Magistratura democratica

La “risorsa” del giudice amministrativo

di Maria Alessandra Sandulli

“Risorsa” fondamentale per assicurare l’effettività della tutela nei confronti del potere amministrativo e la “giustizia nell’amministrazione”, il giudice amministrativo, per assolvere al suo ruolo, deve però mantenere la sua peculiarità: impedire l’efficacia di atti amministrativi ingiustamente lesivi di posizioni giuridicamente tutelate, senza cedere alle spinte verso una progressiva assimilazione al giudice ordinario. Per questa ragione, mentre va nettamente stigmatizzata ogni tendenza a sostituire la tutela caducatoria con quella risarcitoria, va forse ripensata anche l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria, ipotizzando magari una mera partecipazione del relatore della sentenza al collegio giudicante ordinario. 

1. Premessa: il giudice amministrativo come “risorsa” fondamentale per la “buona amministrazione” / 2. Alcune “criticità” del sistema / 3. I “punti di forza” del giudice amministrativo e la necessità di salvaguardarli / 4. Conclusioni

 

1. Premessa: il giudice amministrativo come “risorsa” fondamentale per la “buona amministrazione”

Ho aderito con sincera convinzione alla proposta di Giancarlo Montedoro e di Enrico Scoditti di svolgere alcune riflessioni sul ruolo del giudice amministrativo nell’ordinamento contemporaneo. 

Tra i molti, seri problemi sollevati o messi in nuovo risalto dall’emergenza sanitaria ed economica da Covid-19, c’è, evidentemente, quello della validità del nostro sistema di giustizia amministrativa. Le ragioni sono molteplici e di immediata percezione. 

Il tema è di massima attualità perché l’emergenza è gestita attraverso provvedimenti amministrativi (decreti, ordinanze, circolari, linee-guida, e le più svariate forme di raccomandazioni, indirizzi, istruzioni, intese, moduli di autodichiarazione, etc.), perché l’impatto economico della pandemia ha imposto e impone misure di sostegno e di rilancio dell’economia che, a loro volta, richiedono autorizzazioni e controlli amministrativi, perché l’esigenza di disporre in tempi estremamente brevi di ulteriori strutture, presidi sanitari, strumenti di prevenzione, risorse umane e tecnologiche, mezzi di trasporto e molto altro deve essere soddisfatta mediante atti amministrativi: come ben osservato da Montedoro e Scoditti nel saggio introduttivo a questo numero della Rivista, la pandemia ha rilanciato «la centralità del pubblico», ponendo «le premesse per un nuovo patto fra autorità e libertà che privilegi il potere amministrativo rispetto alla declinazione privatistica dei rapporti giuridici». E, quanto più si espande l’autorità, tanto più è delicato e importante il sindacato sull’esercizio del potere: compito ancora più arduo in un sistema amministrativo estremamente complesso, nel quale si intrecciano e si sovrappongono e contrappongono svariati livelli e tipologie di competenze, portatrici di diversi e molteplici interessi, in un quadro normativo multilivello e notoriamente farraginoso, dove la confusione e l’incertezza sono aggravate dalla crisi della politica e dai problemi di legittimazione delle istituzioni rappresentative, alle quali, in ossequio al principio costituzionale della sovranità popolare, è affidato l’esercizio del potere normativo primario, fermo però il limite – tutt’altro che irrilevante – che, sempre per effetto della Costituzione, la sovranità nazionale incontra nel primato dell’Unione europea e il rispetto degli obblighi eventualmente assunti a livello internazionale o pattizio. 

La necessità di valorizzare al massimo i finanziamenti disposti dall’Unione europea per fronteggiare l’eccezionale emergenza pandemica Covid-19 e i suoi drammatici effetti, e di non perdere una eccezionale e irripetibile occasione di ri-partenza, trasformando il cd. “debito buono” (perché consente investimenti idonei a determinare un’inversione di rotta verso una nuova crescita economica) in un irrecuperabile “debito puro” (che, per il suo straordinario ammontare, porterebbe inevitabilmente al tracollo del nostro Paese), impone, oggi più che mai, una “buona amministrazione” e, conseguentemente, un efficace sistema di controlli e di tutela giurisdizionale sull’operato dei soggetti – pubblici e privati – che devono in concreto assicurarla.

Il superamento della crisi sociale ed economica prodotta dalla pandemia è una “sfida epocale”, che l’Italia deve assolutamente vincere. 

E, tema sul quale da ormai diversi anni cerco di richiamare l’attenzione di politici, giudici, amministratori e studiosi, l’economia non può ripartire senza legalità e sicurezza, perché gli operatori e gli investitori hanno bisogno di poter fare affidamento su regole certe, irrinunciabile viatico per acquisire quella «prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie e delle altrui condotte» che consente di correre “in ragionevole tranquillità”, direttamente o attraverso l’acquisto di beni o di quote societarie, i fisiologici (e dunque ineliminabili) “rischi d’impresa” di qualsiasi attività economica[1]. Per queste ragioni ho ripetutamente stigmatizzato la “trappola” nascosta nelle norme di “pseudosemplificazione” che celano in realtà l’ingiusto trasferimento dalle amministrazioni ai privati delle responsabilità della ricerca e della lettura delle regole applicabili alle singole fattispecie[2]. Ho quindi particolarmente apprezzato le parole con cui, nel documento programmatico presentato il 17 febbraio scorso al Senato in occasione del voto di fiducia al nuovo Governo, il premier Draghi, con riferimento agli interventi per il Mezzogiorno, ha sottolineato che «Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro, invertire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite». 

Il che – soprattutto in un quadro normativo come detto (e come noto) estremamente incerto, significativamente descritto come “labirinto”, “alveare”, o simili, tanto da aver indotto il legislatore a ridefinire in termini riduttivi gli ambiti della responsabilità erariale e dell’abuso d’ufficio[3] – si traduce in un fortissimo carico di responsabilità per le istituzioni che, in virtù e in osservanza dei precetti costituzionali, devono non soltanto controllare e giudicare l’effettiva correttezza dell’operato dei soggetti deputati alla cura degli interessi pubblici, ma anche, se non soprattutto, “guidarne” l’azione per assicurarne, per quanto possibile, la “legalità” e, dunque, la “giustizia” (come disposto dall’art. 100 Cost.).

I nuovi finanziamenti possono e devono essere l’occasione per investire anche sul sistema giustizia (recte, sul “servizio giustizia”[4]), perché, come recentemente ricordato da autorevole dottrina[5], «l’efficienza (della macchina) è condicio sine qua non (sebbene non anche condicio per quam) dell’effettività [in altro passaggio correttamente ridefinita come «efficacia»] (della tutela)».

Per altro verso, il sistema giustizia non può però più permettersi “passi falsi” e deve, oggi più che mai, porsi compatto e, in tutte le sue espressioni e punti di forza, “al servizio” del Paese, con lo stesso spirito e con la stessa “abnegazione” con cui lo hanno fatto e continuano a farlo i medici e gli operatori sanitari e lo hanno fatto e continuano a farlo gli assistenti sociali, gli insegnanti e tutti coloro che operano in settori che non hanno potuto “fermarsi”. Nella stessa linea, del resto, il 2 febbraio scorso, il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rivolto un accorato, ma fermo «appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché confe[rissero] la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica» per fare «fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili». E, come abbiamo sentito nella ricordata presentazione del documento programmatico al Senato, lo stesso senso di responsabilità ha ispirato il presidente Draghi e i nuovi ministri e gli altri autorevoli componenti del nuovo staff governativo ad accettare l’incarico[6]

Lo spirito e, mi si consenta, l’“abnegazione” dimostrata dagli operatori sanitari e da tutti coloro che li hanno supportati devono essere invero, come è logico, richiesti a (e dimostrati da) chiunque operi per la tutela di diritti fondamentali e/o, direttamente o indirettamente, per la tutela di interessi generali, come è (rientrando a pieno titolo in entrambe le categorie) sicuramente quello a che l’organizzazione e l’esercizio dell’attività amministrativa, cui è oggi “affidata” l’attuazione (e, in buona parte, la stessa puntuale definizione) delle linee di contrasto della pandemia e del disegno di ricrescita economica, sociale e culturale, siano, come detto, informati al massimo rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento[7], in linea con l’art. 97 Cost.[8] e con l’art. 41 della Carta di Nizza[9]. E dunque, in primis, agli organi di controllo dell’azione amministrativa[10] e ai giudici – plesso tar-Consiglio di Stato – cui la Costituzione affida, in via generale, la tutela nei confronti dell’autorità amministrativa. Ho usato l’espressione “punti di forza” perché, in controtendenza rispetto a quanti lo considerano un vulnus di tutela o, comunque, un inutile aggravio della finanza pubblica, ritengo che il modello “dualista”, fondato sull’affidamento delle controversie attinenti al corretto esercizio del potere amministrativo e/o alla corretta gestione dei rapporti tra amministrazioni e amministrati[11] a un plesso giurisdizionale “specializzato” e “dedicato”, costituisca un “punto di forza” del nostro sistema di giustizia amministrativa.

