Magistratura democratica

Vertice giudiziario, funzione nomofilattica e modello processuale

di Dario Simeoli

Il disallineamento tra la collocazione istituzionale del Consiglio di Stato, quale vertice giudiziario, e il vigente modello processuale delle impugnazioni costituisce un serio ostacolo per l’esercizio della funzione nomofilattica nel sistema amministrativo delle tutele. Il presente contributo, dopo una ricognizione delle principali esperienze straniere, ritiene oramai ineludibile l’adozione di un modello ordinamentale più appropriato in relazione alle concorrenti esigenze da soddisfare.

1. Consiglio di Stato e funzione nomofilattica / 2. Uno sguardo di diritto comparato / 3. Il Consiglio di Stato come risorsa scarsa: appunti per un intervento riformatore 

 

1. Consiglio di Stato e funzione nomofilattica

La tradizionale centralità degli studi dedicati alle situazioni soggettive e agli strumenti di tutela predisposti a fronte dell’esercizio illegittimo del potere pubblico ha posto da sempre in secondo piano l’esame dell’organizzazione giudiziaria e delle sue principali disfunzioni.

La dimensione patologica del contenzioso con le pubbliche amministrazioni – superiore a qualunque altro confronto europeo (soprattutto se si tiene conto del fatto che il giudice amministrativo italiano conosce, a differenza dei suoi colleghi europei, soltanto di una porzione limitata delle controversie tra privati e pubblica amministrazione) – è dipesa da svariati fattori (non solo giuridici).

I presenti appunti sono dedicati a uno dei principali: segnatamente, si tratta del disallineamento (concettuale, prima ancora che giuridico) tra la collocazione istituzionale del Consiglio di Stato, quale vertice giudiziario, e il vigente modello processuale delle impugnazioni.

Sono necessarie alcune riflessioni preliminari sulla peculiarità della funzione nomofilattica nelle controversie di diritto pubblico.

L’applicazione della legge, come risaputo, non è affatto un’attività meramente ricognitiva: il giudice sceglie “discrezionalmente” il significato delle norme che definiscono la rilevanza legale dei fatti e quindi l’estensione della relativa classe di accadimenti.

Non è certo questa la sede per ragionare sui criteri di legittimazione del diritto giurisprudenziale sul versante dogmatico della teoria delle fonti. Il ruolo creativo del giudice – per meglio dire: l’efficacia normativa della giurisprudenza – appare oramai un dato auto-evidente: la giurisprudenza opera come una fonte-fatto quando la reiterazione di un determinato orientamento ermeneutico assurge a “regola” per decidere tutti i casi similari. Il fondamento “politico” del diritto giurisprudenziale (nei Paesi in cui non vige lo stare decisis) risiede, in definitiva, nel consenso prestato alla decisione dai giudici successivi e, in generale, dalle componenti più influenti del ceto giuridico[1].

Nei giudizi riguardanti i rapporti di diritto pubblico, il ruolo creativo della giurisprudenza è tuttavia più spiccato.

Le ragioni risiedono nel diritto sostanziale, ovvero nell’utilizzo, ai fini della regolazione dei poteri pubblici, di modelli normativi “aperti” e “modali”. L’ordinamento amministrativo non predetermina la gerarchia degli interessi in conflitto, demandando tale compito alle strutture amministrative, sia pure nel rispetto di svariati congegni limitativi e conformativi. Il principio di legalità è distante dall’archetipo secondo cui ogni manifestazione dei pubblici poteri deve trovare la sua base e il suo limite (formale e sostanziale) nella legge dello Stato. Nei più importanti settori della vita economica e sociale, l’ordinamento predilige piuttosto forme fluide di “indirizzamento” alla realizzazione di valori e principi, e non comandi rigidamente positivizzati[2]

L’indebolimento strutturale della legge – e la correlata trasformazione degli apparati amministrativi (sempre più funzionalmente diversificati e multiformi) da potere esecutivo a forza regolatrice – ha finito per connotare il sindacato del giudice amministrativo in termini diversi rispetto a quello “parametrico” e “sillogistico” del giudice civile.

Il giudice amministrativo (nelle controversie in cui è in gioco il potere discrezionale) non “deduce” ma “valuta” l’esigenza assiologica sottesa al quadro normativo nel cui perimetro l’amministrazione è chiamata a definire, nel caso concreto, l’interesse (pubblico) prevalente. Tale circostanza è particolarmente evidente quando applica il test di ragionevolezza e proporzionalità nei confronti degli atti generali di “regolazione” (di rango non legislativo né governativo).

Se nel settore civile il disaccordo interpretativo (tra i diversi giudici) si riferisce, per lo più, al senso e all’ampiezza da attribuire alla norma in relazione alle situazioni concrete alle quali applicarla, nel settore amministrativo, invece, il dissenso da sistematizzare attiene sovente al bilanciamento tra valori (per citarne alcuni: universalità del servizio pubblico vs sostenibilità economica; adattabilità della funzione amministrativa vs principio di tutela dell’affidamento; efficienza della spesa pubblica vs par condicio; diritti fondamentali vs vincoli finanziari).

Si è soliti considerare che l’uniforme interpretazione della legge soddisfa valori di civiltà giuridica, quali la parità di trattamento dei cittadini che ricorrono alla tutela giurisdizionale, e sicurezza giuridica, in termini di prevedibilità delle decisioni[3]. Nel settore amministrativo – dove le cause che alimentano la varietà interpretativa sono anche più numerose che nel civile (operando i pubblici poteri nel contesto di un sistema istituzionale policentrico, a rete e sovranazionale, connotato per di più da interventi legislativi a gettito continuo, estemporanei e, spesso, di cattiva fattura) – vi è una ragione ulteriore che porta a ritenere ineludibile l’obiettivo di conciliare la portata «creativa e diffusa del diritto giurisprudenziale»[4] con le esigenze di calcolabilità delle decisioni[5].

La capacità “orientativa” del giudice amministrativo nei confronti della sua parte “abituale” (la pubblica amministrazione) – la capacità cioè di suggerire in modo stabile e autorevole le coordinate di legittimità dell’azione pubblica, rimuovendo tempestivamente prassi interpretative ondivaghe e arbitrarie – può rappresentare un potente antidoto alla dispersione e frammentazione dell’azione pubblica ed essere di incoraggiamento per l’innovazione e l’esercizio della buona discrezionalità. Così come, all’inverso, l’assenza di un quadro giurisprudenziale certo e chiaro frena e intimorisce i funzionari. 

La norma attributiva della funzione nomofilattica a giudici diversi dalla Corte di cassazione è costituita dall’articolo 111, ultimo comma della Costituzione, che, sottraendo al ricorso per cassazione per violazione di legge le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, chiaramente attribuisce ai due istituti, nei rispettivi ordini, la funzione di unificazione della giurisprudenza, con la conseguenza di attribuire ai medesimi, nel rispettivo ordine di competenze, il compito di stabilire quale sia l’esatta osservanza della legge[6].

