Magistratura democratica
Spilli

La castrazione chimica: una soglia da non varcare

Gli spilli possono servire a molte cose.

A fissare una foto o un foglietto di appunti su di una bacheca.

A tenere provvisoriamente insieme due lembi di stoffa in attesa di un più duraturo rammendo. 

A infliggere una piccola puntura, solo leggermente dolorosa, a qualcuno che forse l’ha meritata.

Lo spillo di oggi è dedicato ad una oscura prospettiva:

 

La castrazione chimica: una soglia da non varcare

 

Dall’avvento del governo Meloni il processo di degrado del nostro diritto penale prosegue in un crescendo che allontana il Paese dalle democrazie liberali e lo porta a rinnegare i principi di civiltà ereditati dall’illuminismo giuridico. 

Mentre scriviamo la Camera è impegnata a convertire in legge, ça va sans dire con voto di fiducia, il discusso decreto legge sicurezza, con il suo carico di nuovi reati, di nuove aggravanti e di norme che criminalizzano finanche forme di manifestazione non violente del dissenso e la resistenza passiva e già il governo pensa a spostare più in alto l’asticella della repressione penale. 

E’ infatti passato , con il parere favorevole dell’esecutivo, un ordine del giorno presentato da un deputato della Lega che apre alla castrazione chimica “volontaria”, impegnando l'esecutivo a creare una commissione che valuti, «nel rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali», la possibilità di introdurre la castrazione chimica volontaria – anche con eventuale blocco androgenico totale - di chi viene condannato per «reati di violenza sessuale» o «altri grave reati determinati da motivazioni sessuali». 

Il nostro auspicio è che questa cupa iniziativa naufraghi come merita e che in questa vicenda trovi piena conferma lo scetticismo di Bettino Craxi verso le commissioni parlamentari, nominate quando non si sa bene che cosa fare e in definitiva non si vuole far nulla. 

Anche perché è parziale e discutibile l’idea che sta alla base dell’intervento chimico e cioè che i reati di violenza sessuale siano il frutto esclusivo di pulsioni fisiche, da sedare con la castrazione chimica, e non di più complesse dinamiche psicologiche.   

Ma la Lega è pervicace nel riproporre la pena della castrazione chimica ad anni di distanza da una sua proposta di legge in tal senso - la n. 272 del 2018 – a suo tempo nettamente criticata sulle pagine di Questione giustizia e poi rimasta senza seguito, mentre la maggioranza di governo mostra di avere perso freni inibitori sul terreno dell’aumento indiscriminato della repressione penale. 

Ed è questa combinazione di ottusa tenacia e di irragionevole sfrenatezza a suscitare allarme ed a giustificare la preoccupazione per una scelta repressiva come la castrazione chimica che sarebbe formalmente “volontaria” ma in realtà oggetto di un inammissibile baratto forzoso con la libertà personale. 

Diciamolo con chiarezza: c’è una porta da non aprire, una soglia da non varcare, a dispetto della astratta e inconcludente veemenza repressiva che sembra essersi impadronita di tanti parlamentari della maggioranza e della loro speranza di trarre vantaggi elettorali dall’escalation degli interventi punitivi.  

Resuscitare un diritto ed una giustizia penale che pretendono di esercitare una diretta “presa” sui corpi dei condannati sarebbe il sintomo di una devastante regressione prima di tutto umana oltre che culturale e giuridica. 

L’avventura sconsiderata di un potere politico che si arroga il diritto di violare l’integrità fisica della persona del condannato, degradandolo da cittadino a suddito. 

Un punto di non ritorno e di irrimediabile distacco dai principi che regolano un diritto penale dai tratti umani e liberali. 

Quanti, a destra, parlano di garantismo hanno di che riflettere. 

E l’opinione pubblica democratica è chiamata a battere un colpo di fronte a progetti insensati e crudeli come quello della castrazione chimica. 

29/05/2025
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Nel cantiere sempre aperto della giustizia penale si annunciano continue riforme in materia di intercettazioni, che rischiano di vanificare questo importante strumento di ricerca della prova e di spostare l’asse del bilanciamento tra la tutela della riservatezza e le esigenze processuali a favore della prima.

