro gli Stati che rappresentano i suoi tradizionali sostenitori e che, di recente, hanno minacciato di far mancare alla Corte il loro supporto. Secondo questo studio, infatti, a causa delle forti critiche provenienti dalla Gran Bretagna e da altre democrazie consolidate, la Corte Edu sarebbe progressivamente divenuta più moderata nell’esaminare i casi che le riguardano[12].

Pertanto, alla luce di studi recenti, risulta che l’attivismo della Corte di Strasburgo, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, ha subito un’inversione di tendenza, circostanza che avrebbe favorito progressivamente una minore propensione alla manifestazione di un motivato dissenso[13].

2. Natura giuridica e funzione delle opinioni separate

La prima questione che si pone con riferimento alle opinioni separate dei giudici è quella della loro natura giuridica. Le diverse opinioni sono allegate alla sentenza e ne costituiscono parte integrante, essendo pubblicate insieme ad essa. Tuttavia, esse non hanno valore giuridicamente vincolante in quanto è solo l’opinione della maggioranza che sostanzia la decisione e assume tale forza. Peraltro, le opinioni separate non diminuiscono in alcun modo l’efficacia vincolante delle sentenze alle quali sono allegate[14]. Il sistema Cedu, da questo punto di vista, è più vicino a quelli di common law, che consentono opinioni multiple, rispetto a quelli di civil law che, invece, per lo più, concepiscono una decisione unica, adottata nel segreto della camera di consiglio, senza consentire opinioni dissenzienti[15]. Alla base di quest’ultima concezione vi è l’idea, ispirata al positivismo normativo, che il diritto è uno solo e che la decisione giudiziaria sia un sillogismo. La risposta a una questione giuridica non può che essere, tendenzialmente, unica e la pubblicazione di opinioni dissenzienti minerebbe alla base l’autorità della decisione stessa nonché la certezza del diritto. In quest’ottica, le decisioni dei giudici non possono essere influenzate dai cambiamenti sociali, in quanto solo il legislatore può, modificando il quadro normativo, adattare il diritto alla società in evoluzione.

Il sistema della Convenzione appare ispirato da una concezione del tutto diversa, in base alla quale la certezza del diritto appartiene più al dover essere che all’essere e il diritto è sostanzialmente costituito da ciò che dicono i giudici: perciò, essenzialmente, un diritto di formazione giurisprudenziale. La giurisprudenza assurge a fonte del diritto e il diritto stesso si forma nel dialogo tra le parti e tra le parti stesse e i giudici. La Cedu, con le sue clausole generali e le sue formule aperte, ben si presta a una interpretazione evolutiva, alla luce dei cambiamenti della società. La Corte, il cui ruolo è interpretare la Cedu e assicurare il rispetto dei diritti fondamentali in essa sanciti (art. 32), compie costantemente delle scelte per conferire sostanza a tali norme. In alcuni casi, la sua posizione muta nel tempo, riflettendo la natura della Convenzione come «strumento vivente», come viene per la prima volta definita nel caso Tyrer[16].

In quest’ottica, la pubblicità delle opinioni dissenzienti consente di chiarire meglio il senso della decisione maggioritaria, informando in merito ai termini delle questioni discusse nella camera di consiglio e sullo stato dell’evoluzione e del dibattito giuridico su determinate questioni. Le opinioni dissenzienti di oggi potranno essere, domani, le conclusioni della maggioranza e, in questo senso, informando il pubblico circa le opinioni interne della Corte, esse favoriscono i futuri sviluppi del diritto.

3. Aspetti critici delle opinioni separate e argomenti a favore del segreto

Il primo aspetto critico delle sentenze della Corte che recano diverse opinioni è che i pareri contrari di alcuni giudici, motivati sulla base di argomentazioni convincenti tanto quanto quelle della maggioranza, fanno apparire la sentenza meno autorevole[17]. Offrire pubblicamente diverse chiavi di lettura della medesima questione giuridica può far perdere di credibilità a quella che, tra loro, è posta alla base della decisione della maggioranza compromettendo la certezza del diritto. I destinatari della sentenza potrebbero, inoltre, percepire la decisione come meno “giusta” in quanto non espressione della totalità del collegio giudicante.