Quanto ai meccanismi processuali per superare e “sistematizzare” il dissenso, il codice del processo amministrativo (introdotto dal d.lgs 2 luglio 2010, n. 104) ha inteso irrobustire la “fonte” giurisprudenziale[7], sul presupposto che il problema nomofilattico non si ponesse più soltanto in termini di controllo della decisione del giudice del giudice di prima istanza, bensì anche come problema di sussistenza di divergenze interpretative interne alla stessa giurisprudenza di vertice, anche dopo l’intervento dell’adunanza plenaria[8]

Il “correttivo” introdotto dal comma 3 dell’art. 99 cpa[9] – per cui, in presenza o in previsione di contrasti decisionali, la sezione a composizione allargata è chiamata a risolvere il conflitto non più, come per il passato, semplicemente fissando l’interpretazione destinata ad avere un valore “persuasivo ed esemplare” per i giudici dell’ordinamento, bensì con decisione “vincolante” per le sezioni semplici – opera soltanto nei confronti delle sezioni semplici dell’organo di vertice, anche se, in via indiretta, non può che condizionare i giudici di grado inferiore[10]

Va rimarcato, poi, come il meccanismo della necessaria rimessione della questione si muova sul piano prettamente “processuale” e non “sostanziale”. L’obbligo, infatti, non è di conformarsi al contenuto del precedente (di qui la differenza con lo stare decisis), bensì, qualora non si condivida il principio di diritto affermato, di reinvestire della questione, con ordinanza motivata, l’organo nomofilattico di vertice. 

Non è questa la sede per verificare se il descritto punto di equilibrio tra uniformità interpretativa e indipendenza del giudice sia rispettoso degli artt. 101, comma 2, e 107, comma 3, Costituzione[11]. L’esperienza degli ultimi dieci anni sta, però, a testimoniare che l’autorità “rinforzata” delle pronunce dell’adunanza plenaria non le ha per ciò solo sottratte al vaglio di correttezza delle sezioni semplici “discordi”, le quali si sono dimostrate propense a rimettere la questione all’organo a composizione allargata, anche nel breve periodo.

Sennonché, l’accresciuta rilevanza e forza giuridica dell’organo nomofilattico ha contribuito solo in parte a stabilizzare il processo innovativo giurisprudenziale, in favore della certezza e della prevedibilità delle decisioni. Il nuovo dispositivo processuale, senza i necessari adattamenti del regime delle impugnazioni, non è da solo sufficiente a garantire l’esercizio effettivo della funzione nomofilattica da parte del Consiglio di Stato. Non solo si continua ad assistere a conflitti frequenti fra orientamenti, ma tantissimi di essi restano latenti, irrisolti, nascosti nelle pieghe della pretesa differenziazione in punto di fatto delle vicende controverse. 

La ragione sta in ciò: un organo di vertice ingolfato di cause – spesso di infimo valore economico e sociale – non può fare (tempestivamente) ordine all’interno del disordinato fluire del caos normativo e giurisprudenziale, ponderando pazientemente le implicazioni delle diverse scelte ermeneutiche ed enunciando regole conformative precise e coerenti. 

L’odierna crisi della funzione nomofilattica riguarda ovviamente anche altri aspetti – come quello della frammentazione della governance giudiziaria[12] –, ma quello in esame merita di essere approfondito proprio perché (sorprendentemente) è assai poco dibattuto.

 

2. Uno sguardo di diritto comparato

È utile, a questo punto, un preliminare confronto con le esperienze giuridiche del continente europeo, il quale renderà particolarmente evidente l’anomalia del sistema italiano su cui si vuole appuntare l’attenzione.

Ai nostri fini, sono particolarmente utili i risultati di un’indagine condotta dall’Associazione dei Consigli di Stato e delle Corti supreme amministrative dell’Unione (ACA Europe), avente ad oggetto il funzionamento delle 28 Supreme corti amministrative europee[13] (di seguito: “SAC”), sulla scorta delle informazioni raccolte tramite questionari[14].

Per quanto emerga da tale ricerca una ricca diversità di approcci e tradizioni giuridiche[15], cionondimeno sono enucleabili alcuni modelli generali di riferimento. Si terrà conto, per motivi di economicità, solo dei punti di convergenza più significativi sul piano processuale e organizzativo.

Sono riscontrabili modelli di giustizia amministrativa, sia con due gradi di giudizio (AT, BG, CY, CZ, FI, HR, IT, LT, LU, NL, PL, SI), sia con tre (DE, DK, EE, ES, FR, GR, HU, IE, LV, NO, PT, SE). Le SAC, in alcuni casi e per alcune limitate tipologie di controversie, sono anche giudici di prima e unica istanza (BG, CZ, DE, ES, FI, FR, GR, HR, HU, LT, LU, LV, NL, PL, PT, SE, SI, SK)[16]

Nella maggior parte dei casi, la SAC è giudice di sola legittimità, decide cioè soltanto delle questioni di diritto (AT, BG, CH, CY, DE, EE, ES, FR, GB, LV, SE, PT, SK). 

Soltanto in gruppo minoritario di Paesi (tra cui l’Italia è l’unico di grandi dimensioni) la SAC è chiamata a scrutinare le decisioni delle corti inferiori “both on points of fact and of law” (CZ, FI, GR, HR, IT, LT, LU, NL, NO, PL). Nella maggior parte delle giurisdizioni, invece, gli accertamenti di fatto (“factual findings”) compiuti dal giudice di “merito” sono vincolanti per la SAC (BG, CH, DE, EE, ES, FR, GB, HR, IE, LT, LV, PL, PT, RS, SK), salvo che risultino chiaramente sbagliati (“plainly wrong”). 

In Francia, l’apprezzamento dei fatti viene considerato, di regola, “l’orticello privato dei giudici di merito” (“le jardin privatif des juges du fond”)[17]. Il Conseil d’État, di regola, si rifiuta di entrare nel merito degli “apprezzamenti” effettuati dal giudice di merito circa la definizione dei fatti e della loro importanza. L’unico limite al rispetto della “souveraineté” del giudice di merito nell’apprezzamento dei fatti è dato dalla “dénaturation des faits”, la quale si veridica quando il giudice di merito attribuisce a fatti materialmente esatti una interpretazione falsa o tendenziosa. Anche in Germania – dove pure il ricorso per revisione è limitato al controllo relativo alle sole violazioni di diritto (Rechtsprtifung) – la norma subisce una deroga quando in ordine ad accertamenti di fatto sono stati addotti motivi di revisione ammissibili e fondati (§ 137, comma 2, VwGO[18]).

In un primo gruppo di casi, la SAC valuta il caso anche d’ufficio, non dovendosi limitare alle censure e agli argomenti dell’istante (DE, DK, EE, ES, FI, GB, GR, PT, SE). In altro gruppo di casi, invece, la SAC è limitata dai motivi di ricorso (AT, BE, CH, CY, CZ, FR, HR, HU, IT, LT, LU, NL, NO, PL, SI, SK). 