Occorre tuttavia dare atto che, se possiamo ritenere ormai pacificamente acquisita, anche nei Paesi che non ne avevano tradizione, la “necessità” di un “diritto amministrativo”[12] e di regole processuali specialistiche, non vi è, come noto, purtroppo, altrettanta omogeneità di vedute sulla opportunità di un modello dualista di giustizia amministrativa, ovvero sull’affidamento, in tutto o in parte, del sindacato giurisdizionale sugli atti e sui comportamenti delle pubbliche amministrazioni (e dei soggetti ad esse equiparati) a un plesso giurisdizionale “dedicato”, distinto dalla magistratura ordinaria[13], soprattutto laddove, in forza dell’estensione dell’ambito della giurisdizione esclusiva, ciò implichi una scissione della funzione di nomofilachia sui diritti, anche fondamentali[14]. Ancora recentemente, a proposito dell’ordinanza con cui la Corte di cassazione ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea la definizione dei confini del proprio sindacato «per motivi di giurisdizione» sulle sentenze dei giudizi amministrativi di ultima istanza, uno tra i più apprezzati studiosi della giustizia amministrativa[15] ha ribadito che «il modello delle due giurisdizioni separate, sempre più difficile da rappresentare e sempre più lontano dalle ragioni e dalla comprensione dei cittadini, meriterebbe una profonda revisione critica, ispirata alle esigenze di semplificazione della tutela, più che al rispetto delle tradizioni e delle posizioni correlate» e, pur correttamente riconoscendo che, «per rispetto dei ruoli definiti dalla Costituzione, è una riforma demandata al legislatore, come d’altronde aveva richiesto Calamandrei, e non all’interpretazione dei giudici», ha sottolineato la perdurante attualità degli argomenti spesi a tal fine dall’illustre studioso e disattesi dall’Assemblea costituente, ritenendola anzi rafforzata «con l’estensione della giurisdizione esclusiva, con la revisione dei confini fra diritto amministrativo e diritto privato, con lo spazio maggiore riconosciuto oggi ai moduli consensuali nell’amministrazione», per concludere che «la revisione dell’assetto attuale della giustizia amministrativa, nell’interesse innanzi tutto dei cittadini, non è la meno importante o la meno urgente delle riforme che il nostro Paese meriterebbe».

Il dibattito sull’effettiva opportunità della scelta dualista (come detto, in ogni caso, riservata al legislatore costituzionale) viene peraltro impropriamente alimentato – e fuorviato – dal clima di apprensione, deprecabilmente alimentato dalla stampa quotidiana, nei confronti delle pronunce giurisdizionali che, pur giustamente, in ossequio ai surrichiamati principi regolatori dell’attività amministrativa, impediscono che le decisioni illegittime producano effetti: le critiche, evidentemente strumentali, pretermettono però di considerare che i rimedi e le misure di cura o di prevenzione delle patologie provocano inevitabilmente qualche effetto collaterale, ciò che, in medicina, non è una buona ragione per rinunciare alle terapie o addirittura lasciare morire il paziente e, nel caso della giustizia amministrativa, non è una buona ragione per rinunciare a una forma essenziale di garanzia della legalità nell’azione dei poteri pubblici[16].

Al di là delle – fisiologiche – problematiche di qualsiasi sistema giurisdizionale e di alcune, più specifiche, criticità del nostro sistema di giustizia amministrativa (legate, in primis, all’irrisolta e irrisolvibile difficoltà di tracciare una linea certa di confine tra le due giurisdizioni, all’affidamento allo stesso giudice amministrativo del sindacato sulle decisioni del proprio organo di autogoverno, ad alcune ingiustificate peculiarità del giudizio sugli atti delle amministrazioni aventi sede o operanti nella Regione siciliana o, ancor più, nella Provincia di Bolzano[17], oltre che all’annosa questione della commistione tra funzione consultiva e funzione giurisdizionale), ritengo peraltro che il giudice amministrativo sia, ancora oggi e soprattutto oggi, una grande risorsa, che, in quanto tale, merita senz’altro di essere valorizzata. 

È tuttavia compito (pur spiacevole) proprio di coloro che riconoscono e apprezzano questa risorsa segnalare i profili nei quali essa dovrebbe – o, quantomeno, potrebbe – essere migliorata. Negli evidenti limiti di questo scritto, proverò dunque, oltre che a segnalare alcuni, importanti “punti di forza” del giudice amministrativo, a muovere alcune “critiche costruttive”.

 

2. Alcune “criticità” del sistema

Inizierò, pur consapevole di entrare in un “campo molto minato”, dal delicatissimo tema degli incarichi extragiudiziari.

Contrariamente ad altri studiosi, ritengo che, oltre all’importante apporto che i giudici amministrativi danno nel loro ruolo di “grand commis” all’intero apparato istituzionale, la grande esperienza che essi acquisiscono negli uffici governativi e amministrativi in genere sia un “punto di forza” del nostro sistema di giustizia amministrativa, perché consente loro una più intima e intensa comprensione della “macchina amministrazione” e, di conseguenza, una più immediata percezione di quel vizio di “eccesso di potere” che, proprio per la loro particolare connotazione e funzione, viene loro consentito (rectius, richiesto) di sindacare. Tuttavia – dal momento che, come dimostra la speciale attenzione dedicata negli ultimi anni al “conflitto di interessi” (basti citare, per tutti, l’art. 53, comma 16-ter, d.lgs n. 165/2001 e le norme sulle incompatibilità degli ex titolari degli organi di vertice delle autorità indipendenti), il rispetto del principio di imparzialità impone di evitare anche la mera “apparenza” di condizionamento – sarebbe forse opportuna una (ancora) più puntuale e rigorosa regolamentazione dei limiti di tali “prestiti”, per evitare, per un verso, che (salvo situazioni davvero eccezionali, come ad esempio quella che stiamo drammaticamente attraversando) preziose risorse della giustizia le siano di fatto definitivamente o prevalentemente sottratte e, per l’altro, che “l’onere” della temporanea assunzione di un in-“carico” possa essere superficialmente letto o strumentalmente rappresentato ab externo come sostanziale insoddisfazione dei giudici nei confronti del proprio ruolo e come costante “aspirazione” all’esercizio di una funzione diversa da quella giurisdizionale, suscettibili (sia pure in modo inconscio), di influenzare, non solo ex post, ma soprattutto ex ante, l’esercizio di quest’ultima, spingendola in una direzione potenzialmente più favorevole al conseguimento di incarichi di matrice “politica”. Il problema, ovviamente, non è limitato ai giudici del plesso tar-Consiglio di Stato, ma per essi (soprattutto per i consiglieri di Stato) è di maggiore evidenza.

Analogamente, meriterebbe di essere introdotto – anche per i magistrati (ordinari e amministrativi) che lasciano il servizio – un regime di temporanea incompatibilità per l’assunzione di incarichi e/o esercizio di attività (come quella professionale) potenzialmente “confliggenti” con le funzioni esercitate fino al giorno prima.

E bisognerebbe avere una maggiore attenzione nella scelta dei componenti laici degli organi di autogoverno delle diverse magistrature (per escludere ogni ipotesi di, pur apparente, conflitto con l’esercizio della professione forense negli ambiti di competenza degli organi “autogovernati”) – e delle commissioni di concorso per l’accesso ai relativi ruoli (escludendone in radice quanti esercitano attività professionale dinanzi alle rispettive magistrature: segnalo, a tale proposito, il “conflitto” che potrebbe determinarsi all’interno di una commissione tra componenti laici e componenti togati chiamati a giudicare delle loro cause).

Un ulteriore problema, a mio avviso in qualche modo legato alla caratteristica – ripeto, in sé positiva – dell’esperienza plurifunzionale del giudice amministrativo e alla sua speciale attitudine a “legiferare”, è quello del rispetto dei limiti del potere interpretativo. 

In altre occasioni ho avuto modo di segnalare la preoccupazione verso alcune tendenze “creative”, che alterano il ruolo del giudice e minano il principio fondamentale di certezza del diritto, nel surrichiamato senso di garanzia di prevedibilità delle conseguenze derivanti dai propri comportamenti. 

In una relazione tenuta qualche anno fa all’Accademia dei Lincei[18], Filippo Patroni Griffi, attuale presidente del Consiglio di Stato, ha ricordato che «Tullio Ascarelli ha insegnato che il significato della norma si ricava soprattutto osservando la quotidiana opera del giudice, proprio perché il diritto non esiste al di fuori della sua interpretazione». Questo insegnamento vale in termini ancora più netti per il diritto amministrativo. Diversamente dalle altre grandi branche del diritto, il diritto amministrativo non ha un codice e risente del sistema multilivello delle competenze legislative e normative e, soprattutto, della necessità e difficoltà di stare al passo con le continue evoluzioni culturali, sociali e tecnologiche e di fare tempestivamente fronte alle esigenze economiche e alle altre possibili congiunture, come abbiamo dovuto in quest’anno drammaticamente constatare. 

