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Quando il diritto sta nel mezzo di due ordinamenti: il caso del decreto ingiuntivo non opposto e in violazione del diritto dell’Unione europea

di Enrico Scoditti
consigliere della Corte di cassazione

È stata rimessa alle sezioni unite della Corte di cassazione, alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia, la questione del decreto ingiuntivo non opposto e in violazione del diritto dell’Unione europea: il caso offre l’occasione per uno sguardo più approfondito sul tema dell’integrazione degli ordinamenti.

Sommario: 1. Il caso eccezionale del superamento del giudicato / 2. I limiti costituzionali sono rispettati / 3. Il diritto dell’integrazione come diritto terzo rispetto ai due ordinamenti / 4. Il procedimento nazionale: l’incidente di cognizione innanzi al giudice dell’esecuzione e l’opposizione all’esecuzione

 

1. Il caso eccezionale del superamento del giudicato

«L’eccezione è più interessante del caso normale», scrive Carl Schmitt, perché «il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale»[1]. Come la decisione sullo stato di eccezione rende evidente chi sia il sovrano, così nei casi difficili o di confine diventa intellegibile la vera natura dei fenomeni giuridici. Il gruppo di decisioni della Grande sezione della Corte europea di giustizia, rese il 17 maggio 2022 – causa C-600/19, cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-869/19 – in tema di rilevabilità ex officio dell’abusività di una clausola relativa a un contratto concluso con il consumatore, ci porta ai confini dell’ordinamento perché si consente al giudice dell’esecuzione, dopo che sia stata promossa l’azione esecutiva sulla base di un decreto ingiuntivo non opposto, di valutare la detta abusività. La situazione è eccezionale: nonostante il giudicato sul credito ingiunto per la mancata opposizione, il giudice dell’esecuzione è autorizzato a esercitare d’ufficio una funzione di cognizione in considerazione dell’abusività della clausola. La Corte di giustizia non tace sulla rilevanza del giudicato, ma fa prevalere la forza del principio di effettività perché «una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali» (Cgue, cause riunite C-693/19 e C-831/19, punto 65). Si tratta di un dictum applicabile anche ai decreti ingiuntivi emessi prima del 17 maggio 2022 perché la «sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata» (Cgue, 16 gennaio 2014, causa C-429/12, punto 30)[2].

L’eccezionalità della fattispecie fa comprendere molto di più di una vicenda ordinaria perché, mettendo in gioco l’attuazione del diritto dell’Unione europea in un modo così radicale da porre in discussione addirittura l’autorità del giudicato, spinge a una riflessione nel profondo sul rapporto fra ordinamento unionale e ordinamento interno. L’autorità della cosa giudicata è per davvero messa in discussione, poiché permettere al giudice dell’esecuzione di rilevare d’ufficio l’abusività della clausola nonostante l’esecutorietà del decreto ingiuntivo per mancata opposizione non fa venir meno soltanto l’immutabilità dell’ingiunzione di pagamento non opposta. Il riconoscimento del singolo diritto di credito proietta il suo cono d’ombra anche sul rapporto giuridico di cui quel diritto è espressione. Il decreto ingiuntivo non ha solo l’effetto attributivo del diritto, reso immutabile dalla mancata opposizione, ma possiede anche l’efficacia di accertamento del rapporto (ciò che «fa stato a ogni effetto», per l’art. 2909 cc, è «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato» e non l’effetto del provvedimento, dichiarativo o attributivo), che è la qualità propria della cosa giudicata.  

È ormai dominante in giurisprudenza e in dottrina la lettura del decreto ingiuntivo non opposto come di un atto idoneo a produrre gli effetti del giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 cc[3], e ciò per la stessa regola sui limiti oggettivi del giudicato: il riconoscimento dell’esistenza di un diritto di credito presuppone l’accertamento dell’esistenza di tutti i fatti costitutivi e l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi, modificativi o estintivi. L’accertamento del fatto costitutivo di una singola coppia diritto/obbligo, che è l’oggetto del decreto ingiuntivo, è accertamento del rapporto giuridico nel suo complesso, di cui quella coppia è proiezione. La questione dell’esistenza e validità del rapporto giuridico, dal quale il credito trae origine, riguarda il fatto costitutivo del diritto fatto valere ed entra pertanto necessariamente nel giudicato quale pregiudiziale in senso logico[4]. Riconosciuto in sede monitoria il credito fatto valere, il giudizio di validità del titolo che ne costituisce la fonte non può non essere assistito dall’effetto di giudicato. Per il futuro, fra le parti farà stato ad ogni effetto la riconosciuta esistenza e validità del titolo contrattuale.

