Magistratura democratica

Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria

di Fabio Francario

Spinto dall’avvenuto spostamento dei diritti soggettivi nell’ambito della giurisdizione esclusiva e dall’attribuzione del potere di condanna al risarcimento del danno, e suggestionato dalle teorizzazioni in termini di giudizio di spettanza, all’inizio del nuovo millennio il giudice amministrativo sembrerebbe essersi incamminato sulla via dell’ibridazione delle figure soggettive, incontrando la resistenza della Corte di cassazione e prestando il fianco a ulteriori interventi riformatori, pronti a considerare la tutela risarcitoria un modo come un altro per tutelare l’interesse legittimo. La tutela risarcitoria è la trappola perfetta per il giudice amministrativo e la strada dell’ibridazione è la pericolosa scorciatoia che vi conduce, poiché espone il giudice amministrativo al perenne e carsico contrasto con le sezioni unite nel momento in cui l’ibridazione tende a costruire una tutela risarcitoria che è un surrogato di quella fruibile nel sistema della tutela civile dei diritti e lo allontana da quella che è la sua missione istituzionale (e costituzionale), assicurare cioè giustizia nell’amministrazione, che rappresenta la sua stessa ragion d’essere.

1. Premessa / 2. L’arretramento contestato (dalle sezioni unite) / 2.1. La riscrittura del sistema di giustizia amministrativa avvenuta a cavallo del nuovo millennio / 2.2. Giudice amministrativo e tutela risarcitoria / 2.3. L’ibridazione del diritto soggettivo “amministrativizzato” / 2.4. L’ibridazione dell’interesse legittimo “patrimonializzato” / 3. L’arretramento auspicato (dalle riforme legislative) / 4. La trappola della tutela risarcitoria

 

1. Premessa

Le considerazioni che vengono svolte nel presente articolo rispondono all’invito di Scoditti e Montedoro a riflettere sul tema se l’attuale struttura pluralistica del sistema giurisdizionale disegnato dalla Costituzione repubblicana sia un punto di forza o di fragilità dello Stato sociale italiano[1]

Lo spunto è offerto da due eventi che, nel corso del 2020, hanno messo in discussione il ruolo del giudice amministrativo e rivitalizzato l’attenzione degli studiosi per il tema della giurisdizione amministrativa, dei suoi limiti e confini.

Il primo è dato dalla nota ordinanza delle sezioni unite n. 19598 del 18 settembre 2020 che, con una pronuncia senza precedenti, ha chiesto alla Corte di giustizia europea di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto eurounitario dei limiti della giurisdizione amministrativa così come definiti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6/2018 (ma anche, a ben guardare, a prescindere dalla suddetta pronuncia della Corte)[2].

Il secondo è dato dall’evento pandemico e dalla situazione emergenziale dallo stesso creata, non tanto sotto il profilo sanitario, quanto socio-economico, per la necessità di porre in essere interventi straordinari di immediato sostegno e rilancio dell’economia, la cui efficacia, si è paventato, potrebbe essere condizionata e pregiudicata dall’intervento del giudice amministrativo.

Tali eventi hanno riacceso la discussione sul rapporto tra giudice amministrativo e giudice ordinario, da un lato, e tra giudice amministrativo e pubblica amministrazione, dall’altro, imponendo una riflessione complessiva sul ruolo del giudice amministrativo nell’assetto ordinamentale contemporaneo.

Il problema non può essere ridotto a una questione di mera delimitazione di reciproci confini. Certamente, l’auspicato dialogo tra le corti, nazionali e non, attraversa un momento difficile, che può giustificare anche una lettura in termini di antagonismo finalizzato all’affermazione di una primazia giudiziaria, o meglio, con specifico riferimento al rapporto tra Consiglio di Stato e Cassazione, all’affermazione o meno di una piena e assoluta equiparazione delle due giurisdizioni, amministrativa e ordinaria, con relativa nomofilachia “differenziata” sotto ogni profilo. Questa lettura del fenomeno, visto per così dire “dall’alto”, dal punto di vista cioè del giudicante che deve difendere e delimitare il proprio territorio giurisdizionale, rischia però di essere sterile e fuorviante, e può portare a soluzioni che finiscono con il perdere di vista l’esigenza primaria, che è quella di vedere come debba essere qualitativamente soddisfatto il bisogno di tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della p.a.

Questa esigenza primaria diventa immediatamente visibile cambiando prospettiva, guardando le cose “dal basso”, dal punto di vista cioè del cittadino utente del servizio di giustizia. In tal caso, il problema di valorizzare il giudice amministrativo come risorsa diventa immediatamente comprensibile nei suoi termini essenziali perché diventa subito ben chiaro che il problema è, innanzi tutto, capire a cosa serva un sistema dualistico. Così posto, l’interrogativo impone di sciogliere, in un senso o nell’altro, l’alternativa tra il ritenere che un sistema dualista serva a far sì che il cittadino possa ottenere nei confronti della p.a. una tutela qualitativamente diversa e maggiore rispetto a quella comunemente offerta dal sistema della tutela civile dei diritti; oppure che la creazione di un giudice speciale, appositamente costituito per decidere le controversie in cui sia parte la p.a., serva per garantire la completa sottrazione di questa al diritto comune[3].

Detto diversamente, bisogna domandarsi se il giudice amministrativo esiste per rispondere a un bisogno di tutela diverso da quello proprio già della figura del diritto soggettivo ovvero per soddisfare diversamente un bisogno di tutela che verrebbe altrimenti garantito dal sistema della tutela civile dei diritti.

Sono fermamente convinto che questa alternativa renda chiaro come il giudice amministrativo sia una risorsa inestimabile e insostituibile in un ordinamento che intenda raggiungere e conservare un elevato livello di civiltà giuridica. Ciò implica, però, che egli debba garantire il rispetto degli obblighi di comportamento che gravano sulla p.a. in ragione della specialità dei principi e delle regole del diritto amministrativo rispetto a quelle proprie dei rapporti di diritto comune; e non già che la giurisdizione amministrativa possa radicarsi ratione personae, per il solo fatto che parte in causa sia una p.a., a prescindere dal fatto che debba essere protetta una situazione di interesse legittimo. Se così fosse, la specialità caratterizzerebbe la figura del giudice in quanto tale, con buona pace del divieto posto dall’art 102 Cost., e attesterebbe che la p.a. sarebbe sempre e comunque sottratta all’applicazione delle regole e dei principi di diritto comune. Il rivendicato dualismo nomofilattico, in questa seconda ipotesi, non rifletterebbe la diversità degli istituti che i giudici sarebbero chiamati ad applicare, ma creerebbe regimi differenziati di un medesimo istituto. La questione della tutela risarcitoria, vero e proprio casus belli dei conflitti di giurisdizione, è esemplare sotto questo profilo.

Prima di giungere alle conclusioni, in parte già anticipate da queste considerazioni introduttive, è opportuno capire meglio come e perché i suddetti eventi siano tali da sollecitare una riflessione complessiva sul ruolo del giudice amministrativo.

Al centro della discussione è sempre il problema dell’arretramento della giurisdizione amministrativa, ma le vicende sono speculari. In un caso, l’arretramento viene addebitato dalle sezioni unite assumendo che il giudice amministrativo rifiuti di rispondere al bisogno di tutela che l’ordinamento vuole, invece, protetto nelle forme del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo; nell’altro, l’arretramento viene invece auspicato nel presupposto che serva a garantire un recupero di efficienza e celerità dell’azione amministrativa.

 

2. L’arretramento contestato (dalle sezioni unite)

 

2.1. La riscrittura del sistema di giustizia amministrativa avvenuta a cavallo del nuovo millennio

L’ordinanza n. 19598 del 2020 pone un problema che non può essere affrontato e risolto sulla base di più o meno raffinate tecniche esegetiche applicate all’interpretazione tanto dell’ordinanza quanto, più in generale, alle pronunce delle altre Corti, esplicitamente o implicitamente richiamate dalla prima. Intendo dire che il problema non è quello di prendere posizione a favore o contro la Cassazione (o, a seconda dei punti di vista, del Consiglio di Stato o della Corte costituzionale), proponendo quella che si ritiene sia la soluzione più corretta sul piano puramente esegetico, raggiunta valorizzando o enfatizzando questa o quella espressione, questo o quel lemma impiegato dalla Corte costituzionale, dalla Cassazione, dal Consiglio di Stato o dalla Cgue in una sentenza piuttosto che in un’altra. Qualsiasi soluzione raggiunta in questo modo è destinata ad avere breve vita se non si comprendono le ragioni sostanziali di quella che viene spesso rappresentata come una vera e propria “ostinazione” delle sezioni unite nel porre il problema che i termini della questione di giurisdizione debbano oggi essere in qualche modo ripensati.

Non certo soltanto con la più recente ordinanza 19598, ma ormai da tempo il problema di fondo che le sezioni unite stanno ponendo è quello dell’arretramento della linea della tutela giurisdizionale. Le ragioni affondano le radici nelle riforme, legislative e “giudiziarie”, del periodo 1998 - 2001, che finiscono poi con l’essere codificate nel 2010 dal cpa e che possono riassumersi in cinque momenti essenziali.

Il d.lgs 31 marzo 1998, n. 80 dà l’avvio a un disegno riformatore che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto rendere superata, obsoleta e priva di interesse la problematica delle situazioni giuridiche soggettive attraverso l’introduzione dei blocchi di materie come nuovo criterio di riparto della giurisdizione e l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni.

Nel 1999, la storica sentenza n. 500 delle sezioni unite afferma la risarcibilità degli interessi legittimi – nel presupposto (della sussistenza della giurisdizione ordinaria e) dell’eliminazione della pregiudizialità del previo annullamento dell’atto illegittimo, rimedio (l’annullamento) che, nell’impianto della sentenza n. 500, viene sostituito da quello della disapplicazione, la quale garantisce l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento[4]

Nel 2000 le norme che ampliano l’ambito delle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che consentono allo stesso di condannare anche al risarcimento del danno, originariamente recate dagli artt. 33, 34 e 35 d.lgs n. 80/1998, vengono dichiarate incostituzionali per eccesso di delega da Corte cost., 17 luglio 2000, n. 292; ma vengono poi riprodotte dalla l. 21 luglio 2000, n. 205 con l’eliminazione del riconoscimento della possibilità di condannare al risarcimento del danno nei soli casi di giurisdizione esclusiva[5].

Queste norme vengono infine trasfuse nel codice del processo amministrativo, il quale precisa che l’azione risarcitoria può essere proposta tanto per diritti soggettivi quanto per interessi legittimi, che nel secondo caso va proposta nel termine di 120 giorni e che il risarcimento va escluso se i danni si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza (ex art. 1227 cc), anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (art. 30 cpa).

Le norme sulla tutela risarcitoria, recate dalla l. n. 205/2000, prima, e dal codice del processo amministrativo, dopo, vengono entrambe “salvate” dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 204/2004 e 94/2017[6]; non anche quelle sul criterio (di riparto della giurisdizione) dei blocchi di materie, censurato dalla sentenza n. 204/2004, perché prescinde dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte[7].

In pratica, a cavallo del nuovo millennio, il sistema di giustizia amministrativa viene ridisegnato spostando quanto più possibile la tutela dei diritti soggettivi, quando parte in causa è una pubblica amministrazione, dal giudice ordinario al giudice amministrativo, e questo spostamento si perfeziona con l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare anche al risarcimento del danno.

Questa riscrittura del sistema di giustizia amministrativa supera il giudizio di costituzionalità, ma non senza riserve o condizioni. Secondo le pronunce della Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204 e 22 febbraio 2017, n. 94, la differenziazione delle situazioni soggettive rimane ferma e può (e deve) giustificare tutela differenziata anche nell’ambito del processo amministrativo. Rimane comunque fermo che, pur con i limiti e le riserve suddette, l’allargamento della giurisdizione esclusiva viene legittimato dalla Corte costituzionale e il giudice amministrativo viene così chiamato ad apprestare tutela anche a quelle situazioni di diritto soggettivo che prima ricevevano tutela da parte del giudice ordinario, principalmente attraverso la tutela risarcitoria o dichiarativa.

L’affermazione del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale ha fatto, però, perdere di vista la specificità delle tutele delle due situazioni soggettive e ha evidenziato la tendenza alla loro ibridazione in una forma indistinta, che sembrerebbe mutuare il peggio (i limiti) dell’una e dell’altra. Una cosa è assicurare la ragionevole durata di un processo; altra trasformare forma e sostanza della tutela della situazione soggettiva.

 

2.2. Giudice amministrativo e tutela risarcitoria

Non si può seriamente negare che lo spostamento della tutela dei diritti soggettivi innanzi al giudice amministrativo abbia posto, con buona pace dell’art 113 Cost., un problema di effettività della tutela giurisdizionale.

Non si può negare il problema limitandosi a osservare che il cpa, ormai, consente al giudice amministrativo di esercitare tutti i poteri propri già del giudice ordinario. Il problema è che il giudizio amministrativo è – e si è comunque dimostrato nella concreta applicazione – fisiologicamente inidoneo a erogare la tutela risarcitoria. Il dato storico è di tale e immediata evidenza per tutti gli operatori del diritto da non richiedere particolare dimostrazione, e affonda le sue radici nella perdurante assenza di una vera e propria istruttoria nella fisiologia del processo amministrativo.

Intendo con ciò dire che, anche successivamente all’adozione del cpa, la disciplina permette al giudice amministrativo di poter continuare a definire comunque il giudizio in base a un giudizio sulla ragionevolezza della decisione amministrativa e/o a valutazioni puramente equitative o indennitarie dei risarcimenti, estranee alla cultura giuridica della vera e propria tutela risarcitoria. Ripeto, a scanso di ogni possibilità di equivoco, che non intendo con ciò dire che il giudice amministrativo, oggi come oggi, non abbia il potere di accertamento diretto dei fatti. La disciplina dei mezzi di prova e dell’attività istruttoria recata dagli artt. 63 ss. del cpa non lascia più dubbi al riguardo. Intendo dire che il sindacato sulla ragionevolezza della decisione amministrativa è ancora più che largamente impiegato come strumento alternativo all’accertamento diretto dei fatti, compromettendo la credibilità del sindacato giurisdizionale quantomeno in termini di equidistanza del giudice amministrativo dalle rappresentazioni delle parti[8]

E a ciò si può aggiungere che, alla constatazione che il giudice amministrativo abbia il potere di condannare al risarcimento del danno per equivalente o anche a un fare specifico, si accompagna l’osservazione che questo potere, spesso e volentieri, può prescindere dalla domanda di parte per il suo esercizio[9]: alludo, per fare degli esempi, alla possibilità che in sede di cognizione, senza domanda di parte, il giudice può disporre «le misure idonee ad assicurare l’esecuzione del giudicato» (art. 34, comma 1, lett. e, cpa); al fatto che ha il potere di dichiarare o meno l’inefficacia del contratto quando annulla l’aggiudicazione definitiva di una gara pubblica (art. 122 cpa); al fatto che, nelle condanne pecuniarie, può limitarsi a stabilire «i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine» (art 34, comma 4, cpa).

Credo, in buona sostanza, non si possa negare la realtà delle cose e negare che il processo amministrativo sia inevitabilmente condizionato dalla rilevanza dell’interesse pubblico istituzionalmente affidato alle cure della pubblica amministrazione, e che ciò abbia inevitabilmente incidenza sulla prevedibilità delle decisioni e limiti il sindacato giurisdizionale.

In questo contesto, il giudice amministrativo ha acquisito nell’ambito della sua giurisdizione i diritti soggettivi, ma la tutela ha subito una variazione qualitativa e si è in parte affievolita. 

 

2.3. L’ibridazione del diritto soggettivo “amministrativizzato”

Questo nuovo scenario ha avuto innanzi tutto l’effetto di rivitalizzare la figura “classica” del rifiuto di giurisdizione, secondo la quale è censurabile l’arretramento fatto in via generale e astratta, in maniera aprioristica e non con riferimento alla specificità del caso concreto, della linea della giurisdizione fruibile dal cittadino. Ha poi visto prender corpo un tentativo di dilatare la concezione del motivo di giurisdizione, in modo da ricomprendere anche le ipotesi dell’errore abnorme in procedendo o in iudicando, teorizzando la cd. “interpretazione evolutiva”, criticata e censurata da Corte cost., n. 6/2018. 

Nella realtà delle cose, non solo nella sua interpretazione “evolutiva”, ma anche nella sua accezione classica, il rifiuto di giurisdizione è però rimasto sostanzialmente confinato al livello di figura più teorica che pratica[10], lasciando al giudice amministrativo la libertà di muoversi nel nuovo scenario come giudice dei diritti.

Ciò ha prodotto la già ricordata ibridazione della tutela del diritto soggettivo innanzi al giudice amministrativo, che non sarebbe avvenuta se si fosse evitato che il cambio di giurisdizione venisse accompagnato anche da un mutamento qualitativo della tutela fruibile. Sotto questo profilo, è quasi più grave che le sezioni unite non abbiano quasi mai concretamente applicato la figura (del rifiuto di giurisdizione) piuttosto che il fatto che ne abbiano teorizzato interpretazioni evolutive.

Le sezioni unite hanno dunque, in realtà, applicato poco o nulla la figura classica del rifiuto di giurisdizione, e il Consiglio di Stato si è spesso e volentieri rifiutato di erogare tutela risarcitoria nelle forme proprie della tutela civile dei diritti e si è troppo spesso rifugiato nel sindacato di ragionevolezza, rifiutando l’accertamento diretto dei fatti. Per recuperare l’effettività della tutela giurisdizionale basterebbe in realtà poco, e cioè che le sezioni unite cassassero le decisioni dove c’è rifiuto aprioristico e tipizzato, formulato in via generale e astratta, di una certa situazione; e che il Consiglio di Stato fosse meno creativo e più attento alle categorie generali dell’ordinamento quando si tratta di tutelare diritti soggettivi, e rinunciasse a plasmarle o adattarle alla specificità del processo amministrativo, cosa che ha un senso se si tratta d’interessi legittimi, non di diritti soggettivi. Va senz’altro apprezzata in tal senso, ad esempio, la recente ad. plen, 4 dicembre 2020, n. 24[11], sul termine di prescrizione, che ha evitato una di quelle ibridazioni che nel futuro prossimo venturo avrebbero quasi sicuramente originato il proliferare di nuove questioni di giurisdizione. Elementi di preoccupazione riemergono, però, immediatamente se solo si considera che l’adunanza plenaria è stata investita della questione della natura della tutela risarcitoria nel processo amministrativo da CGARS, 15 dicembre 2002, n. 1136, per chiarire inter alia «se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana», con conseguente rilevanza della prevedibilità del danno ai fini della risarcibilità (da escludere in caso di sopravvenienze normative che sarebbero, comunque, nella disponibilità dell’amministrazione ove ad agire fossero gli apparati politici e non quelli amministrativi)[12].

 

2.4. L’ibridazione dell’interesse legittimo “patrimonializzato”

Il processo di ibridazione ha fatto perdere di vista la specificità non solo della tutela che deve ritenersi propria delle situazioni di diritto soggettivo, ma anche di quella propria delle situazioni di interesse legittimo.

L’esigenza di rispondere al bisogno di tutela proprio delle situazioni di diritto soggettivo e delle domande risarcitorie ha infatti finito con il concentrare su tali profili l’attenzione e lo sforzo del giudice amministrativo, facendo perdere di vista l’esigenza di tutela delle situazioni non riducibili a tali schemi e che dovrebbero, invece, rappresentare il proprium della giurisdizione amministrativa, la tutela dell’interesse legittimo. Il processo di ibridazione ha appiattito la forma di tutela di questa situazione su quella del diritto soggettivo, patrimonializzandola; dandole un contenuto necessariamente patrimoniale, come pretesa a che un bene della vita entri nel proprio patrimonio ovvero non ne esca. 

Sotto questo profilo, non solo la giurisprudenza, ma anche buona parte della dottrina amministrativistica dovrebbe avviare una riflessione critica sui danni prodotti dal fatto di aver enfatizzato oltremodo la costruzione del processo amministrativo in termini di giudizio sulla fondatezza della “pretesa” vantata dal ricorrente, sulla “spettanza” del bene della vita, ponendo in secondo piano il fatto che, nella generalità dei casi, il conseguimento del bene della vita è pur sempre protetto in termini di probabilità e non di certezza. Insisto nel ritenere esemplari sotto questo profilo le parole di Riccardo Villata, pronunciate in occasione del convegno celebrativo dei 130 anni dall’istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato: «Il processo amministrativo, abbandonato “finalmente” il modello di processo all’atto, è divenuto giudizio sul rapporto. Nel dettaglio, è un giudizio di spettanza nel senso che accerta la fondatezza della pretesa al bene della vita, pretesa che può oggi soddisfare tramite l’azione divenuta atipica o meglio il ventaglio di azioni che il c.p.a. riconosce e di cui si deve se mai criticare i limiti (quelli apposti alle azioni di adempimento, di nullità, risarcitoria) superandoli per quanto possibile nell’applicazione. Ebbene, io non mi riconosco affatto in questa prospettiva, spero non solo perché con il trascorrere degli anni ai propri convincimenti sempre più ci si affeziona e si consolida l’ostilità ad accettare tesi di segno diverso»[13]. Annullare il giudizio negativo di una commissione, annullare la lex specialis che impedisca la partecipazione a una gara, annullare la previsione di uno strumento urbanistico, accertare l’illegittimità del silenzio; in casi come questi e, più in generale, tutte le volte in cui l’esercizio della giurisdizione generale di legittimità lascia margini di scelta all’amministrazione, non è possibile ravvisare l’obbligo di soddisfare in maniera immediata e diretta la pretesa al bene della vita cui si aspira[14]

L’occasione per avviare questa riflessione critica è stata offerta proprio dalla recente ordinanza n. 19598/2020 che, all’apparenza, sembrerebbe ricollegarsi al filone della cd. interpretazione evolutiva del rifiuto di giurisdizione, che si vorrebbe estendere alle ipotesi del rifiuto di assicurare «l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria» e della «omissione immotivata del rinvio pregiudiziale». Rispetto ai precedenti dell’ultimo decennio, quello che sembra caratterizzare la recente pronuncia non è però tanto l’apertura della figura verso la nuova frontiera del diritto eurounitario, quanto proprio il fatto che, muovendo dal parametro eurounitario, l’arretramento della giurisdizione amministrativa viene questa volta ipotizzato rispetto al bisogno di tutela proprio della figura dell’interesse legittimo e non a una situazione di diritto soggettivo. Al di là delle diverse opzioni esegetiche che i primi due quesiti dell’ordinanza lasciano alla mercé dell’intelligenza e della cultura del giurista, la questione di sostanza che pone l’ordinanza è espressa in realtà nel terzo quesito e riguarda limiti e consistenza della figura dell’interesse legittimo[15]: se e fino a che punto, in base al diritto eurounitario in materia di appalti, possa essere fatto valere l’interesse legittimo alla esclusione del concorrente e alla ripetizione della gara. Raffinate tecniche interpretative hanno mantenuto a lungo vivo il dialogo tra Consiglio di Stato e Corte di giustizia, ma lo stesso succedersi delle decisioni ha finito solo con il rendere evidente l’esistenza di un contrasto di fondo proprio sul modo d’intendere la situazione soggettiva d’interesse legittimo.

Dando per nota la tormentata vicenda del rapporto tra ricorso principale e incidentale escludente, ci si limita a ricordare come tutte le volte che il giudice amministrativo nazionale ha provato a circoscrivere gli effetti dell’affermazione di principio della Corte di giustizia, quest’ultima ha ribadito la propria posizione nel senso che l’interesse, o se si vuole il bene protetto, sia in ultima analisi quello alla correttezza della procedura, che non si risolve necessariamente in quello alla concreta aggiudicazione della gara espletata (Fastweb, 2013; Puligienica, 2016; Lombardi, 2019). Principio chiaramente riaffermato nell’ultimo caso, nel quale il giudice amministrativo nazionale aveva praticamente chiesto di lasciare alla discrezionalità del legislatore nazionale la stima dell’interesse a ricorrere nel caso concreto, e la Corte ha invece ribadito che, a prescindere dalla possibilità di risultare effettivamente aggiudicatari della gara, ricorso “efficace” è quello che tutela anche solo indirettamente l’interesse a ottenere l’appalto, ravvisato anche «nell’ipotesi di esclusione di tutti gli offerenti e dell’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione» perché «ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi». Secondo i principi comunitari, il concetto di “interesse a ottenere l’aggiudicazione” non s’identifica dunque necessariamente con quello di chi, in esito all’accoglimento del ricorso, verrebbe riconosciuto aggiudicatario in luogo del controinteressato, situazione agevolmente patrimonializzabile e idonea a essere risarcita per equivalente monetario. Bisogna quindi decidere se e fino a che punto possa arretrare la linea della tutela giurisdizionale dell’interesse strumentale al corretto svolgimento della gara d’appalto, e se e fino a che punto il bene della vita che deve essere protetto dal giudice amministrativo sia quello all’aggiudicazione o alla corretta partecipazione.

 

3. L’arretramento auspicato (dalle riforme legislative)

Occorre a questo punto considerare che la riflessione sull’attuale ruolo del giudice amministrativo deriva non solo dalla pressione esercitata dalle sezioni unite per evitare l’arretramento della linea della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, ma anche dal fatto che, per altro verso, il giudice amministrativo si trova ciclicamente esposto a disegni riformatori che auspicano, se non proprio la scomparsa, quantomeno l’arretramento della linea della tutela giurisdizionale fruibile dal cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

Anche in occasione della situazione emergenziale creata dall’epidemia Covid-19, la proposta di escludere o limitare la tutela fruibile dal giudice amministrativo è puntualmente riemersa[16]. L’emergenza sanitaria ha causato il blocco della gran parte delle attività produttive e commerciali, determinando la necessità di prevedere misure straordinarie per rilanciare immediatamente ed efficacemente l’economia al termine dell’emergenza pandemica. Il timore, al solito, è che l’intervento pubblico si riveli lento e inefficace, donde la proposta di risolvere il problema limitando la possibilità di ricorso e la tutela nella materia dei contratti pubblici di appalto di opere, servizi e forniture; limitando la tutela erogabile dal giudice amministrativo alla sola tutela risarcitoria.

Anche questa volta si è cercato di riscrivere il sistema di tutela appiattendolo sulla tutela risarcitoria, con esclusione di quella costitutiva di annullamento. Al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del Covid-19, l’art. 4 dl 16 luglio 2020, n. 76 alla fine si è limitato a prevedere l’estensione, ai giudizi promossi avverso le procedure di gara bandite entro il 31 dicembre 2021, dell’articolo 125 del cpa, il quale, nonostante manifesti un indubbio favor per la tutela risarcitoria, non giunge sino al punto di escludere in assoluto la tutela d’annullamento. Ma tutti ricordiamo molto bene come si sia molto discusso della possibilità di escludere del tutto la tutela costitutiva per lasciare spazio unicamente alla tutela risarcitoria[17]. Probabilmente, anche per la ferma opposizione di buona parte della dottrina, alla fine il risultato è stato quello di estendere solo l’applicabilità dell’art. 125 cpa, ma non dimentichiamo che da più parti è stato seriamente messo in discussione il fatto che l’art. 113 Cost. offrisse copertura costituzionale al principio della giurisdizione generale di legittimità, sostenendo che il legislatore potesse pertanto escludere, in determinate materie o per particolari categorie di atti, l’impugnazione in sede giurisdizionale. Segno più evidente della tendenza a ridurre il giudice amministrativo a giudice del risarcimento del danno non potrebbe esservi e non è detto che si riesca a resistere anche al prossimo attacco che, sempre in nome dell’esigenza di recuperare efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, c’è da aspettarselo, tenderà nuovamente a sterilizzare quanto più possibile la possibilità d’intervento del giudice amministrativo.

La vicenda occasionata dall’emergenza pandemica è emblematica e sintomatica del rischio insito nelle teorizzazioni che neghino la differenziazione tra le situazioni soggettive del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo e dei correlati bisogni di tutela: se il risarcimento diventa un modo come un altro per tutelare le situazioni d’interesse legittimo (il che si verifica nel momento in cui le due tutele, demolitoria e risarcitoria, divengono fungibili tra loro), dell’annullamento dell’atto illegittimo se ne può anche fare a meno. 

Come già sottolineato altrove[18], proposte siffatte non sono pensabili vigente la Costituzione repubblicana. Il diritto dell’emergenza non deve diventare un pretesto per giustificare l’ennesimo tentativo di ridurre la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione e di sottrarre il diritto amministrativo al suo giudice naturale. Non si può fare, però, a meno di sottolineare come un tale anelito riformatore condurrebbe a una falsa semplificazione che non risolverebbe alcun problema; anzi, lo acuirebbe[19]. È noto, infatti, che i ritardi e gli arresti nella conclusione dei processi decisionali, oltre che dal concorso non coordinato di più protagonisti pubblici nell’esercizio della medesima funzione, dipendono essenzialmente dalle innumerevoli e instabili normative, continuamente cangianti e in crescita esponenziale senza che il profluvio normativo ubbidisca a un qualsivoglia principio che possa orientarne l’applicazione. Fenomeno che disorienta il decisore pubblico fino al punto da paralizzarne l’azione per evitare l’assunzione di responsabilità sanzionabili sotto il profilo amministrativo, contabile e civile, che il pubblico funzionario finisce con l’assumere solo se e nel momento in cui, all’atto pratico, la decisione si presenta pressoché interamente vincolata.

Sotto il profilo della fenomenologia normativa, dovrebbe essere evidente che il problema si risolve rendendo più chiaro e semplice il quadro normativo, e che tale risultato si ottiene non già esasperando il ricorso all’interpretazione autentica o al continuo aggiustamento in progress della norma per chiarire l’effettiva voluntas legis, ma recuperando quanto più possibile il carattere generale e astratto della formulazione normativa[20] e allontanandola simmetricamente dal concreto contenuto provvedimentale.

Sotto il profilo della funzione amministrativa, andrebbero recuperati margini più chiari e più netti di discrezionalità del decisore pubblico, e il giudice amministrativo dovrebbe inserirsi in questo circolo virtuoso volto a ristabilire un minimo di certezza del diritto esercitando la funzione nomofilattica con esclusivo riferimento ai principi e alle regole tipiche del diritto amministrativo e non già cercando di moltiplicare i centri di nomofilachia per quel che concerne la tutela delle situazioni di diritto soggettivo.

È evidente che si è giunti al punto di dover trarre le conclusioni.

 

4. La trappola della tutela risarcitoria

Spinto dall’avvenuto spostamento dei diritti soggettivi nell’ambito della giurisdizione esclusiva e dall’attribuzione del potere di condanna al risarcimento del danno, e suggestionato dalle teorizzazioni in termini di giudizio di spettanza, all’inizio del nuovo millennio il giudice amministrativo sembrerebbe essersi incamminato sulla via della ibridazione delle figure soggettive, incontrando la resistenza della Corte di cassazione e prestando il fianco a ulteriori interventi riformatori pronti a considerare la tutela risarcitoria un modo come un altro per tutelare l’interesse legittimo. 

La tutela risarcitoria è la trappola perfetta per il giudice amministrativo e la strada dell’ibridazione è la pericolosa scorciatoia che vi conduce: espone il giudice amministrativo al perenne e carsico contrasto con le sezioni unite, nel momento in cui l’ibridazione tende a costruire una tutela risarcitoria che è un surrogato di quella fruibile nel sistema della tutela civile dei diritti, sistema che è fondato sul principio della responsabilità patrimoniale del debitore proprio per garantire la tutela per equivalente monetario come misura generale; lo allontana da quella che è la sua mission istituzionale (e costituzionale), assicurare cioè giustizia nell’amministrazione, che rappresenta la sua stessa ragion d’essere.

L’ibridazione degrada i diritti soggettivi e patrimonializza l’interesse legittimo. Ma la patrimonializzazione dell’interesse legittimo ha senso, là dove sia possibile, se vale a concentrare la tutela risarcitoria innanzi a un unico giudice, non se diventa un pretesto per fornire un surrogato e, soprattutto, per abbandonare la forma di tutela specifica dell’annullamento, l’erogazione della quale ha rappresentato la ragione primaria per cui si è introdotta nel nostro ordinamento una giurisdizione generale di legittimità e si è individuato il suo giudice naturale in quello amministrativo. Esaltare la ricostruzione dell’interesse legittimo come situazione finale significa offrirlo su un piatto d’argento sul tavolo della tutela puramente risarcitoria (che, come si è appena ricordato, è la misura generalmente erogata nel sistema della tutela civile dei diritti), e appiattire la tutela del giudice amministrativo sul momento puramente risarcitorio, come ricorrentemente si auspica, significherebbe negare la ragione stessa della sua esistenza. Tutto ciò ci riporterebbe indietro di oltre un secolo, al tempo dell’abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, quando nel Regno d’Italia l’unica tutela fruibile era quella del risarcimento del danno per equivalente monetario ed era assicurata dallo stesso giudice competente a conoscere delle liti tra soggetti privati, il giudice ordinario. Rinunciare alla garanzia giurisdizionale che le questioni siano trattate dai pubblici poteri in modo imparziale ed equo proprio nel momento in cui una tale garanzia trova fondamento non più solo nell’art. 97 della nostra Costituzione, ma anche quale diritto fondamentale dell’individuo nelle norme recate dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue o dall’art. 6 Cedu, non sarebbe una geniale riforma, ma un passo indietro nel livello di civiltà giuridica dell’ordinamento repubblicano. 

L’ibridazione sembrerebbe in armonia con la diffusa e sempre crescente tendenza a ritenere in via di dissoluzione, se non ormai già superata, la distinzione tra diritto civile e diritto amministrativo, tra diritto privato e diritto pubblico o, più in generale, la possibilità di continuare a impiegare categorie giuridiche tradizionali nell’ordinamento contemporaneo. Che gli istituti e le categorie giuridiche tradizionali siano in una crisi anche profonda è un dato di fatto, e ne sono note le ragioni: crisi della politica; inadeguatezza del principio di legalità e complicazione e moltiplicazione del sistema delle fonti; crisi della sovranità in un sistema di produzione normativa e di tutele multilivello globalizzato, e via dicendo. 

In questo contesto, per il diritto amministrativo e il suo giudice, diventa fondamentale conservare la consapevolezza che l’uno e l’altro hanno ancora pienamente ragione di conservare la loro specialità perché forme e modi della cura e della protezione degli interessi pubblici ubbidiscono a principi fondamentali differenti rispetto a quelli propri della cura e della protezione degli interessi privati, tanto sul piano sostanziale quanto su quello giustiziale, non mutuabili dal sistema di diritto privato[21]. Rilevanza dell’elemento volontaristico e atipicità degli effetti giuridici contraddistinguono il diritto privato; procedimentalizzazione dell’attività, unilateralità e tipicità degli effetti giuridici, il diritto amministrativo (e pubblico). Le ragioni della specialità del diritto amministrativo non si risolvono nel mero tecnicismo della disciplina, ma si riassumono nella specificità dei principi informatori. Quella stessa globalizzazione cui è in gran parte imputabile la crisi del sistema attuale tende a imporre che i saperi si omogenizzino quanto più possibile per agevolare la comunicazione e favorire il confronto, e riconosce la specialità della disciplina solo se questa abbia una chiara e giustificata ragion d’essere.

L’ordinamento, gli ordinamenti giuridici sono in trasformazione, e questo rende senz’altro spesso inadeguati gli istituti tradizionali. Ma, quali che siano le forme che il nuovo ordinamento assumerà al termine della crisi, una volta stabilito il nuovo ordine, ci sarà sempre qualcuno che dovrà provvedere alla cura degli interessi propri della collettività unitariamente considerata per assicurarne la conservazione o lo sviluppo. E si riproporrà, a questo punto, l’alternativa tra modelli diversi. Il modello del Principe di Machiavelli, secondo il quale chi governa il popolo non deve preoccuparsi dei modi o mezzi attraverso i quali raggiunge il fine di assicurare la cura dell’interesse della collettività governata; anzi: più inganna il popolo, come la volpe, e più è autoritario, come un leone, e più risponde al modello ideale di buon governatore; non contano le regole dell’azione, perché agire con la forza e non secondo la legge è spesso dovere del buon Principe; il fine giustifica i mezzi[22]. Ovvero il modello del Romagnosi o del Cardinal De Luca, per il quale regola fondamentale «è far prevalere la cosa pubblica alla privata entro i limiti della vera necessità» («Lo che è sinonimo di far prevalere la cosa pubblica alla privata col minimo possibile sacrificio della proprietà privata e libertà. Qui la prevalenza della cosa pubblica alla privata non colpisce il fine o l’effetto ma il semplice mezzo»)[23] ed è essenziale che non diventi «Vanum disputare de potestate»[24]. L’alternativa rende evidente che un ordinamento può anche fare a meno del diritto amministrativo, dei suoi principi e del suo giudice, ma bisogna aver ben presente che su questo piano si gioca il livello di civiltà dell’ordinamento medesimo. 

 

 

1. G. Montedoro ed E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in questo fascicolo.

2. L’ordinanza è stata già oggetto di numerosi commenti dottrinari. Per tutti, vds. M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in Giustizia insieme, 30 novembre 2020 e ivi ulteriori riferimenti (www.giustiziainsieme.it/easyarticles/images/users/367/m.a-sandulli-Guida-alla-lettura.pdf).

3. E. Cannada Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1968 (II ed.).

4. Il problema dell’autonomia dell’azione risarcitoria è centrale nella sentenza n. 500/1999, che ritiene insussistente «la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento (...) in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi l’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 cc riservata ai soli diritti soggettivi», giungendo alla conclusione che, «qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l’illegittimità dell’azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito, poiché l’illegittimità dell’azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 cc». Per più ampi riferimenti, mi sia consentito rinviare a F. Francario, Degradazione e pregiudizialità quali limiti all’autonomia dell’azione risarcitoria, in Dir. amm., n. 3/2007, pp. 441 ss., ripubblicato in Id., Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019. 

5. In tal modo la domanda di risarcimento del danno, in origine questione sempre “riservata” all’autorità giudiziaria ordinaria anche nei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dopo aver rappresentato una questione che poteva essere conosciuta anche dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, è divenuta questione che può essere sempre conosciuta dal giudice amministrativo, anche quando è investito della sola giurisdizione di legittimità. L’evoluzione è meglio riassunta, nei termini essenziali di cui nel testo, in F. Francario, La sentenza: tipologia e ottemperanza nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 4/2016, pp. 1025 ss. 

6. La previsione della possibilità del giudice amministrativo di condannare al risarcimento del danno anche nelle ipotesi di sola giurisdizione generale di legittimità, e quindi a tutela di interessi legittimi, è uscita immune dal giudizio di costituzionalità operato dalla pronuncia Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, e la secolare riserva al giudice ordinario delle «questioni patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre», di cui all’art 30 del Tu delle leggi sul Consiglio di Stato (rd 26 giugno 1924, n. 1054), è stata così definitivamente eliminata: prima dalla sola giurisdizione esclusiva (d.lgs n. 80/1998), poi dalla giurisdizione amministrativa tout court (l. n. 205/2000). 
Con specifico riferimento al profilo del termine di proposizione dell’azione nel termine di 120 giorni per il risarcimento degli interessi legittimi, Corte cost., 22 febbraio 2017, n. 94 afferma che «Il legislatore ha, dunque, delineato una disciplina che riconosce al danneggiato la facoltà di scegliere le modalità della tutela risarcitoria nei confronti dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica, adottando un modello processuale che determina un significativo potenziamento della tutela, anche attraverso il riconoscimento di un’azione risarcitoria autonoma, con il conseguente abbandono del vincolo derivante dalla pregiudizialità amministrativa». Quella della pregiudizialità dell’annullamento è, tuttavia, una questione mai del tutto sopita, che continua ancor oggi a riproporsi praticamente nei medesimi termini in cui veniva posta anteriormente all’entrata in vigore del cpa, negando la proponibilità dell’azione in assenza della previa impugnazione dell’atto amministrativo, a prescindere dalla concreta incidenza sulla determinazione del risarcimento (vds., ad esempio, nota redazionale a Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2020, n. 3040, Il ritorno della pregiudiziale dell’annullamento per la tutela risarcitoria, in Giustizia insieme, 22 maggio 2020, www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1108-il-ritorno-della-pregiudiziale-dell-annullamento-per-la-tutela-risarcitoria).

7. La sentenza afferma chiaramente che i criteri ai quali deve ispirarsi la legge ordinaria quando voglia riservare una “particolare materia” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non consentono «che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.)» e che il criterio dei blocchi di materie non è pertanto un criterio che possa ritenersi sufficiente ai fini del riparto di giurisdizione; non lo è se e in quanto prescinde dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte e se ignora le condizioni minime richieste per la sussistenza della giurisdizione generale di legittimità.

8. Oltre a essere un dato di comune esperienza per gli operatori del diritto, il profilo critico è generalmente sottolineato anche negli studi della dottrina sul tema. Alla lucida sintesi operata da M.A. Sandulli, Riflessioni sull’istruttoria tra procedimento e processo, in Dir. società, n. 2/2020, pp. 203 ss., per ulteriori riferimenti vds. anche, tra gli altri: G. D’Angelo, La cognizione del fatto nel processo amministrativo fra Costituzione, codice e ideologia del giudice, in Jus online, n. 3/2020, pp. 11 ss.; P. Lombardi, Riflessioni in tema di istruttoria nel processo amministrativo: poteri del giudice e giurisdizione soggettiva temperata, in Dir. proc. amm., n. 1/2016, pp. 125 ss.; S. Lucattini, Fatti e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 1/2015, pp. 203 ss.; L.R. Perfetti, L’istruzione nel processo amministrativo e il principio dispositivo, in Riv. dir. proc., n. 1/2015, pp. 72 ss.; B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., n. 1/2014, pp. 74 ss.; M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 1/2013, pp. 100 ss.; F. Saitta, Onere della prova e poteri istruttori del giudice amministrativo dopo la codificazione, in Dir. proc. amm., n. 1/2013, pp. 93 ss.

