Magistratura democratica

La giurisprudenza in tema di testimoni assenti e le criticità del sistema italiano

di Andrea Tamietti
La giurisprudenza della Corte Edu ha conosciuto, a partire dal 2011, una progressiva evoluzione sul delicato tema dell’utilizzazione, ai fini della determinazione della fondatezza di un’accusa penale, delle dichiarazioni di testimoni che, per diverse ragioni, non potevano essere sottoposti all’esame dibattimentale. La ricerca di un punto di equilibrio tra valutazione dell’equità globale della procedura e garanzia dei diritti fondamentali della difesa non si rivela sempre facile.

1. Premessa

Nell’interpretare l’art. 6, § 3, lett. (d), Cedu, che garantisce, inter alia, a ogni persona accusata il diritto di «esaminare o far esaminare i testimoni a carico», la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha conosciuto, in tempi recenti, importanti evoluzioni, soprattutto in tema di quelli che vengono definiti i “testimoni assenti”. Con tale espressione si intende designare quelle persone che, avendo reso durante le indagini preliminari dichiarazioni utilizzabili per valutare la colpevolezza dell’imputato, non vengono sentite a dibattimento e, quindi, si sottraggono alla cross-examination da parte della difesa, principalmente a causa della loro non partecipazione all’udienza[1].

2. Il quadro giurisprudenziale antecedente

Confrontata a simili situazioni in passato, la Corte europea aveva adottato un approccio pragmatico, che teneva conto dell’incidenza delle dichiarazioni extradibattimentali sulla condanna del ricorrente. Così, pur ritenendo che lo schema processuale ideale fosse quello in cui l’imputato aveva la possibilità, al momento della deposizione o successivamente, di porre domande a ogni testimone le cui dichiarazioni fossero valutate dai giudici al fine di stabilire la sua colpevolezza[2], essa aveva ammesso che circostanze particolari potessero impedire l’esame dibattimentale[3]. La “deviazione” rispetto a tale modello era considerata incompatibile con i diritti della difesa solo se la condanna era fondata, «essenzialmente o in misura determinante», sulle affermazioni sottratte al contraddittorio[4].

Per quanto, in alcune pronunce, la Corte avesse fatto riferimento alla mancanza di «seri motivi» suscettibili di giustificare l’assenza del testimone a dibattimento[5], al fine del rispetto dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. (d), Cedu, rilevavano in ultima analisi non tanto le ragioni che avevano determinato l’impossibilità del contro-interrogatorio[6], quanto la valenza probatoria delle dichiarazioni del testimone assente o rinunciante[7]. In effetti, era ed è ancora costante, nella giurisprudenza di Strasburgo, l’affermazione secondo cui l’ammissibilità delle prove dipende dalle regole di diritto interno e dalla loro interpretazione da parte dei giudici nazionali, mentre il compito della Corte europea è di determinare se la procedura nel suoi complesso sia stata, o meno, equa[8]. A conferma di ciò, è sufficiente citare il caso Ferrantelli e Santangelo c. Italia[9], in cui la Corte ritenne adottata, in spregio dei principi dell’equo processo, una condanna fondata sulle dichiarazioni predibattimentali di un testimone che non poté essere contro-interrogato perché nel frattempo deceduto, e ciò non perché tale decesso fosse in alcun modo imputabile alle autorità italiane né perché, ovviamente, si richiedesse a queste ultime di condurre il morto in un’aula di giustizia, ma sulla base dell’assorbente considerazione che, nella fattispecie, la Corte di appello di Caltanissetta aveva svolto «un’analisi molto elaborata delle dichiarazioni del testimone a carico» e le aveva giudicate «corroborate da una da una serie di altri elementi di prova»[10].

La regola, che poteva essere soggetta a eccezioni nei casi di minori vittime di aggressioni sessuali[11], presentava il vantaggio della semplicità: il test da condurre si limitava sostanzialmente a un unico step, consistente nel determinare se le dichiarazioni del testimone assente avessero o meno i requisiti della esclusività o decisività ai fini della condanna.

La determinazione del carattere “decisivo” delle dichiarazioni, tuttavia, aveva dato luogo a non pochi dubbi interpretativi. Nulla quaestio quando la o le testimonianze incriminate costituivano l’unico elemento a carico[12] ovvero, di converso, nelle ipotesi in cui vi erano numerose altre prove, da sole capaci di giustificare un’affermazione di penale responsabilità[13]. Permanevano, tuttavia, pericolose e incerte zone grigie, in particolare nei casi in cui le testimonianze de quibus agitur, da un lato, fornivano la prova degli elementi costitutivi del reato; dall’altro, erano riscontrate da uno o più elementi indiziari. Non era chiaro, in effetti, se per escludere una violazione dell’art. 6 Cedu tali elementi dovessero essere, da soli, capaci di giustificare una dichiarazione di penale responsabilità, o se la loro valenza probatoria potesse anche non essere autonoma, facendo salva una loro “lettura congiunta” alle dichiarazioni del testimone assente[14].

In proposito, è a nostro avviso emblematica (e problematica) la decisione Raniolo c. Italia, cit., in cui l’unico elemento che riscontrava le accuse di omicidio provenienti da un testimone oculare assente a dibattimento era il fatto che sui vestiti dell’imputato furono trovate due particelle di polvere da sparo compatibili con l’uso di una pistola, per le quali il ricorrente non aveva fornito giustificazioni. La Corte europea rigettò il ricorso per manifesta infondatezza. È, però, legittimo chiedersi se, in assenza delle dichiarazioni predibattimentali, si sarebbe potuto, sulla sola base di tracce di polvere da sparo e non disponendo di altri elementi che dimostrassero connessioni tra vittima e imputato, ritenere provata la partecipazione di quest’ultimo al fatto di sangue incriminato[15].

3. Il nuovo approccio: la sentenza Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito

Forse per aggirare i dubbi interpretativi sopra accennati o, più probabilmente, al fine di fornire un’interpretazione della questione dei testimoni assenti che tenesse conto del processo penale nazionale considerato nel suo complesso e nelle sue specificità, evitando di ancorare l’eventuale violazione della Convenzione a un solo parametro – la “decisività” o meno delle dichiarazioni del testimone sottratto al contro-interrogatorio –, la Corte, nella sua composizione più allargata, ha modificato la propria giurisprudenza nella sentenza Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito[16]. La Grande Camera fu chiamata a valutare l’equità di due procedure penali (per violenza sessuale e lesioni), nelle quali erano state utilizzate le dichiarazioni di due testimoni che, a causa del decesso della prima e dei timori di rappresaglie manifestati dal secondo, non parteciparono al dibattimento.