È con questa impalcatura dogmatica che si scontrano le pronunce della Corte di giustizia. La questione è stata rimessa alle sezioni unite della Corte di cassazione. Sarebbe stato senz’altro un caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione sulla base dell’art. 363-bis cpc, di prossima entrata in vigore, posto che ne ricorrono tutti i presupposti (questione non ancora risolta dalla Corte di cassazione, caratterizzata da gravi difficoltà interpretative e suscettibile di porsi in numerosi giudizi). Proviamo a sciogliere il nodo con cui le sezioni unite dovranno confrontarsi.

 

2. I limiti costituzionali sono rispettati

La reazione immediata è quella del rifiuto della sfida che il diritto unionale propone: sollevare una questione di legittimità costituzionale della norma di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione dei trattati allo scopo di opporre i cd. “controlimiti”, cioè una sfera di sovranità che non sarebbe stata ceduta all’Unione europea, una sorta di caso Taricco per il diritto civile[5]. Se il giudicato sia assistito da una guarentigia costituzionale è questione che, soprattutto in passato, è stata assai discussa. Da una parte, è emersa l’idea che l’autorità di cosa giudicata non sia coessenziale alla giurisdizione sui diritti, potendo questa essere affidata anche a provvedimenti definitivi, ma revocabili e modificabili in successivi processi, come quelli adottati nel procedimento cautelare di cui agli artt. 737 - 742-bis cpc. Secondo quest’ottica, non pone questioni di costituzionalità una legge che preveda che taluni diritti possano essere fatti valere in procedimenti a cognizione sommaria sfocianti in provvedimenti inidonei a dettare una disciplina incontestabile del rapporto controverso. Dall’altra parte, si è fatta valere la protezione costituzionale del giudicato in funzione di tutela della certezza e dell’affidamento che discendono dalla garanzia dello Stato di diritto, in particolare in relazione allo jus superveniens retroattivo. Si tratta del versante su cui emerge pure la tutela costituzionale delle prerogative della magistratura. 

Anche, però, assumendo la prospettiva costituzionale, nella quale la cosa giudicata rileverebbe non come regola ma come principio, non può negarsi che proprio in forza di questa prospettiva la garanzia del giudicato possa cadere nel bilanciamento come qualsivoglia principio costituzionale ed essere recessiva in particolari circostanze[6]. Si tratta, a ben vedere, dell’operazione che è stata compiuta nel nostro caso dalla Corte di giustizia. Quest’ultima non ha negato «l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali» e ha ricordato, come affermato in precedenti occasioni, che «al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione» (Cgue, cause riunite C-693/19 e C-831/19, punto 57). L’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva ha fatto però prevalere, in considerazione dell’interesse pubblico sotteso alla protezione dei consumatori, l’obbligo del giudice dell’esecuzione di accertamento dell’eventuale abusività della clausola alla base del diritto di credito azionato con la domanda di ingiunzione. Il contesto di questa prevalenza nel bilanciamento è quello di un giudicato implicito perché si assume l’assenza di motivazione nel decreto ingiuntivo sulla questione dell’abuso contrattuale. 

Il principio processuale che emerge da questo bilanciamento è quello del contraddittorio: il giudice del procedimento monitorio deve motivare sulla questione dell’abusività introducendo su quest’ultima, con la provocatio ad opponendum, il contraddittorio. È onere dell’ingiunto, a questo punto, instaurare la controversia sulla questione, proponendo nel termine assegnato dalla legge l’opposizione al decreto ingiuntivo, pena l’impositio silentii in caso di sua inerzia. Se però manca la motivazione sulla questione, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo del rilievo d’ufficio dell’eventuale abusività, ma così facendo fa valere sul piano processuale il principio del contraddittorio che il giudice del monitorio aveva mancato di introdurre. La decisione sulla questione che seguirà al rilievo d’ufficio, nelle forme previste dall’autonomia procedurale del singolo ordinamento interno, proprio perché somministrata da un giudice – sia questo lo stesso giudice dell’esecuzione o un giudice della cognizione – non potrà non essere resa all’esito di una controversia nella quale il professionista potrà esercitare il suo diritto di difesa. L’Unione europea prescrive quindi, in funzione di salvaguardia dell’effetto utile dell’ordine pubblico unionale, una formazione progressiva dell’irretrattabilità della decisione sulla questione della vessatorietà, governata dal principio del contraddittorio che, se non sollevato dal giudice del monitorio, deve esserlo dal giudice dell’esecuzione[7]. È questa la ragione per la quale non vi è qui materia per l’attivazione dei controlimiti.