Vi è, poi, da chiedersi se la pubblicità delle opinioni separate dei giudici possa pregiudicarne l’indipendenza, rendendo noti i loro orientamenti, specie tenuto conto che i giudici della Corte di Strasburgo hanno un mandato temporaneo[18].

Inoltre, rendere noti i propri orientamenti potrebbe indurre un giudice – per non smentirsi – a non mutare opinione nei casi successivi e questo potrebbe rendere più difficile il raggiungimento di compromessi all’interno della Corte. Tale situazione renderebbe ancora più ardua la già complessa realizzazione della collegialità in una Corte in cui siedono 47 giudici provenienti da esperienze professionali e sistemi giuridici diversi. In tal senso, le opinioni separate potrebbero accentuare le individualità a discapito, appunto, della collegialità.

4. Le ragioni della divulgazione delle opinioni separate

Se è vero che la possibilità di rendere pubbliche le proprie opinioni dissenzienti o concorrenti può accentuare le diversità delle impostazioni individuali e scoraggiare il loro componimento, è anche vero che questo favorisce il pluralismo, aspetto non meno rilevante in una Corte internazionale che si rivolge a una platea di destinatari molto ampia e potenzialmente indeterminata[19].

Inoltre, la pubblicità delle opinioni e la conseguente responsabilizzazione diretta dei giudici incide positivamente sulla loro indipendenza personale e istituzionale, proprio perché consente di individuare il punto di vista del singolo giudice.

In questo contesto, l’autorevolezza della sentenza e la forza persuasiva della motivazione sarebbe, anzi, ulteriormente rafforzata dalla capacità dei giudici di dissentire, in tutto o in parte, dalla decisione della maggioranza.

A parte tali considerazioni, le ragioni della pubblicità delle opinioni separate dei giudici della Corte Edu risiedono nella stessa struttura del sistema Cedu.

La Convenzione trae la propria forza vincolante dalla sua natura giuridica di trattato internazionale ed è interpretata ricorrendo ai criteri offerti dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati[20]. Tra questi criteri, oltre – naturalmente – al testo, ha un valore fondamentale il richiamo all’oggetto e allo scopo del trattato. Oggetto e scopo della Convenzione, dice la Corte, sono la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, titolare di diritti nei confronti delle pretese dello Stato, e la Corte è stata istituita per assicurare l’ottemperanza degli impegni assunti dagli Stati contraenti nella Convenzione e nei suoi Protocolli[21]. Tale essendo lo scopo del trattato, il margine di azione creativa da parte della Corte Edu è amplissimo, con l’unico limite del consenso degli Stati.

Nonostante la lettera dell’art. 46, par. 1, Cedu, la Corte ha infatti chiarito che le sentenze producono l’effetto della cosiddetta res interpretata, nel senso che l’interpretazione della Corte impone, al di là del caso concreto, il significato delle disposizioni della Convenzione da essa risultante. In questo senso, le sentenze della Corte hanno efficacia erga omnes in tutti gli Stati contraenti, nonostante siano state emesse nei confronti di uno o più Stati[22] e a prescindere dalla formazione giudiziaria (comitato, camera, Grande Camera) dalla quale sono state emesse[23]. Tale effetto deriva dalla circostanza che le sentenze della Corte contribuiscono a chiarire la portata delle norme convenzionali e a consentire l’applicazione della Convenzione come diritto vivente[24].

Sulla base di tale assunto, il dibattito tra i giudici, che si riflette nelle opinioni della maggioranza e della minoranza, è di particolare interesse e importanza, in quanto consente di rendere visibile la fase di sviluppo del diritto vivente della Convenzione[25].

Proprio perché il diritto convenzionale è in continua evoluzione e si costruisce poco a poco, nel dialogo tra le parti e i giudici e tra i giudici stessi, la visibilità di questo procedimento deliberativo contribuisce non solo alla migliore comprensione della decisione presa, ma anche allo sviluppo della giurisprudenza e alla trasparenza della Corte[26].

5. La questione delle opinioni separate nelle pronunce di inammissibilità

Il tema della trasparenza della Corte Edu e delle sue procedure è di centrale importanza e, ancora oggi, nonostante le richieste degli Stati[27], vi sono molti interrogativi quanto alla mancanza di pubblicità che caratterizza diversi aspetti cruciali della sua procedura.

