Magistratura democratica

Controllo di convenzionalità e interpretazione conforme: il ruolo del giudice nazionale

di Corrado Caruso
Il contributo mira a indagare struttura e funzioni dell’interpretazione conforme alla Cedu, a partire dal modello teorico-generale, per poi declinarne le coordinate in relazione alle sue peculiarità. Delimitati lo scopo e i limiti di questo criterio interpretativo, si esaminano le ragioni teoriche che fanno dell’interpretazione convenzionalmente orientata un canone residuale e recessivo rispetto agli altri strumenti ermeneutici a disposizione del giudice nazionale.

1. L’interpretazione conforme: cos’è?

L’interpretazione conforme ha una dimensione anfibia[1]: per un verso topos ermeneutico, particolare argomento persuasivo che fornisce ragioni per giustificare un determinato risultato interpretativo; per un altro, regola sull’interpretazione o sul come interpretare, canone precettivo che indica quale procedimento seguire per l’ascrizione di significato normativo a una determinata disposizione.

In relazione a quest’ultimo profilo, si è sostenuto, con varietà di sfumature, che l’interpretazione conforme altro non sarebbe che una species dell’interpretazione sistematica, perché risponderebbe, non diversamente da quest’ultima, al generale postulato di coerenza dell’ordinamento giuridico che l’interprete è chiamato a soddisfare nella sua ordinaria attività[2].

Tale tesi non può essere accolta nella sua interezza sia perché l’interpretazione logico-sistematica ha una genesi strettamente legata all’ermeneutica codicistica, operando quindi rispetto a norme collocate entro il medesimo atto giuridico (ancorché decifrate alla luce dell’ordinamento complessivamente considerato)[3], sia perché l’interpretazione conforme presuppone (ma sul punto si tornerà) un rapporto gerarchico tra fonti[4]. Ciò nonostante, l’accostamento all’interpretazione sistematica evidenzia opportunamente la funzione relazionale dell’interpretazione conforme, capace di mettere in connessione atti e sistemi normativi diversi, sovente rispondenti a logiche e rationes distinte ma egualmente rilevanti per l’applicazione di una determinata disposizione al caso concreto[5].  Come è stato detto, allora, l’interpretazione conforme è una «cerniera» che congiunge armoniosamente mondi normativi distanti, ma uniti dalla necessità di offrire una soluzione al caso controverso[6].

A disegnare il volto dell’interpretazione conforme è, come detto, una relazione gerarchica tra fonti. «[O]bbligazione di mezzi»[7] gravante sull’interprete, chiamato a estrapolare dalla disposizione un significato normativo coerente con le norme di altra fonte che si collochi, con la prima, «in uno specifico rapporto condizionante»[8], l’interpretazione conforme non coincide con i criteri adottati dall’ordinamento per risolvere le antinomie normative e, di conseguenza, ordinare le fonti del diritto a sistema[9]. A meno di non avallare l’ipotesi, dal vago sapore realistico, della riduzione del sistema delle fonti al singolo risultato interpretativo, alla norma dettata dalle contingenze del caso concreto (inevitabilmente influenzata, quindi, dalla peculiare weltanschauung dell’interprete), i criteri di risoluzione delle antinomie normative sono esterni all’attività interpretativa, posti dall’ordinamento giuridico e non creati dal soggetto interpretante[10].

L’interpretazione conforme prelude, dunque, a una triplice operazione ermeneutica conseguente al rapporto gerarchico tra fonti: la prima, realizzata sulla disposizione sovraoridnata; la seconda, sulla disposizione condizionata; entrambe sottoposte, infine, a una “saldatura” normativa in vista della decisione del caso concreto.

L’interpretazione conforme può anche tradursi in un’applicazione diretta della fonte superiore: importa poco stabilire se quest’ultima assurga a fonte immediata della regola del caso concreto o se rappresenti la premessa maggiore del ragionamento normativo[11]. Ciò che rileva è la funzione nomogenetica che svolge, per via interpretativa, la fonte superiore, la quale, “illuminando” la fonte subordinata, esprime la sua supremazia sul materiale normativo sottostante.

Alla luce di tali premesse, due sono gli indiscussi protagonisti dell’interpretazione conforme: la fonte sovraordinata, la quale amplifica la sua precettività e permea di sé il sistema normativo; l’interprete (di regola, come si vedrà, il giudice comune), che nella fonte superiore trova un giacimento precettivo che gli consente di trarre, dagli atti-fonte sottordinati, significati non altrimenti desumibili tramite i tradizionali canoni ermeneutici.

Queste considerazioni sono sagomate sull’interpretazione conforme a Costituzione, all’uno prototipo e modello delle successive “interpretazioni conformi”, sviluppatesi con riguardo, in particolare, all’ordinamento comunitario e al sistema convenzionale.