Non sono concepibili cessioni di sovranità all’Unione europea per ciò che contraddistingue il rule of law, e cioè le garanzie del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del giusto processo (art. 111 Cost.). La prevalenza che il diritto euro-unitario attribuisce alla tutela sostanziale del consumatore rispetto all’autorità del giudicato non contrasta con il rule of law perché, dal punto di vista processuale, garantisce che sulla questione dell’abusività possa insorgere il contraddittorio, sia esigendo dal giudice del monitorio la motivazione sul punto nel decreto ingiuntivo, sia prescrivendo al giudice dell’esecuzione, in mancanza della detta motivazione, il rilievo della questione e dunque aprendo, nelle forme previste dal singolo ordinamento interno, un contraddittorio, anche per il professionista. Il bilanciamento unionale rispetta il criterio di proporzionalità alla base del bilanciamento costituzionale perché, dal punto di vista non solo del consumatore ma anche del professionista, la compressione dell’autorità del giudicato si arresta al contenuto minimo essenziale della garanzia della giurisdizione, che è quello di potersi difendere davanti a un giudice indipendente nelle forme di un processo regolato dalla legge. 

Sgombrato il campo dalle criticità di ordine costituzionale, possiamo tornare al monito da cui eravamo partiti. Siamo al cospetto di un caso eccezionale: stando sui confini, possiamo cogliere la vera natura del rapporto fra ordinamento unionale e ordinamento interno.

 

3. Il diritto dell’integrazione come diritto terzo rispetto ai due ordinamenti

Quella che emerge dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in esame è una questione pregiudiziale in senso logico, in quanto relativa all’esistenza e validità del fatto costitutivo, che può essere definita “di ordine pubblico unionale”, la cui caratteristica, dal punto di vista processuale, è di fuoriuscire dalla regola dei limiti oggettivi del giudicato se l’ingiunzione di pagamento della somma di denaro corrispondente al credito è priva dell’accertamento di validità del relativo fatto costitutivo. La pregiudiziale euro-unitaria non è, per forza di cose, di diritto interno, ma non è neanche meramente unionale, perché ha bisogno dell’ordinamento processuale interno per prendere forma. Essa costituisce il diritto vivente consumeristico, nel senso che è un esito dell’interpretazione della direttiva 93/13 fornita dalla Corte di giustizia, ma senza l’ordinamento processuale interno che la ospita resta sospesa nel vuoto. Il diritto unionale, quando non si manifesta mediante regolamenti, è giuridicamente efficace solo attraverso il diritto interno.

«La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi», dispone l’art. 249 del Trattato. Il risultato non resta però uno scopo esterno alla norma, una sorta di intentio legis, ma integra il mezzo nel senso che il diritto vigente è quello risultante dall’articolazione di mezzo e risultato. Una questione pregiudiziale in senso logico che non cada nel giudicato del decreto ingiuntivo non opposto è configurabile solo grazie alla penetrazione del risultato nelle forme processuali. Il diritto dell’integrazione è un diritto terzo rispetto agli ordinamenti di provenienza, è nel mezzo di essi perché è la risultante della combinazione del risultato unionale con la forma nazionale. L’ordinamento interno non ha gli strumenti per “comprendere” una simile pregiudiziale in senso logico: sulla scia della teorica della cd. inter-legalità, è il diritto che sta “fra” gli ordinamenti che trova applicazione, e non l’uno o l’altro ordinamento[8]. Solo se adottiamo questa prospettiva possiamo “comprendere” una pregiudiziale in senso logico che non cada nel giudicato.

