Magistratura democratica

Noterelle sparse su giudice amministrativo e pubblico potere

di Marco Bignami

L’A. si sofferma brevemente sulla crisi della dimensione pubblica del potere statuale, per poi svolgere alcune osservazioni sullo sviamento del potere e il giudizio di proporzionalità.

1. Il tramonto del potere / 2. Il paradosso del giudice amministrativo / 3. Gli effetti della pandemia / 4. Eccesso di potere e sindacato di proporzionalità / 4.1. Penetrazione del sindacato e sua formalizzazione / 5. Sinergia delle tutele e controllo di legalità / 5.1. Una digressione sulla giustizia costituzionale / 6. Conclusioni

 

1. Il tramonto del potere

Enrico Scoditti e Giancarlo Montedoro, nell’introdurre il presente numero di Questione giustizia, avvertono che la terribile crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 porterà con sé un’inevitabile espansione del potere pubblico, a fronte della quale il giudice amministrativo, che ne è il naturale referente, dovrà trovarsi pronto.

È un’osservazione largamente condivisibile. Ma di quale potere si discute?

Da più di mezzo secolo è intonato il canto funebre della sovranità statuale.

Da parte di alcuni, con la nostalgia schmittiana per quello ius publicum europaeum disperso dalla moltitudine delle vicende storiche. 

Da parte di altri, con la rassegnata presa d’atto dell’impotenza politica di chi non abbia saputo coltivare il predominio della forza (penso al bel volume riassuntivo di Alessandro Aresu: «Potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina»). 

Per altri ancora, con la compiaciuta voluttà di liquefare il potere nel prisma della sussidiarietà, sia che ciò accada in omaggio a una nobile filosofia della libertà ovvero per adesione alla teoria sociale cattolica inaugurata dalla Rerum novarum, sia che, più brutalmente, si intraveda l’occasione perché prolifichi il particulare, detto in termini secchi l’interesse capitalista oramai assai meglio organizzato, e certamente più combattivo, rispetto alla macchina burocratica statale.

Se tutto ciò affolla la riflessione giuspubblicista dal Secondo dopoguerra a oggi, resta il fatto che la pandemia ha avuto se non altro il merito di divulgare un messaggio fino ad ora per lo più accademico, sprigionandone lo spirito sul nostro mondo quotidiano.

Mai i cittadini europei hanno assistito a spettacolo più misero, ma allo stesso tempo più scabrosamente vero, dell’inginocchiamento del vecchio, attempato Leviatano di fronte alla superiore logica dei mercati privatizzati (ma con denaro pubblico, naturalmente). La capitolazione statuale nelle politiche di approvvigionamento dei vaccini, dall’impiego di moduli rigidamente contrattuali nel rapporto con le società farmaceutiche, alla vana ricerca di strumenti parimenti “sinallagmatici” al fine di rimediare all’“inadempimento” di queste ultime, ma nel rispetto della sacra proprietà intellettuale, scoperchia la vanità autocelebrativa della “nuova” potenza europea, e mette a nudo la vacuità di un potere oramai ideologicamente dimentico del vecchio insegnamento weberiano sul monopolio legittimo della forza.

 

2. Il paradosso del giudice amministrativo 

Eccoci, dunque, tornati al potere o, meglio, a ciò che ne resta, dopo il bombardamento neoliberale che esso ha subito negli ultimi quarant’anni.

Ed eccoci al “suo” giudice naturale, il giudice amministrativo, che inevitabilmente si trova a inseguire ciò che il potere gli offre, sia perché quello è il campo che gli tocca di arare, sia perché le bombe ideologiche non possono certamente averlo preservato, come una monade nell’universo pubblicista in dissoluzione.

Si insegna che il giudice è cerniera tra società e Stato. Ma se nel campo dei “nuovi” diritti, e in particolare della bioetica, egli si nutre fruttuosamente della prima, altrove, e quanto agli interessi “duri” del capitalismo finanziario soprattutto, a mancare finisce spesso per essere il secondo. Non si è voluto, infatti, dagli anni ottanta in poi, “affamare la bestia”? Non si è insegnato che il modulo privatistico è comunque preferibile alla tradizionale forma di esercizio del potere pubblico?

Da ciò un paradosso di non poco conto. Nel mentre il potere si contraeva, vergognandosi di sé, là il giudice amministrativo non ha mai smesso di crescere, sia nella consapevolezza del proprio ruolo istituzionale di garante della legalità dell’azione pubblica, in condizioni di piena indipendenza e imparzialità; sia nell’affinamento costante dei propri strumenti di incisione sulla realtà fenomenica, che è ormai pronta a modellarsi secondo pronunce davvero capaci di assicurare una efficace e rapida tutela.

