Magistratura democratica

Il giudice amministrativo come risorsa?

di Aldo Travi

L’Autore sostiene che la giustizia amministrativa è certamente una “risorsa”, ma che il suo assetto attuale merita una riflessione critica: invece di un sistema fondato sulla pluralità delle giurisdizioni e sull’assegnazione di un ruolo decisivo alle giurisdizioni speciali, si deve ragionare su un sistema fondato su una giurisdizione unica, articolata in organi specializzati.

1. Il dibattito, oggi, sulla giurisdizione amministrativa si concentra su tre profili.

Il primo profilo attiene alla previsione, nel nostro ordinamento, di una pluralità di giurisdizioni; il secondo alla distribuzione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo; il terzo profilo attiene alla specialità del diritto amministrativo e all’esigenza che il giudice delle controversie con una pubblica amministrazione abbia una conoscenza puntuale anche di questa disciplina. Come si cercherà di spiegare, i tre profili appena richiamati attengono a temi diversi e coinvolgono considerazioni specifiche. Essi, però, conducono tutti a una problematica comune.

 

2. Per quanto riguarda il primo profilo, in particolare le controversie con una pubblica amministrazione, nel nostro ordinamento, sono distribuite fra una pluralità di giurisdizioni diverse: il giudice civile per le vertenze su diritti, il giudice amministrativo per le vertenze su interessi legittimi, il giudice contabile per le vertenze sulla responsabilità civile dei funzionari e degli agenti pubblici. Questo criterio fondamentale di riparto subisce, poi, tutta una serie di mutazioni e di deroghe che ne rendono più complessa la ricostruzione: si pensi all’attribuzione al giudice amministrativo delle vertenze su diritti soggettivi nelle materie devolute alla cd. giurisdizione esclusiva (cfr., oggi, art. 133 cpa) e delle vertenze sul diritto al risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi (cfr. art. 7 cpa); all’estensione, se non addirittura al superamento, della nozione di “rapporto di servizio” come condizione per la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità, etc.

Rispetto a questo primo profilo si riscontrano varie linee di riflessione. Una, forse la più nota, si è concentrata sulle origini e sugli sviluppi della pluralità delle giurisdizioni e dalla prospettiva storico-giuridica spesso ha tratto argomenti a sostegno della perdurante attualità del modello pluralistico. Un argomento ricorrente, in questo contesto, è rappresentato dal fallimento del modello di giurisdizione unica introdotto in Italia dalla legge del 1865 di «abolizione del contenzioso amministrativo» e dalla circostanza che proprio l’introduzione di una giurisdizione amministrativa, con la legge del 1889, consentì di introdurre una tutela più ampia per il cittadino nei confronti dell’amministrazione. Una linea di riflessione non meno interessante è quella che registra l’affermazione in vari Paesi del modello pluralistico, anche se basato su criteri di riparto differenti dal nostro: questa diffusione del modello pluralistico indurrebbe a ritenere che la pluralità delle giurisdizioni rispecchi esigenze di fondo, di ordine strutturale, e rappresenti ormai un risultato insuperabile sul piano dell’effettività della tutela. Un’ulteriore linea di riflessione, anch’essa di notevole importanza oggettiva, è rappresentata dalla tendenza, sostenuta anche recentemente, a giustificare il modello pluralistico accolto nel nostro Paese con ragioni di teoria generale, identificate con i caratteri sostanziali dell’interesse legittimo, con la sua irriducibilità alla figura del diritto soggettivo: la distinzione fra le situazioni giuridiche soggettive giustificherebbe pienamente un riscontro anche sul piano processuale.

Personalmente queste tesi non mi sembrano convincenti. L’argomento storico merita la massima considerazione, ma comporta molto poco sul piano dell’utilità attuale di una pluralità delle giurisdizioni.

Dall’argomento storico, in particolare, non si può desumere che l’introduzione di un sistema di giurisdizione unica riproporrebbe oggi le stesse difficoltà che si riscontrarono in un’epoca di oltre centocinquant’anni fa. Semmai, l’argomento storico suggerisce di considerare attentamente l’esperienza pregressa per evitare che una riforma possa risolversi in una diminuzione della tutela del cittadino.