L’interpretazione conforme a Costituzione ha rappresentato, infatti, l’anello di congiunzionedi due sistemi normativi che, nell’intenzione dei Costituenti[12], dovevano rimanere rigorosamente distinti: da una parte, la Costituzione e il circuito della legalità costituzionale, custoditi dalla Corte costituzionale; dall’altra, l’ambito della legalità ordinaria, dominato dalla legge, appannaggio dei giudici comuni[13]. È la stessa Corte costituzionale che, all’indomani della sua comparsa sul proscenio repubblicano, si serve di questo canone dando vita alla tipologia decisoria delle sentenze interpretative (di rigetto)[14]. Nei decenni successivi, le note vicende sull’art. 36 Cost.[15], che inaugurano la prassi giudiziale dell’applicazione diretta della Costituzione e la richiesta, rivolta al giudice a quo dal giudice delle leggi, di dimostrare di avere esperito il tentativo di interpretazione adeguatrice della disposizione impugnata (pena l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale)[16], confermano la crasi dei sistemi normativi e testimoniano il nuovo ruolo assunto dal giudice comune, il quale, nell’applicare la disposizione di legge, è tenuto ad adeguarne il senso alla norme fondamentali.

Per un verso, infatti, la Costituzione si impone sul sistema normativo sottostante attraverso una applicazione diffusa, che incontra il solo limite invalicabile della assoluta incompatibilità della interpretazione correttiva con la lettera del testo di legge; per un altro, il giudice comune, da semplice “portiere” della Corte costituzionale, secondo la felice immagine di Piero Calamandrei, assurge a garante e promotore dei principi costituzionali. I giudici (soprattutto ordinari) cessano di essere asettici esegeti della legge per divenire protagonisti dell’inveramento dei valori costituzionali nell’ordinamento giuridico e, secondo alcune ricostruzioni, addirittura co-titolari della funzione di indirizzo politico-costituzionale[17].

2. Lo statuto costituzionale dell’interpretazione convenzionalmente orientata. I limiti di struttura: il testo

L’interpretazione convenzionalmente orientata nasce, quasi per gemmazione, dall’interpretazione costituzionalmente conforme, imboccando un sentiero non troppo distante da quello percorso dall’interpretazione conforme al diritto comunitario (in relazione alla normativa europea non self executing, per assicurarne l’“effetto utile”)[18]. Sono tecniche che consentono al giudice comune di entrare in contatto con le giurisdizioni esterne, le quali operano secondo principi e logiche di funzionamento non del tutto sovrapponibili a quelli dell’ordinamento nazionale[19].

È la Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 (cd. sentenze “gemelle”), a trarre, quale conseguenza del rinnovato rango interposto della Cedu, il canone dell’interpretazione convenzionalmente orientata. Senonché, come si vedrà, proprio la particolare natura della Convenzione e la sua posizione nell’ordinamento interno depotenziano la portata precettiva dell’interpretazione conforme al diritto convenzionale. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, progressivamente svuotato tale canone ermeneutico, il quale ha smesso le vesti della regola sulla interpretazione per assumere i tratti, meno dirompenti, del semplice argomento interpretativo. Sul punto si ritornerà: basti qui anticipare che la tenue forza precettiva dell’interpretazione conevenzionalmente orientatata determina la sua specialità e, soprattutto, la sua irriducibilità agli altri procedimenti interpretativi “in conformità” (in particolar modo, all’interpretazione conforme a Costituzione).

Con la sentenza n. 348 del 2007, come noto, il giudice delle leggi ha dettato le coordinate del rapporto tra legislazione ordinaria e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In virtù del richiamo, contenuto nell’art. 117, primo comma, Cost., agli obblighi internazionali, tale trattato (rectius: la sua legge di esecuzione) è fonte interposta tra la Costituzione e la legislazione sottostante. Da questo rapporto gerarchico discende un necessario vincolo di conformazione della legge alla Convenzione per come riletta dalla giurisprudenza della Corte Edu, in quanto «la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma [convenzionale] come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata»[20].

Dalla sovraordinazione della Cedu rispetto alla legge deriva un nuovo vincolo interpretativo per il giudice comune, il quale è chiamato a tradurre il rapporto gerarchico tra fonti in una saldatura normativa tra il precetto internazionale e i significati desumibili dalla disposizione legislativa. Solo in caso di «contrasto non risolvibile in via interpretativa tra la norma censurata e le norme della Cedu, come interpretate dalla Corte europea ed assunte come fonti integratrici del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117, primo comma, Cost.», può essere attivato il sindacato di legittimità costituzionale[21]. La sentenza n. 349 del 2007 chiarirà ulteriormente il passaggio: al giudice comune «spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme» (corsivo aggiunto)[22], ricorrendo «a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica»[23]; «qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma»[24].

Le cd. sentenze gemelle inaugurano un orientamento giurisprudenziale che comporrà un breviario delle proprietà strutturali dell’interpretazione convenzionalmente orientata, le quali individuano altrettanti limiti alla sua operatività.

In primo luogo, il limite del testo: nessuna interpretazione può superare lo scoglio della littera legis, nessun procedimento di ascrizione di senso alla disposizione può arrivare a manipolare l’enunciato linguistico sino a tradursi in una euristica normativa contra legem. Si tratta di un limite intrinseco a tale particolare tecnica interpretativa, ed è per questo un limite «logico», necessario non solo per distinguere il criterio in parola dall’ipotesi, teoricamente contigua, «della disapplicazione della norma interna contrastante con la norma internazionale»[25], ma anche – e soprattutto – per evitare che la Convenzione possa sprigionare effetti diretti.