In un quadro normativo oggettivamente incerto, il ruolo della giurisprudenza è, evidentemente, massimo, ma, proprio per questo, sono massime anche le sue responsabilità. Il giudice deve «interpretare» e, facendo il miglior uso della funzione nomofilattica, offrire una chiave di lettura prevedibile e omogenea per le future decisioni, ma il suo ruolo di «concorrere a “formare” il diritto, cioè a costituire il diritto come concretamente applicato ogniqualvolta si chieda l’intervento del giudice per dirimere una controversia»[19], (i) non deve travalicare i confini della giurisdizione, esorbitando nell’ambito proprio del legislatore attraverso la “creazione” di regole totalmente nuove e/o “riplasmando” il modello costruito dalla legge, al punto da fissare linee di indirizzo potenzialmente, o addirittura chiaramente, divergenti dal testo normativo, in marcato contrasto con il canone ermeneutico di cui all’art. 12, comma 1, delle cd. preleggi, per il quale, nell’applicare la legge, non le si può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la relativa connessione[20], e (ii) deve essere ispirato ai principi dell’errore scusabile e del cd. prospective overruling, nel senso che deve fare in modo di non far ricadere sugli amministratori e sugli amministrati le conseguenze negative di una interpretazione in peius non facilmente prevedibile.

Con riferimento al primo profilo, non posso non fare, ancora una volta, appello al necessario rispetto del principio costituzionale di legalità democratica, ultimo valore al quale possiamo permetterci di rinunciare, così come il “servizio” legislativo è l’ultimo “servizio” di cui una società può fare a meno, tanto più se, come nell’attuale congiuntura, ha assoluto bisogno di far ripartire la propria economia e di riacquistare credibilità nel contesto internazionale, e dunque di dare prevedibilità e certezza a quanti, nonostante il momento di difficoltà, decidano di investirvi studio, lavoro e beni. Rinunciarvi in favore di un “nuovo diritto giurisprudenziale” significa tornare al sistema dei “giudici sacerdoti” dell’antica Roma, che risolvevano le controversie sulla base di regole “segrete”, e distruggere il valore della codificazione che, a partire dagli antichi codici romani, si è andato progressivamente sviluppando, fino a raggiungere, negli Stati moderni post-illuministi, un ruolo fondamentale di garanzia per la stabilità e imparzialità del sistema[21]. E significa, altresì, rinunciare alle conquiste dello Stato costituzionale di diritto, che, quando usa la tecnica di normazione per principi, impone una netta distinzione tra attuazione e applicazione della Costituzione, con la riserva della prima al legislatore (unico titolare, in nome dell’investitura popolare, del potere di bilanciamento degli interessi sociali) e l’affidamento della seconda all’amministrazione e ai giudici[22]. Non si vuole qui negare il ruolo fondamentale svolto dalla giurisprudenza, in particolare quella amministrativa, nell’affermazione e nella costruzione di fondamentali garanzie dei cittadini in coerenza con il quadro costituzionale e, oggi, eurounitario, ma non si può dimenticare che il compito del giudice deve essere quello di applicare (e interpretare) la legge, non di “costruirla” e tanto meno di “ricostruirla”[23], in nome di una lettura “costituzionalmente orientata” del quadro normativo che non può in ogni caso essere fondata su un principio “liquido” come quello di “ragionevolezza” (sul quale è addirittura in discussione l’ambito del sindacato della Corte costituzionale)[24], che lo ha talvolta indotto a indulgere verso un “bilanciamento” dei diversi interessi che spetta solo al legislatore effettuare. Con la ricordata aggravante che, trattandosi di “interpretazione”, la “regola giurisprudenziale”, diversamente da quella normativa, viene invocata come retroattiva, di talché, se è una regula in peius, finisce col limitare la garanzia degli interessi più deboli a vantaggio del potere pubblico[25]. A tale proposito va ricordato che la regula iuris giurisprudenziale è inevitabilmente – e doverosamente – condizionata dalla “fattispecie” cui si riferisce e, dunque, non è mai connotata dai fondamentali canoni di generalità e astrattezza[26]

Si deve quindi guardare con particolare preoccupazione agli esiti dell’inerzia del legislatore a fronte delle cd. sentenze additive di “principio” o di “meccanismo” della Corte costituzionale[27]

La giurisprudenza creativa ha trovato un terreno particolarmente fertile nella gestione delle udienze da remoto e della tutela monocratica. 

Con riferimento alle prime, si è infatti riscontrata un’assoluta varietà di soluzioni sulle tempistiche della richiesta di discussione e sul rapporto tra la presentazione di tale richiesta e il deposito di “note di udienza”[28]. Quanto alla tutela monocratica, è ormai noto che, a fronte del chiaro disposto dell’art. 56, comma 2, cpa nel senso dell’inoppugnabilità delle decisioni cautelari monocratiche[29], alcuni presidenti di sezione del Consiglio di Stato ne hanno (non solo in concreto[30], ma anche solo in astratto[31]) affermato l’appellabilità, con buona pace di quanti, credendo di poter confidare (quantomeno) nella certezza delle regole processuali univoche, si erano “rassegnati” ad accettare l’esito dell’istanza o – se avvocati – avevano rappresentato al loro assistito la sua inoppugnabilità, dissuadendolo dal gravare gli organi giurisdizionali con azioni che il codice testualmente dichiara inammissibili (con disposizioni che, quantomeno fuori dei casi di rilevanza eurounitaria, sono evidentemente vincolanti anche per i tutori della legge, limitati dall’assenza di un sindacato diffuso sulla sua costituzionalità)[32]. Pur riconoscendo la “giustizia sostanziale” dei (pochissimi) decreti di accoglimento dell’appello, è innegabile che i loro estensori hanno – coraggiosamente – valicato i confini dell’interpretazione[33]

Il recente dibattito sul sindacato giurisdizionale sul cd. “diniego di giustizia”[34] conferma, per altro verso, come la giurisprudenza “creativa” possa risolversi anche a danno del ricorrente.

Analogamente perniciose, per ciò che si muovono in senso opposto agli sforzi legislativi di attrarre gli operatori e gli investitori e incentivare la ripresa delle attività economiche (sulle quali hanno fortemente insistito e continuano a insistere le riforme amministrative dell’ultimo decennio), sono le decisioni che, a fronte di disposizioni espressamente dichiarative dell’equipollenza dell’inerzia amministrativa all’accoglimento di un’istanza o al consolidamento di una d.i.a./s.c.i.a., continuano ad affermare l’inidoneità del «mero dato temporale» a integrare il requisito per l’accesso a procedure e/o benefici subordinati al possesso del titolo implicitamente acquisito o consolidato[35]; o i tentativi di allargare l’ambito delle eccezioni all’applicabilità del silenzio assenso[36]

Ho però più volte toccato questo tema e mi limito pertanto a rinviare ai precedenti scritti[37], senza mancare, all’opposto, di esprimere massimo apprezzamento per le pronunce che cercano invece di valorizzare la “prevedibilità” delle norme – e delle interpretazioni – limitative[38] e, coerentemente, riconoscere l’errore scusabile nelle ipotesi di incertezza[39].

 

3. I “punti di forza” del giudice amministrativo e la necessità di salvaguardarli

Vorrei piuttosto fermarmi sulla valorizzazione dei punti di forza del giudice amministrativo: le differenze del suo sindacato rispetto a quello del giudice ordinario. 

Si tratta di differenze sostanziali e procedurali. 

Le seconde sono di più immediata evidenza. La giustizia amministrativa ha tempi decisamente più rapidi di quella ordinaria, tempi che, per alcune controversie o alcune materie, possono diventare estremamente rapidi: penso a quelle suscettibili di essere definite in sede cautelare con sentenza in forma semplificata e a quelle sottoposte a “rito speciale accelerato” o “super accelerato”. Inoltre, e non è poco, consente di ottenere in sede di appello (ovvero con giudizio devolutivo e a “critica libera”) la pronuncia di una magistratura suprema di altissimo livello, che, salvi i rarissimi casi di sconfinamento dai limiti esterni della giurisdizione, non è sindacabile neppure dalla Corte di cassazione, e che, laddove occorra, può sfociare, sempre in tempi molto ristretti, in una decisione dell’organo di nomofilachia. Proprio per le peculiarità della sua organizzazione e per il ridotto numero dei suoi organi e dei suoi magistrati (che ne fa un’autentica task force al servizio della Nazione), essa è dunque in condizioni di assicurare, anche in situazioni di massima difficoltà, una tutela immediata e di testata competenza. Lo ha dimostrato e lo sta ampiamente dimostrando la sua gestione nell’emergenza Covid-19, e ne danno conferma la prontezza ed efficacia con cui i giudici amministrativi si sono pronunciati e si stanno pronunciando anche sulla vasta e confusa profluvie di atti con cui le diverse amministrazioni stanno affannosamente cercando di reagire ai numerosi e imprevedibili problemi che essa quotidianamente pone. 