È dirimente, poi, rimarcare che la quasi totalità delle giurisdizioni europee – anche quelle articolate su due gradi di giudizio – contemplano un rigido sistema di filtri per l’accesso alla SAC, allo scopo di ridurre drasticamente il numero di casi in trattazione e di limitare le risorse del vertice giudiziario all’esame dei casi di maggiore importanza e valore. Solo in una minoranza di casi (tra cui l’Italia è, ancora una volta, l’unico di grandi dimensioni), la SAC non si avvale di filtri (BG, CH, CY, CZ, HU, IT, LT, LU, NL, PL, RS, SK).

Sul piano processuale, i sistemi di filtro operano in termini di prerequisito processuale, che condiziona cioè l’ammissibilità stessa del ricorso e che viene rilevato in limine litis all’esito di uno speciale procedimento di delibazione (AT, BE, DK, DE, EE, ES, FI, FR, GB, GR, HR, IE, LV, NO, PT, SE, SI). 

Il fondamento generale di tale limitazione all’accesso viene ricollegato, dalla varie giurisdizioni intervistate, alla funzione della Suprema corte amministrativa di garantire l’unificazione del diritto (DE, EE, LV, SI) e lo sviluppo ulteriore del diritto (DE, EE, LV, NO), fornendo orientamenti ai tribunali delle istanze inferiori (PT, SE) in ragione della specifica importanza della questione giuridica in discussione (GB, NO, FR).

A bene guardare, i criteri materiali che giustificano l’ammissibilità del ricorso (“leave to appeal”) variano nella formulazione, ma possono essere raggruppati in due gruppi:

i) alcuni enfatizzano maggiormente la necessità di garantire l’uniforme interpretazione della legge, nella misura in cui si fa riferimento: a questioni giuridiche “di importanza fondamentale” o di “importanza pubblica in generale” o “di principio” (AT, DE, DK, GB, IE, NO, PT, SE, SI); alla deviazione dalla giurisprudenza della Suprema corte (AT, DE, GR); all’assenza di una giurisprudenza pertinente sulla questione in esame (AT, GR); all’interesse oggettivo a risolvere un ricorso per cassazione sulla questione al fine di sviluppare la giurisprudenza (FI); 

ii) altri sembrano essere, invece, maggiormente focalizzati sulla necessità di controllare la correttezza della decisione del giudice di grado inferiore: l’errata applicazione del diritto sostanziale (EE, FI, LV), un grave errore di fatto o di diritto (SE); l’interesse della giustizia (IR); lo scorretto svolgimento della procedura (DE, EE, LV).

In Germania, è possibile proporre ricorso per revisione (ai sensi del § 132 VwGO) solo: i) se la causa ha una importanza fondamentale; ii) quando la sentenza diverge da una decisione del Tribunale amministrativo federale o del Senato comune delle corti superiori della Federazione o del Tribunale costituzionale ed essa si basa su questa divergenza (Divergenzrevision)[19]; iii) se sussiste e viene fatto valere dalla parte un vizio procedurale (qui intendendosi l’erronea applicazione di una norma di diritto processuale) sul quale può basarsi la decisione. La non ammissione del ricorso per revisione deve essere motivata, ma si ritiene sufficiente la mera indicazione che non ricorrono i presupposti appena indicati.

In Francia, l’ammissione sul recours en cassation è rifiutata se il ricorso è irricevibile o non è «basato su alcun motivo serio» (ai sensi dell’art. 1.822-1: «Le pourvoi en cassation devant le Conseil d’État fait l’objet d’une procédure préalable d’admission. L’admission est refusée par décision juridictionnelle, si le pourvoi est irrecevable ou n’est fondé sur aucun moyen sérieux»). Alla stregua di tale concetto indeterminato, il ricorso viene rifiutato quando il ricorso non si basa su nessun motivo serio a tutela delle garanzie del processo amministrativo e, in particolare, delle garanzie relative all’istruttoria in contraddittorio. 

Analoga indeterminatezza dei criteri di ammissibilità è prevista nella recente legge spagnola sul recurso de casación davanti al Tribunale supremo spagnolo (l’art. 88, ultimo comma, della Ley Organica del 7 settembre 2015, ha precisato in particolare che il ricorso potrà non essere ammesso, se mediante ordinanza motivata il Tribunale ritiene che la causa presenti in maniera evidente l’assenza di un oggettivo interesse “cassazionale” per la formazione della giurisprudenza). 

Nel caso francese e spagnolo, è evidente l’assonanza di tale amplissimo potere di valutazione con il ricorso davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti[20]. Anche l’ordinamento inglese condiziona la «salita su per i gradi di giudizio superiori al primo» al rilascio, su istanza dell’impugnante, di un’autorizzazione all’appello, il «leave (permission) to appeal»[21]. Tale autorizzazione è concessa sulla base di criteri selettivi delineati in modo così sfumato da accordare al giudice richiesto un’ampia discrezionalità ai fini dell’ammissione.

Nella maggior parte delle giurisdizioni, la decisione di concedere o respingere l’autorizzazione a presentare ricorso spetta alla stessa SAC (DE, EE, FR, GB, GR, HR, IE, LV, PT, SI). In alcuni casi, la decisione può essere presa, invece, sia dalla SAC sia dal tribunale amministrativo la cui decisione è impugnata (DE, GB). In Germania, la decisione del tribunale di istanza inferiore che conceda il diritto di ricorso è vincolante per la SAC. All’interno della SAC, la competenza a pronunciarsi sull’ammissibilità spetta alla stessa sezione competente a giudicare il caso (DE), in altri casi sono predisposti organi speciali (DK, N)[22]

La regola del filtro, in alcune giurisdizioni, vige senza alcuna eccezione (AT, DK, EE, ES, FR, HR, SI). In altre giurisdizioni, invece, il filtro può essere più severo o più a maglie larghe a seconda della tipologia di contenzioso (in Belgio e Repubblica Ceca, ad esempio, norme di accesso più severe si applicano al diritto in materia di immigrazione e asilo; in Portogallo, il filtro non viene applicato nei casi riguardanti l’occupazione pubblica, l’istruzione pubblica o la protezione sociale).

Le percentuali di accoglimento delle istanze di autorizzazione al ricorso innanzi alla SAC variano. Nei Paesi europei più grandi il filtro è assai restrittivo. In media, i casi ritenuti ammissibili ammontano: in Germania, al 15%; in Spagna, al 20-30%; in Francia, al 25%; in Gran Bretagna, al 33%; in Portogallo, al 40%. Si aggiunga che, in alcuni Paesi (come la Germania), anche il passaggio dal primo al secondo grado di merito non è “aperto” ma soggetto a filtri.