Il punto è di importanza fondamentale, perché porta a distinguere l’interpretazione convenzionalmente orientata dalla tecnica di interpretazione conforme a Costituzione. Mentre, infatti, quest’ultima è strumentale a consentire l’applicazione diretta della Costituzione, e dunque a inverare i valori e i principi costituzionali nel sistema normativo sottostante, non altrettanto può dirsi per la fonte internazionale, capace di vincolare il legislatore ordinario, ma comunque sottoposta all’egida della Costituzione e di ogni sua propaggine precettiva[26].

Il vincolo del testo sprigiona effetti diversi a seconda che la disposizione sia interpretata alla luce della Costituzione o della Convenzione. Mentre, nel primo caso, sarà possibile realizzare una concretizzazione normativa della Costituzione sino al limite ultimo della disapplicazione del testo legislativo (che vanificherebbe il sindacato accentrato di legittimità costituzionale), nella seconda ipotesi l’interpretazione convenzionalmente orientata dovrà arrestarsi alla frontiera dell’applicazione diretta della Convenzione. In altri termini, il rango interposto è, all’uno, fondamento e limite delle norme Cedu: la subordinazione formale alla Costituzione non consente l’effetto diretto del diritto convenzionale e, quindi, il potere «per il giudice nazionale di applicarl[o] direttamente in luogo delle norme interne con esse confliggenti»[27].

3. L’unidirezionalità dell’interpretazione convenzionalmente orientata. Il “peso” della giurisprudenza Cedu

La peculiarità istituzionale della Cedu è data dall’esistenza di un organismo giurisdizionale di risoluzione delle controversie, il quale, nella sua interpretazione delle disposizioni della Convenzione, edifica una “barriera” ulteriore all’attività ermeneutica del giudice nazionale. Questo, infatti, non può sovrapporre la propria lettura del trattato a quella offerta dai giudici di Strasburgo. Certo, al giudice interno permane la possibilità di ricavare, dal trattato, argomenti persuasivi in vista della «miglior tutela» dei diritti fondamentali, ma è alla Corte Edu che spetta la «definitiva uniformità applicativa» del diritto convenzionale[28]. Ne deriva che, al contrario della interpretazione costituzionalmente conforme, che consente al giudice comune di plasmare – quantomeno indirettamente – il significato degli enunciati costituzionali, l’interpretazione convenzionalmente orientata è unidirezionale, nel senso che il procedimento interpretativo opera solo con riguardo alla legge, poiché il giudice nazionale (comune e costituzionale) è ricettore dell’attività ermeneutica condotta, «alla stregua dei canoni ermeneutici vigenti nell’ordinamento di provenienza»[29], dalla giurisdizione internazionale[30].

Di conseguenza, il giudice comune non è competente a sindacare nel merito il diritto vivente convenzionale, potendo, al più, rivalutare le condizioni di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale prospettata in caso di novum giurisprudenziale. A questa possibilità allude la Corte costituzionale quando, a partire dall’ordinanza n. 150 del 2012, ha restituito gli atti al giudice a quo affinché valutasse l’influenza sulla disposizione contestata di un nuovo orientamento espresso dalla Corte Edu (in particolare, dalla Grande Camera)[31].

La subordinazione funzionale del giudice nazionale ai dicta di Strasburgo, tuttavia, non opera automaticamente, in misura tale da renderlo «passiv[o] ricettor[e] di un comando esegetico impartito altrove nelle forme della pronuncia giurisdizionale, quali che siano le condizioni che lo hanno determinato»[32]. In tal senso, e fuori dall’ipotesi in cui il giudice nazionale torni a occuparsi del caso deciso a Strasburgo, le giurisdizioni interne hanno il potere-dovere di collocare la pronuncia della Corte nel flusso della giurisprudenza convenzionale, risultando vincolate a esso solo nelle ipotesi di diritto giurisprudenziale consolidato[33] o di sentenza pilota[34].

Nonostante le critiche piovute su tale decisione[35], considerata da alcuni emblema di un «nazionalismo costituzionale esasperato»[36], con la sua pronuncia la Corte costituzionale si è limitata a specificare le condizioni affinché la Corte Edu adempia alla sua funzione di “nomofilachia” rispetto ai giudici nazionali, individuando, in altri termini, i requisiti minimi per la formazione, nel diritto interno, del diritto vivente convenzionale[37]. In tal senso, non rileva – o rileva solo in parte – che concetti o istituti utilizzati dalla Corte costituzionale assumano, nell’ordinamento convenzionale, un significato distinto[38]: l’obbiettivo del giudice delle leggi non risiede, infatti, nella reinterpretazione degli istituti convenzionali nel sistema di origine, in vista di una colonizzazione “nazionalista” dell’ordinamento internazionale; le condizioni poste dal giudice delle leggi operano, piuttosto, una legittima e necessaria trasposizione dei concetti giuridici convenzionali nel diritto nazionale, in funzione di una gradazione di efficacia di precetti provenienti da un ordinamento distinto – e derivato – dall’ordinamento statale[39].