L’abisso che separa il diritto amministrativo “classico” dal diritto amministrativo contemporaneo, anche per effetto dell’evoluzione compiuta dal suo interprete giudiziale, non ha pari in altri settori dell’ordinamento, per quanto anch’essi ovviamente mutati.

Come ciò sia potuto succedere, e proprio in un’epoca così sfavorevole alla dimensione pubblica del potere, è cosa che travalica le ambizioni di queste noterelle.

Tuttavia, vi è almeno il sospetto che tra i due termini della questione vi sia un nesso.

Perché è certamente più agevole svilupparsi, rendendo il proprio sindacato giurisdizionale davvero ficcante (anche in tema di diritti fondamentali), se, al contempo, non si prova a urtare quegli interessi forti o, meglio, fortissimi, che avrebbero invece la capacità perlomeno di opporsi, nel vuoto della politica, alla ambizione del giudice di imbrigliarli nei lacci della legalità, o perlomeno di formalizzarli nel modulo del processo.

Non perché il giudice amministrativo questi interessi li voglia sfuggire, o finga di non percepirli. Ma, più semplicemente, perché essi hanno saputo approfittare della contrazione del potere per mimetizzarsi, diluendosi per di più in una dimensione sovranazionale che non si riesce più a governare da un solo centro statuale di azione.

Insomma, fenomeni di ristrutturazione delle società contemporanee, rispetto ai quali la magistratura resta al margine, generano il paradosso al quale si è accennato: un grande giudice per un piccolo potere.

 

3. Gli effetti della pandemia

La pandemia potrebbe cambiare le cose? Certamente, non vi è da essere ottimisti se gli Stati si limiteranno all’espansione della spesa, senza allo stesso tempo governarla con un progetto di riconfigurazione profonda degli assetti sociali, e di ribaltamento delle profonde diseguaglianze economiche che pongono larga parte dei cittadini in una condizione di larvato servaggio nei confronti del capitale internazionale.

In quest’ultimo caso, invece, è prezioso l’invito di Scoditti e Montedoro a recuperare la dimensione pubblica del potere, senza cedere alle sirene di un diritto comune ove la diseguaglianza è codificata, anziché combattuta con gli strumenti “unilaterali” del diritto pubblico “autoritativo”.

Né si dovrebbe temere che l’espansione del potere lasci nudi individui e corpi intermedi innanzi all’arbitrio del potere. Perché, come si è detto, e per una astuzia della storia, nel mentre lo Stato si indeboliva, il giudice amministrativo ne ha approfittato per irrobustirsi, sicché, ad oggi, anche un grande potere potrà trovare il proprio correttivo in un giudice di uguale stazza, del tutto idoneo a ricondurlo a legalità e mitezza.

Non si può tornare indietro sul cammino faticosamente compiuto finora. E che il giudice amministrativo sia attrezzato per un controllo effettivo sulle devianze del potere è dimostrato dalla parabola del sindacato sullo sviamento, nel punto in cui essa si è congiunta al test di proporzionalità sull’agire pubblico. Come subito si vedrà, sia pure in termini forse eccessivamente sintetici, il giudice si mostra non solo pronto all’esercizio di un sindacato pieno ed efficace, ma anche dotato di strumenti che, nel porre in essere quest’ultimo, allo stesso tempo lo preservino dall’accusa di un’ingerenza nel merito delle scelte politico-amministrative. Perché è ovvio che, alzando il tiro, ci si trova innanzi a resistenze più convinte, alle quali i giudici (anche quelli costituzionali) non possono opporre che una legittimazione fondata sul tecnicismo delle proprie decisioni, per quanto dubbio possa poi essere che il giudizio sia davvero l’effetto di quest’ultimo soltanto.

 

4. Eccesso di potere e sindacato di proporzionalità

Eccesso di potere e sindacato di proporzionalità sono nozioni polisenso, la cui applicazione tocca pressoché ogni area del diritto pubblico. 

Non è un caso, in particolare, che ci si confronti con istituti oramai riconosciuti e praticati, pur nella specificità di ciascun ordinamento, pressoché da ogni corte, costituzionale o comune, nazionale o internazionale, che possa attribuirsi al novero di ciò che Cappelletti, con una definizione ormai celebre, definiva le «giurisdizioni di libertà». Il controllo del pubblico potere, quale che sia la veste con cui si manifesta, la repressione dei suoi abusi, e la conformazione di esso per mezzo di regole di giudizio che sappiano imporgli mitezza è, in altri termini, la stella polare di un processo di allargamento delle forme di tutela delle libertà, da parte del giudice, che al contempo si vale di strumenti flessibili e altamente tecnicizzati, ovverosia basati su formule applicative (le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, ma, soprattutto, il giudizio trifasico di proporzionalità). Esse si prefiggono, non senza una certa dose di ambizione, di oggettivare il sindacato giurisdizionale, attraendolo quanto più possibile in una sfera di predicata neutralità, che serva da cuscinetto rispetto alla tensione che esso può ingenerare a causa dell’interferenza con l’esercizio della discrezionalità legislativa o amministrativa.

