Magistratura democratica

Il giudice amministrativo come risorsa o come problema?

di Leonardo Ferrara

Richiamando la piena attualità del dibattito sull’unità della giurisdizione, l’Autore sostiene che il pluralismo delle giurisdizioni, quale dualismo di nomofilachie, non trova giustificazione perché, nell’applicazione della legge, la Costituzione esige la garanzia di una applicazione uniforme della legge, e dunque dell’eguaglianza davanti a essa, per il tramite di un esercizio unitario e omogeneo della funzione nomofilattica.

1. Precisazione / 2. Un dibattito superato? / 3. La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi / 4. Il “transito” tra le magistrature e il valore dell’indipendenza

 

1. Precisazione

Il recente scritto di Enrico Scoditti e Giancarlo Montedoro, dal titolo Il giudice amministrativo come risorsa[1] si presta ad alcune repliche, che vanno incontro alla cordiale e gradita sollecitazione proveniente dagli stessi Autori. Chiarisco subito che non intendo intervenire con un’autonoma e organica riflessione, ma all’opposto con semplici osservazioni che tendenzialmente seguono l’ordine delle questioni incontrate nella lettura (e non quello dell’importanza delle stesse). Anticipo che mi soffermerò in prevalenza sugli aspetti su cui più forte è il dissenso.

 

2. Un dibattito superato?

Lo scritto muove dalla condivisibile premessa della necessità di una riflessione aggiornata sui punti di forza e sulle fragilità dello Stato sociale italiano, che coinvolga anche «il tema della struttura pluralistica del sistema giurisdizionale disegnata dalla Carta fondamentale». Questo tema viene però ritenuto «fonte di un risalente e, forse, ormai superato dibattito fra i fautori dell’unità della giurisdizione (segnatamente, nell’accademia, soprattutto la scuola fiorentina) e i sostenitori della ricchezza di un modello non monista che avrebbe le sue ragioni nello Stato sociale pluriclasse».

Di là dal fatto che i fautori dell’unità della giurisdizione non sono identificabili con la cd. scuola fiorentina (tanto numerosi e autorevoli sono quelli di diversa provenienza accademica[2]), il dibattito non può dirsi superato ma, al contrario, del tutto attuale. Non bisogna, infatti, confondere la prospettiva di una modifica tramite legge costituzionale, che certamente non è all’ordine del giorno, con la persistenza dei gravi problemi discendenti dall’“embricazione” del giudice amministrativo con la pubblica amministrazione[3], con le deficienze concrete che vengono lamentate (probabilmente in modo addirittura crescente)[4]; con le riforme che potrebbero introdursi con legge ordinaria; con l’interpretazione costituzionale ultimamente (e variamente) sollecitata da più di un giudice[5].

Inoltre, questo dibattito non concerne soltanto la specialità del giudice amministrativo, la sua non appartenenza all’ordine giudiziario, la misura della sua indipendenza e imparzialità, l’unità strutturale della giurisdizione; concerne anche la cd. unità funzionale della giurisdizione, considerata per l’appunto l’odierna attenzione[6] dedicata ai «motivi inerenti alla giurisdizione», di cui all’ultimo comma dell’art. 111 Cost.

A quest’ultimo riguardo bisogna essere molto chiari. Non si può contemporaneamente affermare l’esistenza dell’unità funzionale[7] e continuare a interpretare i suddetti motivi di impugnazione in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato secondo una logica risalente fondamentalmente all’art. 3 della legge 31 marzo 1877, n. 3761. Più lineare, allora, restare ancorati alla tradizione e ragionare di «pluralismo delle giurisdizioni» (o di «esercizio policentrico della giurisdizione»)[8], secondo l’espressione per l’appunto di Scoditti e Montedoro, ma non anche di unità funzionale.

Più ampiamente, se si riconosce l’effetto dirompente della riforma costituzionale dell’art. 111, che ha introdotto il principio del giusto processo, se si ritiene che la “giurisdizione” a cui si riferisce questo principio (al primo comma) sia unitaria, se si assume di conseguenza che si sia raggiunta l’unità funzionale, non si può poi mettere coerentemente in discussione la garanzia di una applicazione uniforme della legge, e dunque dell’eguaglianza davanti a essa, per il tramite di un esercizio unitario e omogeneo della funzione nomofilattica. In assenza di un’interpretazione estensiva o evolutiva, che dir si voglia, dei “motivi” in questione, si rompe la declarata unità funzionale della giurisdizione, e con essa la stessa unità dell’ordinamento giuridico. 