È senz’altro vero, come ha recentemente affermato la Corte Edu in una decisione che suona a mo’ di replica alla Corte costituzionale, che le sentenze di Strasburgo hanno «tutte lo stesso valore giuridico» a prescindere dalla formazione del collegio (Grande camera o sezione semplice) che le emette[40]. Tale affermazione, tuttavia, non può valere che nell’esclusivo ambito del sistema convenzionale e, dunque, in relazione allo specifico dispositivo emesso nei confronti dello Stato contraente; in altri termini, il dictum non implica di per sé una necessaria efficacia generale ed erga omnes, nei confronti di ciascun ordinamento nazionale, della singola decisione convenzionale.

Se questo fosse il significato dell’affermazione, la Corte Edu non solo tradirebbe la sua funzione sussidiaria, ma assumerebbe anche il volto – tutt’altro che rassicurante – del «mite civilizzatore delle nazioni»[41] – di un’istituzione che aspira, nel nome di un astratto ordine pubblico internazionale, a imporre un monismo universale che nega il pluralismo costituzionale degli Stati contraenti.

4. Il limite assiologico. La natura residuale e recessiva dell’interpretazione convenzionalmente orientata

La sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 non si limita, tuttavia, a definire il “peso” o la “forza gravitazionale” della giurisprudenza della Corte Edu sul giudice nazionale nella sua opera di adeguamento dell’ordinamento interno alla Convenzione. Essa va oltre, sino a traslare il limite del rispetto delle disposizioni costituzionali (da parte della Cedu e, dunque, della sua legge di esecuzione[42]) dal piano delle fonti ai rapporti tra attività interpretative, muovendo dalla statica delle disposizioni alla dinamica delle norme.

Già la sentenza n. 317 del 2009, nell’introdurre il concetto della «massima espansione delle garanzie», aveva affermato che il raffronto tra quantum di tutela offerto dalla giurisprudenza di Strasburgo e disposizioni costituzionali si sarebbe dovuto tradurre in «bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali (…) incisi dall’espansione di una singola tutela» (corsivo aggiunto). Come la Corte costituzionale si preoccuperà di specificare più avanti, il raffronto tra sistema convenzionale e ordinamento costituzionale non avviene con riferimento alla misura dei singolo diritto individuale, quanto al sistema complessivo degli interessi costituzionali[43]: l’integrazione inter-ordinamentale delle tutele non implica una valutazione isolata delle norme della Cedu, valutazione che invece «deve essere operata con riferimento al sistema» di «tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati»[44].

In tal senso, il vincolo precettivo della giurisprudenza della Corte Edu, e la conseguente attività ermeneutica che il giudice comune compie, a partire da essa, sulla disposizione legislativa, operano solo laddove quest’ultima non trovi giustificazione nella necessità di tutelare un bene o un valore di rango costituzionale. In altri termini, l’obbligo, gravante sul giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla Cedu, è «subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla Cedu»: l’interpretazione conforme a Convenzione cede il passo tutte le volte in cui si possa dare, della disposizione legislativa, una lettura coerente con i principi della Costituzione.

Questo particolare limite assiologico[45] pone un ulteriore argine all’operatività                    dell’interpretazione convenzionalmente orientata. Non solo il giudice comune si dovrà accertare che l’interpretazione ortopedica non travolga il testo della legge, traducendosi magari in un’applicazione diretta della Convenzione, così verificando – nell’impossibilità di plasmare direttamente il materiale convenzionale – che il principio di diritto enunciato dalla Corte Edu si inserisca in una giurisprudenza consolidata o sia stato enunciato all’esito di una procedura pilota; egli dovrà anche valutare che l’interpretazione convenzionalmente orientata non posterghi un interesse di rango costituzionale, ponendosi in contrasto con una interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione.

Da tali considerazioni derivano almeno due corollari: l’interpretazione convenzionalmente orientata ha natura residuale, nel senso che essa opera solo ove non siano oltrepassati i limiti di cui sopra. Anche a fronte di una lacuna normativa, il giudice comune non potrà ricorrere all’interpretazione convenzionalmente orientata: in primo luogo, perché non gli è consentito applicare direttamente la Convenzione europea per come vive nella giurisprudenza di Strasburgo[46]; in seconda battuta, perché, in ogni caso, il principio di diritto elaborato dalla Corte Edu deve essere sottoposto a uno specifico test di compatibilità costituzionale, operando solo laddove nessun valore o interesse di rango costituzionale vi si opponga. Quale regola sull’interpretazione, allora, l’interpretazione convenzionalmente orientata è per sua natura recessiva, costretta com’è a cedere il passo tutte le volte in cui, della disposizione legislativa, possa essere offerta una interpretazione costituzionalmente conforme.

All’interpretazione convenzionalmente orientata, allora, non resta che una eminente funzione persuasiva, in chiave di consolidamento di una determinata interpretazione, ad esempio per rimarcare la conformità a Costituzione di una data disposizione o, viceversa, per prospettare al giudice delle leggi la sua illegittimità costituzionale per contrasto con il sistema convenzionale.