Dopo aver svolto un’analisi della propria precedente giurisprudenza (§§ 120-128) e aver preso in considerazione le critiche rivolte alla «regola della prova unica o determinante» (§§ 129-146), in Al-Khawaja e Tahery la Corte ha ritenuto che tale regola non dovesse essere applicata «in maniera rigida o ignorando totalmente le specificità del sistema giuridico in causa»; al contrario, non si poteva fare astrazione da un bilanciamento tra, da una parte, gli «interessi concorrenti della difesa, della vittima e dei testimoni» e, dall’altra, «l’interesse pubblico ad assicurare una buona amministrazione della giustizia» (§ 146). La Grande Camera ha quindi forgiato un nuovo test di compatibilità dell’assunzione delle dichiarazioni dei testimoni assenti con l’art. 6 Cedu, che si snoda in tre tappe o step. Il primo consiste a verificare se vi fosse una «buona ragione» («good reason») che giustificava, come extrema ratio, una deroga alla regola generale secondo cui il testimone deve deporre a dibattimento. Il secondo si risolve nel valutare il carattere «decisivo» delle dichiarazioni sottratte al contraddittorio, tenendo presente che una prova orale riveste tale qualità quando appare determinante per il risultato del processo[17]. Il terzo – e ultimo – aspetto da esaminare è se vi fossero elementi in grado di controbilanciare le difficoltà cui la difesa era stata confrontata a causa della lettura e dell’utilizzazione delle dichiarazioni extra-dibattimentali. Tali elementi “di bilanciamento” possono consistere in garanzie procedurali tali da permettere un controllo dell’affidabilità della «untested evidence», assicurando che una condanna possa essere fondata su di essa solo se altamente credibile[18].

Applicando il nuovo test alle fattispecie sottoposte al suo esame, la Grande Camera ha concluso alla violazione dei principi dell’equo processo nel caso Tahery (§§ 159-165), ove l’assenza era dovuta a timori di rappresaglie considerati fondati dai giudici britannici. Tuttavia, la circostanza che si trattasse del solo testimone oculare dell’aggressione, la cui deposizione non appariva «manifestamente affidabile», ha fatto pendere la bilancia in favore del ricorrente[19]. La Corte è giunta a opposte conclusioni rispetto al ricorrente Al-Khawaja (§§ 153-158), per cui la lettura era giustificata dalla circostanza oggettiva e ineluttabile del decesso della testimone; per quanto le dichiarazioni di quest’ultima fossero state «determinanti» per la condanna in relazione a un episodio di violenza sessuale, alcuni elementi (come la similitudine rispetto ad altri fatti contestati all’imputato e provati sulla base di testimonianze dibattimentali) permettevano di ritenerle credibili, e i giurati erano stati avvisati che dovevano attribuire minor peso alla untested evidence.

Le divergenti conclusioni in due casi indubbiamente distinti, ma che presentavano rilevanti similitudini, costituiscono la migliore esemplificazione della delicatezza dell’esercizio interpretativo imposto dal nuovo approccio della Grande Camera. La necessità di procedere a un esame di tre aspetti (o step) di ogni vicenda, per poi riassumere i risultati ottenuti in una valutazione complessiva dell’equità della procedura, consente indubbiamente un approccio individualizzato, capace di prendere in considerazione le specificità di ciascun caso di specie. Al tempo stesso, essa conferisce al giudice un’ampia discrezionalità nel valutare in quale misura le difficoltà con cui la difesa ha dovuto confrontarsi siano state giustificate dalla protezione di altri interessi o controbilanciate da “sufficienti garanzie”. A tale fine, è possibile che sia data maggiore rilevanza ad alcuni aspetti del caso a discapito di altri, cosa che, se non adeguatamente e convincentemente motivata, rischia di prestare il fianco a critiche.

4. I dubbi interpretativi rimasti aperti

La sentenza Al-Khawaja e Tahery non aveva, tuttavia, chiarito tutte le questioni relative all’operatività del nuovo test. Se quest’ultimo si articolava, potenzialmente, in quattro fasi (i tre step concernenti la presenza di “buone ragioni” per l’assenza, la “decisività” delle dichiarazioni sottratte al contraddittorio e l’esistenza di sufficienti elementi compensatori, cui si poteva aggiungere la finale valutazione dell’equità globale del processo), non era del tutto chiaro quali rapporti legassero tali fasi. In particolare, non era stato esplicitato se la mancanza di una giustificazione plausibile per l’assenza del testimone fosse, di per sé sola, incompatibile con l’art. 6 Cedu né se vi potesse essere violazione di tale disposizione quando le dichiarazioni sottratte al contraddittorio venivano considerate non “decisive” ai fini della condanna.

Tali incertezze sono riflesse nella giurisprudenza che ha seguito la pronuncia della sentenza Al-Khawaja e Tahery.

Nel caso Karpenko c. Russia[20], la Corte ha affermato il carattere decisivo delle deposizioni dei testimoni assenti, per poi concludere che le autorità non avevano profuso sforzi sufficienti per rintracciarli e garantire la loro presenza a dibattimento, cosa che era stata sufficiente a fondare una violazione dell’art. 6 Cedu, senza che fosse necessario determinare «quale effetto [l’assenza dei testimoni] avesse avuto sull’equità complessiva della procedura penale contro il ricorrente né se l’assenza dei testimoni dal processo fosse controbilanciata dal confronto tra il ricorrente e i testimoni durante le indagini preliminari». Nella sentenza Rudnichenko c. Ucraina[21], di converso, la Corte ha ritenuto che l’esistenza di buoni motivi a giustificazione dell’assenza del testimone fosse «una questione preliminare che deve essere esaminata prima di ogni altra considerazione circa la natura esclusiva o determinante» delle sue dichiarazioni. Poiché, nella fattispecie, il testimone non si era presentato semplicemente perché non citato in giudizio, tale circostanza è stata ritenuta di per sé sola contraria alla Cedu[22]. Infine, nella sentenza Balta e Demir c. Turchia[23], concernente l’audizione di un testimone anonimo da parte di un giudice della Corte d’assise nel corso di un’udienza a porte chiuse senza la presenza dell’imputato o del suo difensore, la Corte ha percorso tutti i tre step del “test Al-Khawaja”, concludendo che non era stato dimostrato che vi fosse un serio motivo a giustificazione della procedura seguita (cosa che nel caso Rudnichenko aveva, da sola, condotto alla violazione dei principi dell’equo processo), che la testimonianza anonima aveva giocato un ruolo determinante per la condanna e che non vi erano stati adeguati elementi compensatori per controbilanciare le difficoltà incontrate dalla difesa[24].