L’argomento comparatistico suggerisce anch’esso riflessioni di rilievo, ma da esso non possono desumersi conclusioni univoche a favore di un modello pluralistico: piuttosto, dalle esperienze straniere si coglie la necessità che le vertenze (o, meglio, “certe” vertenze) con l’amministrazione siano trattate da un giudice con una competenza specifica e tutto ciò induce a considerare con attenzione esperienze, come quella spagnola (o, in fondo, quella tedesca), che hanno valorizzato la “specializzazione” del giudice competente per le vertenze con l’amministrazione. Non si può, però, confondere la specialità della giurisdizione con la specializzazione del giudice: la specializzazione del giudice è un risultato compatibile con l’unicità della giurisdizione. La specialità della giurisdizione non si risolve nella specializzazione del giudice, ma comporta molto di più: il giudice amministrativo, in Italia (come in Francia e in altri Paesi sensibili all’esperienza francese), è un giudice “speciale” perché non appartiene all’ordine giudiziario, a differenza del giudice ordinario. La specialità della giurisdizione introduce una deroga (nel nostro ordinamento, fondata sull’art. 103 Cost.) rispetto al principio (sancito dall’art. 102 Cost.) di corrispondenza fra funzione giurisdizionale e inserimento nell’ordine giudiziario, con tutte le relative implicazioni sullo stato giuridico del giudice.

L’argomento di teoria generale appare anch’esso meritevole della massima considerazione e ha accompagnato un progresso nella scienza giuridica italiana che non trova corrispondenze in altri Paesi, come emerge con evidenza dal confronto con la giurisprudenza, meno raffinata, della Corte di giustizia. Nello stesso tempo, però, anche questo argomento risulta oggi piuttosto debole, sia perché i casi di giurisdizione esclusiva sono sempre più estesi (e quindi il riferimento all’interesse legittimo perde di centralità, nella giurisdizione amministrativa), sia perché la distinzione stessa fra diritto soggettivo e interesse legittimo risulta in molti casi opinabile e assume in genere una concezione stereotipa e imprecisa del diritto soggettivo, sia perché i casi di sovrapposizione di interessi legittimi e di diritti soggettivi sono ormai numerosi. L’introduzione del diritto al risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi ha comportato nuovi elementi di corrispondenza fra le due situazioni soggettive.

 

3. Il secondo profilo, come ho accennato, attiene alla distribuzione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo. Si tratta di un profilo indubbiamente critico, come è testimoniato dall’entità delle questioni di giurisdizione demandate annualmente alla Corte di cassazione, ma alle ragioni legate alla complessità delle regole del riparto si è aggiunta, negli ultimi anni, la rinnovata esigenza di una nomofilachia effettiva, che consenta di recuperare spazio rispetto a una sempre più diffusa liquidità del diritto. Oggi la pluralità delle giurisdizioni non può più essere rappresentata (come forse era ancora possibile negli anni della Costituente, quando furono respinte le proposte di unificazione di Piero Calamandrei) come un sistema di ordini giurisdizionali paralleli, ciascuno con un proprio ambito specifico, non passibile di incontri (e, perciò, neppure di “scontri”) rispetto all’altro. La coincidenza di oggetti e di questioni è indubitabile e la circostanza che rispetto alle due giurisdizioni speciali più importanti la Cassazione possa intervenire solo per motivi di giurisdizione, e non anche per ragioni nomofilattiche, determina un problema grave.