5. Mondi paralleli: ordinamento costituzionale e ordinamento convenzionale a confronto

Il quadro tratteggiato sinora non sembra destinato a mutare nel prossimo futuro, neanche a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo addizionale n. 16, il quale consentirà alle giurisdizioni superiori degli Stati contraenti di sottoporre alla Corte Edu questioni di principio riguardanti l’interpretazione o l’applicazione dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione[47]. Nonostante non sia stata attribuita a tale parere un’efficacia vincolate, appare significativo che l’organo chiamato a esprimersi sia la Grande Camera, a conferma del ruolo preminente che questa assume nella formazione del diritto convenzionale.

Un’ultima notazione. Si è visto che il peculiare status dell’interpretazione convenzionalmente orientata è dovuto, soprattutto, al rango interposto che la Convenzione ricopre nell’ordinamento interno. A sua volta, la posizione della Cedu nella gerarchia delle fonti non è casuale, ma è il riflesso della natura e delle funzioni del sistema convenzionale. Nonostante non manchi chi tenti di collocare le relazioni tra Costituzione e Cedu (e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) nell’ambito di un «sistema dei sistemi», retto dalla meta-norma della massima espansione delle garanzie individuali[48], il sistema convenzionale permane un ordinamento internazionale derivato. Non basta, infatti, una lontana comunanza assiologica, che trova le proprie radici nel milieu del costituzionalismo liberal-democratico, per assimilare i diritti tutelati dalla Convenzione alle situazioni soggettive previste in Costituzione. Davanti alla Corte Edu, infatti, vi è un ricorrente che «agisce uti singulus, non come cittadino: la domanda non presuppone il sinallagma (…) propriamente (…) sotteso al rapporto di cittadinanza»[49].

La giurisdizione convenzionale è una «giurisdizione dei diritti individuali contro lo Stato, nel senso polemico di essere contro l’idea di comunità politica»[50], un giudice, quindi, che opera caso per caso, in uno spazio neutro, sottratto ai principi della rappresentanza politica e – persino – della separazione dei poteri[51]. La Convenzione europea è rivolta all’inveramento di un individualismo atomistico, il quale prescinde dall’adempimento, da parte del soggetto privato, di specifici doveri nei confronti della comunità di riferimento e che, in quanto tale, non è sovrapponibile al personalismo comunitario che trova riconoscimento dell’art. 2 Cost.[52]. Questa disposizione non si limita a porre un argine agli abusi del potere pubblico nei confronti dell’individuo, secondo una lettura liberale (e negativa) delle libertà individuali (libertà da), ma tutela l’homme situé, la persona nei suoi concreti rapporti sociali e nella sua vita comunitaria. Per questo, la massima espansione delle garanzie, nel linguaggio adottato dalla Corte costituzionale, è cosa ben diversa dall’individualismo libertario eretto a difesa di un soggetto privato «astratto», emancipato dai concreti rapporti sociali e dai tipici conflitti che caratterizzano la società pluralista e, di riflesso, gli ordinamenti costituzionali nazionali.

L’esaltazione irriflessa della Cedu e del suo operato rischia di tradursi in una perniciosa “ideologia dei diritti”, la quale traduce i diritti fondamentali in slogan, assi pigliatutto capaci di prevalere “per principio” su qualsiasi istanza assiologica contraria. Anche per tali ragioni la Corte costituzionale ha sottolineato che la “massima espansione delle garanzie” non è sinonimo di massimo livello di tutela del singolo diritto soggettivo; il concetto rimanda, piuttosto, al ragionevole equilibrio del sistema normativo nel suo complesso, ove devono trovare adeguata composizione le pretese uti singulus del cittadino e gli interessi pubblici che consentono l’esistenza stessa di una comunità politica. Dietro gli interessi pubblici, infatti, vi sono eguali aspettative individuali di tutela, come emerge dalla tormentata vicenda delle cd. “pensioni svizzere”, ove è in gioco, non ultima, la tenuta complessiva delle prestazioni previdenziali[53]. In sede di teoria generale, è stato evidenziato come i diritti siano a somma zero, nel senso che «ogni progresso nella tutela di un diritto trova un suo contrappeso, provoca cioè la regressione della tutela di un altro diritto o di un altro interesse»[54]: un assunto che – non a caso – vale per i diritti tutelati nello Stato costituzionale, mentre è smentito nello spazio neutro del sistema convenzionale, ove le conseguenze della tutela individuale sono sempre a carico dello Stato contraente.

L’apertura internazionale prescritta dagli artt. 11 e 117 Cost., e l’adesione alla Cedu – innovativo trattato che tutela l’individuo oltre (e contro) lo Stato – incrementano gli strumenti per addivenire al ragionevole equilibrio delle garanzie, arricchendo i meccanismi di tutela dell’individuo e, quindi, contribuendo a correggere eventuali abusi, ma non soddisfano le molteplici istanze che popolano lo Stato costituzionale. La Convenzione non è un ente a fini generali; piuttosto, secondo le parole della stessa Corte Edu, è «strumento costituzionale dell’ordine pubblico internazionale»[55] creato affinché non si ripetano, nel continente europeo, le atrocità commesse dai regimi nazi-fascisti. La funzione sussidiaria, l’approccio casistico della giurisdizione convenzionale, le sue stesse modalità di composizione sono conseguenze del particolare telos che contraddistingue la Convenzione, trattato di diritto internazionale non sovrapponibile, per finalità e struttura, alla Costituzione repubblicana.

