Magistratura democratica
Diritti senza confini

Quale regime per l’attraversamento delle frontiere interne in caso di ripristino dei controlli di frontiera?

di Francesca Rondine
assegnista di ricerca in diritto internazionale presso l’Università di Napoli l’Orientale

La CGUE si esprime nuovamente sull’applicabilità della direttiva rimpatri alle frontiere interne dello spazio Schengen tra norma, prassi e securitizzazione dei movimenti secondari

1. Introduzione 

Con sentenza resa il 21 settembre 2023 (causa C-143/22), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la Corte d’ora in avanti) ritorna sulla questione del ripristino dei controlli alle frontiere interne e delle regole ivi applicabili, nel quadro di un “dialogo” con lo Stato francese iniziato ormai più di tre anni fa. Segnatamente, la decisione ha ad oggetto l’applicazione della direttiva 2008/115 alle frontiere interne di uno Stato Schengen a seguito del ripristino dei relativi controlli, i cui tempi e modi sono disciplinati dal Codice frontiere Schengen (CFS, d’ora in avanti), al suo Titolo III, Capo II.

La questione più generale della reintroduzione dei controlli alle frontiere interne, ormai tutt’altro che “temporanea”, da parte della Francia, era già stata oggetto di una precedente decisione della Corte, cui aveva fatto da contraltare una decisione del Consiglio di Stato francese dello scorso anno, che aveva di fatto avallato la prassi ormai usuale e pluriennale di prolungare, sulla base di “rinnovate” minacce, i controlli alle frontiere interne, che ai sensi del CFS dovrebbero invece essere limitati nel tempo e di natura eccezionale (infra). 

Con la sentenza in commento, la Corte si focalizza su un aspetto più specifico della questione, che è quello del regime giuridico applicabile alle frontiere interne sottoposte a controlli, segnatamente rispetto all’istituto del respingimento e del trattenimento così come previsti dalla direttiva rimpatri, letti congiuntamente al CFS e al suo art. 14.

La domanda alla base del rinvio concerneva, nello specifico, l’applicabilità dell’art. 14 del CFS e dell’art 2(2) della direttiva rimpatri, e dunque la possibilità di adottare dei provvedimenti di respingimento c.d. immediato, congiuntamente al trattenimento, ai cittadini di paesi terzi che non soddisfino i requisiti di ingresso e provengono da un paese aderente allo spazio Schengen e tentino di attraversare una frontiera interna a seguito del ripristino dei relativi controlli. Detto più chiaramente, la domanda si concentrava sull’applicabilità di tale regime, che tipicamente riguarda l’attraversamento delle frontiere esterne da parte dei suddetti soggetti, alle frontiere interne ove lo Stato abbia ristabilito i controlli. 

La decisione merita un approfondimento per due ragioni. In primo luogo, essa sembra porre un limite alla possibilità per gli Stati di applicare misure di natura derogatoria alla disciplina delle frontiere interne, e dunque di stabilire una piena equivalenza tra le queste ultime e quelle esterne, in caso di rispristino dei controlli; inoltre, la sentenza ci permette di elaborare una più ampia riflessione sul futuro del sistema Schengen, alla luce delle proposte di riforma del CFS, che avallano una tendenza sempre più diffusa tra gli Stati membri volta al ripristino dei controlli alle proprie frontiere interne e ad una concezione securitaria dei c.d. movimenti secondari dei migranti nell’area Schengen.

 

2. La condizione giuridica degli stranieri alle frontiere interne francesi tra norma e prassi

La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne francesi ha inizio nel lontano 2015 e di fatto, da allora, il governo francese ha prorogato la misura fino ai giorni nostri, giustificandone il ricorso attraverso una singolare interpretazione dell’art. 25(3) del CFS, sulla quale non ci si soffermerà in questa sede, ma che è stata oggetto di un “dialogo” tra il Consiglio di Stato francese e la CGUE[1].

