Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Lo scenario dell’inter-legalità *

di Enrico Scoditti
consigliere della Corte di cassazione
L’inter-legalità è una nuova prospettiva sul diritto che nasce dall’interconnessione che si stabilisce fra i diversi ordinamenti nel tempo della legalità al plurale

La pubblicazione del volume collettivo The Challenge of Inter-Legality, a cura di Jan Klabbers e Gianluigi Palombella[1], rappresenta un evento, su scala europea, nella teoria del diritto. Esso testimonia dell’ingresso in un universo finora inedito per il diritto moderno. L’inter-legalità è una sfida perché ci chiama ad un diverso modo di pensare. In questo scritto illustrerò e discuterò la tesi fondamentale di questo importante volume.

Legalità per la tradizione giuridica moderna resta un sostantivo al singolare. La caratteristica del comando giuridico è la sua esclusività. Scriveva Angelo Ermanno Cammarata, in pagine che hanno formato i giuristi italiani nel secolo scorso, che la giuridicità risiede nell’assunzione della norma come unica ed esclusiva regolatrice dell’attività pratica[2]. Il diritto è costitutivamente unico quando esercita la propria forza precettiva. Adoperando il linguaggio di Niklas Luhmann, il diritto, come ogni sistema specializzato, sorge mediante la definizione di confini attraverso cui selezionare in un ambiente di possibilità infinite le modalità dell’agire che connotano il singolo sistema. Alla base del diritto c’è un’asimmetria fra il sistema (giuridico) e l’ambiente[3]. Nel tempo della legalità al singolare c’è naturalmente il pluralismo degli ordinamenti giuridici, ma la compatibilità fra l’esclusività del criterio giuridico ed il pluralismo viene instaurata attraverso quella che Cammarata definiva la relatività della distinzione fra il valore giuridico ed il fatto. Gli altri ordinamenti esistono per l’ordinamento corrispondente al punto di vista dell’attore, ma esistono non come valore giuridico, bensì come fatto o come ambiente per il sistema giuridico. Quella distinzione è relativa nel senso che ogni ordinamento può diventare fatto o ambiente per l’altro ordinamento. Ciò che importa è che la distinzione, fra un valore giuridico ed un fatto o un sistema ed un ambiente, non venga mai meno, pena la fine della giuridicità come esclusivo criterio di valutazione.

L’inter-legalità presuppone la fine di questo mondo. Legalità diventa un sostantivo al plurale (legalities)[4]. Il mondo dell’inter-legalità è il mondo nel quale la pluralità degli ordinamenti non è fatto o ambiente per l’ordinamento adottato come punto di vista ma è valore giuridico o sistema giuridico essa stessa. L’ordinamento che fronteggia l’ordinamento in cui l’attore è collocato non è un fatto ma è un valore giuridico ed è diritto cogente allo stesso modo in cui lo è il diritto dell’ordinamento cui appartiene l’attore. Nel rapporto fra ordinamenti non c’è più l’asimmetria luhmanniana fra sistema e ambiente: ciascun ordinamento vale al cospetto dell’altro come sistema e non come ambiente.

Nel mondo della legalità al plurale cadono gli assiomi della legalità al singolare. Cade in primo luogo, naturalmente, il principio di esclusività del criterio di valutazione. La precettività giuridica è condivisa fra più ordinamenti. Il pluralismo è un pluralismo effettivo nel senso che si tratta di ordinamenti ad efficacia giuridica costante: quella efficacia non viene meno una volta che si assuma il punto di vista di un ordinamento. In secondo luogo cade il principio del diritto valido. Il diritto valido esclude la validità di altri diritti e presuppone un criterio per stabilire quando il diritto sia valido, si tratti di una norma presupposta in senso logico-trascendentale à la Kelsen o di una prassi sociale di riconoscimento del diritto valido à la Hart. La validità di un diritto non esclude la validità di un altro diritto retto da una diversa norma di riconoscimento: la validità non è perciò più criterio di identificazione del diritto. In terzo luogo cade la celebre distinzione introdotta da Herbert Hart fra punto di vista interno al sistema giuridico, che è quello di colui che lo adotta come propria regola di comportamento, e punto di vista dell’osservatore esterno che guarda al sistema non come precetto ma come fatto storico[5]. Nel mondo della legalità al plurale non c’è più una distinzione fra interno ed esterno.