Si suole estendere al rapporto fra diritto unionale e diritto interno il criterio dell’interpretazione conforme che vige nel rapporto fra diritto costituzionale e diritto ordinario. La stessa Corte di giustizia ripetutamente richiama l’esigenza che, nell’applicazione del diritto interno, questo sia interpretato in modo conforme alla direttiva di cui è attuazione, ma l’interpretazione adeguatrice euro-unitaria non è la stessa cosa di quella costituzionale. Il criterio dell’interpretazione conforme ha senso a rigore quanto al rapporto con la Costituzione perché questa è la cornice di legittimità entro cui si dispiega il libero potere politico di formazione delle leggi. L’Unione europea non fissa le condizioni di legittimità dell’esercizio di un potere discrezionale, è un ordinamento produttivo di norme per cui il rapporto fra sfera unionale e sfera interna non corrisponde a una dialettica legittimità/merito, ma al concorso di ordinamenti nella produzione del diritto vigente. Altra cosa è il diritto unionale quale parametro interposto di legittimità in base agli artt. 11 e 117, comma 1, Cost.: in funzione di prevenzione delle conseguenze del mancato rispetto del risultato previsto dalla direttiva (responsabilità risarcitoria dello Stato e procedura unionale di infrazione), si aggiunge qui alla dinamica dell’integrazione fra sistemi quella della coerenza dell’esercizio di un potere discrezionale alla legalità costituzionale. Quando perciò si parla d’interpretazione conforme a proposito di diritto euro-unitario, in realtà di ordinaria interpretazione del diritto vigente si tratta, perché quel diritto non è altro che la risultante dell’articolazione dei due ordinamenti, è un diritto a più livelli, o “multi-livello” come si suole dire con un’espressione assai diffusa. Noi non adeguiamo il diritto interno a quello unionale, applichiamo un diritto che è l’effetto della loro integrazione. L’interpretazione conforme nell’ambiente euro-unitario è più propriamente applicazione di un diritto integrato. L’invito della Corte di giustizia a interpretare la disposizione nazionale conformemente alla direttiva ha il senso, quindi, non del rispetto di un parametro di legittimità, ma dell’attuazione integrata dei sistemi giuridici. Non è inutile aggiungere che quell’integrazione in tanto è possibile in quanto entrambi gli ordinamenti adottano il linguaggio del rule of law.

Quando il giudice dell’esecuzione rileva d’ufficio il carattere abusivo della clausola, nonostante il giudicato derivante dal decreto ingiuntivo non opposto, sta applicando un diritto che è nel mezzo dei due ordinamenti, quello unionale e quello interno, perché quest’ultimo non conosce un simile potere in capo al giudice del processo esecutivo, mentre quello unionale sarebbe privo di efficacia giuridica se non trovasse una forma nazionale di dispiegamento. Arriviamo a questo grado di consapevolezza, quanto al diritto che è effettivamente applicato quando è in gioco l’Unione europea, solo perché ci siamo spinti oltre la soglia che il diritto interno consente di immaginare, una questione pregiudiziale in senso logico ultrattiva rispetto al decreto ingiuntivo esecutorio per mancata opposizione, e siamo entrati nel campo della situazione eccezionale. L’eccezione rende palese, direbbe Schmitt, ciò che il corso normale delle cose non consente di vedere.

 

4. Il procedimento nazionale: l’incidente di cognizione innanzi al giudice dell’esecuzione e l’opposizione all’esecuzione

Quale a questo punto la forma interna del risultato unionale? Viene ora in primo piano l’autonomia procedurale dell’ordinamento interno, la quale è coerente alla logica dei mezzi e delle forme apprestate per il perseguimento del risultato sovranazionale. Il rispetto del principio di effettività è quasi l’ovvia conseguenza di un diritto che è a metà strada fra due ordinamenti.

Non si tratta qui di interpretare in modo conforme al diritto sovranazionale quello nazionale. Si tratta, piuttosto, di rinvenire in sede interpretativa un diritto che corrisponda all’integrazione dei due piani, euro-unitario e interno. 