[1] Cfr. R. Bin, L’interpretazione conforme. Due o tre cose che so di lei, in A. Bernardi (a cura di), L’interpretazione conforme al diritto dell’unione europea. Profili e limiti di un vincolo problematico, Jovene, Napoli, 2015, pp. 17 ss.; similmente, si veda T. Epidendio, Riflessioni teorico-pratiche sull’interpretazione conforme, in Diritto penale contemporaneo, nn. 3-4/2012, pp. 26 ss.  

[2] In tal senso, R. Bin, L’interpretazione, op. ult. cit., pp. 17-19; nello stesso senso, si veda A. Ruggeri, L’interpretazione conforme e la ricerca del “sistema di sistemi” come problema, in A. Bernardi (a cura di), L’interpretazione, op. ult. cit., pp. 153-158.

[3] In questa direzione mi pare vada la condivisibile obiezione di T. Epidendio, Riflessioni, op. cit., pp. 26-27.

[4] A. Bernardi, Presentazione, Nei meandri dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, in L’interpretazione, op. cit., p. XIII.

[5] Sottolinea tale aspetto A. Ruggeri, L’interpretazione, op. cit., pp. 156-157.

[6] E. Lamarque, Le relazioni tra l’ordinamento nazionale, sovranazionale e internazionale nella tutela dei diritti, in Diritto pubblico, n. 3/2013, p. 788.

[7] A. Celotto e G. Pistorio, Interpretazioni comunitariamente e convenzionalmente conformi, in Giurisprudenza italiana, 2010, p. 1980.

[8] M. Luciani, Interpretazione conforme a Costituzione, in Enc. dir., Annali, vol.IX, Giuffrè, Milano, 2016, p. 445.

[9] Contra, invece, M. Luciani, L’interpretazione, op. cit., pp. 442 ss.

[10] Si veda, invece, quanto sostenuto da A. Ruggeri, Lo Stato costituzionale e le sue mutazioni genetiche, in Quaderni costituzionali, n. 4/2014, pp. 845 ss., il quale propone di convertire la teoria delle fonti in una teoria assiologicamente orientata delle norme. In senso simile, si veda R. Bin, Ordine delle norme e disordine dei concetti (e viceversa). Per una teoria quantistica delle fonti del diritto, in G. Brunelli - A. Pugiotto - P. Veronesi (a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, vol. I., Iovene, Napoli, 2009, pp. 35 ss, secondo il quale l’unico argine al potere giusgenerativo del giudice sarebbe dato dal vincolo del precedente.

[11] Cfr. R. Bin, L’applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l’interpretazione conforme della Costituzione alla legge, in Associazione dei costituzionalisti (a cura di), La circolazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa: Atti del XXI Convegno annuale, Roma 27-28 ottobre 2006 – 50° anniversario della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Jovene, Napoli, 2010, p. 221. Per un’opinione diversa, O. Chessa, Drittwirkung e interpretazione: brevi osservazioni su un caso emblematico, in E. Malfatti - R. Romboli - E. Rossi (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Giappichelli, Torino,2002, pp. 420 ss. (in particolare, p. 425).

[12] Cfr. le note tesi di C. Mezzanotte, Il giudizio sulle leggi. I. Le ideologie del Costituente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, pp. 196-197.

[13] O, come ebbe a dire il primo presidente della Corte costituzionale, Enrico De Nicola, «da un lato la Corte costituzionale, vestale della Costituzione, dall’altra la magistratura, vestale della legge». Riferimenti in P. Gaeta, “Controllo di convenzionalità” e poteri del giudice nazionale: i difficili approcci dell’ermeneutica giudiziale, bozza elaborata nell’ambito del’incontro di studio sul tema: «L’interpretzione giudiziale fra certezza ed effettività delle tutele», Agrigento, 17-18 settembre 2010, disponibile online (http://astra.csm.it/incontri/relaz/20178.pdf), p. 9.

[14] Cfr. la nota sentenza n. 8, del 2 luglio 1956, sull’estensione dei poteri prefettizi previsti dall’art. 2 Tulps.

[15] Il riferimento, contenuto nell’art. 36 Cost., alla necessità di una retribuzione sufficiente e proporzionata al lavoro prestato dal lavoratore ha consentito alla Corte di cassazione, di stabilire l’efficacia erga omnes del quantum salariale stabilito dal contratto collettivo nazionale in assenza delle condizioni poste dall’art. 39 Cost. Si vedano, in proposito, notazioni in S. Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, il Mulino, Bologna, 2004, pp. 166 ss.

[16] A partire dalla sentenza n. 356 del 1996, decisione che, secondo alcuni (ad esempio, R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità delle leggi, in Id. (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1996-1998), Giappichelli, Torino, 1999, p. 202; ma, contra,M. Ruotolo, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale, in Aa.Vv., Scritti in onere di Alessandro Pace, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 2478), avrebbe introdotto una ulteriore condizione di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale a fianco della rilevanza e della non manifesta infondatezza. Questa conclusione potrebbe essere rivista alla luce della giurisprudenza costituzionale più recente, che non sanziona con l’inammissibilità la questione proposta dal rimettente che abbia sollevato questione di legittimità costituzionale non condividendo possibili interpretazioni adeguatrici della disposizione censurata (cfr. sentenze nn. 77 del 2018, 83, 42 del 2017, 221 del 2015).

