Magistratura democratica

Il policentrismo giurisdizionale e la coesistenza di sistemi di tutela giurisdizionale diversi ed equiordinati

di Nello Rossi

1. La straordinaria ricchezza dei contributi versati in questo numero di Questione giustizia e la qualità degli Autori chiamati a raccolta dai Curatori, Giancarlo Montedoro ed Enrico Scoditti, per discutere del rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa sono tali da creare non poche difficoltà a chi ha il compito di scrivere un sia pur breve editoriale di presentazione del volume collettivo offerto ai lettori. 

Da qui, comunque, si deve partire: dal carattere “collettivo” della riflessione svolta. 

Parlo di una tonalità omogenea che sovrasta i diversi angoli visuali, la pluralità di voci, le differenze nei percorsi argomentativi, e che scaturisce dall’attenzione costantemente rivolta alle trasformazioni dei modi di agire della pubblica amministrazione e ai nuovi bisogni di tutela dei diritti dei cittadini. 

In quest’ottica viene ripercorsa la “turbinosa evoluzione” della giustizia amministrativa, illustrata nella ricostruzione storica che apre il saggio introduttivo e poi ripresa, come premessa esplicita o tacita, nei successivi contributi. 

Ed è ancora questo il taglio con cui viene descritto l’eccezionale ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, divenuto, in una vasta area di controversie nelle quali è parte la pubblica amministrazione, giudice dei diritti, e di diritti fondamentali. 

Dall’impetuoso processo, insieme espansivo ed evolutivo, della giurisdizione amministrativa nascono gli interrogativi e i problemi con cui occorre ora misurarsi. 

Ha ancora senso riproporre la discussione svolta in passato sulle ragioni della presenza e della persistenza del giudice amministrativo? 

E non è ormai definitivamente tramontata la prospettiva di dar vita a una giurisdizione “unica”, in una delle sue molte possibili versioni? 

In fondo, l’ultimo tentativo compiuto in questa direzione risale al progetto di revisione costituzionale della Bicamerale, nel quale si prevedeva di ripartire all’interno della giustizia ordinaria l’attività giurisdizionale amministrativa e l’attività giurisdizionale civile e penale come aspetti di un’unica funzione unitariamente individuata. 

E, parallelamente, si prefigurava – sul versante delle nomine, dello status dei magistrati, dell’autogoverno – un quadro omogeneo di garanzie per le due magistrature che, pur restando distinte per struttura, funzioni e competenze, erano articolate come espressione di un’unica funzione giurisdizionale. 

Nella relativa cautela del progetto, che non segnava la scomparsa del giudice amministrativo, si rifletteva già la consapevolezza del ruolo – ineliminabile anche nell’ottica di lungo periodo propria di una revisione della Costituzione – della giustizia amministrativa, in ragione delle sue «lunghe ascendenze storiche» e della presa d’atto che essa era «venuta progressivamente assumendo profili di propria autonomia anche negli ordinamenti degli Stati in cui è più antica la tradizione del giudice unico per la tutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione»[1].

 

2. Oggi, per convinzione profonda, dettata da una nuova analisi della realtà sociale e istituzionale, o per scetticismo sulla possibilità di por mano ad ampi interventi di riforma della Costituzione, la riflessione si dirige verso l’esplorazione dei problemi posti dalla coesistenza di giudici e di sistemi di tutela giurisdizionali diversi. 

Sistemi equiordinati – così come sono equiordinati i diritti soggettivi e gli interessi legittimi in aderenza all’art. 24, primo comma della Costituzione – che danno vita a un pluralismo di giurisdizioni diverso da quello «ereditato dallo Stato amministrativo di diritto» e in grado di rispecchiare «la concezione pluralistica del potere che connota il costituzionalismo contemporaneo»[2]

Con il corollario di una duplice nomofilachia della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato nei rispettivi ambiti e di una osmosi tra di esse, destinata a svolgersi in condizioni di parità e di reciproca influenza. 

Di qui nuove domande e nuovi problemi. 

Il “policentrismo giurisdizionale” pone l’esigenza di ripensare le forme e i contenuti del riparto di giurisdizione e, segnatamente, la composizione dell’organo investito di questo delicatissimo compito (ad esempio, immettendo per le questioni di giurisdizione una quota di magistrati amministrativi nel collegio delle sezioni unite della Cassazione)? 

E ancora: la rilevata pluralità di centri della giurisdizione reclama nuovi strumenti di collegamento tra di essi e un percorso che conduca a un’etica professionale e a un regime disciplinare comuni dei magistrati ordinari e amministrativi? 