In questo mondo si sovrappongono i diversi ordinamenti, i quali mantengono costantemente la loro efficacia giuridica, anche nel momento in cui si articolano all’altro ordinamento. E’ il mondo in cui convivono su uno stesso livello di produzione giuridica gli Stati nazionali, a competenza territoriale e vocazione universale, i sistemi di amministrazione deterritorializzati ed a vocazione specialistica, gli ordinamenti sovranazionali su base regionale derivanti da parziali cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali e gli ordinamenti puramente giurisdizionali addetti alle violazioni di diritti umani. Per rendersi conto della dirompenza di questa articolazione delle legalità rispetto al vecchio universo basta chiedersi cosa sarebbe stato se il progetto di “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” fosse andato in porto: a sovrapporsi ed articolarsi sarebbero stati, con buona pace di Carl Schmitt, niente di meno che ordini costituzionali.

Quando la legalità è al plurale il diritto che conta è quello che sta nel mezzo, “in-between”, come scrive Palombella[6]. E’ il diritto inter-legale. Se entrambi o i più ordinamenti sono produttivi di effetti giuridici, se entrambi costituiscono un valore giuridico e non sono l’uno criterio di valutazione dell’altro, il diritto è ciò che risulta dall’interconnessione fra le diverse legalità. Il diritto è necessariamente composito e multi-verso. Viene qui in primo piano lo specifico guadagno teorico della prospettiva dell’inter-legalità.

La condizione della legalità al plurale esclude la presenza di una dimensione legale per così dire sovraordinata alle molte legalità. Non c’è una legalità che disciplini in modo astratto e generale ciò che è nel mezzo delle diverse legalità. C’è un gap o un punto cieco, che viene in rilievo quando i diversi sistemi si confrontano al livello della loro norma fondamentale. Una serie di casi recenti, fra cui il noto caso Taricco, testimoniano di questa apertura al vertice e dell’assenza di un diritto che dirima per via di sistema le controversie fondamentali[7]. Quando la Corte costituzionale e la Corte di Strasburgo si pronunciano in modo differente sul diritto che emerge dall’articolazione di Costituzione e Convenzione, quale è il diritto che deve essere seguito?

La via per superare il gap derivante dal vuoto infra-legale viene individuata, sia al livello teorico che al livello pratico, nell’agire strategico dei soggetti e delle corti esponenziali delle diverse legalità. Lì dove il diritto non arriva, si mettono in campo strategie basate su mutui accomodamenti e forme di negoziazione, in una parola si mette in campo la strategia del dialogo. Il dialogo fra le Corti è un topos della teoria e della prassi degli ultimi anni. Il dialogo fra le Corti, quando non corrisponde ad un assetto normativo come nel caso del rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, corrisponde ad un agire strategico. E’ extra-normativo non perché si collochi all’esterno del diritto ma perché è un agire che si snoda in uno spazio franco dal diritto. Manca un’infrastruttura giuridica fra le diverse legalità, o meglio fra le norme fondamentali di ciascuna legalità. Quando si arriva al fondo di ciascun sistema, ciascuno preserva la propria identità e le interrelazioni a questo livello paiono affidate a strategie di dialogo[8].

Secondo la prospettiva dell’inter-legalità nell’“in-between” non c’è un vuoto dal punto di vista giuridico, tale che possa essere colmato solo da strategie di dialogo, ma c’è ancora diritto, c’è in particolare l’interfaccia fra i diritti concorrenti nel caso concreto. E’ il diritto risultante dalle interconnessioni fra ordinamenti. Il diritto è un continuum privo di soluzioni di continuità. La prospettiva dell’inter-legalità rispetto al fenomeno della legalità al plurale è dunque una prospettiva giuridica e non strategica. L’inter-legalità concepisce i soggetti e le corti esponenziali delle diverse legalità come informati ad un agire normativo e non strategico, un agire guidato pertanto da norme. Risiede qui il valore aggiunto della riflessione teorica che stiamo illustrando.