5. La precisazione dei principi pertinenti nel caso Schatschaschwili c. Germania

Confrontata ai differenti approcci che essa stessa aveva adottato rispetto al “test Al-Khawaja” e all’obbligatorietà delle sue fasi, la Corte ha accettato il rinvio di fronte alla Grande Camera di un altro caso in materia di testimoni assenti, Schatschaschwili c. Germania[25]. La successiva sentenza ha tentato di fornire un’interpretazione uniforme, chiarendo che, pur essendo un «fattore molto importante» (e potenzialmente decisivo) nel valutare l’equità globale della procedura, la mancanza di buoni motivi a giustificazione dell’assenza di un testimone non è, di per sé sola, costitutiva di una violazione dell’art. 6 Cedu. Quest’ultima potrà essere accertata solo procedendo all’esame degli altri aspetti del processo.

La Grande Camera si è, poi, soffermata sui casi in cui il motivo dell’assenza è l’impossibilità di entrare in contatto con il testimone. In tali ipotesi, la Convenzione richiede al tribunale interno di adottare tutte le misure che si potevano ragionevolmente prospettare per assicurare la comparizione dell’interessato a dibattimento. Pur non fornendo una lista dettagliata di tali misure, che possono ovviamente variare a seconda dei casi, la Corte ha sottolineato che le ricerche devono essere attive, con l’aiuto delle forze di polizia e ricorrendo, se necessario e possibile, ai meccanismi di assistenza giudiziaria internazionale. Non è quindi sufficiente allegare che la persona ha abbandonato il territorio dello Stato convenuto: saranno comunque determinanti gli sforzi effettuati per localizzarla[26].

Nel caso Schatschaschwili, la Corte ha anche precisato di dover verificare l’esistenza di «adeguati elementi di bilanciamento» (ovvero il terzo degli step previsti) non solo nei casi in cui le dichiarazioni del testimone assente erano la base unica o decisiva della condanna, ma anche nelle ipotesi in cui, pur essendo difficile dire se fossero “decisive”, tali dichiarazioni avevano avuto un «peso significativo», tale da rendere la loro lettura suscettibile di creare un handicap per la difesa[27]. Per determinare tale peso, la Corte precisa di non erigersi a tribunale «di quarta istanza» – ovvero a giurisdizione competente ad apprezzare il materiale probatorio e a giudicare circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato –, ma di basarsi sulla valutazione operata dai giudici nazionali, purché non inaccettabile o arbitraria. La Corte europea sarà chiamata a prendere una posizione autonoma in proposito solamente nei (presumibilmente rari) casi in cui tale valutazione manchi o non sia chiara[28].

La Grande Camera ha, poi, detto che la portata degli elementi di bilanciamento necessari a rendere «equo» il processo dipende dal peso delle dichiarazioni del testimone assente, nel senso che più queste ultime hanno importanza, più le tutele e le garanzie offerte all’imputato dall’ordinamento dovranno essere solide[29]. La Corte non fornisce, ovviamente, un elenco esaustivo di tali “garanzie”, limitandosi a sottolineare l’importanza di una valutazione prudente delle dichiarazioni sottratte al contraddittorio e della loro affidabilità, alla luce degli altri elementi di prova disponibili. Questi ultimi possono consistere in dichiarazioni dibattimentali de relato, in prove scientifiche[30], in consulenze tecniche o, ancora, nella testimonianza sostanzialmente concordante della vittima di altro reato simile, che potrebbe essere usata a conferma del modus operandi dell’imputato[31].

Né va dimenticato che, se la sottrazione di un testimone al contraddittorio impedisce al giudicante di valutarne il comportamento e le risposte sotto il “fuoco incrociato” delle domande di accusa e difesa, la diffusione della registrazione video del suo interrogatorio pre-dibattimentale potrebbe comunque costituire un mezzo, per il tribunale interno, di osservare il linguaggio corporale del dichiarante e di formarsi un’opinione (parziale) circa la sua credibilità[32]. Altri elementi di bilanciamento possono essere la possibilità di porre domande al testimone per iscritto durante il processo, ovvero direttamente, ma nella fase delle indagini preliminari[33].

Infine, la Grande Camera ha voluto chiarire che per quanto, in principio, i tre step del test Al-Khawaja debbano essere esaminati nell’ordine ivi prospettato (esistenza di “buoni motivi” per l’assenza; carattere determinante o meno della testimonianza; garanzie procedurali), non è escluso che in casi specifici risulti «appropriato» adottare un ordine differente[34].

6. La casistica nelle sentenze successive all’intervento della Grande Camera

La sentenza Schatschaschwili ci dice, in sostanza, che nessuno degli step del “test Al-Khawaja” è decisivo: il processo può essere «equo» anche se l’assenza del testimone era completamente ingiustificata e, di converso, può essere contrario all’art. 6 Cedu anche se le dichiarazioni de quibus agitur non erano stricto sensu decisive per la condanna. L’ampiezza o meno di eventuali garanzie procedurali e la valutazione finale e globale dell’“equità complessiva” possono infatti ancora far pendere l’ago della bilancia in una o nell’altra direzione (anche se è difficile ipotizzare una non-violazione dell’equo processo ove l’assenza ingiustificata riguardi il testimone che ha fornito l’unica prova a carico). Ne consegue che un grande peso è lasciato alla casistica e alle “circostanze particolari” di ogni fattispecie[35]. Chi trovi un precedente favorevole in una situazione fattuale molto simile alla propria avrà buone probabilità di ottenere soddisfazione a Strasburgo invocando il principio dello stare decisis[36].

La successiva giurisprudenza della Corte ha messo in evidenza l’importanza degli elementi case-specific per la conclusione di conformità o contrarietà all’articolo 6, § 3, lett. (d), Cedu. Esempi ne sono la sentenza Przydział c. Polonia[37], ove la Corte ha escluso la violazione di tale disposizione mettendo l’accento su garanzie procedurali quali l’esame minuzioso del materiale probatorio e la possibilità di interrogare lo psicologo che era stato in contatto diretto con la persona offesa dal reato, e senza ritenere determinante che il mancato avviso delle audizioni della vittima al difensore dell’imputato fosse avvenuto in spregio delle norme di diritto interno; ovvero il caso T.K. c. Lituania, cit., anch’esso concernente abusi sessuali su minori, ove la Corte è pervenuta a opposte conclusioni, essenzialmente stigmatizzando il sistematico rigetto delle richieste difensive di audizione degli esperti che avevano interrogato i minori e di produzione di materiale volto a dimostrare, inter alia, la tesi dell’imputato secondo cui la madre delle vittime ne avrebbe influenzato le testimonianze, che erano state le prove determinanti e principali a carico[38].