Primo fra tutti, ad esempio, quello della mancanza di pubblicità delle decisioni di inammissibilità, a loro volta assunte da un giudice unico, con l’assistenza di un relatore non giudiziario, entrambi nominati dal presidente della Corte, senza che i criteri della nomina siano resi pubblici. La criticità della questione appare molto rilevante se solo si consideri la percentuale enorme di decisioni di inammissibilità, che si avvicina di molto al totale, emesse dalla Corte[28].

Si pensi, poi, alla mancanza di pubblicità delle decisioni del collegio della Grande Camera, composto da cinque giudici, in merito alle richieste di trasmissione del caso alla Grande Camera[29] o alla segretezza delle linee guida in base alle quali è calcolato l’importo dell’equa soddisfazione.

Nella stessa logica, anche le decisioni di rimessione del caso alla Grande Camera, ai sensi dell’art. 30 Cedu, dovrebbero essere motivate, considerato che esse privano le parti di un grado di giurisdizione, laddove invece l’art. 72, par. 3, del Regolamento di procedura prevede espressamente il contrario.

Un problema interpretativo di grande complessità, connesso al tema della trasparenza, si pone anche con riferimento alla possibilità di rendere pubbliche le opinioni separate dei giudici aventi a oggetto le cause di inammissibilità[30], in caso di esame congiunto di ammissibilità e merito.

Con il nuovo art. 29 Cedu, introdotto dal Protocollo n. 14, è stato affermato il principio in base al quale la Corte si pronuncia, allo stesso tempo, sull’ammissibilità e sul merito del ricorso. Si pone, quindi, la questione se un giudice, nell’ambito di tale esame congiunto, abbia la possibilità di allegare alla sentenza un’opinione separata su un motivo di ricorso dichiarato inammissibile. Nessun dubbio vi è, infatti, in merito alla possibilità di allegare un’opinione separata su un motivo di ricorso che la maggioranza ha dichiarato ammissibile e che il giudice “dissidente” ritiene, invece, inammissibile. La differenza pratica tra le due situazioni appare evidente nel caso di rinvio della causa alla Grande Camera, che potrà riesaminare i motivi di ricorso che siano stati dichiarati ammissibili dalla camera, ma non quelli dichiarati inammissibili.

La Convenzione, nella sua iniziale formulazione, prevedeva che se la sentenza non esprimeva, in tutto o in parte, l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice aveva il diritto di allegare la propria opinione separata (art. 51). La Convenzione nulla diceva in merito alla possibilità di allegare un’opinione separata a una decisione di inammissibilità, all’epoca di competenza della Commissione. Tuttavia, per quanto riguarda i rapporti della Commissione sul merito del ricorso, adottati in base al testo previgente dell’art. 31, era previsto che «le opinioni di tutti i membri della Commissione (…) possono essere espressi in questo rapporto».

Il problema interpretativo, oggi, si pone perché la lettera delle norme pertinenti (artt. 45 Cedu e 74 Regolamento di procedura) menziona unicamente le sentenze e non, anche, le decisioni quanto alla possibilità per i giudici di allegare le loro opinioni separate, né si fa alcuna menzione della possibilità di allegarle nell’ambito di una decisione separata di inammissibilità. Inoltre, quando il collegio giudicante decide di dichiarare inammissibili alcune doglianze e altre invece ammissibili, nella sentenza, per quanto riguarda il giudizio di inammissibilità, non compare il numero dei giudici che hanno votato a favore o contro, ma solo l’indicazione “a maggioranza” o “all’unanimità”.

Vi sono due possibili soluzioni interpretative in proposito. Secondo la tesi che nega la possibilità di allegare un’opinione separata relativa a una doglianza dichiarata inammissibile da una sentenza, tale soluzione sarebbe imposta dal dato letterale della Cedu: l’attuale art. 45, par. 1, prevede che sia le sentenze sia le decisioni che dichiarano il ricorso ammissibile o inammissibile siano motivate. La menzione specifica dell’esigenza di motivazione delle decisioni sulla ricevibilità non figurava, invece, nella Convenzione prima delle modifiche introdotte dal Protocollo n. 11, i cui redattori hanno introdotto un nuovo inciso per prevedere espressamente l’obbligo di motivare le decisioni, ma non le hanno in alcun modo menzionate al secondo comma, quando hanno previsto la possibilità di opinioni separate.