Nella discussione apertasi al seguito del gruppo di decisioni del giudice euro-unitario, un primo nucleo di proposte va nella direzione della restituzione dello scettro al giudice della cognizione, lasciando al giudice dell’esecuzione il mero potere di rilievo della questione. Escluso che possa attingersi all’impugnazione per revocazione di cui all’art. 656 cpc, per l’evidente estraneità delle ipotesi ivi contemplate al nostro caso, una prima tesi è quella dell’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 cpc[9], mentre una seconda ipotesi è quella dell’actio nullitatis[10]. Nell’uno e nell’altro caso, il giudice del merito dovrebbe sospendere il titolo esecutivo in base all’art. 623 cpc (o probabilmente, nel secondo caso, in base a un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’art. 700 cpc). Il limite di tali tesi è che esse restano nell’ambito di una piana applicazione del diritto interno, senza che il risultato unionale contribuisca alla conformazione del mezzo se non nei limiti del potere di rilievo attribuito al giudice dell’esecuzione. In definitiva, il criterio in gioco è sempre quello dell’interpretazione conforme, ma è proprio tale criterio, nella forma del limite della portata linguistica della disposizione, a rappresentare l’ostacolo.

L’opposizione tardiva è prevista per il caso di mancata conoscenza non imputabile del decreto in relazione alla tempestività dell’opposizione, ed è comunque ammessa nel termine di dieci giorni dal primo atto di esecuzione. Non è chi non veda come l’enunciato linguistico ponga un argine non superabile ai fini dell’applicazione della disposizione. L’actio nullitatis (azione di accertamento negativo) è stata prospettata come accertamento del carattere abusivo della clausola. Sul punto, va osservato che l’actio nullitatis è un rimedio esperibile non in relazione alla fattispecie sostanziale, ma nei confronti del provvedimento giurisdizionale, che si assume non riconducibile al relativo modello legale. Anche a voler seguire la strada dell’ordinaria azione di accertamento negativo rivolta al provvedimento, non si vede quale sia l’inesistenza giuridica o la nullità radicale che attingano il decreto ingiuntivo in questione. Ciò che manca, come si dirà a breve, è il titolo esecutivo, l’idoneità cioè del decreto ingiuntivo a promuovere l’esecuzione forzata, ma non il titolo giudiziale, il quale non può essere ritenuto radicalmente nullo, alla stregua del provvedimento privo della sottoscrizione del giudice, solo perché non ha risolto una questione pregiudiziale in senso logico. Si tratta, più semplicemente, di un titolo giudiziale insuscettibile di esecuzione forzata. Anche la rimessione in termini per l’opposizione, in base al secondo comma dell’art. 153 cpc, pare ipotesi estranea al nostro caso perché qui non vi è stata una decadenza per causa non imputabile all’ingiunto.

Raccogliendo invece il monito del giudice euro-unitario, che esige che il giudice dell’esecuzione valuti l’abusività, è proprio a questo organo giurisdizionale che deve farsi riferimento per l’individuazione della forma procedimentale. Il giudice dell’esecuzione rileva e decide la questione, in modo doveroso[11]. Gli incidenti di cognizione all’interno del processo esecutivo non sono estranei al nostro codice processuale (l’art. 512 sulla risoluzione delle controversie in sede di distribuzione della somma ricavata e l’art. 549 in materia di contestazione della dichiarazione del terzo nell’espropriazione presso terzi, ma si pensi anche all’accertamento dei crediti in sede di conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 cpc). Loro caratteristica è che la decisione produce effetti solo ai fini del processo esecutivo in corso ed è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi prevista dall’art. 617 cpc (con trattazione del giudizio di merito da parte di un magistrato diverso dal giudice dell’atto esecutivo impugnato – art. 186-bis att. cpc). Anche nel nostro caso si tratterebbe di un incidente di cognizione all’interno del processo esecutivo, in relazione al quale il giudice dell’esecuzione, rilevando d’ufficio la questione, solleva il contraddittorio fra gli interessati in base all’art. 485 cpc e decide con ordinanza ai sensi dell’art. 487 cpc, ordinanza impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi[12].