Per giungere a tale conclusione l’inter-legalità concepisce il rapporto fra le diverse legalità come un rapporto non di sistema ma come interferenza fra diversi regimi giuridici che sorge nel caso concreto. Poiché è il fatto, nella sua unitarietà, il centro di articolazione della pluralità di ordinamenti, il diritto dell’“in-between” non può che essere il diritto del fatto. La concezione che emerge dall’inter-legalità è una concezione aggiudicatoria del diritto. Il diritto inter-legale è un diritto re-centrato, è un diritto del caso concreto. Di qui il ruolo assai rilevante che nella dimensione della legalità al plurale svolgono le corti. L’inter-legalità non opera sul piano del sistema perché l’articolazione fra ordinamenti c’è solo nelle occasioni in cui l’uno interferisce con l’altro. E’ solo quando le legalità si interconnettono che emerge il problema dell’inter-legalità e questo è un problema pratico che sorge con il caso concreto e non in via astratta e generale. Sul piano astratto vi è solo la giustapposizione fra le diverse legalità. L’inter-legalità avviene solo nel concreto. Essa si realizza non al vertice dei sistemi, ma in basso, nella fenomenologia dei casi pratici.

Per delineare meglio i tratti dell’inter-legalità, utile è il confronto con la diversa prospettiva, emersa nella dottrina italiana, dell’inter-costituzione[9]. Il rapporto fra le diverse legalità è concepito qui in termini astratti di sistema: già sul piano astratto del rapporto fra ordinamenti vige un rapporto inter-costituzionale fra le diverse carte dei diritti (nazionale, internazionale e sovranazionale). Questa inter-costituzione viene fondata su una norma fondamentale che viene colta nella regola della “massima tutela dei diritti”. Se si intrecciano le diverse legalità già sul piano astratto, sorge un nuovo sistema, che è il sistema dell’inter-costituzione, e per forza di cose esso, proprio in quanto sistema, ha bisogno di una norma fondamentale. In questo modo però si fa venire meno il tema della legalità al plurale perché vi è una meta-norma che unifica tutto. L’inter-costituzione è al fondo un sistema unitario imperniato sulla regola della tutela dei diritti al massimo livello. La stessa regola della tutela massima dei diritti, concepita come norma fondamentale, è controvertibile perché entra in contraddizione con il bilanciamento, il quale è invece un gioco a somma zero[10]. Quella regola, che il caso vuole sia contemplata tanto dall’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea quanto dall’art. 53 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è piuttosto una norma di disciplina del rapporto fra fonti, è la regola del conflitto fra più carte dei diritti.

Preservare la legalità al plurale vuol dire mantenere la pluralità divergente dei punti di vista. L’inter-legalità, proprio perché mantiene il multi-verso delle legalità, è priva di presupposti sostantivi, inevitabilmente unificanti, quale quello della massima tutela dei diritti. Come si è detto, essa adotta non la prospettiva astratta del sistema, ma quella concreta del caso. L’unico imperativo che sorregge l’inter-legalità è riposto nella dinamica del suo funzionamento: mantenere l’interconnessione fra le diverse legalità consentendo a tutte le legalità concorrenti di contribuire alla definizione del diritto del caso concreto. La giustizia coincide con il dare voce ai diversi regimi giuridici implicati dal caso. La corte che è esponente del singolo ordinamento, nel dirimere la controversia, deve assumere anche il punto di vista dell’ordinamento concorrente la cui presenza è imposta dalle peculiarità del caso, deve insomma farsi carico delle ragioni dell’altro.

Definire l’inter-legalità come un problema essenzialmente giuridico e non strategico, concernente il caso concreto e non il sistema, significa avere posto le basi di una riflessione che è tutta da sviluppare. Il volume The Challenge of Inter-Legality richiama le corti e l’accademia ad un comune impegno, teorico e pratico, perché è soprattutto grazie alla loro sinergia che possono essere fatti passi avanti. Siamo entrati in un nuovo mondo, ma questo mondo non è designabile semplicemente come un “post”, post-sovranità o altro. Gli attrezzi per indagare questo mondo ci vengono dalla nostra tradizione. Proprio l’inter-legalità ci insegna che non ci sono cesure, né nello spazio né nel tempo. In questa direzione mi limito a due osservazioni.