[17] Come ebbe a sostenere, al convegno tenutosi a Gardone Riviera dal 25 al 28 settembre 1965, nell’anno successivo alla fondazione di Magistratura Democratica, G. Maranini, Funzione giurisdizionale e indirizzo politico nella Costituzione, in Rassegna parlamentare, 1965, in particolare pp. 538 ss. Sul punto, si veda anche G. Sorrenti, L’interpretazione conforme a Costituzione, Giuffrè, Milano, 2006, p. 111, la quale ritiene che l’interpretazione conforme a Costituzione sia anche un «criterio organizzativo» che postula una funzione di armonizzazione, svolta dal giudice comune, dell’ordinamento giuridico.

[18] Per la prima volta esplicitamente, sentenza n. 190 del 2000. Sul punto, si veda A. Barbera, Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali, vol. VIII, Giuffrè, Milano, 2015, p. 323.

[19] Così A. Guazzarotti, Interpretazione conforme alla Cedu, proporzionalità e adeguatezza: il diritto di proprietà, in M. D’Amico e B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno 2008, Giappichelli, Torino, 2009, p. 162.

[20] Corte cost., sentenza n. 348 del 2007. Evidente l’influenza, su tale impostazione, della distinzione crisafulliana tra «norma» e «disposizione», su cui V. Crisafulli, Disposizione (e norma), in Enc. dir., vol. XII, Giuffrè, Milano, 1964, pp. 195 ss.

[21] Corte cost., sentenza n. 348 del 2007.

[22] Corte cost., sentenza n. 349 del 2007.

[23] Corte cost., sentenza n. 293 del 2009; ma, nello stesso senso, sentenza n. 331 del 2009 e n. 93 del 2010.

[24] Corte cost., sentenza n. 349 del 2007.

[25] Così F. Viganò, Il giudice penale e l’interpretazione conforme alle norme sovranazionali, in P. Corso e E. Zanetti (a cura di), Diritto processuale penale e profili internazionali. Diritto straniero e diritto comparato - Studi in onore di Mario Pisani, La Tribuna, Piacenza, 2010, p. 649.  

[26] Corte cost., sentenza n. 348 del 2007.

[27] Cfr. la sentenza n. 349 del 2007, ma l’affermazione è costante. Si veda, in particolare, la sentenza n. 80 del 2011, con cui la Corte chiarisce il “posto” della Cedu nel diritto interno, anche in relazione al differente rapporto che la prima intrattiene con il diritto comunitario, o la sentenza n. 113 del 2011, che ha introdotto una specifica ipotesi di revisione del giudicato penale in caso di violazione dei principi convenzionali del giusto processo (così adeguando l’ordinamento interno alla condanna di restitutio ad integrum pronunciata dalla Corte Edu) o, quanto meno indirettamente, la sentenza n. 123 del 2017, che ha escluso la revisione del giudicato civile o amministrativo in caso di lesione dell’art. 6 Cedu.

[28] Corte cost., sentenza n. 349 del 2007.

[29] F. Viganò, Il giudice, op. cit., p. 634.

[30] Sul punto cfr. anche P. Gaeta, Controllo, op. cit., p. 10.

[31] Principio ribadito, recentemente, dalla sentenza n. 43 del 2018, con riferimento al ne bis in idem processuale.

[32] Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49.

[33] Si veda la sentenza n. 49 del 2015, che individua una serie di indici affinché rilevi, nella prospettiva di diritto interno, una giurisprudenza consolidata: il rapporto tra il principio affermato nella singola decisione e gli orientamenti tradizionali della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la sussistenza di opinioni dissenzienti; la circostanza che la decisione promani da una sezione semplice e non dalla Grande Camera; la mancata considerazione, da parte del giudice europeo, dei tratti peculiari dell’ordinamento nazionale. Per una recente (e discutibile?) applicazione di tali indici, cfr. Corte cost., 13 giugno 2018, n. 120 del 2018, decisione che ha aperto alla possibilità, per gli appartenenti alle forze armate, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale.

[34] La procedura pilota è stata formalizzata nell’art. 61 del Regolamento della Corte Edu, e viene adottata nel caso in cui vi sia un problema strutturale o sistemico nell’ordinamento nazionale. A seguito dell’adozione della sentenza pilota, la Corte può rinviare tutti i ricorsi in attesa che lo Stato adotti le misure riparatore indicate nel dispositivo.

[35] Peraltro, già nella sent. n. 301 del 2009, la Corte costituzionale aveva affermato che «l’apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente va operato in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza».

[36] A. Ruggeri, Fissati nuovi paletti alla consulta a riguardo del rilievo della Cedu in ambito interno. A prima lettura di Corte cost. n. 49 del 2015, in Diritto penale contemporaneo, n. 2/2015, p. 330.