27/11/2025
Audizione alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati sul disegno di legge AC n. 1693 Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, pubblichiamo il testo dell’Audizione alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati sul disegno di legge AC n. 1693 Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso di Paola Di Nicola Travaglini e di Francesco Menditto. La riforma, approvata all’unanimità dalla Camera, in attesa del varo definitivo da parte del Senato, ha il merito di formalizzare il punto di approdo della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, per cui deve riconoscersi violenza sessuale in ogni caso in cui non sia stato manifestato il chiaro, inequivoco, e permanente consenso al rapporto. Non si tratta solo di una modifica formale, ma della diversa attenzione rivolta non più a chi subisce, ma piuttosto a chi aggredisce: non sarà più la vittima a dover provare di avere reagito, ma il colpevole a dover dimostrare che l’atto era liberamente voluto da entrambi. Un rovesciamento di prospettiva che rappresenta un notevole passo avanti nella difesa delle vittime di violenza.

25/11/2025
Fine vita: il suicidio assistito in Europa e la palude italiana

A fronte dell’infinito confronto, esistenziale e filosofico, sui temi della libertà di vivere e della libertà di morire, è emersa in Europa una nuova domanda sociale: quella di una libertà del morire che sia tutelata dall’ordinamento giuridico non solo come “libertà da” e come espressione di autodeterminazione ma anche come un vero e proprio “diritto sociale” che assicuri l’assistenza di strutture pubbliche nel momento della morte volontaria. In questi ultimi anni, in alcuni Paesi europei sono stati compiuti significativi passi verso un nuovo regime del fine vita mentre in altri vi sono cantieri aperti ormai ad un passo dalla positiva chiusura dei lavori. Il Regno Unito sta approvando una nuova legge destinata a superare il Suicide Act del 1961. In Germania la Corte costituzionale, con una decisione del 2020, ha affermato che esiste un diritto all’autodeterminazione a morire ed a chiedere e ricevere aiuto da parte di terzi per l’attuazione del proposito suicidario. In Francia una nuova normativa, in corso di approvazione, è stata preceduta e preparata da un importante esperimento di democrazia deliberativa come l’istituzione di una Convention Citoyenne Cese sur la fin de vie, formata per sorteggio e chiamata a fornire un meditato e informato parere sul fine vita. La situazione del nostro Paese resta invece caratterizzata da una notevole dose di ipocrisia e da un altrettanto elevato tasso di confusione istituzionale. La radicale negazione dell’esistenza di un diritto a morire proveniente dalla maggioranza di governo coesiste infatti con il riconoscimento di diverse possibilità legittime di porre fine volontariamente alla propria vita in particolari situazioni: rifiuto delle cure, sedazione profonda, suicidio assistito in presenza delle condizioni previste dalle pronunce della Corte costituzionale. Dal canto suo il legislatore nazionale è stato sin qui paralizzato da veti e contrasti ed appare incapace di rispondere alla domanda, che sale con crescente intensità dalla società civile, di tutelare il diritto “doloroso” di porre fine ad una esistenza divenuta intollerabile. In questa situazione stagnante la domanda sociale di libertà del morire si è trovata di fronte solo l’arcigna disciplina del fine vita dettata dagli artt. 579 e 580 di un codice penale concepito in epoca fascista. Da questo impatto sono scaturite le forme di disobbedienza civile consistenti nel prestare aiuto, sfidando le norme penali, a chi in condizioni estreme aspirava ad una fine dignitosa. E, a seguire, i giudizi penali nei confronti dei disobbedienti e le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei processi dai giudici che hanno innescato i numerosi interventi della Corte costituzionale, sinora decisivi nel disegnare la disciplina del fine vita. Da ultimo un tentativo di superare l’inerzia del parlamento è stato compiuto da due Regioni - Toscana e Sardegna - che hanno approvato leggi sul fine vita, individuando come requisiti per accedere all’assistenza al suicidio quelli previsti dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 e disegnando procedure per ottenere la prestazione assistenziale richiesta. La reazione del governo è consistita nell’impugnare la legge regionale toscana ritenuta esorbitante dalle competenze regionali e lesiva di competenze esclusive dello Stato. Reazione non priva di qualche fondamento giacchè la prospettiva di regimi del fine vita differenziati su base regionale appare criticabile sotto il profilo giuridico e non certo desiderabile nella pratica, ma singolare quando provenga dal uno Stato che sinora si è dimostrato incapace di dettare una normativa rispondente alle istanze di riconoscimento di libertà e di diritti sul fine vita che provengono dalla società italiana. 

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