In conseguenza di tale reintroduzione, le autorità francesi hanno sviluppato una prassi di respingimento alla frontiera per i cittadini di paesi terzi provenienti soprattutto dall’Italia e non rispettano i requisiti di ingresso ex art 6 CFS. Tali respingimenti avvengono nel quadro di un c.d. “rifiuto di ingresso”, misura prevista all’art. 14 CFS e tuttavia applicabile, originariamente, alle sole frontiere esterne dello spazio Schengen. Per tale ragione, i rifiuti di ingresso alla frontiera interna francese avvenivano inizialmente sotto forma di prassi informale, poi istituzionalizzata nel 2018, quando la legge 2018/778[2] ha introdotto l’art. L 213-1-3 Code de l’entrée et du sejour des etrangers et du droit d’asile (CESEDA d’ora in avanti). La disposizione prevede la possibilità di adottare dei provvedimenti di rifiuto di ingresso e respingimento alla frontiera nei confronti di quei cittadini di paesi terzi che abbiano attraversato la frontiera interna terrestre e che siano stati fermati e sottoposti a controlli nel raggio di 10 km dalla linea di confine, qualora lo Stato abbia ripristinato i controlli sulle proprie frontiere interne. La norma così introdotta di fatto assimila le frontiere interne a quelle esterne, applicandovi la medesima disciplina, che, nel diritto interno francese, prevede anche la c.d. “finzione di non-ingresso”. Sulla base di quest’ultima, si ritiene che le persone alle quali sia stato rifiutato l’ingresso sul territorio francese non siano giuridicamente presenti su detto territorio; ciò non è solo previsto esplicitamente dalla legislazione francese, ma è stato anche avallato dal Consiglio di Stato in una decisione del 2017[3].

Da ciò deriva l’applicazione di un regime giuridico “deteriore” a tutti quei soggetti che ricadano all’interno di detta fictio juris, riguardo, segnatamente, all’allontanamento dal territorio e al trattenimento, rispetto a chi si trovi invece già “all’interno” del territorio, seppur in maniera irregolare, e sia sottoposto ad una misura di rimpatrio “ordinario” amministrativo. Nel caso di specie, poi, la questione è ulteriormente complicata dal fatto che il regime di trattenimento applicabile alle frontiere interne sottoposte a controlli non combacia del tutto con quello che la Francia prevede per le sue frontiere esterne. Se per queste ultime, infatti, è prevista la possibilità di trattenere gli immigrati irregolari presso le “zones d’atteinte”, così non è per le frontiere interne, per la quali l’art. 213-3-1 CESEDA non ammette tale eventualità. Piuttosto, ciò che accade alle frontiere interne francesi è che gli stranieri respinti sono trattenuti informalmente presso le stazioni di polizia disponibili, in corrispondenza del punto di attraversamento della frontiera. 

Nel tentativo di fornire una definizione e inquadrare tali luoghi e le relative pratiche detentive, il governo francese le ha dapprima definite delle “zones de rétention provisoire”, da considerarsi come centri sui generis non inquadrabili in nessuna delle forme di detenzione consentite nell’ordinamento francese. La prassi è stata poi avallata nel 2017 dal Consiglio di Stato francese, che ha stabilito che gli stranieri possono essere trattenuti in questi luoghi per un massimo di cinque ore[4]

In un ripetuto e a noi ben familiare gioco di etichette, il governo francese ne modificò poi la denominazione nel 2019, in “espace de mise à l’abri”, che ne riduceva chiaramente il rimando alla funzione detentiva. Come ben sintetizzato dal Tribunale amministrativo di Marsiglia, questi centri «non rispondono a nessuna delle leggi esistenti, e la loro natura rimane indeterminata e da definire»[5]. L’ambiguità della loro identità e delle loro funzioni è stata inoltre avallata dallo stesso Consiglio di Stato, che ne ha da un lato riconosciuto l’atipicità e il carattere sui generis ma, dall’altro, ne ha negato la funzione esclusivamente detentiva. La Corte ha infatti stabilito che i suddetti luoghi rispondono a tre funzioni: dare un riparo agli stranieri, preservare l’ordine pubblico e rendere effettiva l’implementazione dei respingimenti[6].

 

3. Il diritto dell’Unione e il regime applicabile al respingimento alla frontiera

La reintroduzione dei controlli in corrispondenza delle frontiere interne e la relativa disciplina è prevista al titolo III, capo II del CFS. Ai sensi dell’art. 32 «In caso di ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, si applicano mutatis mutandis le pertinenti disposizioni del titolo II». 

Il titolo II disciplina, inter alia, il respingimento alla frontiera, previsto ex art. 14 CFS. Tale fattispecie consiste in un c.d. “respingimento immediato”, e, a differenza dell’espulsione prevista dalla dir. 2008/115, è, appunto, di applicazione immediata. Teoricamente, dunque, esso dovrebbe avvenire nel più breve tempo possibile, contestualmente all’adozione del provvedimento. Il § 4 dell’art. 14 prevede inoltre che «le guardie di frontiera vigilano affinché un cittadino di paese terzo oggetto di respingimento non entri nel territorio dello Stato membro interessato». La norma ha dato luogo a dubbi, tuttora irrisolti, circa le modalità con le quali le autorità debbano assicurarsi che la persona non entri nel territorio, e cioè, sul grado di restrizione al movimento dei soggetti sottoposti a respingimento, lasciando dunque ampio margine di discrezionalità alla legislazione statale, nonché all’operato delle autorità. 