Si pensi, per tutti, al tema della responsabilità della pubblica amministrazione: tema centrale per la tutela del cittadino. Ciascuna delle giurisdizioni ha elaborato regole diverse, dichiarando però di applicare norme comuni: il paradosso rappresentato da giurisprudenze differenti, originate dalla diversità delle giurisdizioni, si riproduce qui costantemente. Gli elementi della fattispecie sono valutati in termini differenti: si pensi alla giurisprudenza amministrativa sulla colpa e sul relativo onere della prova, nel caso di vertenze risarcitorie per lesione di interessi legittimi. La nozione di “colpa grave” adottata dalla giurisprudenza contabile risulta indefinita nei suoi contenuti concreti, e talvolta nella giurisprudenza contabile si parla di “dolo” in termini divergenti dai paradigmi civilistici. La figura del danno per lesione dell’affidamento del cittadino nei confronti dell’amministrazione, elaborata dalla Cassazione per recuperare un proprio spazio in queste vertenze, manca di un reale fondamento sistematico e si confonde con altre ipotesi, ricondotte al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi. Ogni giurisdizione ha poi il suo “metro” di valutazione e di liquidazione del danno: emergono un criterio molto cauto da parte del giudice amministrativo, evidentemente timoroso di incidere sulle risorse pubbliche, un criterio ispirato a ragioni di generalità dei parametri risarcitori nel caso del giudice ordinario, etc.

L’individuazione del giudice dotato di giurisdizione comporta pertanto implicazioni di rilievo anche sul piano del soddisfacimento delle pretese sostanziali, e ciò appare incompatibile con un criterio di certezza e unicità del diritto su cui tali pretese si fondano. Inoltre, il criterio di riparto risulta sempre più difficile da comprendere e da condividere e, anche per la maggiore complessità acquisita negli ultimi anni, è sempre più lontano e incomprensibile per il cittadino che alla giurisdizione deve rivolgersi per ottenere tutela nei confronti dell’amministrazione. Un valore della democrazia, rispetto alla tutela giurisdizionale, dovrebbe essere rappresentato anche dalla “intellegibilità” di questi aspetti da parte del cittadino: questo requisito oggi sfuma.

A mio parere, a tali considerazioni non si può replicare, in termini giuridici, prospettando estensioni del ruolo della Cassazione rispetto ai limiti oggi segnati dall’art. 111 Cost., o costituendo collegi “misti” per la decisione di questioni di interesse comune per più giurisdizioni (come è previsto in Germania, sulla base però di una norma costituzionale). Il diritto ha le sue regole e fra le regole del diritto vi è (anche se un po’ dimenticata) l’osservanza della legge: e anche la giurisdizione “è soggetta alla legge” (art. 101 Cost.). Tuttavia, rispetto a un assetto inadeguato, o comunque emendabile, un giurista non può rinunciare a una dimensione progettuale, che comporta la possibilità di farsi portavoce di una riforma anche costituzionale.

 

4. Il terzo profilo è anch’esso centrale. La specialità del diritto amministrativo è oggi fuori discussione e comporta l’esigenza che il giudice delle controversie con una pubblica amministrazione abbia una conoscenza puntuale anche di questa disciplina. Una giurisdizione ordinaria che, per quanto riguarda il diritto civile, è intrisa dalla matrice privatistica e, per quanto concerne il diritto penale, si culla in un diritto amministrativo diverso da quello reale, non soddisfa assolutamente questa esigenza. La conoscenza della giurisprudenza amministrativa da parte del giudice ordinario dovrebbe rappresentare un requisito essenziale, come è la conoscenza della giurisprudenza civile o di quella penale. Il diritto amministrativo è indubbiamente molto complesso e il suo studio richiede un impegno pieno. La convinzione che alcuni recenti sviluppi del diritto amministrativo comportino una riduzione delle differenze rispetto al diritto comune è frutto di un’illusione prospettica: la circostanza che su istituti amministrativistici siano innestate figure privatistiche rende semmai molto più complesso il quadro generale, che non risulta mai riducibile ai modelli civilistici, ma non corrisponde più neppure a quelli amministrativistici più tradizionali.

Il diritto amministrativo esige un giudice realmente competente e preparato. Il superamento della pluralità delle giurisdizioni è possibile solo in un quadro di reale specializzazione del giudice ordinario, come d’altra parte esiste in altri Paesi europei; altrimenti a perdere sarebbe proprio il cittadino. Le considerazioni, ripetute anche di recente, sull’esigenza di superare la giustizia amministrativa per recuperare punti di Pil, lasciano francamente sconcertati. La sete di legalità riscontrabile a tutti i livelli in Italia – e che deve trovare attuazione anche per lo sviluppo economico del nostro Paese – non ammette alcun indebolimento della tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione.