Magistratura democratica

Ricostituzione della fiducia e dialogo fra le giurisdizioni

di Alessandro Pajno

Al fine di consentire il “nuovo inizio” di cui il Paese ha bisogno, va ripristinata quella fiducia da tempo entrata in crisi, e in particolare la fiducia nell’amministrazione della giustizia. Il rapporto fra le giurisdizioni va costruito non come rivendicazione di spazi, ma quale contributo a un’impresa comune, l’esercizio dell’unica funzione giurisdizionale. In questo quadro, un’importanza decisiva va attribuita all’intervento della Corte di cassazione. Il pluralismo delle giurisdizioni va letto come declinazione del pluralismo costituzionale. 

1. La fiducia e la sua crisi / 2. Emergenza e ricostituzione della fiducia: i problemi aperti / 3. Crisi della fiducia e crisi della giustizia. I rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa / 4. L’ordinanza n. 19598/2020 delle sezioni unite della Cassazione e la testimonianza del disagio / 5. Il giudice amministrativo come risorsa / 6. L’Europa e il “cambio di paradigma”. Il programma costituzionale sulla giustizia amministrativa / 7. L’art. 24 Cost. come chiave di lettura del sistema di tutela giurisdizionale / 8. L’art. 111, ultimo comma, Cost. e il valore della funzione regolatrice della giurisdizione / 9. Il pluralismo: cuore della democrazia. Il pluralismo delle giurisdizioni come declinazione del pluralismo costituzionale / 10. Sistema plurale e rilevanza della Corte di cassazione / 11. Il nuovo scenario del controllo dei poteri, pubblici e privati. Ruolo del formante giurisprudenziale e di una cultura comune della giurisdizione

 

1. La fiducia e la sua crisi

“Fiducia” è una parola antica, ma capace di evocare radici profonde. Fiducia indica, innanzi tutto, una relazione, un affidamento nei confronti di qualcuno (in Dio, nel prossimo), in un sistema di valori, nelle istituzioni. Lingue come il francese e lo spagnolo evocano il connotato sociale della fiducia attraverso il prefisso “con” (confiance, confianza) e la lingua inglese pone in luce un’altra importante relazione, quella con la verità, grazie alla parola trust, che deriva da true, vero. Non può esserci fiducia senza verità[1].

La fiducia investe anche il rapporto con il tempo: essa suppone una relazione con un passato su cui si fa affidamento, e nello stesso tempo un rapporto con il futuro. In esso, la fiducia si proietta e diviene speranza.

La fiducia riguarda pertanto le relazioni personali e sociali, l’economia (non c’è mercato senza fiducia), le istituzioni, che hanno il compito di promuoverla (non a caso la fiducia è divenuta un istituto della democrazia parlamentare e ha un ruolo fondamentale nelle scienze giuridiche). Il codice civile richiama più volte il principio di buona fede; quello del legittimo affidamento è richiamato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Lussemburgo, mentre nel rapporto fra soggetti istituzionali esso assume il volto della leale cooperazione.

Della fiducia si registra da tempo una grave crisi. Molte sono le cause del fenomeno e non è questo il luogo per approfondirle: tuttavia, un ruolo significativo è stato svolto dal modo in cui è stato percepito il mutamento di direzione del fenomeno della globalizzazione. Questa, considerata capace di generare fiducia perché volta a garantire insieme crescita sociale e libertà individuale, è divenuta nella percezione del cittadino un processo che provoca incertezza nei confronti del futuro e ansia per il proprio destino personale. A fronte della prospettiva della globalizzazione si è cercato rifugio nel confine, ritenuto strumento capace di costruire un riparo in un mondo ormai senza certezze; da qui la fortuna dei nazionalismi e dei sovranismi.

Con il passare del tempo, la crisi della fiducia è divenuta crisi della politica intesa come crisi della decisione pubblica[2]. Quella della fiducia è divenuta crisi della legge, sempre più incerta e sempre meno capace di regolare e, in via di stretta conseguenzialità, crisi dell’amministrazione, deputata a scegliere nel concreto le modalità della realizzazione dell’interesse pubblico e della giurisdizione, che all’attuazione concreta della volontà di legge è istituzionalmente chiamata.

La crisi della fiducia è così, in qualche modo, giunta alla radice dello stesso tessuto costituzionale e istituzionale.

 

2. Emergenza e ricostituzione della fiducia: i problemi aperti

È su uno scenario del genere che è calata la pandemia da coronavirus e, con essa, le misure sociali, giuridiche ed economiche che l’hanno accompagnata e che ancora permangono.

Con la pandemia è piombata sul Paese l’emergenza, con tutte le sue ambiguità, ma anche con le sue possibilità. Essa, infatti non è soltanto la stagione che sospende il tempo presente, ma sopraggiunge carica dei problemi irrisolti del passato, e si proietta sul futuro, interrogandosi sulle condizioni necessarie per consentire un “nuovo inizio” del Paese[3]. Si ripropone, in tal modo, la situazione che ha condotto a quella crisi della fiducia che è stata indicata sopra. È questa fiducia che va in qualche modo ripristinata per consentire, con le nuove misure progettate per l’uscita dalla crisi, quel “nuovo inizio” di cui il Paese ha bisogno.

Progettare il futuro significa, allora, tentare di ricostruire quella fiducia che costituisce l’anticorpo necessario per il nuovo inizio del Paese, perché questo non potrà aver luogo se non si fornisce soluzione a quei problemi che da tempo lo affliggono. Si tratta, allora, di identificare con chiarezza quelle questioni, non soltanto istituzionali ma anche culturali, indispensabili per un assetto più stabile e armonioso della vita del Paese dopo la pandemia. Non si tratta solo di far presto, ma di fare bene.

 

3. Crisi della fiducia e crisi della giustizia. I rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa

Fra le questioni che hanno contribuito alla crisi della fiducia vi è anche quella della giustizia, che è anche crisi di fiducia nei riguardi di chi è chiamato ad amministrarla.

Fatti su cui le cronache si sono a lungo soffermate hanno contribuito a incrementare ulteriormente la sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia; e il discredito che ne deriva coinvolge, in realtà, non questa o quella questione, non questa o quella giurisdizione, ma tutti gli ordini di giurisdizione, ritenuti, alla fine, come corpi impenetrabili all’innovazione, fondamentalmente autoreferenziali, preoccupati più di esercitare un potere che di rendere un servizio.

La crisi di fiducia transita, così, dai soggetti chiamati a esercitarli alla funzione; questa viene vista ora come gravata da formalismi e contraddizioni, ora come inidonea ad assicurare una soddisfazione effettiva della domanda di giustizia, ora come indifferente a quanto accade attorno a lei e alle ragioni dello sviluppo, decisive per la ripresa del Paese.

La giurisdizione viene percepita, come è stato detto, come intrinsecamente a-economica, espressione solo di sovranità e di diritti, dunque senza costo e senza tempo[4].

Molti sono i problemi legati all’amministrazione della giustizia: tra di essi, uno capace di generare difficoltà e incertezza, e quindi di incrementare la sfiducia, è quello legato ai non sempre facili rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa, fra Corte di cassazione e Consiglio di Stato con riferimento alla delimitazione dei rispettivi ambiti di intervento.

Il mondo della giustizia conosce, forse, problemi più gravi; tuttavia la difficoltà del rapporto tra giurisdizione ordinaria e giustizia amministrativa, la fatica nello stabilire i reciproci confini, si risolvono obiettivamente in un aumento dell’incertezza per i cittadini, in un conseguente incremento della sfiducia e un ulteriore incremento dei tempi della giustizia, che vedono, in quasi tutti i casi riguardanti opere pubbliche di rilievo o questioni rilevanti per l’economia, un giudizio che si conclude con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione avverso la sentenza del Consiglio di Stato (spesso, comunque, dichiarato inammissibile dalla Corte regolatrice).

 

4. L’ordinanza n. 19598/2020 delle sezioni unite della Cassazione e la testimonianza del disagio

Queste difficoltà nel rapporto tra giurisdizione ordinaria e giustizia amministrativa hanno trovato, adesso, un ulteriore significativo riconoscimento nella nota ordinanza n. 19598/2020 delle sezioni unite della Corte di cassazione, che ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo sull’ampiezza del proprio sindacato sulle sentenze del Consiglio di Stato con riferimento all’ipotesi di violazione del diritto europeo.

In tal modo la Corte avrebbe, in qualche modo, come è stato osservato, sottoposto alla Corte di Lussemburgo il modello italiano di giustizia amministrativa[5], e anzi, ciò sarebbe avvenuto osando «l’inaudito, cioè sostanzialmente impugnando una sentenza della Corte costituzionale»[6], sicché la «guerra tra le Corti» sarebbe «ormai dichiarata in modi che ben si possono definire spettacolari»[7]

Non è questo il luogo per esaminare l’ordinanza della Corte regolatrice e per contribuire al dibattito (e alle polemiche) che l’hanno accompagnato. Quel che qui si vuol mettere in luce è soltanto il fatto che esso costituisce oggettivamente una significativa e incontrovertibile testimonianza del disagio che serpeggia fra le corti nazionali, delle difficoltà in cui operano i loro componenti e dell’aumento dell’incertezza che, inevitabilmente, si riflette sull’ordinamento proprio a seguito di pronunce di corti supreme – Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte costituzionale – che nella diminuzione dell’incertezza e nella ricostruzione della fiducia dovrebbero trovare la propria missione.

L’ordinanza delle sezioni unite contribuisce a squarciare il velo dell’ipocrisia e ci mette di fronte a un problema oggettivo: alla presenza, cioè, di corti che sembrano, talvolta, concepire la propria funzione come rivendicazione e appropriazione di potere piuttosto che come contributo a un lavoro e a una impresa comune, a un modo divisivo e non unitivo di esercitare, nella diversità degli ordini, l’unica funzione giurisdizionale.

Questa, per dir così, attitudine divisiva sembra proiettarsi anche oltre i confini: colpisce, il fatto che i numerosi commentatori dell’ordinanza sopra ricordata si siano a loro volta, in qualche modo, suddivisi in schieramenti contrapposti volti a sostenere (spesso con argomenti non banali) le ragioni delle diverse parti in causa: testimonianza, questa, del fatto che una cultura divisiva genera a sua volta divisioni e, di conseguenza, incertezza. Si evidenzia, così, un problema antico che è forse dovuto a qualche incertezza nell’assetto normativo, ma che è anche un problema culturale: un problema che va, in qualche modo, risolto, se si vuol contribuire alla diminuzione dell’incertezza e alla ri-costituzione della fiducia. 