Alcune giurisdizioni degli Stati membri escludono, del tutto (a prescindere cioè dalla importanza della causa), determinati tipi di decisioni (ad esempio, l’impugnazione delle decisioni cautelari) o decisioni in determinati settori di diritto, dal ricorso alla SAC. 

Il modello processuale del giudizio innanzi alle SAC, nella maggior parte dei casi, è di tipo cassatorio: in caso di accoglimento del ricorso, la SAC annulla la decisione impugnata e rinvia la causa al giudice di “merito” (CH, CY, CZ, DE, EE, ES, FI, FR, GB, GR, HU, IE, LT, LV, NL, NO, PL, PT, SE, SI, SK). I motivi di cassazione consistono in una critica della sentenza, sul piano della regolarità o della fondatezza.

In alcune giurisdizioni, la SAC può comunque decidere la causa nel merito in presenza di determinate condizioni (DE, FR, GB, LT, LU, PL): in Germania, se la istanza di revisione si rivela fondata, il Bundesverwal-tungsgericht può decidere esso stesso la causa nel merito, se la causa è matura per la decisione (wenn diese spruchreif ist: § 144, comma 3, n. 1) ovvero quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, ovvero quando l’avvenuto accertamento dei fatti rappresenta un fondamento sufficiente per la decisione (Spruchreife der Sache). 

Anche in Francia, è possibile il “règlement de l’affaire au fond par le Conseil d’État”: la definizione nel merito è un obbligo soltanto se la causa è oggetto di un secondo ricorso per cassazione oppure perché la decisione in questione è inficiata dal vizio di violazione della cosa giudicata; negli altri casi, la definizione nel merito della causa è, invece, una facoltà della Corte, che deve valutare se l’interesse di una buona amministrazione della giustizia lo giustifica[23].

Nella maggior parte delle giurisdizioni, le decisioni della SAC non hanno effetto vincolante per i giudici di istanza inferiore (AT, BE, BG, CH, CZ, DK, DE, EE, ES, FI, FR, HR, IT, LU, LV, PL, PT, RS, SE, SI, SK), tranne alcune eccezioni limitate (ad esempio, in caso di rimessione della causa al primo giudice: AT, DE, IT, LV). Solo in alcuni ordinamenti, le decisioni della SAC sono vincolanti per i giudici di prime cure (CY, GB, HU, IE, LT, NO; in presenza di alcuni presupposti, anche le SAC di PL, GR, A, possono adottare decisioni vincolanti per il giudice di merito). Le giurisdizioni di common law si ispirano invece, come è noto, alla dottrina dello stare decisis: ciò rende le deviazioni dei tribunali inferiori ammissibili solo quando siano in grado di distinguere sufficientemente il caso in fatto o giustificare che vi sono diverse questioni giuridiche sollevate dal caso.

Le SAC di tutte le giurisdizioni europee hanno la possibilità di discostarsi dai propri stessi precedenti, sia pure sulla base di presupposti sostanziali e processuali diversificati. Alcuni Stati membri dichiarano semplicemente di non essere vincolati dalle loro precedenti decisioni (BG, CH, DE, DK, ES, FI, IT, NL, PT, SI). Per altri, invece, una modifica della giurisprudenza richiede un collegio ampliato o addirittura una decisione di una sessione plenaria (AT, CY, CZ, EE, FI, GB, NO, SE), oppure una motivazione rafforzata (BE, IT LV). 

Solo pochissime giurisdizioni affermano che la SAC è vincolata dalle sue precedenti decisioni (HR, HU, LT, NO).

Quanto alle caratteristiche organizzative, ci limitiamo soltanto alle seguenti osservazioni.

Nella stragrande maggioranza delle giurisdizioni europee, le SAC hanno a disposizione strutture qualificate di supporto (amministrativo e di ricerca). Sussiste ovviamente un’ampia varietà per quanto riguarda l’estensione e il livello di sostegno scientifico in favore dei giudici delle SAC. È importante, però, sottolineare due dati.

La prima è che le SAC hanno a disposizione assistenti giudiziari (assegnati, a seconda dei casi, al singolo giudice o alla sezione) che svolgono tutte o alcune tra le seguenti funzioni: i) preparazione di documenti preliminari all’udienza, come una nota per assistere il giudice prima dell’udienza di una causa; ii) attività di ricerca giuridica per assistere un giudice a prendere una decisione in un caso; iii) discussione degli aspetti di una causa con un giudice (oralmente o per iscritto); iv) esame e valutazione della legge pertinente; v) analisi del diritto comparato; vi) redazione di parti delle sentenze; vii) presentazione di una proposta o di una decisione preliminare che il giudice prende in considerazione.

La seconda notazione è che i citati assistenti sono tutti qualificati professionisti o studiosi.

Si pensi alla Spagna dove, oltre alla biblioteca della Corte suprema, il supporto alla ricerca è fornito dal Gabinetto tecnico di informazione e documentazione, il cui direttore è un giudice. È organizzato in cinque aree funzionali, lo stesso numero delle sezioni della Corte, ed è composto da 75 avvocati e avvocati di coordinamento, esperti nei diversi settori, che forniscono assistenza tecnica, collaborazione e sostegno ai giudici delle sezioni secondo le modalità da essi stabilite. Attualmente, venti avvocati e cinque avvocati coordinatori svolgono le loro funzioni nel ramo amministrativo della Corte suprema.

Delle 28 giurisdizioni intervistate, 17 hanno riferito di avere un dipartimento di ricerca e documentazione o un ente sostanzialmente simile (Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Serbia, Spagna, Slovacchia, Svizzera).

 

3. Il Consiglio di Stato come risorsa scarsa: appunti per un intervento riformatore

Dalla rassegna appena svolta emerge un dato chiaro.

Nelle principali giurisdizioni europee, l’efficienza della funzione nomofilattica – nella duplice direzione dell’unificazione del diritto, attraverso la produzione di orientamenti giurisprudenziali uniformi, e del controllo di correttezza della soluzione adottata – è legata (anche) all’adeguata allocazione delle risorse.

L’organizzazione giudiziaria ha una struttura piramidale, sul presupposto che l’autorevolezza del precedente sia inversamente proporzionale al numero dei casi giudicati dal vertice giudiziario. Le SAC decidono (al di fuori dei procedimenti di ammissione) un numero contenuto di casi all’anno, selezionando con accortezza le controversie in relazione alle quali intervenire. I precedenti hanno per questo vita stabile e forte efficacia persuasiva. Se su di un caso è intervenuta la Suprema corte, il funzionario amministrativo e il professionista legale è avvertito che si tratta di una questione di particolare importanza che merita di essere seguita. Quanto più è credibile e accurato il vaglio del giudice dell’impugnazione, tanto meno vengono proposte impugnazioni infondate.