Del resto, qualora si considerino i diritti soggettivi, si stanno manifestando vistose disparità di trattamento: tra diritti in giurisdizione ordinaria che godono di tre gradi di giudizio e diritti in giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutelati in due gradi soltanto; soprattutto, tra diritti sottoposti alla nomofilachia della Cassazione e diritti, sempre in giurisdizione esclusiva, rimessi alla nomofilachia del Consiglio di Stato, con l’effetto in particolare di ritrovarsi di fronte a principi generali del diritto difformemente interpretati dal giudice di ultima istanza.

Epperò, un discorso similare potrebbe farsi tra tutte le situazioni giuridiche soggettive, se solo si riconoscesse in modo generalizzato che gli interessi legittimi sono «priv[i] di un’autonoma identità concettuale»[9], che non sono cioè altro che diritti soggettivi: quei diritti soggettivi ai quali si conserva un nome apposito solo per assicurarsi che l’esistenza del potere amministrativo non ne infici la tutela giurisdizionale. 

E qui naturalmente si tocca un’altra delle questioni affrontate nello stimolante scritto al quale si intende rispondere.

 

3. La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi

Non è questa ovviamente l’occasione per tornare sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi[10]: interessa però analizzare l’originale argomento di Scoditti e Montedoro, volto ad attribuire alla rilevanza costituzionale di tale distinzione (ricavabile dall’art. 24) un significato non solo differente da quello innanzi proposto, ma fondativo della “ordinarietà” del giudice civile e, per converso, della specialità di quello amministrativo. 

Sarebbe infatti l’«originarietà dei diritti, i quali possono essere identificati anche in mancanza di una norma legislativa» e «direttamente desunti dalla Costituzione», diversamente da quanto avverrebbe per gli interessi legittimi, che «postulano la presenza della norma (ordinaria) attributiva del potere», a giustificare l’esistenza di giudici che appartengono all’ordinamento giudiziario e di giudici che non vi appartengono (l’esistenza di separeted institutions sharing power).

Ora, da un certo punto di vista, non si potrebbe non salutare con favore quel richiamo al principio di legalità in ordine agli interessi legittimi, che sembra suonare come un warning verso certi eccessi creativi del giudice amministrativo[11] e della dottrina[12], ma non è evidentemente questo il punto. La suddetta tesi cozza con la derivazione dalle libertà costituzionali tanto di diritti che di interessi legittimi[13]; confligge, nondimeno, con l’assunto che occorra «ripensare alla legalità dell’azione amministrativa in una dimensione autenticamente costituzionale» e «ricostruire il potere dell’amministrazione non solo, come la sua tradizione gli suggerisce, a partire dalle norme che espressamente regolano l’esercizio dell’autorità (imparzialità, buon andamento, ragionevolezza, ecc. …), ma anche e innanzitutto in considerazione dei diritti costituzionali che il suo impiego mira a realizzare»[14].

Circa gli interessi legittimi vi è, però, anche la sensazione che l’origine della giurisdizione del Consiglio di Stato (contenziosa[15], oggettiva, centrata sul potere e sull’azione di annullamento) continui a segnare il presente: ne sono la spia il fatto che il giudice amministrativo sia visto come «posto a tutela, nel medesimo tempo, dell’autonomia e della legalità dell’amministrazione» anziché delle situazioni giuridiche soggettive delle parti in lite; così come la circostanza che si ritenga vi siano «le premesse per un nuovo patto fra autorità e libertà che privilegi il potere amministrativo rispetto alla declinazione privatistica dei rapporti giuridici»[16].

Tuttavia, una volta riconosciuta, sempre ai sensi dell’art. 24 Cost., «la piena equiordinazione di diritti soggettivi e interessi legittimi», si dovrebbe ammettere che solo un processo strutturalmente identico a quello che si celebra per la tutela dei diritti soggettivi sarebbe suscettibile di assicurare pienezza ed effettività di tutela agli interessi legittimi. Col che, è ovvio, ci si dovrebbe anche accorgere che la dualità della giurisdizione potrebbe giustificarsi solo per ragioni di specializzazione: una specializzazione non molto diversa da quella che ha suggerito l’opportunità di ripartire la competenza per materia tra le varie sezioni dei tribunali.

Inoltre, e da altra angolazione, verrebbe fatto di dire: fondata comunque la separazione tra giurisdizioni sulla contrapposizione tra situazioni giuridiche soggettive, come potrebbe il giudice amministrativo essere “ormai il giudice dei diritti” (così come è, almeno da un certo punto di vista, alla stregua dell’art. 133 cpa)?! E come potrebbe anche esserlo senza diventare esso stesso “ordinario” e quindi non più separato?! 

È poi curioso disconoscere che all’interesse legittimo corrisponda una obbligazione in senso tecnico, meravigliandosi al tempo stesso «di un allargamento della giurisdizione del giudice ordinario mediante la categoria della violazione della buona fede [il riferimento è, in particolare, a Cass., sez. unite, 28 aprile 2020, n. 8236] e di una segmentazione della giurisdizione su rapporti a volte difficilmente scindibili e connotati da intreccio di potere e comportamento». Proprio la struttura creditizia, insieme al carattere “complesso” della relativa obbligazione[17], consente di ricondurre all’interesse legittimo (con salvezza della giurisdizione del giudice amministrativo) la «dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato» in cui si colloca il comportamento rilevante ai fini dell’affidamento, di cui ragiona l’ordinanza appena citata. 

Di fronte, infine, alla rivendicazione del giudice amministrativo quale “risorsa” (o alla giurisdizione amministrativa quale “servizio”[18]), come non condividere l’osservazione che il riparto di giurisdizioni come oggi configurato sia «imperscrutabile e incomprensibile per un cittadino»[19]?

 

4. Il “transito” tra le magistrature e il valore dell’indipendenza

Espressa la propria contrarietà al pluralismo delle giurisdizioni quale dualismo nomofilattico (ché, a mio avviso, nell’applicazione della legge la Costituzione vuole la garanzia dell’uniformità e non il pluralismo istituzionale), potrebbe sembrare non potersi a maggior ragione condividere l’ipostatizzazione (o la surrettizia creazione) di siffatta dualità financo in riferimento alle “questioni di riparto di giurisdizione”, attraverso la previsione per legge di «una composizione delle sezioni unite con la partecipazione di magistrati del Consiglio di Stato»[20], con la finalità di evitare distonie valutative tra i massimi organi della giurisdizione civile e amministrativa.

Assumiamo, però, i punti di partenza degli Autori: partiamo in particolare dal presupposto che i motivi inerenti alla giurisdizione coincidano, almeno allo stato, con le questioni di riparto e riconosciamo pure che giovi alla chiarezza del sistema e alla serenità dell’ordinamento uno strumento di collaborazione quale il supposto “transito” fra le magistrature. Anche così ragionando il dissenso resta, per il semplice motivo che se è vero che la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, secondo Costituzione, spetta in via generale alla magistratura ordinaria, non può che essere la stessa magistratura ordinaria a stabilire se ha o meno giurisdizione, pena la perdita (in termini di principio, s’intende[21]) della piena indipendenza e imparzialità del giudice anche in relazione ai diritti soggettivi.

Eppure, «una visione condivisa dei valori dell’indipendenza»[22], a Costituzione vigente (come si diceva agli inizi), non sarebbe impossibile da raggiungere e alcuni spunti interessanti vengono dagli stessi Autori[23]. Del tutto sottoscrivibile, per esempio, è l’idea di destinare i consiglieri di Stato di nomina governativa alle sezioni consultive, cui si potrebbe affiancare l’abrogazione della regola dell’avvicendamento dei consiglieri tra sezioni consultive e sezioni giurisdizionali (a prescindere da quanto questa rotazione sia praticata nella prassi), contenuta nell’art. 2 della legge n. 186 del 1982[24]

 

 

1. In questo fascicolo.

2. Evitando un elenco che rischierebbe di pretermettere qualcuno, mi limito a citare solo a mo’ di esempio A. Travi, Per l’unità della giurisdizione, in Dir. pubbl., n. 2/1998, pp. 376 ss.; E. Balboni, Qualche idea, antica e nuova, a favore dell’unicità della giurisdizione, in Quad. cost., n. 3/2011, pp. 648 ss.; S. Lariccia, Indipendenza dei giudici amministrativi e unità della giurisdizione, in F. Cerrone e M. Volpi (a cura di), Sergio Panunzio. Profilo intellettuale di un giurista, Jovene, Napoli, 2008, pp. 162 ss.

3. Per usare la felice espressione di M. Nigro, Giustizia amministrativa, Il Mulino, Bologna, 1976.

4. F. Volpe, Sull’attualità del sistema dualistico di giustizia amministrativa, in LexItalia.it, 9 maggio 2019, p. 7, (https://diges.unicz.it/web/wp-content/uploads/2019/02/Materiale-didattico-F.-Volpe-Sullattualit%c3%a0-del-sistema-dualistico-di-giustizia-amministrativa.pdf), per esempio, rileva che tra le cause dell’«imponente calo del contenzioso» davanti al giudice amministrativo «non si può escludere (…) concorra una sorta di diffusa sfiducia verso il rimedio, la quale, se fosse confermata, non esprimerebbe un sintomo di buona salute del sistema di tutela offerto e, insieme, dell’indiretto controllo che suo tramite è compiuto sull’apparato pubblico». 

5. Il riferimento va, per un verso, alla ormai annotatissima ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, con le prime due questioni pregiudiziali poste alla Corte di giustizia dell’Unione europea; per altro verso, all’ordinanza del 7 febbraio 2000 del Tar Lombardia, che, seppure in modo molto sfumato, si interroga sulle conseguenze arrecate all’effettività della tutela dall’intreccio tra funzioni consultive e funzioni giurisdizionali svolte dal Consiglio di Stato, segnatamente alla stregua della partecipazione della totalità dei consiglieri di Stato all’adunanza generale.

6. Non sembra il caso di dover fare citazioni.

7. Come ha fatto la Corte costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004 e nella sentenza n. 6 del 2018.

8. Espressioni (utilizzate nel § 2 dello scritto di Scoditti e Montedoro) di cui, però, non è esplicitato il collegamento necessario con lo «Stato sociale pluriclasse». Del resto, non sembra potersi dire che questo tipo di pluralismo, proprio dello Stato italiano, si trovi «in buona parte dell’Europa continentale», quando in Paesi come la Spagna e la Germania non è seriamente discutibile l’esistenza dell’unità anche strutturale della giurisdizione. Vds., per la Spagna, Á.R. García, Rasgos generales de la organización judicial española, in G. Paleologo (a cura di), Il giudizio amministrativo in Spagna e in Italia, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 7 ss.; R. Briani, Effettività della tutela tra rito ordinario e riti differenziati nella giustizia amministrativa spagnola, in D. Sorace (a cura di), Discipline processuali differenziate nei diritti amministrativi europei, Firenze University Press, Firenze, 2009, pp. 93 ss.; per la Germania, M. Carrà, Atipicità del diritto di azione ed effettività della tutela nel processo amministrativo tedesco, ivi, pp. 25 ss.; Id., Sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità e principi dello Stato di diritto in Germania, in S. Torricelli (a cura di), Eccesso di potere e altre tecniche di sindacato sulla discrezionalità, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 153 ss.; R. Bifulco, La giustizia amministrativa nella Repubblica Federale di Germania, in G. Recchia (a cura di), Ordinamenti europei di giustizia amministrativa, Cedam, Padova, 1996, pp. 255 ss.; G. Napolitano, Introduzione al diritto amministrativo comparato, Il Mulino, Bologna, 2020, p. 302.

9. Così, ancora, F. Volpe, Sull’attualità del sistema dualistico, op. cit., p. 6.

10. Si veda semmai, se si vuole, L. Ferrara, Le ragioni teoriche del mantenimento della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo e quelle del suo superamento, in Dir. pubbl., n. 3/2019, pp. 723 ss.

11. Vds., per esempio, Cons. Stato, ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6, dove si sostiene che «la cura dell’interesse pubblico (…) vale a dare rilievo, a prescindere da espliciti riconoscimenti normativi, a posizioni soggettive che eccedono la sfera del singolo e attengono invece a beni della vita a fruizione collettiva» (corsivo aggiunto).

12. Per esempio, secondo S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Franco Angeli, Milano, 2018, pp. 193-194, l’art. 24, comma 1, Cost. assicurerebbe tutela alle situazioni giuridiche soggettive «a prescindere dalla [loro] natura», non importando che la posizione azionata «sia un diritto o qualunque interesse, semplice o qualificato, privato o pubblico, individualizzato o diffuso».