Anche la prassi sembrerebbe confermare la tesi negativa in quanto, storicamente, prima del Protocollo n. 11, la decisione sull’ammissibilità era presa separatamente da quella nel merito e la situazione attuale, nella quale, in virtù dell’art. 29 Cedu, l’esame dei motivi di ricorso inammissibili si fa nella medesima sentenza sul merito, sarebbe unicamente dovuta a esigenze di semplificazione e di celerità, non a ragioni di carattere sistematico.

Le argomentazioni a favore della tesi negativa non sono, però, così convincenti come lo sono, invece, quelle che fondano la tesi positiva.

In primo luogo, l’assenza di un riferimento testuale specifico alle opinioni separate in materia di decisioni si spiega alla luce dell’organizzazione iniziale degli organi della Convenzione, dove le questioni di inammissibilità erano trattate dalla Commissione e non dalla Corte. In realtà, l’art. 45 sembra largamente ispirato dal fatto che l’idea di fondo del Protocollo 11 n. era che le decisioni di inammissibilità dovessero essere prese principalmente dal comitato di tre giudici. Ebbene, le decisioni del comitato devono essere prese all’unanimità: di qui, la mancata menzione della possibilità di opinioni separate. Ecco perché l’art. 45 si riferisce alle opinioni separate solo con riferimento alle sentenze.

Inoltre, è proprio il dato letterale a far ritenere che non esista una differenziazione chiara tra decisioni e sentenze. Lo stesso art. 29 Cedu, infatti, è titolato «Decisioni delle Camere sulla ricevibilità e il merito».

A parte il dato letterale, vi sono argomenti sostanziali a favore della tesi positiva. La linea di confine tra la valutazione di un motivo di ricorso come manifestamente infondato ai sensi dell’art. 35, par. 3, lett. (a), Cedu, o come non integrante una violazione è difficile da definire. Allo stesso modo, è difficile in molti casi distinguere le questioni di inammissibilità da quelle di merito, in quanto molte ragioni di inammissibilità implicano, di per se stesse, decisioni nel merito del ricorso. Primo fra tutti, il criterio di inammissibilità della manifesta infondatezza, i cui confini con la pronuncia nel merito di non violazione sono molto sottili e che comporta valutazioni di carattere sostanziale sui diritti garantiti dalla Convenzione. Nemmeno può negarsi che, talvolta, anche sul criterio del previo esaurimento dei ricorsi interni può esservi spazio per opinioni differenti sulla effettività di un rimedio, essendo onere del ricorrente esperire previamente solo i rimedi effettivi[31]. Talvolta, tale valutazione può incidere anche sul criterio dei sei mesi, non essendo infrequenti i casi in cui, avendo il ricorrente esperito ulteriormente un rimedio non effettivo, sono trascorsi più di sei mesi da quando è diventata definitiva l’ultima decisione interna[32]. Si pensi, poi, alla ragione di inammissibilità della incompatibilità ratione materiae, la quale richiede di valutare se un determinato diritto invocato dal ricorrente è oggetto di tutela da parte della Convenzione e che investe profili decisamente sostanziali.

È innegabile, quindi, che anche tali aspetti contribuiscono notevolmente allo sviluppo della giurisprudenza, essendo strettamente connessi a profili di merito, e non ha alcun senso impedire ai giudici di esprimere appieno le loro opinioni su tali questioni.

Nella pratica, peraltro, vi sono esempi di opinioni separate (su questioni di inammissibilità) allegate a sentenze nel merito che contengono anche decisioni di inammissibilità[33]. Non vi è, quindi, motivo per negare che tale prassi si estenda anche alle semplici decisioni.

In tale ottica, l’omissione – contenuta nell’art. 45, par. 2, Cedu – del riferimento alle decisioni appare essere frutto di un mero incidente di percorso, a causa della originaria competenza degli organi della Convenzione dove le questioni di inammissibilità erano di competenza esclusiva della Commissione[34]. Inoltre, l’art. 74, par. 2, del Regolamento di procedura è andato già praeter legem quando ha previsto la possibilità di allegare alla sentenza una «semplice dichiarazione di dissenso». Tale tipo di dichiarazione, non essendo in alcun modo motivata, contraddice la vera essenza delle opinioni separate, ossia meglio chiarire il senso complessivo della decisione dando conto di tutte le principali argomentazioni discusse durante le deliberazioni in camera di consiglio.