Al fine di garantire l’uniformità degli indirizzi giurisprudenziali e l’evoluzione del diritto, il modello processuale più diffuso è quello “cassatorio” – ovvero un mezzo di impugnazione di sola legittimità, privo di effetto devolutivo e a critica vincolata – in coerenza con la radice storica che ricollega la nomofilachia al primato illuministico della legge e all’istituzione, nel 1790, del Tribunal de cassation. La SAC è giudice della sentenza e non della lite, è giudice del diritto e non del fatto. 

I giudici delle SAC sono assistiti da un apparato di assistenza specialistico. 

La giustizia amministrativa italiana – che pure, a partire dal codice del processo amministrativo, può vantare un sistema rimediale tra i più avanzati nel panorama europeo – è attualmente distante dal predetto modello di Suprema corte.

Il Consiglio di Stato italiano è un giudice di appello. Tale mezzo di impugnazione, pur tratteggiato normativamente in termini di revisio prioris instantiae – in quanto tendenzialmente chiuso ai nova (solo eccezionalmente consentiti) e fondato sull’onere di enunciazione di «motivi specifici» di gravame, con conseguente non automaticità dell’effetto devolutivo – viene comunemente utilizzato, non come strumento di controllo degli errori del giudice a quo, bensì come luogo dell’integrale riedizione della lite, una sorta di “secondo round”. 

Lo stesso Consiglio di Stato – che raramente censura l’inammissibilità dell’impugnazione in ragione della mancata prospettazione di ragioni di censura precisamente individuate – è chiamato, sempre più frequentemente, alla rinnovazione dell’istruttoria: anzi, accade che sia proprio il giudice di appello a procedere per primo all’esperimento dei mezzi di prova dei fatti contestati, ogni qual volta (e si tratta di eventualità tutt’altro che sporadica) il giudice di prima istanza si sia limitato a un mero “riesame” delle risultanze istruttorie del procedimento amministrativo.

Sono appellabili tutte le sentenze e le pronunce cautelari, senza filtro alcuno. Ogni settimana le sezioni del Consiglio di Stato dedicate al contenzioso (nel giro di pochi anni, aumentate da tre a sei) – al loro interno articolate in plurimi collegi – devono scrutinare più di cento cause alla volta (tra udienza pubblica e camera di consiglio): controversie complicatissime (di elevato valore economico e sociale) sfilano accanto a cause “bagatellari”. Tutti i giudizi sono automaticamente ammessi alla discussione orale, salvo che i difensori non compaiano o si riportino agli scritti, e ciò non può che comprimere i tempi per l’esame delle questioni più delicate. I giudici, per l’attività di studio e ricerca, non possono contare su alcuna assistenza tecnica (i giovani tirocinanti, per ovvi motivi, non possono assolvere a tale funzione).

Il defatigante e parcellizzato apprezzamento del fatto rende la giurisprudenza del Consiglio di Stato casistica e pulviscolare, senza l’enunciazione del principio di diritto (salvo per le sentenze decise dall’adunanza plenaria), e senza neppure una struttura per la massimazione ufficiale. Il precedente perde di autorevolezza e di capacità orientativa.

Le anzidette caratteristiche processuali – che già di per sé rendono difficile assolvere pienamente il compito di giudice del caso concreto – rendono pressoché improponibile il ruolo di garante dell’unità nell’identificazione e interpretazione delle norme di diritto pubblico. 

Il legislatore negli ultimi anni è intervenuto soltanto per assecondare periodicamente l’ampliamento degli organici. Ricetta inadeguata che – come testimonia l’esperienza della giustizia ordinaria – non è in grado di sortire alcun effetto se non quello di elevare ulteriormente il numero già troppo elevato delle pronunce.

È auspicabile quindi un intervento riformatore, serio e mirato, che sappia individuare il modello più appropriato in relazione alle concorrenti esigenze da soddisfare.

Qualsiasi studio sull’appello deve essere preceduto dall’esame dei vincoli costituzionali.

Nel settore civile si è sempre predicata l’assenza di copertura costituzionale del doppio grado di giurisdizione (di merito), avendo l’Assemblea costituente scelto di provvedere, nell’art. 111 della Costituzione, soltanto alla garanzia del ricorso per cassazione per violazione di legge[24]. Anche se, secondo alcune opinioni, la possibilità di ottenere il riesame della causa da parte di un giudice diverso da quello che ha emanato la sentenza costituirebbe comunque una componente fondamentale del diritto di difesa, ai sensi dell’art. 24, comma 2, Costituzione.

La giurisdizione amministrativa è, invece, ordinata in base al principio del doppio grado di giurisdizione, ma nel limitato senso della necessità di prevedere il riesame delle pronunce dei tribunali di primo grado. Il vincolo di cui all’art. 125, comma 2, Cost., comporta cioè soltanto l’impossibilità di attribuire al tar una competenza giurisdizionale in unico grado, con la conseguente necessaria appellabilità di tutte le sue pronunce. Ciò comporta l’impraticabilità, nel processo amministrativo, della soluzione, avanzata in passato per il processo civile, di sostituire l’appello con forme “orizzontali” di opposizione da instaurare innanzi al medesimo giudice di primo grado. 

Secondo la Corte costituzionale, sta nei caratteri propri della giurisdizione amministrativa ordinaria, «vertente particolarmente nella sfera del pubblico interesse», l’opportunità del riesame delle pronunce dei tribunali di primo grado[25]. La maggiore affidabilità degli esiti offerti dal sistema del doppio grado non deriva dal fatto che il secondo giudice, in quanto tale, sia più illuminato del primo, bensì dal fatto che ha meno probabilità di sbagliare.

Sennonché, dall’art. 103 della Costituzione non si desume affatto che il Consiglio di Stato debba essere necessariamente il giudice d’appello rispetto agli (“altri”) organi di giustizia amministrativa di primo grado. L’unico vincolo è quello che fa del Consiglio di Stato l’organo di vertice della giustizia amministrativa, come si ricava pianamente anche dall’art. 111, comma 8, Costituzione.

Su queste basi, una prima ipotesi – al fine di contemperare giustizia della decisione e funzione nomofilattica – appare essere quella (sul modello dei grandi Paesi europei) di istituire corti amministrative di appello (la cui circoscrizione, in ragione della competenza territoriale dei tribunali amministrativi, dovrebbe essere macro-regionale) e di fare del Consiglio di Stato un giudice di cassazione. La missione del vertice giudiziario non sarebbe più quella di riesaminare nuovamente e daccapo la lite, bensì di verificare se i giudici di merito hanno svolto il loro compito nel rispetto delle regole di diritto.

Per evitare che divenga un terzo grado di giudizio – con conseguente allungamento dei tempi per la formazione del giudicato – il ricorso per cassazione dovrebbe essere sottoposto a una procedura preliminare di ammissione così come avviene comunemente in tutta Europa: va rimarcato che, nel caso del Consiglio di Stato, non opera il limite costituito dall’art. 111, comma 7, Costituzione, secondo cui: «Contro le sentenze (…) è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge»[26]

Per il suo successo, il filtro dovrebbe essere congegnato in maniera tale da conferire ai giudici un’ampia discrezionalità selettiva, con l’onere soltanto di una motivazione stringata e inoppugnabile. 