L’incidente di cognizione sulla pregiudiziale unionale non è previsto dal codice processuale interno, ma è la risultante dell’integrazione del procedimento interno con il diritto euro-unitario. Alla forma nazionale si accompagna il contenuto unionale. Il punto dirimente è il seguente. Vi è un fatto costitutivo del diritto di credito che è la validità – per assenza di vessatorietà – della clausola fonte del diritto. Per il diritto euro-unitario la pregiudiziale in senso logico della validità della clausola sfugge al giudicato se l’accertamento del credito del professionista non è avvenuto all’interno di un procedimento nel quale la controversia fra le parti abbia potuto dispiegarsi, in modo che sulla pregiudiziale potesse aprirsi il contraddittorio, ma sia la risultante di un decreto emesso su domanda del professionista nell’ambito di un procedimento sommario a carattere unilaterale. L’osservazione vale ad escludere che l’esigenza di accertamento della pregiudiziale euro-unitaria persista all’esito di un giudicato derivante da un processo di cognizione: opera qui la regola ordinaria dell’onere di impugnazione se nel grado di merito sia insorta controversia sulla validità della clausola e del rilievo d’ufficio della nullità consumeristica, da parte del giudice di appello o di legittimità, se la controversia sia mancata (salvo che il consumatore, dopo che il giudice abbia indicato la questione rilevabile d’ufficio, abbia dichiarato di non avvalersi della nullità – Cgue, 4 giugno 2009, causa C-234/08, e 21 febbraio 2013, causa C-472/11), producendosi l’effetto di giudicato nel caso di mancata emersione della questione pregiudiziale nell’una o nell’altra forma. Se l’accertamento precede la causa, come nell’ingiunzione di pagamento, il giudice deve motivare, anche in modo «sommario» (precisa Cgue, causa C-600/19) ma specifico (l’art. 641 cpc prevede che il decreto ingiuntivo sia «motivato»), sulla pregiudiziale unionale, perché in mancanza il fatto costitutivo rimane non accertato.

La lacuna giurisdizionale si riflette sul titolo esecutivo perché, in mancanza del giudizio di non abusività della clausola fonte del credito riconosciuto nel decreto monitorio, non può ritenersi che il titolo giudiziale abbia accertato il credito e il professionista è, pertanto, carente del diritto ad agire esecutivamente. Previa audizione degli interessati, il giudice dell’esecuzione, ove reputi sussistente la vessatorietà della clausola, accerta, con effetti limitati al processo esecutivo, la nullità consumeristica e dichiara con ordinanza l’improcedibilità dell’esecuzione forzata per mancanza di un titolo esecutivo idoneo a legittimare l’azione esecutiva. La questione dell’abusività riguarda non la parte dispositiva dell’ordinanza, che è di mera chiusura anticipata del processo esecutivo, ma l’accertamento, che è reso necessario dalla circostanza che a determinare la carenza del diritto ad agire esecutivamente non è il dato formale dell’assenza di pronuncia sulla non abusività nel decreto monitorio, ma la questione sostanziale della nullità della clausola rilevata dal giudice dell’esecuzione, pena la riduzione del principio di effettività del diritto unionale ad un mero formalismo. Una volta che il giudice dell’esecuzione abbia reputato sussistente la nullità consumeristica, diventa rilevante l’omissione motivazionale nel decreto ingiuntivo, la quale costituisce soltanto il presupposto del potere/dovere di sindacato della vessatorietà in sede esecutiva. 

L’ordinanza, come si è detto, è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi (cui potranno conseguire gli eventuali provvedimenti indilazionabili) e la relativa sentenza sarà poi ricorribile in Cassazione. Se confermata, all’esito dei rimedi impugnatori, l’ordinanza di improcedibilità dell’esecuzione forzata, permarrà un accertamento di abusività limitato al processo esecutivo, che rende perciò “quel” decreto ingiuntivo inidoneo a promuovere l’espropriazione forzata. Il professionista dovrà proporre una nuova domanda, di ingiunzione o in via ordinaria, senza che l’accertamento del giudice dell’esecuzione, producendo effetti solo ai fini del procedimento esecutivo, possa avere valenza di giudicato esterno. Ovviamente il decreto ingiuntivo, per essere titolo idoneo per l’esecuzione forzata, dovrà contenere specifica motivazione sulla non abusività della clausola, ove il giudice del monitorio ritenga di discostarsi dalla valutazione del giudice dell’esecuzione.