In considerazione dell’ampio margine di discrezionalità che l’approccio della Corte europea conferisce all’interprete, specie al momento del bilanciamento finale tra gli handicap della difesa e gli elementi compensatori in funzione della valutazione dell’“equità globale” della procedura, pare auspicabile che i giudici internazionali non “bacchettino” quelli interni, se non nei casi in cui l’arbitrarietà dell’apprezzamento appaia evidente. In tal senso, ispirazione potrebbe essere tratta dalla nota massima in tema di bilanciamento tra libertà di espressione e diritto al rispetto della vita privata, secondo la quale, se le giurisdizioni nazionali hanno agito nel rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, devono sussistere «serie ragioni» perché quest’ultima sostituisca la propria opinione a quella dei tribunali nazionali[39].

La Corte ha, inoltre, avuto l’occasione di chiarire che, qualora l’assente non sia un testimone in senso stretto, ma un consulente o perito, il “test Al-Khawaja” si applica mutatis mutandis, in quanto la difesa dovrebbe, in principio, avere la possibilità di porre domande all’esperto in ogni caso in cui i giudici interni abbiano deciso che una perizia o una consulenza erano necessarie[40]. Tuttavia, non si può fare astrazione dal fatto che, a differenza di un testimone che può aver visto o sentito qualcosa, un esperto ha come unica funzione quella di informare i giudici di merito circa aspetti tecnici della vicenda. Di conseguenza, nel caso Constantinides c. Grecia[41], la Corte ha ritenuto che la non-audizione ingiustificata di tale ausiliario del giudice, le cui conclusioni avevano rappresentato un «documento importante», corroborato da altri elementi di prova, non avesse violato i principi dell’equo processo, avuto riguardo, in particolare, al fatto che la difesa aveva potuto contestare la consulenza tecnica d’ufficio tramite le dichiarazioni scritte e orali del proprio perito.

7. I possibili profili di criticità dell’ordinamento italiano. Il consenso dell’imputato e la provata condotta illecita

Il sistema giuridico italiano prevedeva, prima del 1999, la possibilità di acquisire le dichiarazioni predibattimentali rese da persone che si avvalevano della facoltà di non rispondere o che sceglievano di non presentarsi al processo, lasciando al tempo stesso il giudice libero di valutarle come prova di colpevolezza. Per questo motivo, il nostro Paese aveva subito condanne in sede internazionale, derivanti dall’applicazione degli artt. 513 e 512-bis cpp[42]. Esse si riferivano, tuttavia, a fattispecie anteriori alla riforma dell’art. 111 Cost. Quest’ultima disposizione, specificando al quarto comma che «la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore», aveva indotto la convinzione che l’ordinamento interno si fosse ormai conformato agli obblighi internazionali assunti con la ratifica della Cedu.

Non bisogna dimenticare, tuttavia, che il quinto comma del novellato art. 111 Cost. prevede tre deroghe al principio della formazione della prova in contraddittorio, e segnatamente: a) per consenso dell’imputato; b) per accertata impossibilità di natura oggettiva; c) per effetto di provata condotta illecita.

La prima di queste ipotesi non sembra porre problemi di compatibilità con il diritto europeo. I giudici di Strasburgo hanno infatti avuto occasione di precisare che «né la lettera né lo spirito dell’art. 6 della Convenzione impediscono a una persona di rinunciare di propria spontanea volontà alle garanzie di un equo processo in maniera espressa o tacita»[43]. In applicazione di tale massima, la Corte europea ha ritenuto che, formulando una richiesta di giudizio abbreviato, l’imputato sapeva o avrebbe dovuto sapere che la procedura non sarebbe stata pubblica e che le prove non sarebbero state formate nel contraddittorio dibattimentale[44], ovvero che la fruizione dei benefici premiali legati all’applicazione della pena su richiesta delle parti non privava la rinuncia ai motivi di ricorso per cassazione dei requisiti di genuinità e libertà di scelta[45]. Pertanto, a condizione che il consenso sia manifestato in maniera chiara e che l’imputato non subisca coercizioni di sorta, la rinuncia ai diritti convenzionali esonererà lo Stato da responsabilità in sede internazionale[46].

Anche la deroga sub c) sembra essere compatibile con la Cedu.

Qualora la provata condotta illecita consista della sottoposizione del testimone a «violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga»[47], potrebbe sostenersi che l’imputato stesso ha compiuto atti volti a sottrarre le dichiarazioni in questione al contraddittorio dibattimentale, rinunciando implicitamente, ma senza equivoci, al contro-interrogatorio.

Tale interpretazione trova un appiglio testuale nella sentenza Al-Khawaja e Tahery, ove (§ 123) si legge che, quando i timori del testimone sono imputabili all’imputato o a persone che agiscono per suo conto, sarebbe incompatibile con i diritti delle vittime e dei testimoni permettere all’imputato di trarre vantaggio dalle proprie manovre; egli, in tali ipotesi, può essere considerato come rinunciante ai diritti di cui all’articolo 6, § 3, lett. (d), Cedu[48].

Se, invece, le condotte sopra delineate sono volte a ottenere una falsa deposizione, il loro autore non mostra alcuna intenzione di allontanare il testimone dall’udienza. In mancanza di un comportamento univocamente riconducibile alla volontà di non esaminare il teste, si potrebbe forse ipotizzare un factum proprium volto ad alterare gli equilibri e la fairness del processo, suscettibile di privare il ricorrente del diritto di invocare in sede europea la disposizione di cui egli stesso ha tentato di impedire la corretta operatività[49].

In ogni caso, ove le giurisdizioni interne ritengano che il testimone sottoposto a pressioni illecite abbia deposto il falso al processo e che debbano ritenersi credibili le sue dichiarazioni predibattimentali sfavorevoli all’imputato, non si pone, a ben vedere, alcuna questione di denegato contraddittorio, quantomeno nell’interpretazione che ne dà la Corte europea. In effetti, essendovi stata cross-examination del teste a dibattimento, la scelta di ritenere veritiere alcune sue affermazioni a discapito di altre rientra nel potere di valutazione del giudice nazionale, che è compatibile con la Cedu a condizione di essere esercitato in maniera non arbitraria[50].