Solo una volta liberato dal peso di un contenzioso minuto e incentrato sulle questioni di fatto, il Consiglio di Stato potrebbe al meglio assicurare l’esatta osservanza della legge e l’unificazione del diritto pubblico, adattandolo alle evoluzioni dell’amministrazione e alle incessanti esigenze della tutela dei cittadini. Sul modello di alcune Corti europee, il Consiglio di Stato potrebbe poi continuare a conoscere, in prima e unica istanza, alcune tipologie di controversie di estremo rilievo. Stante la loro rilevanza nel sistema amministrativo delle tutele, sarebbe opportuno garantire il ricorso per cassazione anche per le pronunce cautelari (sempreché, ovviamente, superino il filtro preliminare di ammissione), sul modello del Consiglio di Stato francese.

Ove invece – per motivi legati al contenimento della spesa, per un ossequio alla tradizione storica, oppure per l’esigenza di contenere i tempi del processo – si ritenesse preferibile conservare il modello duale attualmente vigente (articolato su tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato), sarebbe necessario apportare alcuni correttivi che vadano nella direzione di: 

1) potenziare il carattere impugnatorio dell’appello; 2) introdurre l’ordinanza di rigetto degli appelli “inconsistenti”; 3) prevedere, quantomeno per gli small claims, una procedura deflattiva di pre-contenzioso.

Il potenziamento del carattere impugnatorio dell’appello – di modo che lo stesso risulti strutturato come mezzo di eliminazione degli errori della sentenza di primo grado e non come reiterazione del giudizio sulla domanda di prime cure – potrebbe ad esempio essere realizzato attraverso: 

i) l’introduzione di criteri di maggior rigore in ordine all’onere di indicare analiticamente le questioni e gli elementi concreti idonei a mettere in dubbio la correttezza e completezza degli accertamenti compiuti dalla sentenza impugnata, anche attraverso la razionalizzazione normativa della forma (e della lunghezza) dell’atto introduttivo dell’appello; 

ii) una parziale “tipizzazione” dei motivi di gravame: l’appello dovrebbe restare mezzo di impugnazione a critica libera per quanto concerne le violazioni di diritto sostanziale o processuale; sulla quaestio facti, invece, si potrebbe circoscrivere l’impugnazione al solo “errore manifesto” del primo giudice.

Passando al secondo punto, rivestirebbe eccezionale utilità la previsione di una “ordinanza decisoria di rigetto”, con cui procedere al vaglio di manifesta infondatezza degli appelli “inconsistenti”, tali cioè da non meritare il dispendio di energie processuali.

Occorre partire dalla considerazione statistica che appena il trenta per cento degli appelli proposti innanzi al Consiglio di Stato conduce a una riforma della sentenza di primo grado[27], con la conseguenza che, nella maggioranza dei casi, l’appellato, pur a fronte di appelli pretestuosi, si vede costretto ad attendere i tempi (a volte lunghi) del giudizio di appello prima di vedere confermata la decisione di prime cure, con inevitabile pregiudizio economico soprattutto per gli operatori economici.

Al fine di non allontanare l’appello dalla sua tradizionale configurazione di strumento concesso alle parti in vista del “perfezionamento della verità giudiziale”, non dovrebbe trattarsi di un procedimento sommario di “non accettazione” dell’appello, basato cioè su un mero giudizio prognostico di successo dell’impugnazione. Dovrebbe trattarsi, invece, della possibilità di adottare, all’esito di un procedimento rapido in camera di consiglio, un’ordinanza – non di rito (in termini di inammissibilità) ma – di rigetto nel merito dell’appello (sarebbero così superati i rilievi mossi in dottrina al filtro introdotto recentemente per l’appello civile[28]). 

I criteri su cui dovrebbe basarsi la decisione di rigetto con ordinanza dovrebbero assicurare la contemporanea ricorrenza: i) dell’assenza di prospettiva di successo dell’impugnazione; ii) del carattere non fondamentale della causa, ai fini dell’evoluzione del diritto o della sua applicazione uniforme. L’interesse privatistico alla giustizia del caso singolo risulterebbe così coniugato con l’interesse pubblico legato all’amministrazione della giustizia[29]

La cognizione, dunque, sarebbe piena e non sommaria, ma la motivazione dell’ordinanza potrebbe limitarsi a riscontrare semplicemente l’assenza degli anzidetti requisiti. Modalità assai meno dispendiose per la definizione delle impugnazioni “inconsistenti”, consentirebbero di impiegare le risorse così risparmiate per la definizione più attenta e tempestiva degli appelli “consistenti”.

L’ulteriore criticità da rimuovere è l’assenza di procedure alternative di risoluzione delle controversie. L’esperienza straniera insegna che le procedure ADR, anche nel capo delle controversie di diritto pubblico, possono migliorare l’efficienza della giustizia, riducendo il carico di lavoro dei tribunali e offrendo agli interessati l’opportunità di risolvere le controversie in modo assai più efficace sul piano dei costi[30]. Nel più recente dibattito appaiono superate le tradizionali riserve teoriche basate sulla cd. “non negoziabilità del potere amministrativo”[31]

Il rimedio giustiziale dovrebbe rispettare le coordinate tracciate dalla Corte di giustizia, secondo cui il principio della tutela giurisdizionale effettiva non osta alla mediazione obbligatoria, a condizione che sia soddisfatti determinati requisiti: (i) la procedura non deve condurre a una decisione vincolante; (ii) non deve comportare un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale; (iii) la prescrizione dei diritti in questione deve essere sospesa per la durata della procedura di conciliazione; (iv) non deve generare costi (o costi ingenti) per le parti; (v) la via elettronica non deve costituire l’unica modalità di accesso alla procedura di conciliazione e (vi) deve essere possibile disporre di provvedimenti provvisori in casi eccezionali (sentenza 18 marzo 2010, da C-317/08 a C-320/08, punto 67).

Il tentativo di mediazione amministrativa potrebbe essere sia preliminare rispetto all’accesso alla giurisdizione amministrativa (ad esempio, secondo il modello della negoziazione assistita[32]), sia endoprocessuale, ossia da svolgersi in corso di giudizio, su accordo delle parti o dietro invito del giudice.

Con riguardo agli small claims, potrebbe prendersi in considerazione anche l’esperienza del processo tributario, dove ha dato ottima prova di sé (in senso deflattivo) la procedura di reclamo e mediazione (prevista dall’art. 17-bis d.lgs n. 546/1992). Si potrebbe così prevedere che, per le controversie di valore non superiore a una certa soglia, il ricorso produca anche gli effetti di un reclamo, con possibilità di contenere anche una proposta di mediazione. Il procedimento di reclamo/mediazione dovrebbe costituire condizione di procedibilità del ricorso, che diverrebbe esperibile decorso comunque un certo termine (novanta giorni nel processo tributario)[33].