Inoltre, considerato che, ad esempio, i pareri consultivi possono essere accompagnati da opinioni separate e da dichiarazioni di dissenso[35], non è logico che i giudici non possano esprimere la propria opinione in merito alle questioni di inammissibilità, che peraltro sono definitive.

Una soluzione di compromesso, che può consentire ai giudici dissidenti di esprimere la loro opinione separata in caso di motivo di ricorso manifestamente infondato, è quella di trasferire la conclusione di manifesta infondatezza dalla parte sull’ammissibilità a quella sul merito della sentenza. In questo modo, l’opinione separata può essere espressa e tenuta in conto in caso di rinvio alla Grande Camera.

6. Ulteriori questioni aperte: le opinioni dissenzienti nelle pronunce interpretative e di infrazione ai sensi dell’art. 46 Cedu

Un’altra questione interpretativa si pone con riferimento alle pronunce interpretative e di infrazione ai sensi dell’art. 46 della Convenzione. Si tratta, rispettivamente, delle decisioni con le quali la Corte si pronuncia su una questione interpretativa, di cui è stata investita dal Comitato dei ministri, e delle decisioni con le quali la Corte stabilisce se uno Stato abbia o meno violato l’obbligo di eseguire una sentenza. Per entrambi i tipi di pronuncia, l’art. 46 non esclude espressamente la possibilità di allegare opinioni separate.

Nelle corrispondenti norme di procedura, invece, l’art. 93 del Regolamento vieta espressamente le opinioni separate nelle decisioni emesse su questioni interpretative; diversamente, l’art. 99 non le vieta nelle sentenze emesse a seguito di rimessione del caso dal Comitato dei ministri a norma dell’art. 46, par. 4, Cedu. Tale incoerenza potrebbe essere sanata con la modifica dell’art. 93 del Regolamento di procedura, in linea con la previsione di cui all’art. 46, par. 4, della Convenzione.

7. Conclusioni

La possibilità di esprimere opinioni separate, dissenzienti o concorrenti che siano, e di renderle pubbliche appare uno strumento inestimabile di trasparenza della Corte di Strasburgo nonché di sviluppo della sua giurisprudenza.

La forza delle sue decisioni risiede essenzialmente nella motivazione, ossia nella capacità di esporre in modo articolato e convincente argomentazioni persuasive. Le opinioni separate sono lo strumento mediante il quale il singolo giudice argomenta in termini giuridici, razionali e coerenti il proprio convincimento in merito alla decisone presa dalla maggioranza.

Si tratta di uno strumento formidabile, che consente di comprendere appieno il ragionamento più complessivo della Corte e di porre in evidenza gli argomenti che hanno destato le maggiori perplessità e discussioni durante le deliberazioni. Le opinioni dissenzienti rappresentano, infatti, il punto di vista ched è stato portato nella camera di consiglio, ma che è stato disatteso dalla maggioranza.

Dalla lettura delle opinioni si possono trarre anche interessanti spunti sulla possibile futura evoluzione della giurisprudenza della Corte Edu Nelle questioni che riguardano i diritti fondamentali, che sono intrinsecamente connesse all’evoluzione della società, l’interazione tra la maggioranza e la minoranza rappresenta una “istantanea” dello stato del dibattito all’interno della Corte.

Le opinioni separate offrono, quindi, un contributo di chiarezza e di conoscenza che va a integrare la stessa motivazione della sentenza. Si potrebbe anche aggiungere che esse costituiscono, probabilmente, il primo punto di partenza per uno studio della sentenza stessa[36].

[1] Per uno studio qualitativo, oltre che quantitativo, delle opinioni separate nelle sentenze della Corte Edu, basato sulle diverse provenienze dei giudici e sulle loro esperienze professionali pregresse, si veda, ad esempio: F.J. Bruinsma, The Room at the Top: Separate Opinions in the Grand Chambers of the ECHR (1998-2006), 2008, disponibile sulla piattaforma digitale Ancilla Iuris  (www.anci.ch/articles/ancilla2008_32_bruinsma.pdf).