E infatti, se la fiducia implica, come si è visto, una relazione e un rapporto con la verità, occorre che i diversi protagonisti – giudici, avvocati, studiosi – comunichino fra di loro e si parlino guardando alla verità dei fatti.

 

5. Il giudice amministrativo come risorsa

Considerato da questo punto di vista, l’intervento di Giancarlo Montedoro ed Enrico Scoditti[8] costituisce un documento importante per comunicare, discutere, costruire un dialogo nel segno della fiducia e trovare soluzioni capaci di superare le difficoltà. 

Colpisce, innanzi tutto, il titolo del contributo («Il giudice amministrativo come risorsa»): esso segnala che non tutti, probabilmente, hanno considerato positivamente la crescita, negli anni, del sistema di giustizia amministrativa, ma evidenzia con forza nello stesso tempo, che questo sistema costituisce una ricchezza, perché ha incrementato in modo significativo la possibilità di tutela del cittadino, in senso quantitativo e anche qualitativo. 

Il documento è tuttavia rilevante anche perché suggerisce un possibile percorso per pervenire a una visione condivisa sulla giustizia amministrativa, che va dalla considerazione della sua origine storica al rapporto tra pluralismo delle giurisdizioni e costituzionalismo e democrazia, alle questioni che attengono alla dialettica tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa (la giurisdizione esclusiva, il riparto), ai problemi legati all’ordinamento della magistratura amministrativa, al sindacato sul potere, alla necessità di pervenire a una cultura comune della giurisdizione, utile per affrontare le sfide poste a un Paese stremato dalla pandemia.

Molte delle osservazioni formulate nell’intervento di Montedoro e Scoditti sono condivisibili e non possono certo essere affrontate in questa sede tutte le questioni tecniche che in esso sono indicate; quel che può essere fatto è ricordare, in primo luogo, che queste stesse questioni vanno esaminate con un approccio costruttivo e non rivendicativo, poiché non si tratta di definire ciò che è dominio riservato dell’uno o dell’altro ordine di giurisdizione, ma di procedere con la logica di chi costruisce la casa comune della giustizia, indispensabile per la qualità della democrazia.

È forse in questo senso che Montedoro e Scoditti invitano a ripensare i problemi di valenza tecnica nel quadro culturale e pluralista di una democrazia liberale.

In secondo luogo, può essere utile richiamare alcune riflessioni che costituiscono, almeno nella prospettiva di chi scrive, alcuni momenti significativi attorno a cui è possibile costruire il percorso idoneo a restituire un maggior grado di certezza, a Costituzione invariata, alle relazioni tra giustizia ordinaria e giustizia amministrativa, nell’interesse del cittadino.

 

6. L’Europa e il “cambio di paradigma”. Il programma costituzionale sulla giustizia amministrativa

Se è sempre dalla considerazione della realtà che bisogna partire, occorre prendere atto che, nel corso degli anni, la giustizia amministrativa ha conosciuto un incremento assai significativo non soltanto dei suoi ambiti, ma anche con riferimento alla qualità e quantità di poteri riconosciuti al giudice amministrativo. Si tratta di un fenomeno non soltanto italiano, se si considerano le parole di uno studioso come E. García de Enterría, che parla di un autentico cambio di paradigma nei sistemi di giustizia amministrativa in Europa; cambio di paradigma da cui deriva un ruolo nuovo del giudice amministrativo, chiamato ormai a «tutelare lo spazio di libertà che il cittadino contemporaneo ha conquistato in modo definitivo e sulle cui fondamenta, soltanto, può edificare e proteggere la sua vita personale»[9].

La crescita del sistema di giustizia amministrativa costituisce, pertanto, un tratto distintivo delle democrazie europee e non è dovuta, per quanto riguarda il nostro Paese, alla singolarità delle scelte del legislatore, ovvero all’astuzia di alcuni gruppi di pressione, ma all’attuazione del “programma” costituzionale sulla giustizia amministrativa. Occorre, infatti tener presente che la Costituzione, se da una parte ha assunto il sistema formatosi dopo la legge abolitiva del contenzioso amministrativo, registra, dall’altra, disposizioni contenenti forti elementi di innovazione (artt. 24, 113, terzo comma, e 125 Cost.) che, nel loro insieme, delineano un vero e proprio “programma costituzionale” da attuare attraverso la legislazione ordinaria[10]. Questo programma è stato realizzato attraverso interventi del legislatore, sentenze della Corte costituzionale e con l’apporto decisivo della giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, e ha trovato un assetto compiuto nel codice del processo amministrativo approvato con d.lgs 2 luglio 2010, n. 104.

L’immagine complessiva che ne risulta è molto diversa da quella iniziale, ed è la stessa giurisprudenza costituzionale a rendere palese questo processo. Le prime sentenze della Consulta descrivono, infatti, il Consiglio di Stato come un organo di giurisdizione speciale sopravvissuto all’entrata in vigore della Carta costituzionale, anche in vista di una graduale revisione[11], e conservato perché si era stabilito di non portare alle estreme conseguenze il principio di unità della giurisdizione[12]; la giurisprudenza degli anni duemila (anteriore al codice) riconosce al Consiglio di Stato e ai tribunali amministrativi «piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate (dal modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865»[13] e assegna al giudice amministrativo, quale giudice naturale dell’esercizio della funzione pubblica, «poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche una tutela risarcitoria, per equivalente o in forma specifica, per il danno asseritamente sofferto anche in violazione di diritti fondamentali, in dipendenza dell’illegittimo esercizio della funzione pubblica»[14].

Le decisioni della Consulta degli anni duemila registrano, così, l’attuazione del “programma costituzionale” sulla giustizia amministrativa; di questo programma costituisce realizzazione anche l’incremento della giurisdizione esclusiva.

Della giurisdizione esclusiva la Consulta ha, correttamente, ricordato il fondamento e i limiti con la sentenza n. 204/2004; occorrerebbe, peraltro, chiedersi perché il ricorso alla giurisdizione esclusiva da parte del legislatore ordinario sia stato e, almeno in parte, continui a essere pregnante. La risposta è semplice: si tratta di un modo di operare, autorizzato dall’art. 103 Cost., che realizza in maniera efficace la concentrazione delle tutele in un’unica sede giudiziaria, e quindi le esigenze del principio di effettività di cui all’art. 24 Cost. Quello che è definito, nel contributo di Montedoro e Scoditti, un mutamento della Costituzione materiale costituisce anche un modo di realizzare le esigenze di effettività della tutela. È, probabilmente, con questa ottica che dovrebbero essere considerate le diverse questioni che si pongono a proposito della giurisdizione esclusiva, dal momento che allontanarsi da tale ottica potrebbe risolversi, in qualche modo, in una compromissione di quelle esigenze di effettività che la Costituzione invita concretamente a realizzare.

 

7. L’art. 24 Cost. come chiave di lettura del sistema di tutela giurisdizionale

Le osservazioni che precedono contribuiscono a richiamare l’attenzione sull’art. 24 Cost., vera norma fondativa del sistema di tutela giurisdizionale, non a caso inserita nella prima parte della Costituzione.

Sull’art. 24 Cost. molto si è scritto, e non è certo il caso di ripetere cose già dette molto bene da altri. Quel che, invece, pare utile osservare è che il senso profondo di tale disposizione non sta soltanto nel dare copertura costituzionale alla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e nella scelta conseguente di costituzionalizzare la struttura dualista della tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione, quanto, piuttosto, nel sottolineare con forza che, a fronte della lesione di qualunque situazione soggettiva, l’unica risposta non può che essere quella dell’accesso alla tutela giurisdizionale attraverso l’esercizio del diritto di azione.

Riguardata in questa prospettiva, la disposizione di cui all’art. 24 Cost. ha, innanzi tutto, un connotato sostanziale, richiamando l’attenzione su tutte le situazioni soggettive che l’ordinamento riconosce meritevoli di tutela, per evidenziare poi il connotato processuale, e cioè che a fronte della lesione di esse non può che esservi l’accesso alla tutela giurisdizionale.

In questa prospettiva – nella prospettiva cioè di una norma di principio e di una disposizione sul complessivo sistema di tutela giurisdizionale – ciò che colpisce è il fatto che alla enunciazione delle diverse situazioni soggettive non sia correlata una indicazione dei diversi ordini di giudici chiamati a tutelarli (lo farà successivamente, ma in una diversa ottica, l’art. 113, primo comma, Cost.), ma semplicemente l’affermazione del diritto di agire in giudizio.

Val quanto dire che ogni forma di protezione giurisdizionale azionabile da parte di chi è leso nella propria situazione soggettiva costituisce un valore, e che non vi è distinzione né limitazione a questo valore in relazione a qualunque potere, privato o pubblico, e a qualunque tipo di organizzazione del giudice e del giudizio.

In questo senso, l’art. 24 Cost. è una norma, oltre che sul diritto di azione, sull’unità funzionale della giurisdizione e su un complessivo, unitario, sistema di tutela giurisdizionale, mentre le disposizioni contenute negli artt. 103 e 113 Cost. sono norme sull’organizzazione del sistema di tutela e, con riferimento all’esercizio del potere pubblico, sulla divisione dei lavori dei giudici, che non sono monopolisti delle diverse tecniche di tutela giurisdizionale, dal momento che spetta alla legge (art. 103, terzo comma, Cost.) indicare chi ne è titolare.

È, quindi, proprio sull’art. 24 Cost. che deve trovare fondamento una cultura comune della giurisdizione e la consapevolezza dell’esercizio di una identica funzione, pur nella diversità delle forme organizzative: una cultura in cui dovrebbero essere privilegiate le forme riguardanti l’unità della funzione e le conseguenti letture unificanti del sistema di tutela giurisdizionale, piuttosto che le forme riguardanti l’appartenenza all’una o all’altra organizzazione della giurisdizione. La consapevolezza dell’appartenenza a un sistema comune, anche se diversamente organizzato, dovrebbe costituire l’ottica in cui ogni giudice – ordinario, amministrativo, contabile – è chiamato a svolgere la propria funzione e la chiave di lettura delle modalità di effettuazione del riparto, non solo da parte della Cassazione, ma da parte di qualunque giudice: il riparto dovrebbe essere effettuato sempre nell’ottica della garanzia dell’effettività della tutela piuttosto che nella sola prospettiva dell’appartenenza della questione all’uno o all’altro ordine di giudici.

 

8. L’art. 111, ultimo comma, Cost. e il valore della funzione regolatrice della giurisdizione

Le osservazioni sin qui esposte conducono, così, alle questioni legate al pluralismo delle organizzazioni in cui si articola la giurisdizione. Anche qui molte cose sono state scritte. Vale la pena, solo, di ricordare che nella Costituzione è sufficientemente chiara la scelta per l’unità funzionale, non organica della giurisdizione e che la consapevolezza di questa scelta condiziona la modalità di costruzione e la funzione dello stesso riparto di giurisdizione.

È noto che la questione dell’impugnabilità in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti fu oggetto di dibattito in Assemblea costituente, insieme a quella concernente l’unicità o pluralità delle Corti di cassazione. È noto, altresì, che la proposta di Costantino Mortati, volta ad attribuire i conflitti di giurisdizione alla Corte di garanzia costituzionale, sul presupposto che in un sistema fondato sull’unità funzionale e non organica i conflitti di giurisdizione assumevano carattere costituzionale[15], non trovò accoglimento; venne, invece, approvata la proposta della Commissione che recepiva un emendamento dell’On. Leone[16] e che, pur prevedendo il ricorso per cassazione per violazione di legge avverso le sentenze dei giudici speciali, disponeva che avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso fosse ammesso «per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Nell’illustrare la proposta, nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947, l’On. Rossi (un emendamento dal quale aveva assorbito la proposta Leone) richiamò le ragioni legate all’unità della giurisdizione e alla impugnabilità in Cassazione per violazione di legge delle sentenze dei giudici speciali, ma precisò che, con l’impugnabilità per soli motivi inerenti alla giurisdizione delle pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, si era in parte «cercato di accogliere il criterio dell’On. Mortati»[17]. In tal modo, era stata introdotta una apposita garanzia «senza che si sia violata la giurisdizione speciale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti perché è stabilito che il ricorso è ammesso per soli motivi inerenti alla giurisdizione»[18].

Il testo dell’art. 102, approvato in sede di Assemblea costituente e divenuto poi l’ultimo comma dell’art. 111 Cost, era dunque il frutto di un compromesso, che accoglieva una parte della proposta Mortati, volta a porre una garanzia concreta alla pluralità delle giurisdizioni nell’unità della funzione: garanzia consistente nella sottrazione al ricorso per violazione di legge delle sentenze del Consiglio di Stato e alla ricorribilità delle medesime per soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Evidente appare, allora, il senso della previsione contenuta nell’art. 111, ultimo comma, Cost. e il ruolo che la disposizione assume nell’ordinamento e nel suo equilibrio complessivo; nello stesso tempo, si manifesta con chiarezza il compito che la Costituzione ha affidato alle sezioni unite della Cassazione in sede di regolazione della giurisdizione.

Ed infatti, la previsione costituzionale di cui all’art. 111 ultimo comma obbedisce allo scopo di garantire il pluralismo degli ordini di giurisdizione e l’autonomia che per essi la Costituzione ha voluto, sicché uno “schiacciamento” delle ipotesi riconducibili all’art. 111, ottavo comma, su quello previsto dal settimo comma dello stesso articolo, potrebbe risolversi in un’alterazione dell’equilibrio voluto dalla Carta costituzionale e, in ultima analisi, nel rischio di non adeguato funzionamento del sistema di tutela giurisdizionale.

Correlativamente, si palesa l’importanza speciale del ruolo attribuito alla Corte di cassazione come Corte regolatrice della giurisdizione: un ruolo, in un certo senso, quasi costituzionale, se è vero che l’art. 111 Cost., recependo in parte la proposta di Mortati, ne recepì anche lo spirito, che vedeva nel conflitto fra giurisdizioni una questione di rilievo costituzionale. Val quanto dire che la funzione di regolazione della giurisdizione obbedisce allo scopo di garantire il buon funzionamento dell’intero sistema di tutela giurisdizionale, il suo sviluppo e la sua attuazione nel quadro voluto dalla Costituzione e negli equilibri da questa previsti e che la Corte, quando esercita quella funzione, non è tanto un organo di questo o di quell’ordine di giurisdizione, ma dell’ordinamento nel suo complesso. Essa, infatti, diviene in qualche modo garante del buon funzionamento dell’intero sistema giurisdizionale e, di conseguenza, dello stesso pluralismo degli ordini di giurisdizione che la Costituzione ha voluto non solo preservare, ma sviluppare. Nella funzione regolatrice dovrebbe essere assente qualunque logica di rivendicazione o di appartenenza, mentre qualunque organo di giurisdizione – ordinaria, amministrativa, contabile – dovrebbe sentire l’attività di regolazione come volta a dare corpo al buon funzionamento del sistema giurisdizionale. In un certo senso, la Corte regolatrice è anche garante del buon funzionamento di un sistema plurale.

Un compito del genere è certamente complesso, sia perché suppone una visione completa e articolata dell’ordinamento e del suo sviluppo e dei modi di pensare e di operare dei diversi ordini di giurisdizione, sia perché è lo stesso ordinamento a evolversi continuamente, anche per l’influenza dei giudici sovranazionali.

Sotto questo profilo, appare comprensibile il fatto che l’incremento della giurisdizione esclusiva con l’ampliamento delle questioni relative ai diritti assegnate al giudice amministrativo abbia posto delle difficoltà, rese forse ancora più forti del permanere di una cultura che vede nei diritti soggettivi e negli interessi legittimi non due posizioni sostanziali differenti ma meritevoli di tutela, ma domini separati di giurisdizioni diverse. Tuttavia, è proprio su sfide di questo genere che si misura, in qualche modo, la consapevolezza dello svolgimento di una funzione a servizio dell’intero ordinamento e del suo corretto funzionamento. Si tratta di un connotato che dovrebbe caratterizzare l’operato di qualunque giudice, non solo della Corte regolatrice, perché qualunque giudice, quando esamina una questione di giurisdizione, si occupa di un profilo che attiene al buon funzionamento dell’intero sistema di tutela giurisdizionale.

Da questo punto di vista, un contributo non privo di valore può venire dalla consapevolezza che anche la risoluzione della questione di giurisdizione dovrebbe essere effettuata nel quadro unificante dell’art. 24 Cost.

Anche la soluzione della questione della giurisdizione deve, infatti, essere vista nel segno unificante dell’effettività della tutela, come valore primario. Le operazioni volte a distinguere l’appartenenza di una questione all’una o all’altra delle giurisdizioni non sfuggono, infatti, alle esigenze poste dall’art. 24, costituendo esse un filo che percorre tutto l’ordito della tutela giurisdizionale.

Sotto questo profilo, nel concreto della situazione presente, un’importanza decisiva va attribuita all’intervento della Corte regolatrice; il suo operato può, infatti, contribuire in modo significativo a quel recupero della fiducia che costituisce l’antidoto migliore alle situazioni di crisi e di difficoltà.

Non può, peraltro, essere trascurato il fatto che è in qualche modo la stessa Costituzione a “drammatizzare” la questione di giurisdizione, costruendola come questione deducibile con un mezzo di impugnazione.

Il riparto di giurisdizione dovrebbe essere vissuto come un problema attinente alla divisione e all’organizzazione del lavoro dei giudici, da risolvere, ove possibile, prima di qualunque decisione. La Costituzione ne fa invece un mezzo di impugnazione delle sentenze dei giudici ordinari o amministrativi, così facendone la possibile fase finale del processo, destinata per ciò solo a intervenire pesantemente sulla sua durata.

In un sistema fondato sulla pluralità degli ordini dei giudici, quella della giurisdizione dovrebbe essere una questione attinente alla divisione (e all’organizzazione) del lavoro comune dei giudici e non uno strumento per evitare la formazione del giudicato. Occorrerebbe, in altri termini, procedere a una sorta di “dequotazione” della questione di giurisdizione. Un esito del genere non è pienamente possibile a Costituzione invariata; si muove, tuttavia, in questa ottica il cd. giudicato implicito sulla giurisdizione, fatto proprio, sulla scorta delle indicazioni della giurisprudenza della Suprema corte, anche dal codice del processo amministrativo (art. 9 cpa). Si potrebbe, forse, pensare a interventi del legislatore ordinario volti a semplificare la soluzione della questione di giurisdizione, anche in sede di impugnazione; in ogni caso, un contributo non privo di qualità potrebbe venire dalla consapevolezza del valore del ricorso ex art. 111, ultimo comma, Cost. come strumento deputato al buon funzionamento del sistema plurale di tutela giurisdizionale, nel segno dell’effettività.

 

9. Il pluralismo: cuore della democrazia. Il pluralismo delle giurisdizioni come declinazione del pluralismo costituzionale

Nel documento di Montedoro e Scoditti vi è un passaggio assai rilevante, che collega il pluralismo degli ordini di giudici al costituzionalismo contemporaneo, indicando proprio nel pluralismo la forma organizzativa delle moderne democrazie occidentali. 

Si è visto sopra come il principio dell’unità funzionale e non organica sia iscritto sin dall’inizio nelle scelte del legislatore costituzionale; è innegabile, però, che l’attuazione del programma costituzionale sulla giustizia amministrativa, l’interazione con gli ordinamenti sovranazionali, la speciale rilevanza della giurisprudenza costituzionale nel dare concreto riconoscimento ai valori costituzionali, la presa di coscienza della dimensione plurale dei livelli di governo e dei modelli organizzativi del potere, abbiano reso sempre più evidente la centralità della dimensione plurale della democrazia.

Non c’è democrazia reale senza dimensione plurale, accettazione e condivisione delle differenze come ricchezza che viene dalla società e che attende di essere unificata nella complessità dell’ordinamento; non a caso populismo e sovranismo sono indicati come le vere malattie della democrazia, proprio perché si risolvono nella perdita di valore di ciò che, sul piano sociale e istituzionale, è manifestazione del principio di pluralismo (i corpi intermedi, la democrazia rappresentativa, le istituzioni di garanzia) e nella valorizzazione del rapporto diretto tra popolo e leader.