9. Il tema è stato ampiamente trattato nell’edizione del 2018 delle «Giornate di studio sulla giustizia amministrativa» i cui atti sono raccolti nel volume F. Francario e M.A. Sandulli (a cura di), Profili soggettivi e oggettivi della giurisdizione amministrativa. In ricordo di Leopoldo Mazzarolli, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

10. Cfr. M.A. Sandulli, Guida alla lettura, op. cit.

11. Sulla quale vds. G.A. Primerano, L’actio iudicati nel “nuovo” processo amministrativo (nota a Cons. Stato, ad. plen., 4 dicembre 2020, n. 24), in Giustizia insieme, 12 gennaio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1483-l-actio-iudicati-nel-nuovo-processo-amministrativo-nota-a-cons-stato-ad-plen-4-dicembre-2020-n-24).

12. M. Trimarchi, Natura e regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione al vaglio dell’adunanza plenaria (nota a Consiglio di giustizia amministrativa, sez. giur., 15 dicembre 2020, n. 1136), in Giustizia insieme, 17 febbraio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1560-natura-e-regime-della-responsabilita-civile-della-pubblica-amministrazione-al-vaglio-dell-adunanza-plenaria-nota-a-consiglio-di-giustizia-amministrativa-sez-giur-15-dicembre-2020-n-1136).

13. R. Villata, Pluralità delle azioni ed effettività della tutela, relazione al convegno tenuto a Palazzo Spada il 20 novembre 2019, dedicato ai 130 anni della IV sezione del Consiglio di Stato. Con riferimento all’impiego della formula del giudizio di spettanza, Villata ricorda efficacemente come «l’autore – Falcon – di questa apprezzata formula divenuta di largo utilizzo ha avuto modo di precisare, rivendicando il valore dell’interesse legittimo quale fondamento di una raffinata tecnica di sindacato di legittimità del provvedimento, che “ciò che spetta non è in realtà che un nuovo, corretto esercizio della discrezionalità amministrativa” ovvero che la “spettanza è il risultato dell’esercizio del giudizio sul potere”».

14. Significativa è la rilettura dell’interesse legittimo come figura di teoria generale recentemente operata da F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Giappichelli, Torino, 2019, il quale esclude che sia oggettivamente protetto l’interesse pubblico e che l’interesse privato sia solo occasione per la protezione dell’interesse pubblico, così come che si risolva nel bene della vita cui si aspira, e cioè nella pretesa al bene in quanto tale; per giungere alla conclusione che l’interesse legittimo si sostanzierebbe nell’interesse del privato al provvedimento favorevole. Pur senza risolversi nella legittimità dell’atto, la situazione è e rimane correlata all’esercizio del potere. 

15. Si rinvia a F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in Giustizia insieme, 11 novembre 2020 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1393-quel-pasticciaccio-brutto-di-piazza-cavour-piazza-del-quirinale-e-piazza-capodiferro-la-questione-di-giurisdizione); Id., Quel pasticciaccio della questione di giurisdizione. Parte seconda: conclusioni di un convegno di studi, in Federalismi, 16 dicembre 2020 (www.sipotra.it/wp-content/uploads/2020/12/Quel-pasticciaccio-della-questione-di-giurisdizione.-Parte-seconda-conclusioni-di-un-convegno-di-studi.pdf).

16. G. Della Cananea - M. Dugato - A. Police - M. Renna, Semplificare la disciplina degli appalti pubblici si può. Meglio agire subito, Il Foglio, 2 aprile 2020; V. Visco, Il culto del diritto amministrativo frena la ricostruzione della PA, Il Sole 24 ore, 6 febbraio 2021.

17. Il dibattito è significativamente riassunto nel convegno dedicato dall’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo (Aipda) al tema «Poteri del giudice amministrativo ed efficienza della pubblica amministrazione in materia di appalti», tenuto in forma di webinar il 29 aprile 2020 (www.aipda.it/event/save-the-date_webinar-aipda-emergenza-sanitaria-societa-economia-pubblica-amministrazione/) – cfr. Giustizia insieme, 21 maggio 2020, www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1109-poteri-del-giudice-amministrativo-ed-efficienza-della-pubblica-amministrazione-in-materia-di-appalti.

18. F. Francario, Giurisdizione amministrativa e risarcimento del danno, in Aa. Vv., Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. III, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pp. 2231 ss.

19. Cfr. F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell’amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Federalismi (paper), 15 aprile 2020.

20. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale. Le fonti normative, vol. II, Cedam, Padova, 1970, pp. 24 ss.

21. Le considerazioni di cui nel testo sono state già svolte con riferimento anche al ruolo della dottrina in F. Francario, Considerazioni sul dibattito tra giovani studiosi sui concetti tradizionali del diritto amministrativo e sulla loro evoluzione, in Federalismi, n. 11/2018 (23 maggio), ripubblicato in Id., Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa. Saggi sulla giustizia amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, pp. 561 ss. In sintonia sul tema, vds. di recente anche M. Mazzamuto, L’amministrazione agisce contro il privato di fronte al giudice amministrativo, in Giustizia insieme, 1° marzo 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1589-l-amministrazione-agisce-contro-il-privato-di-fronte-al-giudice-amministrativo).

22. N. Machiavelli, Il principe di Niccholo Machiavello al magnifico Lorenzo di Piero de Medici. La vita di Castruccio Castracani da Lucca a Zanobi Buondelmonti et a Luigi Alemanni descritta per il medesimo. Il modo che tenne il duca Valentino per ammazar Vitellozo, Oliverotto da Fermo il S. Paolo et il duca di Gravina Orsini in Senigaglia, descritta per il medesimo, stampata in Roma per Antonio Blado d’Asola a dì iiij de gennaio del M.D.XXXII (ed. orig. postuma).

23. G.D. Romagnosi, Principi fondamentali di diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni, Parma, 1814, p. 14.

24. Cardinal G.B. De Luca, Summa sive compendium Theatri veritatis et iustitiae, Roma, 1679. La citazione è ripresa da E. Cannada Bartoli, Vanum disputare de potestate, in Dir. proc. amm., n. 2/1989.