Resta, ovviamente, il problema della prova delle minacce, che, a differenza delle giurisdizioni italiane, il giudice europeo potrebbe ritenere non sufficientemente accertate[51]. Tale rischio potrebbe essere evitato se, seguendo le indicazioni della dottrina[52], i giudici interni opereranno valutazioni secondo parametri di ragionevolezza e persuasività e, pur non esigendo la stessa forza probatoria necessaria per un’affermazione di penale responsabilità, eviteranno di ancorarsi a meri sospetti privi di ogni riscontro obiettivo.

8. I possibili profili di criticità dell’ordinamento italiano. L’accertata impossibilità di natura oggettiva

L’ipotesi più delicata di deroga all’assunzione contraddittoria della prova è quella che il quarto comma dell’art. 111 Cost. definisce come «accertata impossibilità di natura oggettiva». La disposizione che dà attuazione alla previsione costituzionale è l’art. 512 cpp, ai sensi del quale «il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione».

Tale norma è rimasta immutata dopo la riforma cd. del “giusto processo”. La sua compatibilità con il novellato art. 111 Cost. era stata posta in dubbio da chi osservava che la Corte costituzionale aveva ritenuto oggettivamente non ripetibili – e, quindi, acquisibili al fascicolo per il dibattimento – le dichiarazioni dei prossimi congiunti che si erano avvalsi della facoltà di non deporre prevista dall’art. 199 cpp[53]. Ora, tale interpretazione si poneva in contrasto con la regola secondo cui l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato non può essere provata sulla base delle dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre e volontariamente sottratto al contro-interrogatorio[54]. Con pronuncia interpretativa di rigetto[55], la Consulta ha fatto salva la legittimità della disposizione de qua agitur, fornendone una lettura costituzionalmente orientata[56]. Essa ha osservato, in particolare, che a seguito dell’entrata in vigore della l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, il quadro normativo è mutato e che non è più lecito ricomprendere tra i fatti che rendono impossibile la ripetizione dell’atto quelli dipendenti dalla volontà del dichiarante. Ne consegue che l’esercizio della facoltà di astenersi dal deporre non può più essere considerata causa di impossibilità «di natura oggettiva».

È stato, in tal modo, sconfessato l’orientamento giurisprudenziale che riteneva ammissibile la categoria concettuale della cd. “impossibilità giuridica”[57], ovvero derivante dall’esercizio di facoltà processuali o dalla tutela di valori costituzionalmente garantiti[58].

Se l’intervento del giudice costituzionale costituisce un punto fermo circa i limiti all’applicazione dell’art. 512 cpp, esso non ha certo risolto tutte le questioni che l’esegesi della norma ha posto a dottrina e giurisprudenza, un cui esame esaustivo esula dall’ambito del presente articolo.

In questa sede, è sufficiente richiamare brevemente le diatribe che hanno riguardato la fonte dell’irripetibilità o impossibilità. Quest’ultima può, infatti, essere concepita come necessariamente derivante da un evento non addebitabile all’uomo, nel senso di dover dipendere da forze fisiche o naturali[59], ovvero come evento non superabile da chi chiede l’assunzione della prova, e ciò a prescindere dal suo essere stata originata da un comportamento umano. Tale seconda concezione, in altre parole, pone l’accento sulla non imputabilità della situazione alla parte processuale, che non avrebbe potuto né evitarla né porvi rimedio con l’ordinaria diligenza, di modo che nessun rimprovero può esserle mosso[60].

È evidente che, seguendo tale ultima impostazione, è possibile configurare l’impossibilità oggettiva anche in situazioni causate da un atto volontario dell’uomo[61], quale, ad esempio, l’evasione[62] o l’irreperibilità[63]. Rispetto a quest’ultima, che è alla base delle fattispecie che hanno dato origine a due sentenze di condanna del nostro Paese da parte della Corte europea[64], è opportuno svolgere alcune, pur succinte, considerazioni.

9. I possibili profili di criticità dell’ordinamento italiano. L’irreperibilità del testimone

A differenza di quanto avviene per l’imputato, nei confronti del quale un decreto di irreperibilità può essere emesso solo a seguito delle ricerche previste dall’art. 159 cpp, il codice non prevede alcuna disposizione specifica in materia di irreperibilità del testimone[65]. Si ritiene tuttavia che, pur non potendo la normativa dettata per l’imputato essere estesa per analogia al testimone[66], quest’ultimo possa essere ritenuto oggettivamente non rintracciabile solo a seguito di accertamenti di fatto adeguati alle circostanze della fattispecie[67]. Si tratterà, allora, di valutare caso per caso se le verifiche operate dalle autorità siano state sufficienti e se, al momento dell’assunzione delle dichiarazioni predibattimentali, fosse o meno prevedibile che il testimone sarebbe successivamente divenuto irreperibile. Ove sia ritenuta tale prevedibilità, l’art. 512 cpp non consente al giudice di disporre la lettura della deposizione assunta senza contraddittorio: la parte processuale avrebbe dovuto attivare la procedura di incidente probatorio[68], che può essere considerata una garanzia, tipica dell’ordinamento italiano, volta a controbilanciare le difficoltà che la difesa subisce a causa dell’omesso esame dibattimentale. Se, da un lato, tale mezzo sacrifica il principio dell’immediatezza, poiché il teste viene sentito da un magistrato diverso da quello che giudicherà sul merito delle accuse, dall’altro, fa salva la cross-examination, perché consente alla difesa di porre direttamente domande al dichiarante.

Secondo la nostra giurisprudenza, la prevedibilità dell’irreperibilità non può essere dedotta in maniera automatica dalle condizioni personali o dalla professione del testimone. Così, lo stato di «nomade»[69], la nazionalità extracomunitaria[70] e l’esercizio della prostituzione[71] non possono configurare ipotesi di “irreperibilità permanente” con corrispettivo obbligo della parte che intende avvalersi delle dichiarazioni di questi soggetti di chiedere, sempre e comunque, l’incidente probatorio. E anzi, la giurisprudenza si è spinta fino a ritenere che l’emissione di un provvedimento di espulsione a carico del testimone non configuri, necessariamente, una fonte di prevedibilità della sua successiva non rintracciabilità[72].

Altra questione, cui si è accennato in precedenza e che assume particolare rilevanza in ottica Cedu, concerne la possibilità di qualificare l’irreperibilità quale «volontaria sottrazione all’esame», ai sensi degli artt. 111, comma 4, Cost. e 526, comma 1-bis cpp.