Le altre differenze attengono al tipo di tutela. Innanzitutto, il già richiamato sindacato sull’eccesso di potere, che, sul delicato confine tra legittimità e merito, è finalizzato a (con)tenere nei giusti binari la discrezionalità amministrativa. Un’amministrazione efficiente ha bisogno di un sistema che valorizzi la sua discrezionalità e le consenta di operare delle scelte proficue e di individuare le migliori modalità per perseguire i fini indicati dal legislatore, ma la discrezionalità apre inevitabilmente il varco ai favoritismi e alla corruzione e un’amministrazione imperniata sui principi di economicità, imparzialità e leale collaborazione non può consentire che la discrezionalità trasmodi in arbitrio e sia il paravento di scelte ingiuste. Il giudice amministrativo, dalla nota sentenza 601 del 1999 ai più recenti orientamenti giurisprudenziali, ha fatto grandissimi passi avanti a questo riguardo. Come rimarcato dall’Ufficio studi del Consiglio di Stato[40] e ribadito nella Relazione sull’attività della Giustizia amministrativa svolta dal presidente del Consiglio di Stato in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2020[41], la giurisprudenza più recente sembra invero, almeno in linea teorica, decisamente più aperta a un sindacato di full jurisdiction. L’evoluzione del rapporto privato-amministrazione (con l’istituzionalizzazione in via generale del contraddittorio procedimentale e la possibilità di composizione negoziale degli interessi) e la maggiore trasparenza dell’istruttoria procedimentale consentono invero ormai a tutte le parti e al giudice un accesso più completo e diretto ai presupposti del provvedimento e una più agevole percezione delle sue eventuali criticità: ciò che, per un verso, aggrava l’onere probatorio delle parti private (che hanno, o dovrebbero avere, i mezzi per entrare nella “casa di vetro”) e, per l’altro, permette e impone al giudice una più mirata ricerca degli elementi non emersi in sede procedimentale. Il cpa ha preso atto di questa evoluzione, introducendo l’azione di condanna all’adozione di atti per i quali l’amministrazione non abbia mai avuto o abbia consumato margini di discrezionalità[42]. Ma, soprattutto, ha chiaramente e definitivamente riconosciuto la possibilità (che lo stesso presidente del Consiglio di Stato ha espressamente dichiarato “pacifica”) del giudice di spingersi “oltre” la rappresentazione dei fatti forniti dal procedimento, autonomamente indagandoli e, se del caso, valutandoli (con l’ausilio dei verificatori e/o dei consulenti) anche sul piano “tecnico”, nella convinzione che le valutazioni tecniche non vanno confuse col merito amministrativo e non possono farsi rientrare in un’area istituzionalmente “riservata” alla pubblica amministrazione, a meno di voler sottrarre alla giustiziabilità aree rilevanti di intermediazione pubblica. Ciò che il giudice amministrativo non può spingersi a sindacare è soltanto il giudizio di valore e di scelta che costituisce il proprium della funzione amministrativa, ma esso può, e deve, controllare che tale valutazione/scelta sia stata effettuata nel rispetto dei canoni di logicità, ragionevolezza e completezza di istruttoria. Per questo il giudice deve poter acquisire la piena contezza del fatto (con l’ausilio degli strumenti probatori occorrenti), che è elemento consustanziale del “caso” su cui è chiamato a pronunciarsi e, con riferimento alle valutazioni tecniche, deve acquisire gli elementi per apprezzarne l’attendibilità[43]. L’insindacabilità del merito resta «confinata alla scelta vera e propria», implicando solo che il giudice non può, soggettivamente, sostituire la propria scelta a quella dell’amministrazione[44]; ma i presupposti della scelta effettuata, oggettivamente considerati, sono sindacabili sul piano della legittimità e non attengono al merito[45]. In questa linea, che tuttavia, stante in ogni caso l’opinabilità dei giudizi, non deve però “sconfinare” nella sostituzione al giudizio tecnico amministrativo attendibile di quello che il giudice o i suoi consulenti ritengano “più attendibile”, va di certo sicuramente apprezzato un utilizzo più frequente delle verificazioni (nettamente preferite, per ragioni di semplificazione e di spesa, alle ctu, cui il cpa consente infelicemente di ricorrere solo «se indispensabile»[46]) nelle controversie sull’affidamento dei contratti pubblici e, più in generale, in quelle che coinvolgono profili tecnico-scientifici (criteri di classificazione di devices medico-chirurgici[47]) o economici (criteri di calcolo del costo standard[48]). 

Ma il giudice amministrativo ha ancora un atteggiamento troppo “deferente” nei confronti di alcune amministrazioni, e in particolare delle autorità indipendenti e degli enti di vigilanza[49], tradendo un’attenzione – sicuramente consona al legislatore, ma non al giudice – a esigenze diverse da quelle al rispetto della legalità e alla garanzia della “giustizia” nell’amministrazione. Questo deficit di tutela si coglie in modo purtroppo evidente con riferimento all’accertamento dei presupposti per l’applicazione di misure sanzionatorie o comunque legate a un giudizio di disvalore della condotta degli amministrati[50]

Un’altra, fondamentale, peculiarità – e “forza” – del giudice amministrativo, è costituita dall’effetto conformativo delle sue pronunce, anche cautelari, e dall’ampiezza del sindacato sull’ottemperanza al giudicato. 

Come evidenziato anche dal presidente del Consiglio di Stato nel corso di un recente convegno, «la combinazione di ordinanze propulsive e motivi aggiunti avverso l’atto di riesercizio del potere ha consentito di focalizzare l’accertamento, per successive approssimazioni, sull’intera vicenda di potere»[51]. Nell’ottica della massima efficienza del sistema giustizia, il cpa ha esteso il sindacato del giudice di cognizione alla valutazione della fondatezza della pretesa, anticipando il potere di nomina del commissario ad acta alla fase della cognizione. Si tratta senza dubbio di una conquista importante, ma, come ben chiaro nelle disposizioni che l’hanno operata, essa trova comunque un limite nella discrezionalità amministrativa. Bisogna dunque sempre ricordare che, fuori dai casi in cui il legislatore gli ha espressamente attribuito una giurisdizione anche “di merito” (come avviene, inter alia, per i provvedimenti che dispongono l’applicazione di sanzioni pecuniarie e per l’ottemperanza a precedenti pronunce), il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio di “scelte” ad essa riservate e che, in ogni caso, proprio per mantenere la sua “efficienza”, non può direttamente procedere ad attività valutative che esorbitano dalle sue specifiche competenze tecniche, per le quali dovrà quindi sempre ricorrere ad apposite consulenze o verificazioni. 

Così come, per altro verso, il sistema del remand e del giudizio in progress mediante la proposizione di motivi aggiunti non può essere utilizzato per “soccorrere” l’amministrazione che ha illegittimamente esercitato il suo potere nei termini di legge, consentendole di “riparare” impunemente, in corso di causa o addirittura in giudizio (con atti o addirittura scritti difensivi integrativi o correttivi dell’istruttoria o dei contenuti degli atti impugnati), i vizi denunciati e, magari, di “recuperare” un potere ormai consumato[52]. L’asimmetria tra pubblico e privato che il giudice amministrativo deve ricomporre non deve in altri termini continuare nel giudizio, che, se deve essere particolarmente attento a consentire anche all’amministrazione un’adeguata difesa, deve sempre restare un “giudizio”, salvaguardando la “speciale” missione di garanzia affidatagli dagli artt. 100, 103 e 113 della Costituzione.

Da ultimo, ma non ultimo, tale speciale missione deve indurre a una particolare chiarezza delle sentenze, che, per convincere della loro “giustizia” e, soprattutto, per fungere da “guida” all’amministrazione per le sue successive condotte, non devono tanto indulgere in trattazioni teoriche complesse, quanto piuttosto motivare in modo puntuale e definito le scelte decisionali assunte ed esprimere la sintesi logico-giuridica del giudizio in modo da renderlo pienamente intellegibile ab externo

 

4. Conclusioni

Il richiamo a questo suo – specialissimo e fondamentale – ruolo induce a concludere queste brevi riflessioni con un’ultima considerazione. 