13. Ex multis, A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Cedam, Padova, 1983, pp. 33-34; R. Villata, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Giuffrè, Milano, 1974, pp. 116-117; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 525 ss. 
Del resto, Scoditti e Montedoro riconoscono che gli interessi legittimi «partecipano della tutela di posizioni soggettive riconducibili ai diritti fondamentali» (così al § 2).

14. A. Pioggia, Giudice amministrativo e applicazione diretta della Costituzione: qualcosa sta cambiando?, in Dir. pubbl., n. 1/2012, pp. 49 ss.

15. Rilevava, per esempio, A. Salandra, Giustizia amministrativa nei governi liberi con speciale riguardo al vigente diritto italiano, Utet, Torino, 1904, pp. 488 ss., che se la IV sezione non venne chiamata sezione del contenzioso amministrativo fu per «evitare le antipatiche reminiscenze che quest’ultima denominazione suscitava».

16. Così al § 5 dello scritto di Scoditti e Montedoro.

17. Ex multis, G. Terranova, Diritti soggettivi senza sovranità, in G. Grisi (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Jovene, Napoli, 2019, pp. 116 ss. (ove si ragiona di «un grappolo di poteri»); G. Pino, Diritti soggettivi, in G. Pino - A. Schiavello - V. Villa (a cura di), Manuale di Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, Giappichelli, Torino, 2013, p. 222.

18. G. Comporti, Dalla giurisdizione amministrativa come potere alla giurisdizione amministrativa come servizio, in Id. (a cura di), La giustizia amministrativa come servizio (tra effettività ed efficienza), a sua volta in L. Ferrara e D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana – Studi, vol. VII, Firenze University Press, Firenze, 2016, pp. 7 ss. 

19. Così A. Travi, nel suo intervento al convegno sul tema «Limiti esterni di giurisdizione e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE (a proposito di Cass. S.U. n. 19598/2020)», organizzato il 6 novembre 2020 dall’Università di Roma Tre – vds., in proposito, F. Francario, Motivi di giurisdizione e pregiudiziale comunitaria, in Giustizia insieme, 10 novembre 2020, www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1390-motivi-di-giurisdizione-e-pregiudiziale-comunitaria-atti-del-convegno-di-romatre-del-6-11-2020.
Rileva che «la riconduzione della giurisdizione davanti ad un complesso unitario produrrebbe il beneficio di ridimensionare il valore di una figura sfuggente», quale sempre l’interesse legittimo, F. Volpe, Sull’attualità del sistema dualistico, op. cit., p. 7.

20. Vds. il § 6 dello scritto di Scoditti e Montedoro.

21. Ché, se si dovesse ragionare in modo realistico, si dovrebbero fare tantissime altre considerazioni.

22. Vds. sempre il § 6 dello scritto di Scoditti e Montedoro.

23. I problemi cruciali in punto di indipendenza e imparzialità del Consiglio di Stato concernono, come è noto, le nomine governative, il cumulo tra funzioni giurisdizionali e consultive, gli incarichi extragiudiziari (ampiamente raccontati da A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa” (Sonntagsgedanken), Giuffrè, Milano, 2005; meriterebbe riflettere se gli incarichi extragiudiziari non siano altresì tra le cause del fallimento della distinzione tra politica e amministrazione, di là dal rischio di «improprio carrierismo» cui si riferiscono Scoditti e Montedoro). Essi sono cruciali proprio perché, come rilevano ancora Scoditti e Montedoro al § 4, «i principi sulla giurisdizione in generale definiti dall’art. 111 Cost. impongono la tendenziale equivalenza delle garanzie di indipendenza di cui tutte le magistrature devono beneficiare» (cosicché non è comparabile il contesto normativo costituzionale e la sensibilità giuridica rispetto a tali problemi, che erano propri dell’epoca in cui ebbe a pronunziarsi la Corte costituzionale con la situazione odierna). 
Ebbene, sulle nomine governative e sugli incarichi extragiudiziari sarebbe sufficiente intervenire, modificando in parte de qua la legge 27 aprile 1982, n. 186 e la legge 6 novembre 2012, n. 190. Del cumulo di funzioni si dice subito nel testo.

24. Se si rinunciasse anche all’“adunanza generale”, riconosciuta solo a livello legislativo (art. 3, sempre della legge n. 186), il cumulo tra funzioni giurisdizionali e consultive sarebbe in sostanza superato.