La stessa Costituzione del 1948 è fortemente ispirata al principio di pluralismo. Ne sono testimonianza: l’art. 2, con il particolare riconoscimento del valore delle formazioni sociali; l’art. 5, con la valorizzazione del principio di autonomia; la presenza di modelli diversi di amministrazione (quella ministeriale, quella delle amministrazioni indipendenti o neutrali, quella del policentrismo autonomistico). La stessa Repubblica, intesa come ordinamento complessivo ma unitario del Paese, appare alla fine, nell’art. 114, primo comma, Cost., nel testo introdotto dalla l. cost. n. 3/2001, come un sistema plurale.

È in questo contesto che si inserisce e cresce il pluralismo delle giurisdizioni: un pluralismo capace di raccogliere le diverse domande di protezione che vengono da una società complessa e anch’essa plurale e capace di inseguire il potere nelle sue manifestazioni molteplici, per assicurare al cittadino le garanzie necessarie.

Un sistema giurisdizionale plurale raccoglie più efficacemente le domande della società e più facilmente controlla le diverse manifestazioni del potere; non può, d’altra parte, essere considerato un caso il fatto che la maggior parte dei Paesi dell’Europa continentale sia dotata di sistemi che vedono il pluralismo degli ordini di giudici, anche se, come affermano Montedoro e Scoditti, con criteri diversi di riparto per quanto riguarda il rapporto tra giudici ordinari e amministrativi. Ciò, peraltro, non mette in discussione il valore del pluralismo nel sistema di tutela giurisdizionale; può, semmai, interrogarci sulla perdurante validità dei criteri di riparto propri dell’esperienza italiana.

È nel contesto sopra descritto che può essere affermato pienamente il ruolo della Corte regolatrice come garante del buon funzionamento del sistema di tutela giurisdizionale, nel segno dell’effettività.

 

10. Sistema plurale e rilevanza della Corte di cassazione

Il pluralismo degli ordini di giurisdizione non si risolve in una perdita di rilevanza del ruolo della Corte di cassazione, che rimane decisivo anche in un sistema plurale, e non solo per l’importante compito che ad essa attribuisce l’art. 111, ultimo comma, Cost. 

La Corte di cassazione vive in questo sistema plurale e in esso opera. Se è vero, infatti, come affermano Scoditti e Montedoro, che Cassazione e Consiglio di Stato esercitano, nei rispettivi ambiti, funzioni di nomofilachia, non può essere senza rilievo il fatto che il legislatore, nel disciplinare i compiti di nomofilachia attribuiti al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, abbia ritenuto di utilizzare, nel codice del processo amministrativo (art. 99 cpa) e nel codice di giustizia contabile (art. 114 cgc) disposizioni simili a quelle contenute nell’art. 374 cpc con riferimento alla Cassazione.

Il modello organizzativo della nomofilachia della Cassazione si diffonde nel sistema plurale passando alle altre giurisdizioni, che trovano la conferma del ruolo di vertice nei propri ordinamenti sezionali proprio grazie all’utilizzazione di tale modello.

La stessa Suprema corte ha, d’altra parte, offerto un contributo importante alla costruzione di questo sistema plurale, grazie, ad esempio, alla notissima sentenza sulla risarcibilità dell’interesse legittimo[19] e a quella che ha affermato, ancor prima della Corte costituzionale (ma con una motivazione da questa non condivisa), la possibilità della translatio iudicii[20] e, con essa, dell’esistenza di un reticolo processuale comune.

 

11. Il nuovo scenario del controllo dei poteri, pubblici e privati. Ruolo del formante giurisprudenziale e di una cultura comune della giurisdizione

Il documento di Montedoro e Scoditti descrive con dovizia di particolari il nuovo scenario del sindacato sul potere amministrativo, nel quadro che la pandemia ha aperto e ci mette dinanzi per gli anni a venire. Si tratta di un quadro nel quale l’attenzione alla dimensione sociale e a quella ecologica, la necessità del rilancio dell’economia assegnano un nuovo spazio al potere pubblico e al suo esercizio, proprio nel momento in cui i poteri privati, a loro volta, pervadono e condizionano le nostre vite. Basta, per rendersi conto di ciò, por mente alla questione dei vaccini, e al ruolo crescente dei grandi players dell’intelligenza artificiale, che si manifesta sempre di più come un autentico potere e come ogni potere dovrebbe essere trattato, con la predisposizione di adeguati pesi e contrappesi. «Facebook definisce chi siamo, Amazon definisce cosa vogliamo, Google definisce cosa pensiamo», si legge profeticamente nel volume di G. Dyson su Turing[21].

Quella che viene sarà, pertanto, una stagione nella quale saranno decisivi sviluppo economico e sociale e controllo dei poteri pubblici e privati. Un ruolo di primo piano sarà giocato anche dal giudice amministrativo, attraverso la sua capacità di sindacare fin nelle pieghe l’esercizio del potere, attraverso una cognizione che si fa sempre più penetrante, che fa del merito amministrativo un limite destinato, in qualche modo, a spostarsi progressivamente.