Il nodo della questione pregiudiziale risiede nella lettura congiunta delle suddette disposizioni del CFS con la direttiva rimpatri. Come noto, la direttiva permette attraverso il suo art. 2(2)(a), di escludere dal suo campo di applicazione tutti quei soggetti «sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all’art. 13 (ora 14) del Codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro», configurando in tal modo una sorta di “regime frontaliero”, derogatorio per, inter alia, i casi rientranti nella sfera soggettiva dell’art. 14 CFS. L’art. 4(4) della direttiva, tuttavia, precisa che in tali casi, gli Stati membri devono comunque garantire un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quanto previsto all’ all'articolo 8, paragrafi 4 e 5 (limitazione dell’uso di misure coercitive), all'articolo 9, paragrafo 2, lettera a) (rinvio dell'allontanamento), all'articolo 14, paragrafo 1, lettere b) e d) (prestazioni sanitarie d'urgenza e considerazione delle esigenze delle persone vulnerabili) e agli articoli 16 e 17 (condizioni di trattenimento). La disapplicazione della direttiva rimpatri ai casi ex art. 14 CFS permette, di fatto, alle autorità di allontanare forzatamente la persona dal territorio senza osservare un termine per la partenza volontaria (art. 7 dir.), la possibilità di “trattenere”, in maniera, si può dire, automatica, il cittadino di paese terzo soggetto a respingimento alla frontiera, nonché la disapplicazione dell’art. 6 della direttiva, che impone alle autorità di farsi carico del rimpatrio attraverso l’adozione di una relativa decisione che individui, tra le categorie ex art. 3(3) dir., il paese verso il quale allontanare la persona[7].

La logica dell’art. 2(2) è quella di velocizzare tutte quelle procedure che avvengono alle frontiere esterne degli Stati membri. Come sostenuto dalla stessa Corte in Affum, risulta evidente dai lavori preparatori alla direttiva in esame che la ratio della norma risiede nella possibilità per gli Stati «di continuare ad applicare alle loro frontiere esterne procedure di rimpatrio nazionali semplificate, senza dover seguire tutte le fasi nelle quali si sviluppano le procedure previste dalla citata direttiva, al fine di poter allontanare più rapidamente i cittadini di paesi terzi scoperti mentre attraversano tali frontiere»[8].

Nel caso in commento, il governo francese sosteneva che l’applicazione dell’art. 14 CFS ai respingimenti operati alla propria frontiera interna, legittimasse necessariamente il ricorso alla clausola di esclusione appena menzionata e dunque, la disapplicazione della maggior parte della direttiva rimpatri. Secondo questa stessa logica, si sosteneva, l’impossibilità di applicare la suddetta clausola ai casi ex art. 2(2)(a), vanificherebbe l’obiettivo dell’art. 14 CFS, che è quello di respingere immediatamente alla frontiera il soggetto attraverso procedure semplificate. Ne consegue che, stante tale interpretazione, le autorità non sarebbero vincolate al rispetto delle disposizioni della direttiva rimpatri relative al trattenimento dei migranti irregolari, ove sia applicabile la clausola di esclusione ai sensi dell’art. 2(2) della direttiva rimpatri. Ci si riferisce, nello specifico, all’art. 15, che prescrive che la misura può essere imposta solo in determinati casi, sulla base di una valutazione individuale della situazione del ricorrente e prevede l’obbligo per lo Stato di sottoporre la misura al vaglio di un’autorità giudiziaria. 