[2] Per maggiori dettagli su tale studio, si veda F. Rivière e F. Sudre, Les opinions séparées des Juges à la Cour Européenne des Droits de l’homme, Bruylant, Bruxelles, 2004. La ricerca non indica il numero di sentenze nelle quali sono state riportate queste opinioni separate.

[3] Si tratta del progetto di ricerca dell’Art and Humanities Research Council, sul quale si veda R.C.A. White e I. Boussiakou, Separate opinions in the European Court of Human Rights, Human rights law Review, n. 9/2009, pp. 37-61.

[4] R.C.A. White e I. Boussiakou, op. ult. cit., p. 50.

[5] Queste le conclusioni, Ibid. p. 53.

[6] In tal senso, si veda F.J. Bruinsma, The Room at the Top, op. cit.

[7] Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], ric. n. 74025/01, 6 ottobre 2005, nella quale la Corte di Strasburgo ha affermato che il divieto di esercizio del diritto di voto da parte dei detenuti è contrario alla Cedu.

[8] In tal senso si vedano: M.R. Madsen, Rebalancing European Human Rights: has the Brighton Declaration engendered a new deal on Human Rights in Europe?, in Journal of international dispute settlement, vol. 9, n. 2/2018, pp. 199–222; P. Popelier - S. Lambrecht - K. Lemmens (a cura di), Criticism of the European Court of Human Rights, Intersentia, Cambridge (UK), 2016.

[9] Il riferimento è al recente lavoro di ricerca di O­. Stiansen e E. Voeten, Backlash and Judicial Restraint: evidence from the European Court of Human Rights, 17 agosto 2018, disponibile sull’archivio SSRN (https://ssrn.com/abstract=3166110) o al seguente link: http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3166110.

[10] E. Voeten, The politics of international judicial appointments: evidence from the European Court of Human Rights, in International Organization, vol. 61, n. 4/2007, pp. 669-701.

[11] O. Stiansen e E. Voeten, Backlash and Judicial Restraint, op. cit., pp. 22 ss.

[12] Ibid., pp. 29 ss.

[13] Si vedano, ad esempio: M. R. Madsen, Rebalancing European Human Rights, op. cit.; O. Stiansen e E. Voeten, Backlash and Judicial Restraint, op. cit.

[14] Si veda, in GIEM Srl e altri c. Italia [GC], ricc. nn. 1828/06 e altri 2, 28 giugno 2018, par. 45, l’opinione parzialmente concorrente e parzialmente dissenziente di Paulo Pinto de Albuquerque.

[15] Per uno studio comparato dei vari sistemi in una prospettiva storica, si veda M.D. Kirby, Judicial dissent – Common Law and Civil Law Traditions, in Law Quarterly Review, vol. 123, 2007, disponibile online (www.hcourt.gov.au/assets/publications/speeches/former-justices/kirbyj/kirbyj_06.pdf).

[16] Tyrer c. Regno Unito, ric. n. 5856/72, 25 aprile 1978, serie A, n. 26, par. 31.

[17] Per una disamina delle principali argomentazioni pro e contro la pubblicazione delle opinioni separate, si vedano, tra gli altri: S. Cassese, Una lezione sulla cosiddetta opinione dissenziente, in Quaderni costituzionali, n. 4/2009, pp. 973-986; Hon. R.B. Ginsburg, The role of dissenting opinions, presentazione all’Harvard Club di Washington (D.C.), 17 dicembre 2009.

[18] Per i rapporti tra dissenso giudiziario, indipendenza e collegialità, si veda J.L. Dunoff e M.A. Pollack, International Judicial Dissent: Causes and Consequences, presentazione alla conferenza biennale della European Union Studies Association (EUSA), 5-7 marzo 2015, Boston (MA).

[19] Sostiene che la regola della presunta unanimità non appare affatto ragionevole, Davide Galliani: “È più facile perdonare un nemico che un amico”. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, la giusta giustizia, la giurisprudenza consolidata, l’ordinamento italiano, in Pinto de Albuquerque, I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni concorrenti e dissenzienti (2011-2015), Giappichelli, Torino, 2016, pp. 5-45.