Per assolvere al suo ruolo, il giudice amministrativo deve mantenere la sua peculiarità, che è e deve restare quella di impedire che gli atti amministrativi ingiustamente lesivi di posizioni giuridicamente tutelate producano effetti – evidentemente pregiudizievoli anche per l’interesse generale alla “buona amministrazione” – e non deve cedere alle spinte verso una progressiva assimilazione al giudice ordinario (che è invece giudice della controversia), che, inevitabilmente, pongono il problema della ragionevolezza e della proporzionalità di una sostanziale duplicazione della stessa funzione. Per questa ragione, mentre va nettamente stigmatizzata ogni tendenza a sostituire la tutela caducatoria con quella risarcitoria[53], va forse ripensata anche l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria, ipotizzando magari una mera partecipazione del relatore della sentenza al collegio giudicante ordinario. 

Personalmente, come ho già avuto occasione di sostenere, vedo con favore anche la previsione dell’affidamento a un organo “misto” di consiglieri della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato della competenza a decidere in ultimo grado sulle questioni attinenti a diritti fondamentali affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

Mentre non solo assolutamente favorevole all’istituzione di un Tribunale dei conflitti, né ritengo evidentemente accettabile l’ipotesi (propugnata nel Memorandum sottoscritto nel 2017 dai vertici delle tre giurisdizioni superiori) dell’inserimento di uno o più consiglieri di Stato e/o della Corte dei conti nel collegio giudicante sull’impugnazione ex art. 111, comma 8, Cost., di una sentenza del Consiglio di Stato per eccesso di potere giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione o del legislatore. 

 

 

1. M.A. Sandulli, Crisi economica e giustizia amministrativa, in L. Antonini (a cura di), La domanda inevasa. Dialogo tra economisti e giuristi sulle dottrine economiche che condizionano il sistema giuridico europeo, Il Mulino, Bologna, 2016: riflessioni ispirate anche dall’attenta indagine di G. Montedoro, Il giudice e l’economia, LUISS University Press, Roma, 2015.

2. M.A. Sandulli, La “trappola” dell’art. 264 del dl 34/2020 (“decreto Rilancio”) per le autodichiarazioni. Le sanzioni “nascoste”, in Giustizia insieme, 2 giugno 2020 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1128-la-trappola-dell-art-264-del-dl-34-2020-decreto-rilancio-per-le-autodichiarazioni-la-norma-sulla-semplificazione-amministrativa-nasconde-nuove-sanzioni-per-gli-amministrati), e La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio, in Id. (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2020 (III ed.).

3. Cfr. i contributi presentati al webinar «Abuso d’ufficio e responsabilità amministrativa: il difficile equilibrio tra legalità ed efficienza», svoltosi il 13 luglio 2020, reperibili su lamministrativista.it e su www.youtube.com/watch?v=1IgaLDRdCU8.

4. Che la Corte costituzionale ha correttamente qualificato «servizio pubblico essenziale»: sent. n. 171 del 1996.

5. M. Luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in Rivista AIC, n. 4/2014, www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/4_2014_Luciani.pdf.

6. «Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo, siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato».

7. M.A. Sandulli, Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il processo, n. 3/2018, pp. 45 ss.; F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di Piazza Cavour, Piazza del Quirinale e Piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in Giustizia insieme, 11 novembre 2020 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1393-quel-pasticciaccio-brutto-di-piazza-cavour-piazza-del-quirinale-e-piazza-capodiferro-la-questione-di-giurisdizione), e Quel pasticciaccio della questione di giurisdizione. Parte seconda: conclusioni di un convegno di studi, in Federalismi, n. 34/2020, pp. 97 ss. Con specifico riferimento alla garanzia di una tutela effettiva nel processo amministrativo durante l’emergenza Covid-19, si vedano, ex multis: M.A. Sandulli, Covid-19, fase 2. Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, in Giustizia insieme, 4 maggio 2020 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1063-covid-19-fase-2-pregi-e-difetti-del-diritto-dell-emergenza-per-il-processo-amministrativo); F. Francario, L’emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa. Le nuove disposizioni straordinarie per il processo amministrativo, in Federalismi (paper), 23 marzo 2020; L’emergenza coronavirus e le misure straordinarie per il processo amministrativo, ivi (paper), 11 marzo 2020 (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=41180); R. De Nictolis, Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, ivi (paper), 15 aprile 2020 (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=41990). Si vedano inoltre i vari webinar intervenuti sul tema, per tutti: «Processo amministrativo e COVID-19», svoltosi nell’aprile 2020 (https://youtu.be/qv33zNnY6I8); «L’emergenza COVID 19 e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro», svoltosi a luglio 2020 (https://youtu.be/8fBPo-RfN8s); «Il processo nell’emergenza pandemica» organizzato dall’Università LUM e svoltosi a settembre 2020 (https://youtu.be/E9zYR-JrBLs).

8. Cfr. per tutti C. Pinelli, Articolo 97. Il “buon andamento” e l’”imparzialità” dell’amministrazione, in G. Branca - A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione, Zanichelli/Il Foro italiano, Bologna/Roma, 1994, pp. 31 ss.; D. Sorace, La buona amministrazione, in M. Ruotolo (a cura di), La Costituzione ha sessant’anni: la qualità della vita sessant’anni anni dopo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008, pp. 119 ss.; R. Ferrara, L’interesse pubblico al buon andamento delle pubbliche amministrazioni: tra forma e sostanza, in Dir. proc. amm., n. 4/2010, pp. 31 ss.; e i contributi di G. Corso, L. Antonini e M.R. Spasiano, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, op. cit. e di A. Massera e M.R. Spasiano, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2017.

9. Cfr. per tutti F. Aperio Bella, Tra procedimento e processo. Contributo allo studio delle tutele nei confronti della pubblica amministrazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, pp. 220 ss. e ivi per ulteriori riferimenti. 

10. I limiti di questo scritto non consentono di occuparsi anche di tali profili, ma un discorso generale sulla buona amministrazione non può evidentemente prescindere dall’importanza delle funzioni di controllo affidate alla Corte dei conti e opportunamente valorizzate dalla Corte costituzionale. Su di esse, si veda del resto l’intervento del premier Draghi all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti (21 febbraio 2021).

11. Si ricorda che la Corte costituzionale ha ritenuto che l’art. 103 Cost. vada interpretato, in senso evolutivo, nel senso dell’affidamento alla giurisdizione amministrativa anche delle azioni proposte dalle amministrazioni per l’adempimento di obblighi nei loro confronti da parte degli amministrati (non solo in sede di ottemperanza al giudicato, ma anche in sede di adempimento ad accordi sostitutivi di provvedimenti)

12. Illuminanti le considerazioni svolte da P. Craig nella lectio magistralis su «Legal Theories of Administrative Decisions», in occasione del Convegno nazionale AIPDA su «Decisioni amministrative e processi deliberativi», Bergamo, 2017, in Annuario AIPDA, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018. Illustrando i primi risultati di una recente ricerca comparata sui «diritti amministrativi in Europa», G. Della Cananea (Il nucleo comune dei diritti amministrativi in Europa: un’Introduzione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 30), a proposito del modello inglese e della tradizionale contrapposizione con quello francese, basata sul fatto che nel diritto pubblico inglese, imperniato sulla rule of law, non era previsto e non era concepibile un “diritto amministrativo”, rileva del resto sintomaticamente che «oggi il regime giuridico che Dicey descrisse oltre un secolo fa, che è assumibile nell’espressione “amministrazione senza diritto amministrativo” non esiste più», e che anche nel Regno Unito si è affermato e progressivamente consolidato, risentendo profondamente dell’adesione alla comunità europea, un regime giuridico dell’amministrazione pubblica che, secondo una diffusa opinione, è ormai ordinato in sistema e, quanto meno in alcuni principi fondamentali, non è dissimile da quello prevalente negli altri Paesi europei. 

13. Per tutti, A. Protopisani, La giustizia amministrativa fra storia ed evoluzione anche recente dal giudice speciale alle sezioni specializzate?, in C. Cudia (a cura di), L’oggetto del giudizio amministrativo visto dal basso. Gli istituti processuali in evoluzione, Giappichelli, Torino 2020, pp. 141 ss. (e gli scritti, anche dello stesso A., ivi richiamati).

14. Cfr. le relazioni e gli interventi all’incontro di studi organizzato dalla Scuola superiore della magistratura con l’Ufficio studi, massimario e formazione della giustizia amministrativa su «Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo: i settori controversi e l’esigenza di speditezza del giudizio civile», Roma, 16 e 17 marzo 2017.

15. A. Travi (componente, peraltro, del Comitato di indirizzo dell’Ufficio studi della giustizia amministrativa), «Limiti esterni di giurisdizione e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE (a proposito di Cass. S.U. n. 19598/2020)», webinar presso l’Università “Roma Tre”, 6 novembre 2020 e La Cassazione sottopone alla Corte di giustizia il modello italiano di giustizia amministrativa, in Foro it. (Foronews), 12 ottobre 2020.