In termini più espliciti: ciò che si guadagna sul piano dello spazio acquisito alla giurisdizione deve trovare compensazione, nell’ottica dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, nell’impiego di processi decisionali squisitamente formalizzati, perlomeno nelle premesse teoriche, che possano rassicurare sul self-restraint praticato dalle corti, giungendo a un compromesso tra istanze di attivismo e contro-istanze di deferenza giudiziale nei confronti dei decisori politici.

Da qui la propensione a sintetizzare con formule quasi geometriche, e persino a quantificare in unità di misura i termini del controllo giurisdizionale, così evidente quando si ragiona di scrutinio di proporzionalità, scomponendolo nelle fasi della verifica di idoneità, necessità e bilanciamento dell’atto oggetto di scrutinio.

È infatti questo il proprium del controllo di proporzionalità in senso stretto, rispetto alla necessità, da sempre avvertita, che l’attività dei pubblici poteri sia proporzionata, ovvero armonica e coerente: che nel primo caso soltanto si offre al giudice una specifica tecnica di decisione, diversa dall’apprezzamento intuitivo della sproporzione.

 

4.1. Penetrazione del sindacato e sua formalizzazione

Questa tendenza bifronte a una maggiore incisività del sindacato giurisdizionale, tuttavia realizzata attraverso un’accentuata formalizzazione del modus decidendi, è ben evidente nella giustizia amministrativa. Qui, è cosa risaputa che l’affinamento del controllo giurisdizionale, dalla riprovazione dello sviamento di potere fino all’indirizzo dell’azione amministrativa attraverso lo scrutinio di proporzionalità, può considerarsi una delle tappe importanti di un più generale fenomeno, ampiamente rimarcato, e costituito dal passaggio dal sindacato sull’atto al sindacato sul rapporto ad esso sotteso.

Verificando che la potestà amministrativa si sia manifestata attraverso un provvedimento che persegue effettivamente le finalità per le quali la legge l’ha istituita e conformata (cd. sviamento), il giudice non esce dalla logica intrinseca all’atto oggetto del suo sindacato, una logica necessariamente ordinamentale. Invece, espandendo la propria vigilanza alla efficacia dell’azione intrapresa rispetto all’obiettivo e, soprattutto, alla sussistenza di alternative di minor sacrificio per gli interessi compressi (proporzionalità), è il mondo fenomenico stesso che opera il suo ingresso nel processo, fiaccando la stessa riserva di discrezionalità amministrativa, quanto alla predisposizione dei mezzi opportuni per conseguire lo scopo legale.

 

5. Sinergia delle tutele e controllo di legalità

Non si deve, tuttavia, pensare che, nella sostanza, corra uno iato così profondo tra sindacato sull’eccesso di potere e controllo di proporzionalità da fare in modo che quest’ultimo, anziché un ulteriore strumento di indagine e controllo, segni il tracollo del primo a fronte di una tecnica qualitativamente incomparabile per pregio ed effetti. Piuttosto, è più prudente confidare in un effetto sinergico, che valga a completare le forme di tutela ammissibili. Perché, in ogni caso, entrambi i concetti si originano dall’ambizione del sindacato giurisdizionale di rendersi più effettivo e adeguato alle sollecitazioni dei consociati.

Non può sfuggire, in particolare, che storicamente anche il vizio di eccesso di potere, introdotto normativamente dalla legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato a raffigurare l’ipotesi dell’incompetenza assoluta, sia stato poi adattato da quello stesso giudice alle esigenze della tutela giurisdizionale, evolvendosi nello sviamento della funzione rispetto alla finalità assegnatale dalla legge. E, del resto, ove si riconosca autonomia concettuale alle cd. figure sintomatiche di eccesso di potere, rispetto allo sviamento in senso proprio, ne vien fuori che talune di esse hanno di per sé già la capacità di attivare una componente di proporzionalità nell’agire amministrativo. Perché un atto manifestamente illogico, ingiusto, o anche basato su un palese travisamento dei fatti, disvela con ciò stesso la propria sproporzione. 