[20] Nella sentenza Golder c. Regno Unito, ric. n. 4451/70, 21 febbraio 1975, serie A, n. 18, par. 29, la Corte afferma che «gli articoli da 31 a 33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati enunciano in sostanza un principio generalmente accettato di diritto internazionale».

[21] Si tratta di un principio affermato in molte sentenze, tra le quali: Zolotukhin c. Russia [GC], ric. n. 14939/03, 10 febbraio 2009, par. 80; Tyrer c. Regno Unito, cit., par. 31; Goodwin c. Regno Unito [GC], ric. n. 28957/95, par. 75; Scoppola c. Italia (n 2) [GC], ric. n. 10249/03, par. 104; Micallef c. Malta [GC], ric. n. 17056/06, par. 81.

[22] Si veda, in GIEM Srl e altri c. Italia [GC], cit., il par. 76 dell’opinione parzialmente concorrente e parzialmente dissenziente di Paulo Pinto de Albuquerque.

[23] Si veda GIEM Srl e altri c. Italia [GC], cit., par. 252.

[24] Si veda Irlanda c. Regno Unito, ric. n. 5310/71, 18 gennaio 1978, par. 154.

[25] Parla di giurisprudenza della Corte come vera e propria «fonte del diritto», e del conseguente ruolo fondamentale delle opinioni separate nel rendere conto dello stato di evoluzione del diritto della Convenzione, I. Ziemele, Separate opinions at the European Court of Human Rights - Interdisciplinary studies, vol. 1, Riga Graduate School of Law, Riga, 2017.

[26] Si veda anche P. Pinto de Albuquerque, Plaidoyer for the European Court of Human Rights, in European human rights law Review, n. 2/2018, pp. 119-133.

[27] Ci si riferisce alla Dichiarazione di Bruxelles del 27 Marzo 2015, che nel suo «Action plan» recita: «[la Conferenza] accoglie l’intenzione espressa dalla Corte di prevedere una breve motivazione per le decisioni di inammissibilità del giudice unico, e la invita a farlo entro il gennaio 2016» (A, par. 1, lett. c); «[la Conferenza] invita la Corte a considerare di provvedere a una breve motivazione nelle decisioni indicanti misure provvisorie e nelle decisioni del collegio di cinque giudici che rifiutino le richieste di rinvio alla Grande Camera» (A, par. 1, lett. d).

[28]  Nel 2017, 66.156 ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dal giudice unico. Si vedano le statistiche della Corte pubblicate sul suo sito web.

[29] Art. 43, par. 2, Cedu.

[30] Art. 35 Cedu.

[31] Si veda, ad esempio, il giudizio di inammissibilità per mancato previo esaurimento dei rimedi interni in Mercan c. Turchia, ric. n. 56511/16, 17 novembre 2016, parr. 21-30.

[32] Si veda, ad esempio, Wind telecomunicazioni Spa c. Italia, ric. n. 5159/14, 8 settembre 2015, sulla natura non effettiva del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 8, Costituzione.

[33] Si vedano, tra gli esempi più recenti, le opinioni dei giudici: Keller e Dedov in Navalnyye c. Russia, ric. n. 101/15, 17 ottobre 2017; Karakas, Vucinic e Laffranque in Tibet Mentes e altri c. Turchia, ric. n. 57818/10, 24 ottobre 2017; Pinto de Albuquerque in De Tommaso c. Italia [GC], ric.n. 43395/09, 23 febbraio 2017; Pinto de Albuquerque e Sajò in Somorjai c. Ungheria, ric. n. 60934/13, 28 agosto 2018.

[34] Come dimostrato dalla prassi della Corte anche durante l’epoca della Commissione: si vedano Van Oosterwijck c. Belgio, ric. n. 7654/76, 6 novembre 1980, e Cardot c. Francia, ric. n. 11069/84, 19 marzo 1991. 

[35] Così l’art. 88 del Regolamento di procedura.

[36] Le opinioni separate sono considerate uno strumento di ricerca giuridica da Katalin Kelemen, Dissenting opinions in Constitutional Courts, in German law Journal, 2013, vol. 14, n. 8/2013, pp. 1345-1371.