 

 

1. Cfr. il saggio di F. Follieri, Correttezza (richtigkeit) e legittimazione del diritto giurisprudenziale al tempo della vincolatività del precedente, in Dir. amm., n. 1/2014, p. 265.

2. Sia consentito rinviare a D. Simeoli, Appunti sul principio di legalità amministrativa, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2016, www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/388/qg_2016-4_14.pdf.

3. È a presidio della certezza del diritto e dell’uguaglianza dei cittadini che l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario conferisce alla Corte di cassazione la funzione di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» e, così, «l’unità del diritto oggettivo nazionale». Cfr. però G. Verde, In difesa dello jus litigatoris (sulla Cassazione come è e come si vorrebbe che fosse), in Riv. dir. proc., n. 1/2008, pp. 1 ss., secondo cui la finalità essenziale del giudizio di legittimità è la tutela dello ius litigatoris, che dovrebbe ritenersi prevalente sulla tutela dello ius constitutionis e cioè sulla funzione nomofilattica.

4. F. Patroni Griffi, “Usi e consuetudini giudiziari” e diritto giurisprudenziale, relazione in occasione della Tavola rotonda su «L’uso giudiziario» nell’ambito del seminario su «I precedenti», Roma, seminari “Leibniz” per la teoria e la logica del diritto, Accademia dei Lincei, 6 luglio 2017.

5. N. Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Riv. dir. proc., n. 4-5/2016, pp. 917-925.

6. Così A. Pajno, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 2/2015, pp. 345 ss.

7. Su questi temi, ex plurimis: E. Follieri, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in E. Follieri e A. Barone (a cura di), I principi vincolanti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sul codice del processo amministrativo (2010-2015), Cedam, Padova, 2015, pp. 45 ss.; S. Oggianu, Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica. L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, Cedam, Padova, 2011; G. Corso, L’Adunanza Plenaria e la funzione nomofilattica, in Rass. forense, n. 3-4/2014, p. 634; M. Mattalia, La nomofilachia dell’Adunanza plenaria in materia di project financing, in Giur. it., n. 8-9/2012, pp. 1925 ss.; C. Lamberti, Stare decisis, nomofilachia e supremazia nel diritto amministrativo, ivi, n. 4/2013, pp. 981-982; G.P. Cirillo, La frammentazione della funzione nomofilattica tra le Corti supreme nazionali e le corti comunitarie, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 1/2014, pp. 28-29; A. Storto, Decisioni della Plenaria e vincolo di conformazione, in Ratio iuris, 2012.

8. Va ricordato che già l’art. 45 del rd n. 1054/1924, come modificato dalla l. n. 1018/1950, regolava il meccanismo della rimessione all’adunanza plenaria da parte della sezione nel caso in cui il punto di diritto desse luogo a contrasti giurisprudenziali (comma 2), prevedendo altresì il deferimento da parte del presidente del Consiglio di Stato di qualunque ricorso che rendesse necessaria la risoluzione di questioni di particolare importanza (comma 3). Ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo, l’adunanza plenaria: si pronunzia, su ordinanza di rimessione della singola sezione cui è assegnato il ricorso, sulle questioni di diritto che hanno dato luogo o possono dare luogo a contrasti giurisprudenziali (comma 1); la sezione semplice, nel caso di mancata condivisione del principio di diritto, è tenuta a rimettere alla stessa adunanza la decisione del ricorso (comma 3); l’adunanza plenaria, ove ritiene che «la questione è di particolare importanza», può comunque enunciare il «principio di diritto nell’interesse della legge» anche allorquando «dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio» (comma 5). 

9. Analogo a quelle parimenti di recente introduzione, volte a potenziare il ruolo nomofilattico dei vertici della magistratura ordinaria (art 374 cpc, introdotto dall’art. 8 d.lgs n. 40/2006) e contabile (art. 1, comma 7, dl n. 453/1993, convertito dalla l. n. 19/1994, come integrato dall’art. 42 l. n. 69/2009).

10. Solo per la Corte dei conti il vincolo giuridico è anche “verticale”, riguardando anche le sezioni giurisdizionali regionali.

11. Cfr. A. Maltoni, Il “vincolo” al precedente dell’Adunanza plenaria ex art. 99, comma 3 c.p.a. e il rispetto dei principi costituzionali, in Foro amm., n. 1/2015, pp. 137 ss.

12. A. Pajno, Nomofilachia, op. cit.; D. Simeoli, “Vincolo” del precedente e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE: brevi note, in Forum di Quad. cost., luglio 2016.

13. Nel sondaggio era compreso il Regno Unito.

14. Vds. ACA-Europe, How our Courts Decide: the Decision-making Processes of Supreme Administrative Courts, Dublino, 25-26 marzo 2019; Functions of and Access to Supreme Administrative Courts, Berlino, 13 maggio 2019.

15. Con riguardo a: i) funzioni (solo alcune, ad esempio, svolgono anche funzioni consultive: Belgio, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Finlandia) e ampiezza delle competenze giurisdizionali (l’Italia ha una competenza più ristretta in ragione del noto criterio costituzionale di riparto); ii) numero di giudici, con corti estremamente ristrette (Regno Unito, Irlanda, Spagna) e corti con almeno 100 magistrati (come Grecia, Francia, Polonia, Bulgaria, Italia); iii) numero di casi annuali trattati (l’Italia, ovviamente, si colloca nella parte alta della lista, soprattutto se si tiene conto del fatto che nei numeri delle altre corti europee sono preponderanti le decisioni sull’ammissione al ricorso).

16. In Francia, le controversie relative agli atti ministeriali e di regolazione sono trattate in prima istanza dal Consiglio di Stato.

17. Cfr. A. Masucci, Le “Cassazioni amministrative”. Le esperienze tedesca e francese, Giuffrè, Milano, 2016.

18. Il quale, nella traduzione inglese disponibile sul sito della Suprema corte, recita: «The Federal Administrative Court shall be bound by the factual findings handed down in the impugned judgment unless admissible, well-founded grounds for the appeal on points of law have been submitted in relation to these findings».

19. La divergenza non deve riguardare una qualsiasi decisione dei tribunali superiori amministrativi, ma deve riguardare una quaestio juris di particolare importanza. Deve trattarsi inoltre di una «divergenza rilevante», che può mettere in discussione «l’unità del diritto» – cfr. A. Masucci, Le “Cassazioni amministrative”, op. cit.