 

4. La decisione della Corte: quali regole per le frontiere interne?

La questione dell’applicabilità della clausola ex art. 2(2) della direttiva rimpatri ai casi di attraversamento delle frontiere Schengen era già stata affrontata dalla Corte di giustizia in almeno due occasioni. Nel già citato caso Affum, essa aveva infatti sottolineato che la norma si riferisce alle sole ipotesi di ingresso nello spazio Schengen attraverso le sue frontiere esterne e che, affinché l’art. 2(2)(a) sia applicabile, il fermo o la scoperta di cittadini di paesi terzi deve avvenire “in occasione dell’attraversamento irregolare” di suddette frontiere, implicando uno stretto legame temporale e spaziale tra il fermo e l’attraversamento della frontiera (esterna)[9]

Il tema più specifico della “triangolazione” tra la deroga ex art. 2(2)(a) dir. rimpatri, CFS e attraversamento delle frontiere interne sulle quali lo Stato abbia ripristinato i controlli è stato l’oggetto di una pronuncia successiva, quella resa nel caso Arib. Nel caso di specie, il sig. Arib non era stato oggetto di alcun provvedimento di respingimento alla frontiera ex art. 14 CFS[10]. Diversamente, Arib era stato fermato in quella che l’ordinamento francese chiama una “zona di frontiera” (nello specifico, la frontiera tra Francia e Spagna), che è quella porzione di territorio che si estende dalla linea di frontiera ai 20 km successivi interni al territorio statale. Egli era stato dapprima sottoposto a fermo di polizia, cui aveva fatto seguito un decreto disposto dal prefetto territorialmente competente, che ne ordinava l’espulsione e il trattenimento amministrativo. Ribadendo sostanzialmente quanto già affermato in Affum riguardo il legame spazio-temporale tra l’attraversamento della frontiera e il fermo, in Arib la Corte esclude che l’eccezione ex art. 2(2)(a) possa riguardare le persone che attraversano le frontiere interne, anche qualora lo Stato abbia ripristinato “temporaneamente” i controlli ex art. 25 CFS e, dunque, anche laddove si applichi il capo II del CFS. Il caso del sig. Arib, tuttavia, era stato ricondotto dalla Corte all’ipotesi contemplata dal secondo periodo del paragrafo a) della disposizione, ovvero, a quelle ipotesi di cittadini di paesi terzi fermati o scoperti in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera esterna e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro, e non già sottoposti a respingimento ex art. 14 CFS.

Ciò considerato, la Corte ritiene innanzitutto che le eccezioni contemplate all’art. 2(2) direttiva 2008/115 vadano interpretate restrittivamente in quanto, appunto, eccezioni alla regola. Inoltre, la Corte esclude che queste possano riguardare i cittadini di paesi terzi che si trovino a transitare attraverso una frontiera interna sulla quale siano stati ripristinati i controlli. Secondo la Corte, infatti, anche una lettura teleologica della normativa rilevante, ed in particolare del CFS, non ammette in alcun modo una equiparazione tra frontiere interne ed esterne anche nel caso di ripristino temporaneo dei controlli sulle prime. In buona sostanza, se è vero che ai sensi dell’art. 32 del CFS alle frontiere interne temporaneamente controllate si applicano le disposizioni di cui al capo II del CFS, «occorre in ogni caso rilevare che detta disposizione non intende in alcun modo derogare alle norme e alle procedure comuni stabilite dalla direttiva 2008/115» (§ 64).

Nella sentenza in commento, invece, la domanda pregiudiziale riguardava il primo periodo dell’art. 2(2)(a) della direttiva rimpatri, ovvero, il caso in cui lo straniero sia respinto ai sensi dell’art. 14 del CFS. In tal senso, la Corte riconosce che uno Stato che abbia ripristinato i controlli alle sue frontiere interne può applicarvi l’art. 14 CFS (e allegato V parte I al CFS), in quanto parte del titolo II del CFS. Tuttavia, tale possibilità non permette la disapplicazione della direttiva rimpatri, e dunque la facoltà di appellarsi all’art. 2(2)(a), sulla scorta della medesima logica che ha guidato il ragionamento della Corte nel caso Arib: le frontiere interne, anche laddove lo Stato abbia rispristinato i controlli, non si tramutano in frontiere esterne e non possono essere ad esse equiparate in termini giuridici e di disciplina. Secondo la Corte, inoltre, «La circostanza che tale obbligo, gravante sullo Stato membro interessato, possa privare di una larga parte della sua efficacia l’eventuale adozione di un provvedimento di respingimento nei confronti di un cittadino di un paese terzo che si presenti a una delle sue frontiere interne non è tale da modificare questa constatazione» (§ 40). Da ciò consegue che lo Stato è tenuto ad osservare, inter alia, le disposizioni relative al trattenimento, ed in particolare l’art. 15 della direttiva rimpatri. 