A conseguenze diverse potrebbe pervenirsi nel caso in cui il debitore proponga l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cpc. È in generale discusso se oggetto di tale opposizione sia il potere di procedere a esecuzione forzata (con accertamento incidentale circa il diritto di credito) o direttamente il credito (con effetto di giudicato sostanziale su quest’ultimo)[13], ma tale discussione ha senso con il titolo esecutivo stragiudiziale, perché nel caso di quello giudiziale oggetto dell’opposizione, quando ha il carattere di merito, sono i fatti modificativi o estintivi del credito sopravvenuti alla formazione del titolo (essendo la cognizione dei fatti costitutivi riservata, come è noto, al giudice di fronte al quale sia impugnato il titolo esecutivo giudiziale). Con la pregiudiziale euro-unitaria l’esecutato può però opporre, all’esecuzione promossa con decreto ingiuntivo non opposto, l’inesistenza del fatto costitutivo del credito nonostante il titolo esecutivo giudiziale. Se si accede alla tesi del credito quale oggetto dell’opposizione, l’accertamento sarebbe con effetto di giudicato sostanziale e non limitato alla spettanza del potere di procedere ad esecuzione forzata. 

La possibilità per l’esecutato di dedurre, con l’opposizione all’esecuzione, l’inesistenza del fatto costitutivo del credito, e per il giudice dell’esecuzione di accertarla d’ufficio, è un portato dell’integrazione dei due sistemi giuridici, quello euro-unitario e quello interno. Non stiamo interpretando il diritto interno in modo conforme a quello unionale perché la pregiudiziale euro-unitaria non è ricavabile da nessuna disposizione nazionale. Per l’ordinamento interno, il riconoscimento del diritto non può non trascinare nel giudicato anche l’esistenza e validità del relativo fatto costitutivo. Stiamo applicando un diritto terzo, un diritto interfacciale, che non sarebbe concepibile senza il concorso produttivo dei due ordinamenti nella determinazione del diritto vigente, con un’avvertenza finale. La questione di legittimità per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. potrebbe sorgere ove il contrasto del diritto interno con quello unionale sia tale da non consentire alcuna forma di integrazione fra gli ordinamenti, come il contrasto diretto della disposizione interna con la direttiva (ultimo esempio, la norma dichiarata illegittima da Corte cost., 22 dicembre 2022, n. 263, proprio in materia di rapporti di consumo), ovvero la mancanza di mezzi e forme nazionali disponibili per il raggiungimento del risultato unionale. La rilevata compatibilità costituzionale del cedimento del decreto ingiuntivo non opposto, e la possibilità per gli istituti dell’espropriazione forzata e per l’opposizione all’esecuzione di diventare strumenti a disposizione della pregiudiziale euro-unitaria, permettono al diritto inter-legale di entrare in gioco.

 


 
[1] C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’, Il Mulino, Bologna, 1972, rispettivamente pp. 41 e 40.

[2] All’efficacia retroattiva delle pronunce interpretative in questione non osta il limite del rapporto esaurito quanto ai decreti ingiuntivi dichiarati esecutivi per mancata opposizione prima del 17 maggio 2022, perché ciò che il giudice euro-unitario afferma è proprio il carattere non esaurito del rapporto. Come ricorda la recente Corte cost., 22 dicembre 2022, n. 263, «la modulazione degli effetti temporali di una sentenza che decide su un rinvio pregiudiziale può essere disposta esclusivamente dalla medesima Corte e solo nell’ambito della stessa pronuncia».

[3] Per tutti, S. Menchini, Il giudicato civile, UTET, Torino, 2002, pp. 354 ss.

[4] Sul punto è sufficiente richiamare Cass., sez. unite, 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243. Non è, pertanto, condivisibile lo sforzo compiuto da P. Spaziani, Ampliamento della giurisdizione oggettiva e nuovi limiti del giudicato dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19), in Giustizia insieme, 23 dicembre 2022, che, allo scopo di dare attuazione alle statuizioni del giudice unionale in presenza di decreto ingiuntivo non opposto, fa della validità del fatto costitutivo una questione pregiudiziale in senso logico decisa però in via incidentale, e dunque non con efficacia di giudicato, se non accertata mediante il contraddittorio fra le parti, costruendo una categoria suscettibile di espansione all’intero diritto interno, e non limitata a quello unionale: se di pregiudiziale in senso logico si tratta, per investire il fatto costitutivo del diritto fatto valere, non può che essere accertata con efficacia di giudicato.