Nella dialettica a distanza che si sviluppa tra i diversi Autori, il lettore attento troverà importanti risposte a questi interrogativi e, insieme, obiezioni significative alle soluzioni proposte; risposte e obiezioni che, per ricchezza di argomenti e molteplicità di sfumature, non possono essere oggetto di una sintesi che risulterebbe inevitabilmente riduttiva e infedele, e che rimandano per essere approfondite alla lettura dei singoli saggi. 

 

3. Infine è inutile nascondersi che, nel quadro così delineato, il differente profilo ordinamentale dei due giudici – ordinario e amministrativo – resta un tema aperto e difficile, reso particolarmente complicato dalle ultime vicende che hanno investito il Consiglio superiore della magistratura. 

Su questo versante, i due sistemi ordinamentali a confronto appaiono entrambi incrinati, l’uno da recenti fattori di crisi, l’altro da risalenti manchevolezze. 

Da un lato sta il giudice ordinario, che – per cadute etiche, condotte devianti e inadeguatezze della sua attuale cultura istituzionale – sta purtroppo dando prova, in più occasioni, di non essere all’altezza dello straordinario “dono” ricevuto dal Costituente. 

Chi scrive, infatti, non crede all’opinione, pure da molti oggi condivisa, che i Padri costituenti volessero un governo autonomo (non meramente corporativo) della magistratura solo come efficace “scudo” per la sua indipendenza. 

Al contrario, l’assetto costituzionale del Consiglio superiore disegnato dalla Costituzione – con la sua netta opzione in favore di un modello di democrazia rappresentativa integrato e temperato dalla presenza di rappresentati qualificati eletti dal Parlamento – ha rappresentato uno straordinario e coraggioso esperimento di “democrazia nell’amministrazione”. 

Esperimento destinato non solo a liberare i magistrati dal “tormento dell’eteronomia[3], che tanti guasti e storture aveva prodotto durante il fascismo, ma anche a consentire che la magistratura potesse affrontare le moltissime questioni (a volte minute, mai piccole) del suo assetto organizzativo e della vita professionale dei magistrati attraverso una applicazione del diritto scaturente dalla discussione e dal confronto in seno a un organo collegiale a composizione mista. 

Impostazione, questa, che non può essere abbandonata o alterata con leggerezza, in ragione di errori o abusi dei singoli e di prassi negative affermatesi nel Csm, ma che reclama di essere rivitalizzata e rilanciata in considerazione del bilancio storico complessivamente positivo che essa può tuttora esibire. 

Dall’altro lato sta il giudice amministrativo, con il suo statuto ancora carente e imperfetto sotto molteplici profili: l’assenza di tipizzazione degli illeciti disciplinari; la commistione, nella figura del presidente del Consiglio di Stato, della titolarità dell’azione disciplinare e del ruolo di presidente del Collegio di Presidenza, operante in veste di giudice disciplinare; la confusione di compiti istruttori e di giudizio nell’ambito della Commissione deputata a compiere gli accertamenti preliminari; il regime di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo delle sanzioni disciplinari. Per non parlare della quota di magistrati nominati dal Governo e del regime degli incarichi extragiudiziari. 

Si tratta di differenze rilevanti, di cui è auspicabile un rapido superamento, che non rappresentano però un ostacolo insormontabile al necessario avvicinamento del modo di operare dei due giudici e all’armonica coesistenza dei differenti modelli di giurisdizione. 

 Certo, sino a qualche anno fa, una magistratura ordinaria “orgogliosa” avrebbe potuto indicare senza esitazioni il suo assetto come un modello da seguire, mentre oggi tutto è divenuto più problematico e confuso. 

Ma è ancora ai cardini organizzativi di una magistratura realmente indipendente e capace di governarsi fissati dalla Costituzione che debbono rimanere agganciati i progetti di rinnovamento degli ordinamenti delle diverse magistrature che concorrono, con la loro azione, a rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti. 

Maggio 2021

 


1. Così G. Gilardi, Unità della giurisdizione, giudici speciali, giudici specializzati, nel fascicolo speciale di questa Rivista (edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 3/1997, p. 518) intitolato Giustizia e Bicamerale e interamente dedicato all’analisi dei diversi aspetti riguardanti la giurisdizione del progetto di revisione costituzionale, con scritti di S. Rodotà, V. Borraccetti, E. Bruti Liberati, G. Gilardi, L. Pepino, N. Rossi. 

2. In questi termini G. Montedoro ed E. Scoditti, nel saggio introduttivo di questo numero della Trimestrale, Il giudice amministrativo come risorsa.

3. L’espressione, riferita alla democrazia della legislazione, è del Kelsen studioso della politica, La democrazia, (ed. it.: Il Mulino, Bologna, 1984). Ai complessi e problematici rapporti tra democrazia della legislazione e democrazia dell’esecuzione, includente la giurisdizione, è dedicato, nel volume citato, il capitolo «L’amministrazione», pp. 117-125.