 

5. Conclusione: l’impatto della decisione sulla riforma del CFS 

La sentenza in commento, a parere di chi scrive, può rappresentare un importante indicazione sull’eventuale futuro del sistema Schengen, alla luce delle proposte di riforma tutt’ora in discussione e della tendenza sempre più diffusa a ripristinare i controlli alle frontiere interne degli Stati per ragioni legate ai flussi migratori[11]

Di recente, il Parlamento europeo ha autorizzato l’inizio dei negoziati col Consiglio, votando anche una serie di emendamenti compromissori al CFS che riguardano, inter alia, il nesso tra movimenti secondari e reintroduzione dei controlli alle frontiere interne. 

Si vuole, in particolare, evidenziare come le proposte di modifica al CFS accolgono ed istituzionalizzano la tendenza mostrata in questi anni a considerare i c.d. “movimenti secondari” come una minaccia all’ordina pubblico e alla sicurezza interna degli Stati membri, che può dunque giustificare il ripristino dei controlli alle frontiere interne, sia nella proposta della Commissione che nel testo recentemente approvato dal Parlamento, pur con alcune differenze[12].

Nello specifico, le suddette proposte di modifica sembrano mostrare, in generale, una istituzionalizzazione dello status quo, attraverso un via libera di fatto alla possibilità di prolungare i controlli alle frontiere interne anche oltre i due anni (attualmente consentiti ex art. 25 CFS), in circostanze eccezionali e previa dimostrazione della persistenza della minaccia, come previsto dall’art. 27-bis (5) del nuovo CFS. Dall’altro, esse traducono a livello legislativo una lettura securitaria già pervasiva sul piano della prassi attuale, dei movimenti c.d. secondari, senza peraltro distinguere tra quelli dei c.d. “migranti regolari” da quelli invece “irregolari” [13].

Nella originaria proposta di modifica del CFS della Commissione, infatti, l’art. 25 rubricato “Quadro generale per il ripristino temporaneo o la proroga del controllo di frontiera alle frontiere interne”, avrebbe definito come minaccia grave all’ordine pubblico o sicurezza interna legittimante il ripristino dei controlli, inter alia, anche «una situazione caratterizzata da spostamenti non autorizzati su vasta scala di cittadini di paesi terzi tra Stati membri, che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne (art. 25(1)(c))». L’emendamento votato recentemente dal Parlamento in prima lettura accoglie l’inclusione dei movimenti secondari tra i motivi giustificanti la reintroduzione dei controlli, enfatizzando però la necessità che tali spostamenti si verifichino in un contesto di eccezionalità e che il loro aumento sia improvviso e su larga scala[14].

Ciò posto, il limite dettato dalla Corte al ricorso alle clausole di esclusione ex art. 2(2)(a) della direttiva rimpatri al regime applicabile all’attraversamento delle frontiere interne in caso di reintroduzione dei controlli, ci appare tanto più rilevante se letto congiuntamente alla normalizzazione della suddetta reintroduzione dei controlli nel caso in cui la riforma del CFS sia approvata ed entri in vigore. Se è dunque vero che i movimenti secondari potranno, a determinate condizioni, giustificare il ripristino dei controlli alle frontiere interne in talune circostanze, e dunque l’applicazione, inter alia, del respingimento immediato ex art. 14 CFS alle suddette frontiere, da ciò non consegue la possibilità di sospendere il regime previsto dalla direttiva rimpatri, privando i migranti di importanti tutele relativamente, in special modo, alla loro libertà personale. L’istituzione, presente o futura, di centri “ibridi” quali quelli francesi, dunque, contravviene alle rilevanti disposizioni della direttiva rimpatri in merito al trattenimento e risulta incompatibile con la disciplina delle frontiere interne anche laddove lo Stato abbia ripristinato i controlli.


 
[1] Si veda, in tal senso, Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 26 aprile 2022, NW c Steiermark, C‑368/20 e C‑369/20; Consiglio di Stato, Sezione Contenzioso, Decisione del 27 luglio 2022; L’art. 25 CFS prevede la possibilità di reintrodurre i controlli alle frontiere interne in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale per un periodo di 30 giorni. Il citato paragrafo 3 ammette il prolungamento dei suddetti controlli oltre il termine di un mese nei casi in cui la minaccia persista oltre tale periodo.

[2] Loi n° 2018-778 du 10 septembre 2018 pour une immigration maîtrisée, un droit d'asile effectif et une intégration réussie.

[3] Consiglio di Stato, ANAFÈ et autres, no 411575, decisione del 5 luglio 2017, §6.

[4] Ivi.