[37] Così M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, Cedu e diritto vivente, in Diritto penale contemporaneo, n. 2/2015, p. 290. Critico di questa prospettiva, invece, G. Repetto, Vincolo al rispetto del diritto Cedu “consolidato”: una proposta di adeguamento interpretativo, in Giurisprudenza costituzionale, 2015, p. 414, nota n. 10.

[38] Come pure obiettano V. Zagrebelsky, Corte cost. n 49 del 2015, giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, art. 117 Cost., obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione, in Osservatorio costituzionale, n. 2/2015, G. Sorrenti, Sul triplice rilievo di Corte cost., sent. n. 49 del 2015, che ridefinisce i rapporti tra ordinamento nazionale e Cedu e sulle prime reazioni di Strasburgo, in Forum di Quaderni costituzionali, 17 dicembre 2015 (disponibile online: www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/12/sorrenti.pdf), D. Tega, La sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 sulla confisca: «il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU», in Quaderni costituzionali, n. 2/2015, pp. 400 ss. (disponibile online: www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/04/nota_49_2015_tega.pdf).

[39] Per una lettura conciliante di tale decisione, coerente con i meccanismi tipici di un sistema multilivello, si veda G. Martinico, Corti costituzionali (o supreme) e disobbedienza funzionale, in Diritto penale contemporaneo, n. 2/2015, p. 316.

[40] Corte Edu, GIEM srl e altri c. Italia [CG], ricc. nn. 1828/06 e altri 2, 28 giugno 2018, sulla quale G. Repetto, I no che aiutano a crescere: confisca per lottizzazione abusiva e diritto Cedu «consolidato» dopo Punta Perotti bis, in Quaderni costituzionali, n. 3/2018, pp. 722 ss.

[41] Era questa la funzione che il colonialismo eurocentrico attribuiva al diritto internazionale del XIX secolo, secondo l’efficace ricostruzione di M. Koskenniemi, Il mite civilizzatore delle nazioni. Ascesa e caduta del diritto internazionale, 1870-1960, Laterza, Roma-Bari, 2012.

[42] Così, expressis verbis, la sentenza n. 309 del 2011, che specifica quanto affermato dalle “gemelle”.

[43] Corte cost., sentenza n. 264 del 2012.

[44] Cfr. Corte cost., sentenza n. 170 del 2013.

[45] Così lo definisce F. Viganò, Il giudice, op. cit., p.  661.

[46] A una conclusione simile arriva V. Manes, Metodo e limiti dell’interpretazione conforme alle fonti sovranazionali in materia penale, in L’interpretazione, op. cit., p. 431, contra F. Viganò, Il giudice, op. ult. cit., pp. 655 ss.

[47] Sul punto, si veda F. Buffa, Il Protocollo n. 16 addizionale alla Convenzione Edu è pronto per entrare in vigore, in Questione Giustizia on line del 2/5/2018, nonché il volume curato da E. Lamarque, La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali: prime riflessioni in vista della ratifica del Protocollo 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Giappichelli, Torino, 2015.

[48] Cfr. A. Ruggeri, L’interpretazione, op. cit., pp. 161 ss.

[49] Così A. Morrone, Crisi economica e diritti. Appunti per lo Stato costituzionale in Europa, in Quaderni costituzionali, n. 1/2014, p. 97, nonché, se si vuole, C. Caruso, L’hate speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema convenzionale, in Quaderni costituzionali, n. 4/2017, pp. 971 ss.

[50] A. Morrone, ibid.

[51] Si veda, sul punto,M. Bignami, Ordinamento nazionale e Cedu. Impressioni al sole che è sorto, in Questione Giustizia online del 14/7/2016.

[52] Si rinvia, per tutti, ad A. Barbera, Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Principi fondamentali, artt. 1-12, Zanichelli, Bologna, 1975, pp. 50 ss.

[53] La vicenda, che coinvolge il diverso trattamento riservato dalla Corte Edu e dal giudice delle leggi alle leggi retroattive, attiene alle modalità di calcolo del trattamento previdenziale spettante ai cittadini italiani, già lavoratori in Svizzera, i quali, avendo versato a titolo contributivo le somme richieste dalla legislazione elvetica e, poi, trasferito i contributi in Italia, richiedono una pensione liquidata in base a criteri retributivi. Cfr. Corte cost., sentenze nn. 172 del 2008 e 264 del 2012, nonché, da ultimo, la sentenza – di inammissibilità con monito – n. 166 del 2017, inammissibilità che deriva da una errata lettura, da parte del giudice rimettente, della decisione della Corte Edu Stefanetti e altri c. Italia (ricc. nn. 21838/10 e altri 7, 15 aprile 2014). A dispetto del dispositivo, la Corte costituzionale ha invitato il legislatore a intervenire per salvaguardare il «nucleo essenziale del diritto leso».

[54] R. Bin, 70 anni dopo. Attualità e mitologie della Costituente. Discutendo le relazioni di Morelli, Faraguna, D’Amico e Saitto, in F. Cortese - C. Caruso - S. Rossi (a cura di), Immaginare la Repubblica. Mito e attualità dell’Assemblea costituente, Franco Angeli, Milano, 2018, p. 172.

[55] Corte Edu, Loizidou c. Turchia, ric. n. 15318/89, 23 marzo 1995.