La prima è la seguente. Il Novecento ci ha lasciato in eredità un grande problema teorico. Possiamo dividere il secolo in due fasi, anche geograficamente connotate. La prima metà del Novecento, dal punto di vista della teoria giuridica, ha il suo centro in Europa e il problema è quello del fondamento della costituzione, se questa sia riconducibile a una decisione politica (Schmitt) o ad una norma presupposta ad ogni agire politico (Kelsen)[11]. Nella seconda metà del secolo, nonostante le incursioni europee (Habermas, Alexy), il cuore della discussione è nel mondo anglo-americano e vede da una parte il giuspositivismo di Herbert Hart e Joseph Raz, e dall’altra Ronald Dworkin[12]. Il tema è se il diritto vada identificato in base alla fonte o alla meritevolezza del suo contenuto. Il diritto dipende dal fatto storico che lo ha prodotto o è un concetto puramente interpretativo, del tutto indipendente dalla fonte di produzione? Il diritto è fonte o contenuto? L’inter-legalità, quale diritto interstiziale fra le diverse legalità, sembra optare decisamente per il diritto come concetto interpretativo e per l’indifferenza quindi del tema della fonte. L’interrogativo da porsi è se la questione della fonte sia del tutto irrilevante per l’inter-legalità. Porsi il problema di quale sia il ruolo che la fonte giochi all’interno dell’inter-legalità consente di rispondere ad una scuola di pensiero che, mediante il primato positivistico della fonte, punta alla ri-territorializzazione del diritto, affidando il diritto internazionale non alla legalità al plurale ma al vecchio ordine westfaliano[13].

Contemplare nell’identificazione del diritto del caso concreto le diverse legalità concorrenti significa operare un bilanciamento. Il bilanciamento è un fenomeno chiaroscurale, non c’è mai un principio del tutto vincente ed un principio del tutto perdente (opererebbe altrimenti il modello della regola – “aut aut” e non “et et”), può esserci semmai, nella migliore delle soluzioni, una piena orizzontalità nel rapporto fra principi. Allo stesso modo nel rapporto fra legalità o c’è piena orizzontalità o c’è una legalità che esercita una forza centripeda e dunque una forza prevalente, che tuttavia, proprio perché di bilanciamento si tratta, consente che, sia pure in forma subordinata, anche l’altra legalità possa esprimersi. Dobbiamo ritenere che la forza centripeda dipenda dalla qualità della fonte e che rispetto alla legalità prevalente, nel chiaroscuro del bilanciamento, la legalità concorrente funga da vincolo e da limite. Si tratta in definitiva del paradigma dell’art. 117, comma 1, della Costituzione italiana.

Seconda osservazione. L’inter-legalità è il diritto del caso concreto. Si tratta di un diritto da scoprire, che è già nelle cose, o da costruire sulla base di un ideale regolativo? Un diritto re-centrato, immanente al reale e dunque da rinvenire, per usare un’espressione cara a Paolo Grossi[14], ci rimanda all’ordine giuridico medievale. “Nuovo medievalismo”, su cui peraltro esiste una significativa letteratura, è espressione che torna in alcuni saggi del volume The Challenge of Inter-Legality. Il diritto dell’inter-legalità è un diritto che viene dopo l’esperienza della statualità e dell’illuminismo giuridico. Per quest’ultimo il diritto è un artificio che tuttavia risponde ad un ideale regolativo: quando il giudice, bilanciando i principi costituzionali o concretizzando una clausola generale, costruisce il diritto del caso concreto, non segue il demone che tiene i fili della sua vita, per dirla con Max Weber[15], ossia le sue intime convinzioni di valore, ma si appella ad un ideale di regolazione. A quale delle due forme appartiene il diritto dell’inter-legalità? Ciò che pare emergere è una sorta di omogeneità morfologica fra la forma del potere e la forma del diritto. Nell’epoca medievale del potere disperso il diritto era centrato nella cosa stessa, nell’epoca moderna del potere concentrato in un punto (la sovranità) il diritto costituisce un ideale regolativo.

In realtà, è arduo prendere congedo dall’eredità dell’illuminismo. Nella stessa inter-legalità opera un ideale regolativo che è quello del consentire la partecipazione di tutte le legalità concorrenti alla definizione del diritto del caso concreto. La forma stessa del bilanciamento è un ideale regolativo. Per definire il fondo del caso concreto, lì dove giace la regola di diritto, Palombella nel suo contributo finale richiama un passo delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein: quel fondo è lo strato di roccia su cui si piega la vanga[16]. Quel fondo, come inducono a pensare alcune letture del filosofo austriaco[17], potrebbe essere proprio la forma ideale del modello kantiano di ragione, idea-limite e in quanto tale inattingibile, ma cui appellarsi alla stregua di imperativo quando vogliamo dare un volto alla regola del caso concreto[18]. Nel tempo dell’inter-legalità la ragione giuridica è ancora profondamente immersa nell’illuminismo.