16. Richiamo, ancora una volta, sul tema, i rilievi svolti nello scritto Crisi economica e giustizia amministrativa, op. cit., che, sul punto, riprende e rielabora le considerazioni critiche svolte nelle presentazioni dei convegni di Bari-Polignano su «Poteri dei giudici e poteri delle parti nei processi sull’attività amministrativa (dall’unificazione al Codice)» e di Padova su «Le fonti nel diritto amministrativo» (convegno annuale AIPDA, 9-10 ottobre 2015) e Principio di legalità e effettività della tutela: spunti di riflessione alla luce del magistero scientifico di Aldo M. Sandulli, in Dir. società, n. 4/2015, pp. 671 ss.

17. È, soprattutto, di immediata evidenza il contrasto con i principi di effettività e di uguaglianza della tutela sull’intero territorio nazionale delle disposizioni (statutarie) che, solo per gli atti impugnabili dinanzi al Trga di Bolzano, escludono l’esperibilità del ricorso straordinario ex art. 10 dPR n. 1199/1971 (e, conseguentemente, il diritto a usufruire del “raddoppio” del termine generale di decadenza per l’impugnazione degli atti amministrativi) e l’anomalia delle prassi/regole interne che (diversamente da quanto accadeva in un passato non lontanissimo) vedono affidare i ricorsi in appello avverso le sentenze dello stesso Trga a un’unica sezione del Consiglio di Stato e spesso attribuire il ruolo di relatore (che dovrebbe in teoria essere affidato mediante sorteggio) al magistrato di nomina “politica” della Provincia di Bolzano, nonché della mancata previsione di un regime (quanto meno temporaneo) di “incompatibilità” con l’esercizio delle funzioni/attività dallo stesso precedentemente svolte, atto a escludere potenziali conflitti di interesse con le amministrazioni autrici degli atti e comportamenti che sarà chiamato a giudicare. La consapevolezza della necessità di questa “cautela” è del resto dimostrata dal tradizionale “passaggio” dei consiglieri di Stato di nomina governativa da un periodo di servizio presso le sezioni consultive. 

18. «“Usi e consuetudini giudiziari” e diritto giurisprudenziale», relazione alla Tavola rotonda su «L’uso giudiziario», seminario su «I precedenti» (Roma, Seminari “Leibniz” per la teoria e la logica del diritto, Accademia dei Lincei, 6 luglio 2017), in giustizia-amministrativa.it, 2017.

19. Ancora F. Patroni Griffi, ibid., specificando di avere volutamente evitato i termini “creare”, “invenire”, “diritto vivente”.

20. Canone correttamente richiamato, ex multis, da Cass., sez. unite, 30 settembre 2013, n. 22317. Il problema dei confini dell’interpretazione – su cui mi si consenta il rinvio alle considerazioni svolte e agli esempi richiamati in M.A. Sandulli, Principi e regole dell’azione amministrativa. Riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi (editoriale), n. 23/2017, e relativa postilla: Ancora sui rischi dell’incertezza delle regole (sostanziali e processuali) e dei ruoli dei poteri pubblici, ivi, n. 11/2018 (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=36354) – è, come noto, di massimo rilievo, oltre che in relazione al sindacato della Corte di cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., in relazione alla responsabilità civile e disciplinare dei magistrati: sul tema, da ultime, anche per utili richiami, le riflessioni di S. Mazzamuto, La Suprema Corte ed il vincolo del precedente (editoriale), in Europa e diritto privato, n. 4/2020, pp. 1089 ss., a margine della sentenza 3 maggio 2019, n. 11747, recante «un vero e proprio decalogo nella delicata materia del vincolo del precedente, delimitando in sede di responsabilità civile il campo del sindacato extraprocessuale dell’attività interpretativa del magistrato». 

21. F. Salvia, Presentazione dell’incontro di studio su «Pianificazione e tutela della natura: il caso della gestione delle coste», Tar Puglia, Lecce, 25 giugno 2018. 

22. Lo stesso presidente Patroni Griffi, cit., dopo aver affermato che «la giurisdizione può rispondere all’emersione di nuovi bisogni e correlate istanze di tutela; può supplire a carenze del legislatore che non riesce a trovare il punto di mediazione politica in materie sensibili o che rincorre il mito populista in cui la pancia del popolo prevale sulla testa» (un ruolo che va dunque evidentemente a sovrapporsi a quello del legislatore), osservava, consapevole del problema che ne discende, «Ma tutto ciò può avvenire per un tempo limitato. Nella fisiologia la produzione del diritto spetta al legislatore».

23. Non si possono, ancora una volta, non richiamare a questo proposito le belle pagine di Guido Corso che, nel tracciare le linee del principio di legalità enunciato dalla nostra Costituzione, si sofferma diffusamente sull’inadeguatezza delle tesi a favore della giurisprudenza creativa in nome di un malinteso parallelismo con i sistemi di common law, e, richiamando Platone, Aristotele, Locke, ma anche Fuller, sottolinea il valore irrinunciabile della garanzia derivante dalla legge, previa, generale e astratta («ragione senza passione»), diversa dalla decisione estemporanea relativa al caso concreto e precondizione imprescindibile per una regola giusta (in questo senso, ricorda Corso, Fuller parla di «moralità del diritto»): Id., Il principio di legalità, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole, op. cit., pp. 43 ss.

24. La bibliografia in argomento è evidentemente vastissima. Ci si limita pertanto a richiamare, per tutti, la profonda voce Ragionevolezza (principio di) di L. Paladin in Enciclopedia del diritto – Aggiornamento, vol. I, Giuffrè, Milano, 1997, e il saggio di M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, scritto in occasione della conferenza trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Roma, Palazzo della Consulta, 24-26 ottobre 2013, www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/RI_Cartabia_Roma2013.pdf.

25. Esempi in questo senso si rinvengono purtroppo frequentemente nella materia dei contratti pubblici, dove l’interpretazione evolutiva (recte, creativa) della giurisprudenza determina nuove cause di inammissibilità dei ricorsi e/o avalla l’introduzione di nuove cause di esclusione dalle gare (Cons. Stato, sez. V, sentt. nn. 4425/2014 e 828/2017), con conseguenti sanzioni interdittive dal potere di contrarre prive dell’indispensabile base legale, quando non addirittura in contrasto con quella costituita dalle fonti Ue: significativa la sentenza 5 settembre 2017, n. 4192, che ha riconosciuto valenza interpretativa (e dunque retroattiva) alla individuazione, per la prima volta, da parte dell’Anac (Linee-guida n. 6), delle sentenze penali non ancora definitive quali mezzi di prova per l’individuazione di eventuali illeciti professionali commessi dai concorrenti, idonei a implicarne, in caso di omessa dichiarazione, l’esclusione dalle gare ex art. 80, comma 5, lett. c del d.lgs n. 50/2016, per un periodo di tre anni decorrente dal deposito della sentenza, quando l’art. 57 della direttiva n. 24/2014 (come opportunamente segnalato dal parere del Consiglio di Stato n. 2286/2016 sulle stesse Linee-guida) individua il dies a quo nella commissione del fatto e il codice aveva omesso di dare specifiche indicazioni al riguardo. Singolare anche la sentenza con cui il Consiglio di Stato (sez. V, n. 7411/2019), riformando la decisione di primo grado (Tar Lazio, sez. I, n. 11494/2018, che aveva stigmatizzato l’esercizio da parte dell’Anac di un potere inesistente), ha ritenuto che l’Anac potesse arrogarsi il potere di accertare la violazione dei divieti di cui all’art. 53, comma 16-ter, d.lgs n. 165/2001, e, in forza di una lettura estensiva del regime di incompatibilità ivi declinato, imputarne la violazione anche per il conferimento di incarichi di consulenza agli ex presidenti delle autorità portuali, legittimando così l’applicazione ai soggetti che li avessero conferiti di gravi e automatiche misure interdittive non chiaramente “prevedibili”. L’esigenza di rispettare il prospective overruling è stata invece apprezzabilmente affermata dall’adunanza plenaria nelle sentenze nn. 13/2017 e 1/2018, rispettivamente annotate da F. Aperio Bella, La tutela del paesaggio “piega” le regole procedurali. Riflessioni a margine dell’Adunanza plenaria n. 13/2017, in Riv. giur. edil., n. 4/2018, pp. 1022 ss., e da A. Scognamiglio, Prospective overruling e norme processuali, procedimentali e sostanziali, in M.A. Sandulli e F. Francario (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

26. Mi si consenta il rinvio, sul punto, alle considerazioni svolte in M.A. Sandulli, Processo amministrativo, sicurezza giuridica, op. cit. Meritano dunque sicuro apprezzamento le pronunce che, soprattutto negli ultimi tempi, dimostrano attenzione al rispetto del principio di legalità: ne ho indicato alcuni importanti esempi nella rassegna I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica, in Federalismi, n. 22/2018, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=37445. Più recentemente, si segnalano l’adunanza plenaria n. 16 del 2020 sulla valenza espulsiva dalle gare determinata dalle omissioni dichiarative o dalle dichiarazioni false o fuorvianti – annotata da G.A. Giuffrè e G. Strazza, Il rapporto tra le cause di esclusione di cui alle lettere c) e f-bis) dell’art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016: qual è l’ipotesi residuale?, in L’amministrativista, 14 settembre 2020, e L’Adunanza plenaria e il tentativo di distinguo (oltre che di specificazione dei rapporti) tra falsità, omissioni, reticenze e “mezze verità” nelle dichiarazioni di gara, in Riv. giur. ed., n. 5/2020, pp. 1343 ss. –, l’ord. Tar Puglia, Lecce, 30 gennaio 2020, n. 92, e la sentenza del CgaRs 26 maggio 2020, n. 325, con nota di G. Strazza, I “tempi” dell’annullamento d’ufficio, in Giustizia insieme, 24 giugno 2020 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1187-i-tempi-dell-annullamento-d-ufficio-nota-a-c-g-a-r-s-26-maggio-2020-n-325?hitcount=0), che, in controtendenza con la giurisprudenza che cerca indebitamente di legittimare deroghe ai limiti generali al potere di autotutela configurati dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990 e smi, cerca di ridefinire in linea con tali limiti il potere regionale di annullamento dei titoli abilitativi edilizi di cui all’art. 39 Tued.