Su questo argomento lo scritto di Montedoro e Scoditti contiene osservazioni di grande profondità. Ciò che però non sembra ragionevole né possibile è, invece, rinunciare ad attingere anche alle categorie del diritto comune, proprio perché esse sono tali, cioè categorie generali, e non è possibile che il principio di buona fede non investa anche, come ricorda Fabio Merusi[22], la funzione amministrativa e i comportamenti amministrativi anche mediatamente legati con il potere. Il diritto amministrativo conosce ormai da tempo al proprio interno, anche per l’influenza determinante del diritto dell’Unione europea, moduli di diritto pubblico e moduli di diritto comune, mentre i principi non costituiscono dominio riservato né delle partizioni del diritto né delle diverse giurisdizioni. Ancora di recente, d’altra parte, Bernardo Sordi ha ricordato che quella fra pubblico e privato è una distinzione meramente stipulativa[23], e che la «grande dicotomia» da tempo non è più tale, che «le zone di confine, in cui Stato e mercato, pubblico e privato si compenetrano e si realizza la contemporanea tutela degli interessi pubblici e privati» restano il marchio indelebile della contemporaneità[24].

Lo scenario che si prepara per il nostro mondo vede una crescita importante dei poteri pubblici e privati, a fronte dei quali l’unità del diritto «costituisce ancora un richiamo possente contro le sovradeterminazioni, le immagini semplificate e riduttive della sovranità e della parallela signoria individuale, contro gli eccessi dello statalismo e dell’individualismo»[25].

Se proprio si vuol parlare di un futuro destinato a rilanciare il ruolo del pubblico, occorre aver chiaro che questo avverrà anche attraverso la disseminazione della cultura dei limiti del potere oltre il polo della dicotomia in cui essa si è affermata, muovendo dal pubblico verso i poteri privati; per far questo è necessario che i giuristi mescolino le proprie culture, le proprie tradizioni e impostazioni, le proprie tecniche di tutela.

Una opera del genere implica un grande ruolo del formante giurisprudenziale, e questo ruolo sarà tanto più decisivo quanto più forte sarà la cultura comune della giurisdizione. Questa suppone, forse, mutamenti legislativi, interventi costituzionali, ma può essere costruita sin da oggi, a legislazione invariata, attraverso strumenti che organizzino il dialogo fra i giudici, il confronto fra le loro soluzioni, la loro collaborazione in uno spirito di considerazione delle ragioni di ciascuno che sono anche le ragioni di tutti, nell’interesse degli utenti del servizio pubblico della giustizia. Un ruolo determinate sarà svolto dalle Corti supreme nei loro diversi ambiti, perché solo esse possono contribuire alla diminuzione di quella incertezza che costituisce un freno per il rilancio sociale ed economico del Paese. La realizzazione di un dialogo aperto e costante fra i diversi ordini di giurisdizione, in forme anche conoscibili da parte dei cittadini, la creazione di istituzioni anche giudiziarie comuni, ove ciò fosse ritenuto compatibile con il quadro costituzionale (il Tribunale superiore delle acque pubbliche fornisce una esperienza da non trascurare) possono forse contribuire a quella ricostituzione della fiducia che costituisce, alla fine, il “vaccino” necessario per superare l’emergenza e consentire la ripartenza del Paese. 

 

 

1. A. Pajno, Progettare il futuro, in Nuova antologia, n. 2294/2020 (aprile-giugno), pp. 27 ss.

2. A. Pajno, op. ult. cit., pp. 29 ss.

3. Ivi, p. 30.

4. S. Rossi, Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. IX. Vds. anche A. Pajno, Processo amministrativo e processo economico, in Analisi giuridica dell’economia, n. 1/2020, pp. 208 ss.

5. A. Travi, I motivi inerenti alla giurisdizione ed il diritto dell’Unione in una recente ordinanza delle sezioni unite (nota a Cass. civ., sez. unite, ord. 18 settembre 2020, n. 19598), in Foro it., 2020, I, cc. 3415 ss.

6. R. Bin, È scoppiata la terza “guerra tra le Corti”? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in Federalismi (paper), 18 novembre 2020, p. 10, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=44450.

7. Ibid.

8. G. Montedoro ed E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in questo fascicolo.

9. E. García de Enterría, Le trasformazioni della giustizia amministrativa, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 77-78.

10. V. Cerulli Irelli, Giurisdizione amministrativa e Costituzione, in Giur. cost., 2004, V, pp. 3033 ss.; A. Pajno, Trasformazioni della giustizia amministrativa, in G. Canzio - P. Grossi - A. Pajno, Corte costituzionale, Corte di cassazione, Consiglio di Stato. Tre giurisdizioni apicali, Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 88 ss.

11. Corte cost., 11 marzo 1957, n. 41.

12. Corte cost., 15 luglio 1959, n. 48.

13. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204.

14. Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140.

15. Vds. l’intervento di Costantino Mortati nella seduta dell’Assemblea costituente del 27 novembre 1947.

16. Vds. l’intervento di Giovanni Leone nella seduta pomeridiana dell’Assemblea costituente del 27 novembre 1947.

17. Vds. l’intervento di Paolo Rossi nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947.

18. Ibid.

19. Cass., sez. unite, 22 luglio 1999, n. 500.

20. Cass., sez. unite, 22 febbraio 2007, n. 4109.

21. G. Dyson, La cattedrale di Turing. Le origini dell’universo digitale, Codice Edizioni, Torino, 2012, p. 356.

22. F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2001.

23. B. Sordi, Diritto pubblico e diritto privato. Una genealogia storica, Il Mulino, Bologna, 2020, pp. 226 ss.

24. Ivi, pp. 238 ss.

25. Ivi, p. 238.