[5] Tribunale amministrativo di Marsiglia, decisione del 16 marzo 2021, no. 2102047, §12.

[6] Per una analisi approfondita dello sviluppo della prassi e della legislazione francese in merito, si veda B. Charaudeau Santomauro, The Legal Production of the Margin: Migrants Between Border and Territory, in Cahiers de l’EDEM, 2022.

[7] Tra Francia e Italia vi è, in ogni caso, un accordo di riammissione in vigore dal 1997, che rientra tra quelli previsti ex art. 6(3) della dir. Rimpatri: Accordo fra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana, firmato a Chambéry del 3/10/1997, disponibile al https://legislature.camera.it/_bicamerali/schengen/docinte/ACCITFR.htm. L’accordo prevede l’istituzione di centri di cooperazione di polizia in Italia (Ventimiglia) e Francia (Modane) al fine di stabilire una cooperazione tra le due polizie in materia di scambio di informazioni e assistenza ove necessario. Ai sensi dell’art. 8 gli agenti contribuiscono alla consegna delle persone in situazione irregolare, nonché al coordinamento delle misure congiunte di sorveglianza nelle rispettive Zone di frontiera. A tal fine, per l’Italia le zone di frontiera individuate ex art. 10 sono i territori delle Province di Aosta, Cuneo, Imperia, Torino; per la Repubblica Francese i Dipartimenti delle Alpi Marittime, dell'Alta Provenza, delle Alpi Alte, della Savoia, dell'Alta Savoia. L’implementazione di tale accordo ha, specialmente a partire dal 2015, dato luogo a numerosi casi di respingimenti informali di cittadini di paesi terzi anche quando questi fossero intercettati ben oltre le suddette zone di frontiera. Si veda, in tal senso, ASGI, Le riammissioni dei cittadini stranieri a Ventimiglia. Profili di illegittimità, 2015.

[8] CGUE (GC), Affum, sentenza del 7 giugno 2016, C-47/15, §73; ribadito anche in Arib, infra.

[9] Nel caso di specie la domanda pregiudiziale, tuttavia, non riguardava l’applicabilità dell’art. 2(2)(a) dir. rimpatri alle frontiere interne, ma alle frontiere esterne in uscita dal territorio Schengen. L’attraversamento della frontiera esterna avveniva non già in ingresso ma in uscita, poiché la ricorrente era stata scoperta e fermata non già al momento del suo ingresso nel territorio francese, avvenuto, in ogni caso, attraverso una frontiera interna, ma mentre tentava di lasciare la Francia e lo spazio Schengen attraverso il tunnel sotto la Manica in direzione del Regno Unito. Alla luce di tale circostanza, per la Corte, non è possibile sottrarre la ricorrente dall’ambito di applicazione della dir. 2008/115, in forza del suo art. 2(2)(a), poiché esso si riferisce all’attraversamento delle frontiere esterne in occasione del solo ingresso nel territorio Schengen e non in uscita da esso.

[10] CGUE, Arib, sentenza del 19 marzo 2019, C-444/17.

[11] Da ultimo, l’Italia ha disposto il ripristino dei controlli alle proprie frontiere interne terrestri con la Slovenia a partire dal 21 ottobre 2023. Ad oggi, i paesi che hanno ripristinato i controlli alle proprie frontiere interne sono 10: Austria, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Slovenia, Danimarca, Repubblica Ceca, Polonia, Svezia. I dati sono reperibili sul sito della Commissione europea al seguente link: https://home-affairs.ec.europa.eu/policies/schengen-borders-and-visa/schengen-area/temporary-reintroduction-border-control_en 

[12] A. Brambilla, E. Celoria, Le proposte di riforma del Codice Frontiere Schengen e del Regolamento Eurodac: una manovra a tenaglia per la criminalizzazione dei movimenti secondari, in ADiM Blog, agosto 2022.

[13] M. Borraccetti, Nuove regole per lo spazio Schengen: uno sguardo alle proposte della Commissione europea, in ADiM Blog, gennaio 2022.

[14] L’emendamento recentemente approvato dal Parlamento, che fa sue alcune modifiche proposte nel quadro dell’orientamento generale del Consiglio del 9 giugno 2022 (che aveva già introdotto il requisito dell’eccezionalità), menziona «una situazione eccezionale ed improvvisa, caratterizzata da spostamenti non autorizzati su vasta scala di cittadini di paesi terzi tra Stati membri, [...] che mette a dura prova le risorse e le capacità complessive dei servizi nazionali responsabili». 

01/12/2023
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