27. Il riferimento è alla sentenza n. 115/2018, con cui, al fine di non vanificare un “principio” enunciato nel 2005 e rimasto inattuato per ben tredici anni, la Consulta ha invitato il giudice ordinario che l’aveva nuovamente interrogata sulla compatibilità costituzionale del contesto normativo, a “cercare” direttamente la regola nel sistema. Un caso altrettanto grave e, per vero, molto “singolare” di “noncuranza” legislativa è quello che va consumandosi – e inspiegabilmente protraendosi – sul dies a quo dell’impugnazione degli atti di gara non immediatamente escludenti, che l’art. 120 cpa, nonostante le reiterate modifiche e i diversi solleciti da parte della giurisprudenza, continua ad ancorare alla comunicazione dell’aggiudicazione prevista dall’art. 76 d.lgs n. 163/2006, ormai abrogato dal nuovo codice dei contratti pubblici: è così accaduto che, a fronte di un rinvio alla Corte costituzionale di un sistema evidentemente inintelligibile (Tar Puglia, Lecce, ord. n. 297/2020), l’adunanza plenaria (sent. n. 12/2020) ha “costruito” un proprio sistema (cfr., amplius, M.A. Sandulli, Il rito speciale sui contratti pubblici nel primo decennio del c.p.a.: tra progresso e involuzione (riordinando gli interventi ai webinar svolti sul decennale del cpa dalle Università di “Roma Tre” e “Statale” di Milano il 16 settembre e il 1° dicembre 2020), in corso di pubblicazione su Dir. proc. amm., n. 1/2021. 

28. V. Sordi, L’istanza di discussione orale da remoto e la relativa opposizione. Prime applicazioni da parte del giudice amministrativo, in Giustizia insieme, 22 giugno 2020, e Ancora sull’opposizione alla discussione da remoto, ivi, 30 luglio 2020.

29. «Il presidente o un magistrato da lui delegato (…) provvede con decreto motivato non impugnabile».

30. Cons. Stato, sez. IV, n. 5971/2018.

31. Cons. Stato, sez. III, inter alia, nn. 1553 e 1161/2020, n. 18/2021; contra, sez. VI, n. 1343/2020.

32. M.A. Sandulli, Sugli effetti pratici dell’applicazione dell’art. 84 d.l. n. 18 del 2020 in tema di tutela cautelare: l’incertezza del Consiglio di Stato sull’appellabilità dei decreti monocratici, in Federalismi, Osservatorio emergenza Covid-19, n. 1/2020, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=41628.

33. Sempre in tema di decreti monocratici, merita poi segnalare il decreto presidenziale (n. 503) con cui, nell’ultimo giorno dell’infausto 2020, la I sezione del Tar Emilia Romagna, Bologna, a fronte di un ricorso contenente una generica istanza di tutela cautelare – a quanto è dato comprendere, non solo non formulata ai sensi dell’art. 56 cpa, ma neppure (coerentemente) accompagnata dall’indicazione di ragioni di «estrema gravità e urgenza» –, ha ritenuto che la mera “flaggatura” della casella dell’istanza cautelare monocratica, in una con la rappresentazione (ancorché generica) dell’esigenza di una cautela “immediata”, «può intendersi come chiara voluntas di chiedere l’intervento dell’ adito giudice nella forma della misura cautelare monocratica, equivalente sostanzialmente ad una istanza ex articolo 56 CPA ancorché in tali espressi sensi non formulata». La decisione (annotata criticamente da A.G. Orofino e A. Panzarola, Sulla tutela cautelare monocratica richiesta con «flaggatura», in Giustizia insieme, 10 febbraio 2021) è “arricchita” dal riferimento all’obbligo di leggere la normativa processuale «in tema cautelare e precautelare in conformità alle fonti normative comunitarie che contengono in nuce la regola volta ad affrontare anche senza contraddittorio uno strumento di tutela cautelare d’urgenza a tutti i diritti o agli interessi oppositivi pretensivi o procedimentali». Come in alcuni dei richiamati decreti monocratici in appello, la regola è stata peraltro affermata solo in astratto, perché in concreto la (presunta) istanza è stata respinta proprio per la non ravvisabilità «nelle more della trattazione collegiale dell’incidente cautelare, [di] una situazione di periculum avente i connotati della estrema gravità ed urgenza». Nell’intento, pur tendenzialmente apprezzabile, di garantire una tutela più effettiva al ricorrente, il decreto trascura tuttavia due principi altrettanto importanti, come quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e quello, ad esso nella specie strettamente correlato, del diritto delle parti resistenti e controinteressate ad essere immediatamente e chiaramente informate dell’oggetto e del perimetro dell’azione intentata nei loro confronti, in modo da potere, se lo ritengono e sono in grado di attivarsi in modo tempestivo, rappresentare le proprie ragioni all’organo decidente “prima” che esso si pronunci. A tale scopo, all’esito di un’attenta e ponderata valutazione e valorizzazione dei contrapposti interessi, l’art. 56 cpa ha espressamente imposto, al comma 2, il controllo del giudice sul perfezionamento della notifica dell’istanza (consentendone l’effettuazione a mezzo fax anche in assenza di autorizzazione). Le controparti cui non è stata notificata una “espressa” richiesta di cautela monocratica – per l’assenza del richiamo all’art. 56 cpa e la mancata rappresentazione di ragioni di «estrema gravità e urgenza» – hanno quindi il diritto di organizzare e articolare la propria difesa nei termini previsti dall’art. 55 cpa, senza essere onerate dell’obbligo di consultare il sito della giustizia amministrativa, peraltro in questa parte accessibile solo da giudici e da avvocati, per verificare eventuali, magari erronee, “flaggature” di caselle non corrispondenti ai contenuti dell’atto. Come accaduto al legislatore nell’ultimo decreto di proroga della sospensione dei termini del processo amministrativo (M.A. Sandulli, Nei giudizi amministrativi la nuova sospensione dei termini è “riservata” alle azioni. Con postilla per una proposta di possibile soluzione, in Federalismi, Osservatorio emergenza Covid-19, n. 1/2020, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=41792), sembra dunque che al decreto sia sfuggito che l’effettività della tutela deve essere egualmente garantita a tutte le parti del processo (regola valida, peraltro, a ragione ancora più forte, nel processo amministrativo di primo grado, che vede di norma nell’amministrazione, portatrice di interessi pubblici, la parte resistente). A ciò si aggiunga che la regula iuris può essere estremamente pericolosa nel contenzioso in materia di aggiudicazione dei contratti pubblici, dove un “errore di flaggatura” può avere l’effetto dirompente di far cessare l’effetto sospensivo automatico prodotto dalla proposizione dell’istanza cautelare collegiale. 

34. Mi sia consentito il rinvio a M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in Giustizia insieme, 30 novembre 2020, e agli AA. ivi richiamati, cui adde, più recentemente, R. Bin, È scoppiata la terza “guerra tra le Corti”? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in Federalismi, n. 32/2020, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=44450; G. Tesauro, L’interpretazione della Corte costituzionale dell’art. 111, ult. comma: una preclusione impropria al rinvio pregiudiziale obbligatorio, ivi, n. 34/2020 (16 dicembre); F. Francario, Quel pasticciaccio, op. cit.; M. Lipari, Il sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione tra l’art. 111, co. 8, della Costituzione e il diritto dell’Unione Europea: la parola alla Corte di giustizia, in Giustizia insieme, 11 dicembre 2020.

35. Cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 199/2017, che ha ritenuto legittima l’esclusione di un concorrente che aveva invocato la formazione implicita del requisito di iscrizione all’albo delle cooperative sociali affermando che «Vero è che l’art. 4 (Modalità per l’iscrizione all’albo regionale delle cooperative sociali), comma 5, l.r. Lazio 27 giugno 1996, n. 24 (Disciplina delle cooperative sociali) stabilisce che: “Entro sessantacinque giorni dalla data di scadenza della presentazione della domanda il presidente della Giunta regionale, con proprio decreto, dispone l’iscrizione nel registro ovvero il diniego dell’iscrizione stessa con provvedimento motivato. Qualora il Presidente non si sia pronunciato entro il termine indicato, la domanda si intende accolta”, e che al momento di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, il termine era già trascorso. Tuttavia, come bene ritenuto dal Tribunale amministrativo, ai fini di integrare il requisito per la gara non era sufficiente che fosse trascorso quel termine per la formazione del silenzio assenso, in quanto il mero dato temporale non costituiva fatto idoneo ad offrire alla stazione appaltante alcuna garanzia sulla sussistenza dell’effettiva iscrizione all’albo e sul conseguente possesso dei requisiti di capacità richiesti per lo svolgimento delle prestazioni contrattuali, vale a dire su elementi soggettivi essenziali circa la qualità dell’aspirante al contratto pubblico». 
Cfr. altresì le sentenze con cui il Tar Lazio (nn. 1803 e 663 del 2021), pur a fronte del chiarissimo dettato del dl n. 76 del 2020, afferma che il decorso dei termini di controllo sulla validità della Dia edilizia ha rilevanza solo ai fini urbanistici e non anche a fini di prova del possesso del titolo abilitativo edilizio per l’ammissione agli incentivi degli impianti di produzione di energia rinnovabile.

36. Emblematiche le pronunce con le quali il Tar Lazio (inter alia, n. 12464/2020) e il Consiglio di Stato (sez. IV, n. 2859/2018) negano l’applicabilità dell’istituto alle istanze di ammissione agli incentivi economici per la realizzazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile impropriamente riconducendoli al genus delle autorizzazioni in materia ambientale.

37. Per tutti: Crisi economica e giustizia amministrativa, op. cit.; Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi, n. 18/2019 (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=40350); La segnalazione certificata di inizio di attività (s.c.i.a.), in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole, op. cit., pp. 261 ss.

38. Cfr. inter alia, M.A. Sandulli, I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica, in Federalismi, n. 22/2018 (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=37445), e le sentenze citt. supra alla nota 26, nonché, da ultime, per tutte, Cons. Stato, ad. plen., n. 24/ 2020, che dopo aver sottolineato che, dal momento che l’art. 114, comma 1, cpa qualifica il termine decennale per la proposizione dell’actio iudicati come un termine di «prescrizione» e che «non si può ritenere che il legislatore abbia utilizzato termini aventi un significato diverso da quello attribuibile in base alle nozioni generali», tale termine, «in ogni caso [a prescindere dalla natura della situazione giuridica sostanziale tutelata], può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato», e sez. V, n. 1291/2021, che ha recentemente rimarcato la necessità che «gli obblighi dichiarativi cui il concorrente è soggetto, come ribadito dalla Corte di Giustizia nella causa 2 giugno 2016, C.- 27/15, devono essere chiari e preventivamente conoscibili non potendo il concorrente essere obbligato a “dedurre” quali ulteriori dichiarazioni potrebbero astrattamente interessare alla Stazione appaltante».

39. M.A. Sandulli e F. Aperio Bella, Nullità della notifica e costituzione sanante, in Libro dell’anno del diritto 2019, Treccani, Roma, 2019, cap. 10, par. 2.1.2. (www.treccani.it/enciclopedia/nullita-della-notifica-e-costituzione-sanante_%28altro%29/).

40. Cfr. il documento redatto nel 2017 dall’Ufficio studi del Consiglio di Stato, Autorità indipendenti e sindacato giurisdizionale, con l’emblematico sottotitolo Ogni potere ha il suo giudice e a tale regola generale non sfuggono le Autorità indipendenti (www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/160693/nsiga_4468036.pdf/409771b4-8552-e3f8-df9a-fe2a7b9e4f1e), nella cui premessa si legge che «La giurisprudenza amministrativa ha iniziato da tempo un percorso evolutivo che la ha condotta da un iniziale atteggiamento “timido” nell’esercizio del sindacato ad un sindacato pieno, che ha superato il vaglio e i parametri della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nessun limite oggi sussiste per il giudice amministrativo per procedere ad una piena verifica dei fatti e anche ad un sindacato pieno sulle analisi economiche e sulle valutazioni tecniche compiute dalle Autorità, oltre al sindacato di merito sulle sanzioni, compreso il potere di rideterminarle». E, ancora, che «la tendenza sembra essere quella di passare da un sindacato di mera attendibilità (è sufficiente che sia in sé attendibile la valutazione economica svolta dalle Autorità) ad un sindacato di maggiore attendibilità, in cui il giudice non si limita a ritenere appunto attendibile la valutazione dell’Autorità, ma la valuti in termini di maggiore o minore attendibilità rispetto alle valutazioni alternative prospettate dalle parti con la possibilità, quindi, di ritenere che la valutazione dell’Amministrazione, sebbene intrinsecamente attendibile, non meriti conferma, in quanto meno attendibile di quella prospettata dall’impresa sanzionata». 

41. In giustizia-amministrativa.it (cap II, 2.5), aggiungendo tuttavia, in termini che rischiano di valicare il confine dei poteri giurisdizionali, che il giudice potrebbe/dovrebbe spingersi anche a «valuta[re] se la scelta effettuata in concreto sia quella dotata di “maggiore attendibilità” e non semplicemente quella comunque riconducibile al novero delle opzioni possibili».

42. A. Carbone, Profili ricostruttivi dell’azione di adempimento, in Id., L’azione di adempimento nel processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, cap. IV, pp. 185 ss.; P. Carpentieri, La decisione amministrativa discrezionale. Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale, in Giustamm.it, n. 1/2020.

43. Sul tema, da ultimi, G. D’Angelo, La cognizione del fatto nel processo amministrativo fra Costituzione, codice e ideologia del giudice, in Jus online, n. 3/2020, pp. 11 ss.; V. Berlingò, Fatto e giudizio. Parità e obbligo di chiarificazione nel processo amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020; G. Terracciano e A.M. Colarusso, L’indizio nella decisione amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021. 

44. Cfr. la Relazione sull’attività della Giustizia amministrativa tenuta dal presidente Patroni Griffi per l’apertura dell’anno giudiziario 2020, in giustizia-amministrativa.it (cap. II, 2.5).

45. Cfr. inter alia, Cass., sez. unite, n. 1013/2014, enunciando il principio di diritto che «il sindacato di legittimità del giudice amministrativo (…) comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato», rimanendogli preclusa unicamente la sostituzione («controllo c.d. di tipo forte») nell’esercizio di valutazioni tecniche opinabili, «fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile un controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza».

46. Critica condivisibilmente la scelta e la formula anche R. Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice, Giuffrè, Milano, 2012, p. 150. Sulla ctu nel cpa, cfr. per tutti, F.G. Scoca, Consulenza tecnica d’ufficio, in A. Quaranta e V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, Giuffrè, Milano, 2011, p. 563. 

47. Cons. Stato, sez. III, ordd. nn. 2222 e 2680 del 2016, n. 670/2018.

48. Cons. Stato, sez. VI, n. 2138/2019.

49. Sia consentito rinviare a M.A. Sandulli, Riflessioni sull’istruttoria tra procedimento e processo, in Dir. società, n. 2/2020, pp. 195 ss. In tema, ex multis, oltre alla classica monografia di F. Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, Cedam, Padova, 1953, A. Police, Istruttoria, in P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Utet Giuridica, Milano, 2016.

50. Cfr. le considerazioni svolte sulle conseguenze degli errori dichiarativi in M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio, in Principi e regole, op. cit., pp. 181 ss.

51. F. Patroni Griffi, La giustizia amministrativa tra presente e futuro (intervento al convegno «Stato a diritto amministrativo tra presente e futuro», Parma, 4 ottobre 2019), in Il processo, n. 3/2019, pp. 587 ss.

52. Cfr. ancora, amplius, le Riflessioni sull’istruttoria, op. cit.

53. Sul tema ho ripetutamente insistito nel corso degli anni. Cfr. inter alia, M.A. Sandulli, La nuova tutela giurisdizionale in tema di contratti pubblici (note a margine degli artt. 244-246 del codice De Lise), in Foro amm. Tar, n. 10/2006, p. 3375 ss.; Le principali novità nel rito speciale in materia di appalti pubblici, in Astrid online, n. 17/2011 (www.astrid-online.it/rassegna/2011/07_10_2011.html) e, da ultimo, Il rito speciale sui contratti pubblici nel primo decennio del c.p.a., op. cit. e ivi ulteriori richiami.