 

 

[1] Cambridge University Press, 2019; un’anticipazione dei temi trattati nel volume è in G. Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto e il ruolo delle corti in Diritto & questioni pubbliche, 2018, n. 2, www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2018_n18-2/11-studi_Palombella.pdf; per un risalente contributo sul tema rinvio a E. Scoditti, Articolare le costituzioni. L’Europa come ordinamento giuridico integrato, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2004, p. 189 ss..

[2] A. E. Cammarata, Formalismo e sapere giuridico, Milano, 1963, passim.

[3] All’interno di una vastissima letteratura, particolarmente illuminante è il dialogo con Habermas, per il quale si veda J. Habermas – N. Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale, Milano 1973, passim; per la riflessione sul diritto si vedano almeno N. Luhmann, Sociologia del diritto, Roma-Bari 1997 e Id., La differenziazione del diritto, Bologna 1990.

[4] E. Scoditti, Legalità al plurale, in Quaderni costituzionali, 2013, p. 1031 ss..

[5] H. L. A. Hart, Il concetto del diritto, Torino 2002., p. 118 ss. (a p. 291 Hart differenzia la propria nozione di norma di riconoscimento da quella fondamentale di Kelsen).

[6] G. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Inter-Legality. A Manifesto, in J. Klabber – G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-Legality, cit., p. 378.

[7] Scrive N. Krisch, Beyond Constitutionalism. The pluralist Structure of Postnational Law, Oxford, 2010, p. 152 che quando gli ordinamenti sono plurali e concorrenti il sistema è aperto al suo vertice.

[8] Per la definizione di razionalità strategica si veda T. Magri, Contratto e convenzione. Razionalità, obbligo e imparzialità in Hobbes e Hume, Milano, 1994, p. 26 ss..

[9] Si tratta della tesi autorevolmente sostenuta da Antonio Ruggeri in numerosi scritti.

[10] R. Bin, Critica della teoria dei diritti, Milano, 2018, p. 33 ss.; significativamente Corte cost. 4 dicembre 2009, n. 317, in Il Foro italiano, 2010, I, col. 359 per un verso parlò di “massima espansione delle garanzie”, e non di “massima tutela dei diritti”, quanto al rapporto fra Cedu e ordinamento nazionale, per l’altro precisò immediatamente che nel concetto di massima espansione delle tutele doveva essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti; Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, Il Foro italiano, 2014, I, col. 451 chiarì poi che “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”.

[11] Da ultimo, su questa decisiva discussione, B. de Giovanni, Kelsen e Schmitt. Oltre il Novecento, Napoli, 2018.

[12] I riferimenti principali, oltre il classico volume di Hart già citato, sono J. Raz, The Authority of Law. Essays on Law and Morality, Oxford, 1994, e R. Dworkin, L’impero del diritto, Milano, 1989.

[13] A titolo esemplificativo si vedano in questa direzione G. Preterossi, Introduzione. L’Odissea nello spazio e M. Luciani, Dal chàos all’ordine e ritorno, in Rivista di filosofia del diritto, 2019, rispettivamente p. 327 ss. e p. 349 ss..

[14] P. Grossi, L’invenzione del diritto, Bari-Roma, 2017.

[15] M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Torino, 1980, p. 43.

[16] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino, 1967, par. 217.

[17] M. Sacks, Transcendental Constraints and Transcendental Features, in International Journal of Philosophical Studies, 5, 1997, p. 164 ss. e gli autori richiamati in L. Perissotto, Heidegger e Wittgenstein. Quarant’anni di studi, in Bollettino della società filosofica italiana, 1994, p. 3 ss.; come scrive J. Habermas, Verità e giustificazione, Roma-Bari, 2001, p. 21 ss., nel gioco linguistico wittgensteiniano il trascendentale kantiano viene insediato nelle particolari forme di agire situate nello spazio e nel tempo.

[18] Sull’ideale regolativo cui il giudice si appella, quando bilancia i principi o concretizza una clausola generale, rinvio a E. Scoditti, Il giudice ed il dovere di indipendenza da se stesso, in Il Foro italiano, in corso di pubblicazione.

[*] Relazione introduttiva al seminario di studi su “La sfida dell’inter-legalità”, tenutosi il 20 febbraio 2020 per iniziativa della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa presso la Corte di Cassazione, con la partecipazione di Marta Cartabia, Giuliano Amato e Antonello Tancredi.

22/04/2020
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