In giurisprudenza[73] e dottrina[74] si è osservato che l’irreperibilità, di per sé, configura una situazione “neutra”. Le sue cause potrebbero prescindere del tutto dal processo nel quale essa si inserisce. In altre parole, pur potendovi essere una irreperibilità volontaria, teleologicamente orientata a evitare il contraddittorio, è altrettanto possibile che essa dipenda da fattori e circostanze del tutto diverse, e che il testimone non intenda in alcun modo sottrarsi alla cross-examination.

In regola generale, affinché si abbia una libera scelta[75] di sottrazione al confronto, occorrono taluni requisiti minimi: in primo luogo, il testimone deve sapere di essere chiamato a deporre in una certa data a un determinato processo; egli dovrebbe, inoltre, avere una elementare conoscenza della natura dell’obbligo che gli viene imposto; infine, deve aver deliberatamente deciso di non rendere testimonianza[76].

Alla luce di quanto precede, è evidente che, nel caso dell’irreperibilità, è più difficile configurare una volontaria sottrazione all’esame qualora il testimone, come nei casi Bracci e Cafagna, non abbia mai ricevuto la citazione a comparire all’udienza[77]. Di converso, vi può essere una presunzione (vincibile dalla prova contraria) di volontarietà dell’assenza qualora, pur regolarmente citato, il testimone non sia comparso[78].

Se, sulla base di un accertamento di fatto, il giudice conclude che il testimone ha coscientemente e volontariamente deciso di rendersi irreperibile al fine di non deporre, dovrebbe intervenire il divieto costituzionale di cui all’art. 111, comma 4 (ripreso dall’art. 526, comma 1-bis cpp[79]): la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base delle dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. Tale disposizione imporrebbe una regola di valutazione: ferma l’acquisibilità della prova, il giudice non potrà utilizzarla come mezzo per giungere a un verdetto di penale responsabilità[80].

Tale interpretazione eviterebbe ogni possibile contrasto con l’art. 6 Cedu: per costante giurisprudenza, tale norma non regola l’ammissibilità degli elementi di prova[81], questione deferita ai tribunali e alla legge nazionali, ma pone limiti alla loro utilizzazione in danno dell’imputato se non vi è stato contro-esame. Ora, come evidenziato alla nota n. 27, un’attenta lettura della sentenza Schatschaschwili sembrerebbe suggerire che non possa esservi violazione dei principi dell’equo processo se le dichiarazioni sottratte al contraddittorio non hanno avuto almeno un “peso significativo” per la condanna dell’imputato.

Resta il fatto che, qualora sopraggiunga una causa oggettiva, imprevedibile e umanamente insuperabile che impedisce l’esame e non sia possibile ricondurre tale causa a una “libera scelta” del testimone[82], è lecito, anche dopo la novella all’art. 111 Cost. e la riforma codicistica del cd. “equo processo”, acquisire e utilizzare in malam partem dichiarazioni risalenti alle fase delle indagini preliminari, con conseguente lesione del diritto dell’imputato al contro-interrogatorio. Nulla, poi, in diritto italiano impedisce al giudice di fondare la condanna, esclusivamente o in maniera decisiva, su tali dichiarazioni.

In tal senso, dunque, l’art. 512 cpp è, nella sua applicazione pratica, a rischio di contrasto con la Convenzione, e ad analoghe conclusioni può giungersi rispetto all’articolo 512-bis cpp.

Tale ultima norma, che pure configura un’ipotesi di impossibilità oggettiva, stabilisce che «il giudice, a richiesta di parte, può disporre, tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti, che sia data lettura dei verbali di dichiarazioni rese da persona residente all’estero anche a seguito di rogatoria internazionale se essa, essendo stata citata, non è comparsa e solo nel caso in cui non ne sia assolutamente possibile l’esame dibattimentale».

Ora, la disposizione de qua agitur è all’origine della constatazione di violazione nel caso A.M. c. Italia, cit., e non pare che le modifiche apportate dall’art. 43, l. 16 dicembre 1999, n. 479[83] abbiano mutato la sostanza del problema: l’eventuale assenza del residente all’estero[84] all’udienza può portare all’utilizzazione delle sue dichiarazioni predibattimentali.

Ogniqualvolta i tribunali italiani applicheranno l’una o l’altra di tali disposizioni, vi sarà un potenziale vulnus del diritto a esaminare i testimoni a carico, con conseguente necessità di applicare al caso di specie gli step del “test Al-Khawaja”, come precisati e chiariti dalla sentenza Schatschaschwili.

Pare a chi scrive che si potranno, se non evitare del tutto, quantomeno ridurre le pronunce di condanna a Strasburgo contro il nostro Paese con un’accresciuta attenzione alla fase di ricerca del testimone irreperibile, di modo che la sua mancata comparizione non possa essere imputata a negligenza dello Stato, e apprestando adeguate garanzie procedurali compensatrici. Tra queste, spiccano un ampio ricorso alla procedura di incidente probatorio quando le circostanze facciano ritenere improbabile la presenza del dichiarante al processo, un’accresciuta prudenza nella valutazione della credibilità e della forza probatoria della untested evidence e la videoregistrazione sistematica degli interrogatori effettuati dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari. In caso di indisponibilità del teste a dibattimento, tali videoregistrazioni potranno essere mostrate al giudice di merito, e accusa e difesa potranno argomentare sul loro contenuto. Pur privando la difesa dell’occasione di “minare” la versione del dichiarante con domande mirate, questa soluzione consente al tribunale di non limitare il proprio esame alla lettura di verbali, ma di osservare il comportamento del teste sotto interrogatorio.