 

5.1. Una digressione sulla giustizia costituzionale 

Può peraltro essere di interesse osservare anche, per alimentare almeno un dubbio sulla linea di sviluppo qualitativo che assisterebbe in modo diacronico il passaggio dall’eccesso di potere alla proporzionalità, che nella giustizia costituzionale il test di proporzionalità esordisce ben presto, ibridandosi con la non pacifica figura dell’eccesso di potere legislativo. È, in particolare, la nota sentenza n. 14 del 1964 sulla legge di nazionalizzazione delle imprese elettriche che si impegna in una verifica sulla congruità dei mezzi impiegati rispetto allo scopo perseguito dalla legge, avviando un percorso che giungerà, con l’altrettanto conosciuta sentenza n. 1 del 2014 sulla legge elettorale, ad applicare esplicitamente il criterio cd. del minor sacrificio. Nella giurisprudenza costituzionale, del resto, un’esigenza di “proporzione” è sempre stata affermata con riferimento ai trattamenti lato sensu sanzionatori, o comunque pregiudizievoli per le libertà della persona, perché «adeguatezza e proporzionalità (…) costituiscono vincoli generali dell’attività legislativa intesa a comprimere diritti» (sentenza n. 1 del 1997).

Che la proporzionalità di una legge, corollario della ragionevolezza, sia stata oggetto, alle origini del giudizio costituzionale, di maggior attenzione che non il suo presunto sviamento dalla funzione legislativa, e che il contrario sia accaduto nel processo amministrativo, quanto ai provvedimenti, non si spiega solo con la frequente osservazione per la quale la legge è libera nei fini, diversamente che l’attività amministrativa, e dunque incontrollabile sotto il profilo della deviazione funzionale. Sul punto, si potrebbe infatti osservare che, quand’anche si neghi la integrale funzionalizzazione dell’attività legislativa, vi sono pur sempre in Costituzione specifiche riserve di legge di scopo (si pensi all’art. 43 Cost.), mentre, in taluni settori (la decretazione d’urgenza, in sede di controllo dei requisiti straordinari di necessità e urgenza; la cd. chiamata in sussidiarietà), persino il tradizionale principio per il quale la legge non richiede motivazione è posto in dubbio.

Piuttosto, opera qui uno specifico humus culturale, che colloca nella legge la sede delle garanzie, e teme invece l’arbitrio nell’azione esecutiva dei pubblici poteri. Il canone della proporzionalità, allora, con la sua capacità di modellare le regole legislative, in sé sottratte a un preliminare sospetto di abuso funzionale, secondo un modulo di maggior adeguatezza e maggior equilibrio rispetto allo stato di (pur minore) adeguatezza ed equilibrio dal quale comunque si muove, appare più efficace di una occhiuta sorveglianza sulla frode alla Costituzione. Mentre, di fronte all’amministrazione, è anzitutto a quest’ultimo profilo di sviamento, rispetto alla legge, che si volge lo sguardo quando l’atto giunge all’attenzione del giudice.

 

6. Conclusioni 

Anche su questo terreno, peraltro, le carte sono destinate a mescolarsi nuovamente. Perché, come il nuovo afflato garantista impresso alla funzione pubblica conforta l’amministrativista e lo conduce a privilegiare il controllo di proporzionalità, così il costituzionalista è reso sospettoso nei confronti del legislatore, e rinnova l’interesse per una nuova stagione del pur contestato “eccesso di potere legislativo”, non estranea, a sua volta, alla fattualità del giudizio imposta dalla Cedu (si pensi solo alle leggi che, con l’apparenza di dettare una normativa astratta, in realtà si propongono di risolvere una certa controversia particolare).

Insomma, controllo sullo sviamento di potere e scrutinio di proporzionalità appaiono parti integranti, ed entrambe necessarie, di un’efficace tutela giurisdizionale a fronte dell’esercizio di una pubblica potestà, nella forma della legge, ovvero dell’atto amministrativo. 

Né si può troppo confidare sulle virtù di contenimento della discrezionalità giudiziaria mediante formule decisorie poggiate su basi empiriche. È vero, infatti, che sotto tale profilo le fasi del controllo sulla idoneità e sulla necessità dell’atto, nell’ambito del controllo di proporzionalità, ammiccano fortemente alle scienze dure. Ma, ove il test sia risolto positivamente, resta ineludibile concludere il giudizio mediante quel balancing di cui molti denunciano da tempo la precaria solidità e l’inadeguato tasso di predittività, pur a fronte della natura “esterna” del controllo giudiziale e delle correzioni oggettiviste implicate dall’invito a commisurare, acquisita la meritevolezza degli interessi, il grado di sacrificio imposto agli uni con il grado di beneficio assicurato ai secondi (Alexy).

La verità è che, talvolta, al di là della formalizzazione delle tecniche decisorie, non si può, né forse si deve, evitare che il giudice resti nudo innanzi al compito suo proprio di decidere le controversie fondamentali nell’abbraccio con i valori propri dell’umanesimo costituzionale, impedendo che l’uno diventi tiranno sull’altro. 

Il giudice amministrativo è pronto alla sfida.