[5] Problematiche di ordine costituzionale sono ventilate in F. De Stefano, La Corte di Giustizia sceglie tra tutela del consumatore e certezza del diritto. Riflessione sulle sentenze del 17 maggio 2022 della Grande Camera della CGUE, in Giustizia insieme, 22 settembre 2022; I. Febbi, La Corte di Giustizia Europea crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, in Judicium, 12 luglio 2022; F. Marchetti, Note a margine di Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19), ovvero quel che resta del brocardo “res iudicata pro veritate habetur” nel caso di ingiunzioni a consumatore non opposte, ivi, 24 giugno 2022.

[6] R. Caponi, Giudicato civile e identità nazionale (un appunto con contrappunto sul caso Taricco), in questa Rivista trimestrale, n. 1/2017 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/giudicato-civile-e-identita-nazionale-_un-appunto-con-contrappunto-sul-caso-taricco_421.php).

[7] Richiama l’attenzione sulla “corretta formazione dell’irretrattabilità della decisione”, facendo dipendere il rilievo doveroso del giudice dell’esecuzione dalla mancata valutazione motivata da parte del giudice del monitorio (dotato all’uopo anche del potere di richiedere l’integrazione della domanda ai sensi dell’art. 640, comma 1, cpc), S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all’effettività, in Giurisprudenza italiana, n. 10/2022, p. 2122. A proposito del sindacato sull’abusività che il giudice del monitorio deve svolgere, andrebbe aggiunto che, in presenza di contratto stipulato fra professionista e consumatore, la prova scritta della domanda di ingiunzione deve avere ad oggetto anche l’assenza di clausole vessatorie, pena il rigetto della domanda che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 640 cpc, non pregiudica la riproposizione della domanda medesima, anche in via ordinaria.

[8] Per ogni approfondimento, rinviamo a G. Palombella ed E. Scoditti, L’interlegalità e la “nuova” ragion giuridica del diritto contemporaneo, in E. Chiti, A. Di Martino, G. Palombella (a cura di), L’era dell’interlegalità, Il Mulino, Bologna, 2021, pp. 29 ss., e ai contributi contenuti nel volume; J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-Legality, Cambridge University Press, Cambridge (UK), 2019; E. Scoditti, Lo scenario dell’inter-legalità, in Questione giustizia online, 22 aprile 2020 (www.questionegiustizia.it/articolo/lo-scenario-dell-inter-legalita_22-04-2020.php); più risalente, Id., Articolare le Costituzioni. L’Europa come ordinamento giuridico integrato, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 1/2004, pp. 189 ss.

[9] A. Carratta, Introduzione. L’ingiuntivo europeo nel crocevia della tutela del consumatore, in S. Caporusso ed E. D’Alessandro (a cura di), Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, in Giurisprudenza italiana, n. 2/2022, p. 487.

[10] Si tratta di quanto sostenuto nella requisitoria del pubblico ministero nel procedimento sfociato nella rimessione alle sezioni unite (www.procuracassazione.it/procurageneraleresources/resources/cms/documents/24533_2021_CGUE_Nardecchia.pdf).

[11] Cgue, 17 maggio 2022, causa C-725/19, chiarisce al punto 55 che, nell’ipotesi in cui l’esecuzione forzata si concluda prima dell’accertamento in un giudizio di merito dell’abusività della clausola contrattuale all’origine di detta esecuzione forzata, «la decisione in parola consentirebbe di fornire al consumatore di cui trattasi solo una protezione a posteriori sotto forma di risarcimento, che si rivelerebbe incompleta e insufficiente e non costituirebbe un mezzo adeguato né efficace per porre fine all’uso di tale medesima clausola» (resta comunque salva - precisa Cgue, C-600/19 - la facoltà di agire per il risarcimento a esecuzione compiuta con il trasferimento del bene a terzi).

[12]  Nel senso del testo è anche E. D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in Judicium, 2 novembre 2022.

[13] M.A. Comastri, L’opposizione all’esecuzione forzata. Spunti ricostruttivi, in Rivista di diritto processuale, n. 4/2021, pp. 1246 ss.

17/01/2023
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