[1] È considerato “testimone a carico” chiunque, pur se avente diversa qualifica in diritto interno, renda dichiarazioni suscettibili di costituire materiale probatorio sul quale sarà (in tutto o in parte) fondata un’eventuale sentenza di condanna (cfr. Mika c. Svezia, ric. n. 31243/06, 27 gennaio 2009, § 36; Laukkanen e Manninem c. Finlandia, ric. n. 50230/99, 3 febbraio 2004, § 32; S.N. c. Svezia, ric. n. 34209/96, 2 luglio 2002, § 45; Lucà c. Italia, ric. n. 33354/96, § 40, 27 febbraio 2001, § 40; Vidal c. Belgio, ric. n. 12351/86, 22 aprile 1992, serie A, n. 235-B, § 33; Asch c. Austria, ric. n. 12398/86, 26 aprile 1991, serie A, n. 203, § 25). Interpretando in maniera autonoma tale nozione, la Corte europea ha applicato l’art. 6, § 3, lett. (d) Cedu alle parti offese dal reato (A.H. c. Finlandia, ric. n. 46602/99, 10 maggio 2007, § 41, e Cafagna c. Italia, ric. n. 26073/13, 12 ottobre 2017), ai consulenti tecnici (Doorson c. Paesi Bassi, ric. n. 20524/92, 26 marzo 1996, §§ 81-82, e Constantinides c. Grecia, ric. n. 76438/12, 6 ottobre 2016, § 37), ad altre persone sentite dalla giustizia, quali il coimputato (cfr. Kuchta c. Polonia, ric. n. 58683/08, 23 gennaio 2018, § 44) e persino a prove documentali e archivi informatici che avevano un rapporto con le accuse mosse al ricorrente (Mirilashvili c. Russia, ric. n. 6293/04, 11 dicembre 2008, §§ 158-160, e Georgios Georgios Papageorgiou c. Grecia, ric. n. 59506/00, 9 maggio 2003, §§ 37-40; cfr. anche Chap Ltd c. Armenia, ric. n. 15485/09, 4 maggio 2017, §§ 46-48, in cui la Corte ha considerato quale “testimone” una persona che non aveva mai reso dichiarazioni orali contro la società ricorrente, ma aveva prodotto documenti richiesti dalle autorità fiscali e utilizzati ai fini della condanna). Le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo possono essere consultate sulla piattaforma HUDOC (https://hudoc.echr.coe.int). In dottrina, sulla questione dell’autonomia della nozione di testimone, vds. A. Balsamo e A. Lo Piparo, Principio del contraddittorio, utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali e nozione di testimone tra giurisprudenza europea e criticità del sistema italiano, in A. Balsamo e R.E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, Giappichelli, 2008, p. 340.

[2] Cfr. Lüdi c. Svizzera, ric. n. 12433/86, 15 giugno 1992, serie A, n. 238, § 49; Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, ric. n. 21363/93, 23 aprile 1997, § 51; Carta c. Italia, ric. n. 4548/02, 20 aprile 2006, § 48; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, ric. n. 19874/92, 7 agosto 1996, § 51; Saïdi c. Francia, ric. n. 14647/89 20 settembre 1993, serie A, n. 261-C, § 43; Asch c. Austria, cit., § 27. In dottrina, vds. P. Ferrua, Il contraddittorio nella formazione della prova tra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in R. Gambini e M. Salvadori, in Convenzione europea sui diritti dell’uomo: processo penale e garanzie, ESI, Napoli, 2009,p.49; A. Balsamo e A. Lo Piparo, Principio, op. cit., p. 335; A. Tamietti, Il diritto ad esaminare i testimoni a carico: permangono contrasti tra l’ordinamento italiano e l’art. 6 § 3 d) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, in Cass. pen., n. 9/2006, pp. 2991 ss.

[3] La Corte ammette, infatti, che «in talune circostanze» possa essere necessario, per le autorità giudiziarie, «fare ricorso a deposizioni che risalgono alla fase dell’istruzione preparatoria»: cfr. Isgrò c. Italia, ric. n. 11339/85, 19 febbraio 1991, § 34, serie A, n. 194-A, § 34; Lüdi c. Svizzera, cit., § 47; Carta c. Italia, cit., § 49; Bracci c. Italia,ric. n. 36822/02, 13 ottobre 2005 § 55. In materia di contraddittorio differito vds. G. Ubertis, Corte europea dei diritti dell’uomo e «processo equo»: riflessi sul processo penale italiano, in Riv. dir. proc., 2009, p. 33; E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in A. Balsamo e R.E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea, op. cit., p. 373; A. Balsamo e A. Lo Piparo, Principio, op. cit., p. 345; C. Cesari, Prova irripetibile e contraddittorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1447; S. Maffei, Prova d’accusa e dichiarazioni di testimoni «assenti» in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2001, p. 2843.

[4] Vds, ex pluribus, Carta c. Italia, cit., § 49; Lucà c. Italia, cit., § 40; A.M. c. Italia, ric. n. 37019/97, 14 dicembre 1999, § 25; Saïdi c. Francia, cit., §§ 43-44; Unterpertinger c. Austria, ric. n. 9120/80, 24 novembre 1986, serie A, n. 110, §§ 31-33; nonché Dorigo c. Italia, ric. n. 33286/96, rapporto della Commissione del 9 settembre 1998, § 43 e risoluzione del Comitato dei ministri DH(99)258, del 15 aprile 1999. Tale massima può essere considerata un corollario della regula iuris secondo cui l’equità deve essere apprezzata in base a una valutazione globale della procedura sotto esame (cfr. Taxquet c. Belgio [GC], ric. n. 926/05, 16 novembre 2010, § 84), della quale devono essere presi in considerazione tanto i reali ed effettivi svantaggi subiti dalla difesa, quanto le eventuali garanzie compensatorie offerte dall’ordinamento nazionale.

[5] Vds. le sentenze: Lüdi c. Svizzera, cit.; Mild e Virtanen c. Finlandia, ricc. nn..39481/98 e 40227/98, 26 luglio 2005;  Bonev c. Bulgaria, ric. n. 60018/00, 8 giugno 2006; Pello c. Estonia, ric. n. 11423/03, 12 aprile 2007.

[6] Si può trattare di un’impossibilità di natura oggettiva, per sopravvenuta irreperibilità del testimone (cfr. le seguenti decisioni: Raniolo c. Italia, ric. n. 62676/00, 21 marzo 2002; Calabrò c. Italia e Germania, ric. n. 59895/00, 21 marzo 2002, in Cassazione penale, 2002, p. 2920; Kostu c. Italia, ric. n. 33399/96, 9 marzo 1999; Natoli c. Italia, ric. n. 4290/02, 27 novembre 2003; Halimi e altri c. Italia, ric. n. 9713/03, 18 gennaio 2005; Scheper c. Paesi Bassi, ric. n. 39209/02, 5 aprile 2005; Cipriani c. Italia, ric. n. 37272/05, 9 febbraio 2006), ovvero della libera scelta dell’esaminando, che si avvale della facoltà di non rispondere riconosciuta dal diritto nazionale (vds., ad esempio, le decisioni Sofri e altri c. Italia, ric. n. 37235/97, 27 maggio 2003; De Lorenzo c. Italia, ric. n. 69264/01, 12 febbraio 2004; Chifari c. Italia, ric. n. 36037/02, 13 maggio 2004; Jerinò c. Italia, ric. n. 27549/02, 7 giugno 2005, nonché le sentenze Lucà c. Italia, cit., §§ 13 e 38-45, e Carta c. Italia, cit., §§ 15 e 47-55).