20. L’accesso alla Corte suprema Usa può provenire sia da corti federali (dove si discute di legislazione prodotta dal Congress degli Stati Uniti) che da corti statali: in quest’ultimo caso, ove la lite implichi una “federal issue”. La selezione dei casi che meritano di essere trattenuti a decisione avviene in modo discrezionale, su writ of certiorari, a opera della Corte suprema in seduta collegiale (se 4 dei 9 giudici della Corte suprema concordano, la controversia viene esaminata; altrimenti il provvedimento è di “certiorari denied”). Nella selezione, i giudici sono assistiti dai law clerks, laureati delle più prestigiose università che svolgono un periodo di apprendistato presso le corti (cfr. W.L. Watson, The U.S. Supreme Court’s In Forma Pauperis Docket: A Descriptive Analysis, in The Justice System Journal, vol. 27, n. 1/2006, pp. 47-60; i dati sui ricorsi sono consultabili sul sito www.supremecourt.gov/filingandrules/rules_guidance.aspx). 

21. C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. III. Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Giappichelli, Torino, 2014, p. 269.

22. In Finlandia, Germania, Estonia, Portogallo, il panel competente a decidere sul permesso di appellare consiste di tre giudici (e non della ordinaria composizione di cinque). 

23. Cfr. ancora A. Masucci, Le “Cassazioni amministrative”, op. cit.

24. Nel senso che l’istituto del doppio grado di giurisdizione, nel settore civile, non ha rilevanza costituzionale, cfr. Corte cost., sentt. nn. 62/1981 e 8/1982.
All’interno di quel sistema, infatti, la garanzia del doppio grado è esplicitamente prevista solo in materia penale (art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 del 22 settembre 1984), mentre in materia civile è contemplata soltanto da una (non vincolante) raccomandazione: quella del Comitato dei ministri del 7 febbraio 1995.

25. Corte cost., sent. n. 8/1982.

26. Peraltro, nel giudizio di Cassazione, il nuovo art. 360-bis (aggiunto con la l. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009), prevede che: «Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.

27. Il dato riferito al 2020 è precisamente del 29 per cento.

28. Nel settore civile, il legislatore ha recentemente optato (con il dl n. 83/2012, convertito, con modifiche, dalla l. n. 134/2012) per l’introduzione di un “filtro” d’accesso all’appello, prevedendo la possibilità di dichiarare con ordinanza l’inammissibilità dell’appello, ove questo sia ritenuto dal giudice di seconde cure privo di una «ragionevole probabilità» di essere accolto (art. 348-bis cpc). A tale dichiarazione di inammissibilità può seguire l’impugnazione in Cassazione della sentenza di primo grado, peraltro, soltanto per alcune delle censure di cui all’art. 360 cpc, nell’ipotesi in cui l’ordinanza poggi sulle stesse ragioni di quest’ultima (art. 348-ter cpc). Sulla soluzione domestica, introdotto dal cpc, il dibattito dottrinale ha evidenziato l’incoerenza sistematica della scelta italiana, che prevedendo il rigetto in rito – e non in merito – dell’appello privo di ragionevole probabilità di accoglimento, avrebbe inopportunamente utilizzato l’inammissibilità per sanzionare non già difetti formali dell’atto di impugnazione o l’inesistenza, originaria o sopravvenuta, del diritto di impugnare, bensì l’infondatezza più o meno manifesta dell’appello. Il legislatore italiano ha infatti deciso di condizionare la pronuncia della cd. ordinanza-filtro alla verifica della sola mancanza di ragionevole probabilità per l’appello di essere accolto. Cfr. M. De Cristofaro, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), in Judicium, 29 giugno 2012, www.judicium.it/wp-content/uploads/saggi/324/M.%20De%20Cristofaro.pdf.

29. Analogo meccanismo di filtro in appello è previsto nell’ordinamento tedesco, sia nel processo civile (§ 522, ZPO), sia nel processo amministrativo (il filtro è previsto dagli artt. 124, 124a del codice di procedura. I criteri di ammissione, nel testo inglese disponibile sul sito della Corte, sono: «1. if serious doubts exist as to the correctness of the judgment, 2. if the case has special factual or legal difficulties, 3. if the case is of fundamental significance, 4. if the judgment derogates from a ruling of the Higher Administrative Court, of the Federal Administrative Court, of the Joint Panel of the supreme courts of the Federation or of the Federal Constitutional Court, and is based on this derogation, or 5. if a procedural shortcoming subject to the judgment of the court of appeal on points of fact and law is claimed and applies on which the ruling can be based»). Il meccanismo tedesco ha superato il vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo: Rippe c. Germania, ric. n. 5398/03, 2 febbraio 2006, in relazione all’art. 6, comma 1, Cedu. Sul processo civile tedesco, utilissimi riferimenti di diritto comparato sono offerti da S. Dalla Bontà, Contributo allo studio del filtro in appello, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015.

30. In Francia, la recente legge 2016/1547, del 18 novembre 2016, consente la mediazione amministrativa nei rapporti con la pubblica amministrazione. A norma dell’art. L213.1, infatti, «la médiation régie par le présent chapitre s’entend de tout processus structuré, quelle qu’en soit la dénomination, par lequel deux ou plusieurs parties tentent de parvenir à un accord en vue de la résolution amiable de leurs différends, avec l’aide d’un tiers, le médiateur, choisi par elles ou désigné, avec leur accord, par la juridiction». L’attivazione della procedura di mediazione amministrativa ha come effetto quello di interrompere i termini di proposizione del ricorso e di sospendere i termini prescrizionali. Nel 2018 sono state esperite 800 mediazioni e, nel 2019, 1000 mediazioni con il 68 per cento di esiti favorevoli. I principali ambiti di ricorso alla mediazione amministrativa sono stati: marchés publics, fonction publique, domaine public, urbanisme.
In Germania, la legge sulla mediazione (anche amministrativa) del 2012 prevede l’introduzione di una mediazione precontenziosa e di una mediazione all’interno del processo con la creazione della figura del “güterichter”, cioè del giudice-mediatore, ma non come componente del collegio giudicante.

31. Vale ricordare che, nel luglio 2020, l’Associazione «Lettera 150» ha avanzato alcune proposte tese all’inserimento di un apposito capo sulla mediazione amministrativa nel cpa del 2010 e alla connessa riforma del dm 10 marzo 2014, n. 55 (regolamento sui parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense), al fine di disciplinare in modo puntuale gli aspetti afferenti agli onorari dei mediatori.

32. Cfr. S. Tarullo, Mediazione e negoziazione assistita nelle controversie con la p.a.: modelli a confronto (relazione tenuta al webinar del 1 dicembre 2020 dal titolo «La mediazione amministrativa: introduzione del modello e possibile impatto in termini di efficienza della giurisdizione amministrativa», organizzato in collaborazione tra l’Ufficio Studi, massimario e formazione della giustizia amministrativa e il Gruppo di lavoro sulla giustizia amministrativa dell’Associazione «Lettera 150»), il quale suggerisce di adattare la disciplina di cui al dl n. 132 del 12 settembre 2014, convertito nella l. n. 162 del 10 novembre 2014 («Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile») al campo del diritto amministrativo.

33. Favorevole alla introduzione delle ADR nel processo amministrativo V. Cerulli Irelli, La responsabilità del giuspubblicista. Spunti critici, in Federalismi, n. 30/2020.