[7] Cfr. Orhan Çaçan c. Turchia, ric. n. 26437/04, 23 marzo 2010, § 37; Majadallah c. Italia, ric. n. 62094/00, 19 ottobre 2006, § 38; Craxi c. Italia, ric. n. 34896/97, 5 dicembre 2002, § 86;A.M. c. Italia, cit., § 25; Saïdi c. Francia, cit., §§ 43-44; Unterpertinger c. Austria, cit., §§ 31-33. 
In dottrina si segnalano i contributi di P. Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio, in Dir. pen. proc., 2008, p. 878; P. Ferrua, Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione: il progressivo assestamento della regola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in Arch. pen. 2008, p. 9;A.Balsamo, La cultura della prova del giudice nazionale e l’interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giur. merito, 2007, p. 2036; A. Balsamo, Ancora su contumacia e dichiarazioni predibattimentali, in Cass. pen., 2007, p. 3095; A. Balsamo e A. Lo Piparo, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le dichiarazioni «irripetibili»: ovvero la crisi delle «abitudini» nell’interpretazione delle norme processuali, in Cass. pen., 2006, p. 689; F. Zacché, Lettura di atti assunti senza contraddittorio e giusto processo, in Ind. pen., 2006, p. 427; C. Gabrielli, Condanna fondata soltanto sulle dichiarazioni irripetibili di un teste che la difesa non ha mai potuto interrogare: dalla Corte di Strasburgo una censura annunciata, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 284. 
Un’eccezione a tale regola era stata apparentemente introdotta nella sentenza Vaturi c. Francia, ric. n. 75699/01, 13 aprile 2006, §§ 52-59, ove, pur ammettendo che le dichiarazioni dei testimoni sottratti al contraddittorio «ne constituaient pas le seul élément de preuve sur lequel les juges du fond ont appuyé la condamnation du requérant», la Corte ha nondimeno concluso alla violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. (d), Cedu, in base a un esame dell’insieme degli atti della procedura che, nella loro globalità, avrebbero creato un disequilibrio pregiudizievole ai diritti della difesa (riferimento fu fatto, in particolare, alla complessità del caso, all’impossibilità di sollecitare misure istruttorie o di confronto con un qualunque testimone, alla lapidarietà delle decisioni di rigetto delle domande di audizione). In tale contesto, la Corte ha ritenuto che, al di là di ogni speculazione circa il carattere «fondamentale» delle loro dichiarazioni, l’esame dei testi avrebbe contribuito a ristabilire la parità delle armi tra accusa e difesa. La sentenza in questione è anche significativa per l’affermazione (§ 53, in fine) secondo cui condizionare l’ammissibilità di una domanda di audizione di testimoni presentata in appello al deposito di analoga istanza in primo grado può disconoscere le esigenze dell’equo processo, riducendo sensibilmente l’esercizio dei diritti della difesa. Tale assunto pare, peraltro, contrastare con la sentenza Bracci c. Italia (cit., § 64), ove la doglianza relativa al rifiuto di procedere a un test del DNA è stata rigettata anche sulla base della considerazione che «in diritto italiano la rinnovazione dell’istruzione in secondo grado ha un carattere eccezionale, dovendo essere ordinata solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti». In senso analogo, e in materia di rifiuto di audizione di testimoni indicati per la prima volta in appello, cfr. Crescente c. Italia, ric. n. 16565/02,7 dicembre 2004.  

[8] Vds, ex pluribus, Gäfgen c. Germania [GC], ric. n. 22978/05, 1° giugno 2010, § 162, con ulteriori riferimenti giurisprudenziali.

[9] Cit., § 52.

[10] In senso analogo, si veda anche Craxi c. Italia, cit., § 87, in Cass. pen., 2003, p. 1080. Per un caso in cui la vittima di una violenza sessuale era deceduta pochi giorni dopo i fatti, e non era quindi stato possibile citarla a dibattimento, cfr. Mika c. Svezia, cit., §§ 37-42, in cui la Corte concluse peraltro alla manifesta infondatezza del ricorso, osservando che data l’esistenza di prove scientifiche e di altre testimonianze a carico, la deposizione della vittima del reato non poteva essere considerata «decisiva» ai fini della condanna.

[11] Cfr. le sentenze A.M. c. Italia, cit.; P.S. c. Germania, ric. n. 33900/96, 20 dicembre 2001; S.N. c. Svezia, cit.; Aigner c. Austria, ric. n. 28328/03, 10 maggio 2012; Vronchenko c. Estonia, ric. n. 59632/09, 18 luglio 2013; nonché la decisione Accardi e altri c. Italia,ric. n. 30598/02, 20 gennaio 2005, che, in procedure concernenti minori vittime di abusi sessuali, pervengono a risultati talvolta opposti e, sostanzialmente, case-specific, ovvero legati alle peculiarità delle fattispecie concrete. In tali pronunce, è comunque presente la sottolieatura che «The Court must also have regard to the special features of criminal proceedings concerning sexual offences. Such proceedings are often conceived of as an ordeal by the victim, in particular when the latter is unwillingly confronted with the defendant. These features are even more prominent in a case involving a minor. In the assessment of the question whether or not in such proceedings an accused received a fair trial, account must be taken of the right to respect for the private life of the alleged victim. Therefore, the Court accepts that in criminal proceedings concerning sexual abuse certain measures may be taken for the purpose of protecting the victim, provided that such measures can be reconciled with an adequate and effective exercise of the rights of the defence» (cfr. Aigner c. Austria, cit., § 37; Bocos-Cuesta c. Paesi Bassi, ric. n. 54789/00, 10 novembre 2005, § 69; A.S. c. Finlandia, ric. n. 40156/07, 28 settembre 2010, § 55; T.K. c. Lituania, ric. n. 14000/12, 12 giugno 2018, § 97.

[12] Cfr. le sentenze Lucà c. Italia, cit.; A.M. c. Italia, cit.; P.S. c. Germania, cit.; Craxi c. Italia, cit.; Birutis e altri c. Lituania, ricc. nn. 47698/99 e 48115/99, 28 marzo 2002, § 32. Per la precisazione che altre deposizioni che non riguardano alcuno degli elementi costitu