1. Una protezione oscurata ma non cancellata
A poco più di un anno ci ritroviamo per parlare della protezione speciale.
La prima domanda è se siamo venuti a celebrare, sia pure tardivamente, un funerale, oppure a cercare le migliori cure per un malato.
Il malato in realtà non è morto; ma ha due polmoni che non funzionano più bene:
- quello dell’asilo (chiesto - normalmente, ma non necessariamente all’arrivo in Italia - da coloro che alleghino una vulnerabilità a una serie di pericoli in caso di rimpatrio);
- quello dell’affermazione del diritto di soggiorno come misura di protezione dei due diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare, che pure sarebbero pregiudicati dal rimpatrio.
Come è noto, il Decreto n. 20/2023 ha oscurato, ma non eliminato, la dimensione amministrativa della protezione speciale in due mosse:
- cancellando il riferimento esplicito alla tutela della vita privata e familiare dello straniero nell’ambito delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale,
- ma anche abolendo la procedura di richiesta diretta del permesso di soggiorno per tali motivi al Questore.
Rimane tuttavia, all’art.19, co.1.1., il divieto di espulsione anche nel caso in cui «ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6». Ove il rinvio è agli obblighi costituzionali e internazionali a protezione dei diritti fondamentali.
E rimane anche l’art.19, co.1.2., a termini del quale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1 (inclusa quindi l’osservanza degli obblighi costituzionali e internazionali) la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
D’altra parte, come notava, tra gli altri, Matilde Betti (proprio qui, l’anno scorso) «I fondamenti della protezione complementare e della protezione speciale proprio perché stanno negli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato» sono formalmente ineliminabili da parte del legislatore ordinario, che può però (aggiungo io) se non cancellarli almeno affievolirli, rendendone molto faticosa la tutela.
Ci chiediamo allora: come rendere ancora effettiva e vitale questa istanza di protezione che il legislatore ordinario ha così prepotentemente oscurato e, in via rutinaria, di fatto cancellato?
La sfida si gioca su due terreni diversi: quello dell’amministrazione e quello della giurisdizione.
Chi è titolare di un diritto di soggiorno riconducibile all’esigenza di una protezione complementare o a protezione della propria vita privata o familiare oggi può senz’altro ancora fare domanda di asilo, attenderne, purtroppo, il pressoché sicuro diniego e poi rivolgersi al g.o. per invocarne la tutela dovuta ai sensi dell’art.19, co.1.2., ma soprattutto ai sensi degli articoli 10, co.3 e 117 Cost.
2. L’inespellibilità a tutela della vita privata e della vita familiare
Tutela che, qualora non si abbia da ricorrere contro un diniego di asilo, può essere invocata, in forza dell’art.19.co.1.1., anche quale causa di inespellibilità e quindi di illegittimità del provvedimento di espulsione ormai ricevuto (né va disprezzato, in tali casi, il potenziale di tutela offerto dall’art.13, co.2-bis, già posto a protezione dei legami familiari).
Ci ricorda giustamente la Cassazione che, mentre l’art.19, co.2 T.u.i. elenca alcuni casi tipizzati di inespellibilità, l’art.19, co.1.1. indica invece un ambito di tutela per bilanciamento che chiama l’interprete a confrontare le ragioni dell’espulsione con le ragioni dell’inespellibilità. Ragioni, queste ultime, sussistenti se la protezione di un diritto fondamentale richiede, per non soccombere, il mantenimento del soggiorno in Italia)[1].
C’è qui sintonia tra il Supremo Collegio e la Corte CEDU.
Penso in particolare alla sentenza Ghadamian c. Svizzera del 9 maggio 2023, che ha riconosciuto il diritto al rilascio del permesso di soggiorno a uno straniero, autore di reati, che, dopo un primo, non breve, periodo di residenza legale, si trovava ormai da vent’anni in condizione di soggiorno illegale in Svizzera, essendosi più volte sottratto all’espulsione[2].
E’ chiaro che l’inespellibilità ha come risvolto necessario il riconoscimento del diritto al soggiorno e quindi il relativo documento di autorizzazione. Non può tuttavia essere il giudice di pace, una volta accertata l’inespellibilità a tutela della vita privata o familiare, a ordinare alla questura il rilascio del permesso di soggiorno (né potrebbe farlo la Cassazione nei casi in cui si trova ad essere il giudice dell’appello contro la decisione del giudice di pace).
Si tratta infatti in questi casi di un giudizio di impugnazione del decreto di espulsione e non di un giudizio sull’accertamento del diritto di soggiorno. Sicché, annullata l’espulsione l’interessato faticherà a capitalizzare quella decisione di inespellibilità in altre sedi
Potrà farlo, forse, chiedendo asilo. Oppure, sulla base di quella stessa sentenza di inespellibilità, chiederà (predisponendosi ad agire davanti al giudice contro il diniego) un titolo di soggiorno per altri motivi. E tra questi “altri motivi” potrebbe esservi ancora l’esigenza di protezione speciale a tutela della vita privata o della vita familiare.
3. Sulla necessità di procedure diverse dalla richiesta di asilo
È probabile che la prima opzione, quella della richiesta di protezione internazionale, rimarrà anche per il prossimo futuro la via principale per la tutela dei diritti fondamentali dello straniero privo di permesso di soggiorno.
Si tratta però di una via non sempre percorribile e talvolta inaccettabile per lo stesso interessato.
Sarà difficile, ad esempio, convincere un signore algerino che vive in Italia da 30 anni a chiedere asilo se in cima ai suoi desideri v’è, accanto a quello di divenire o di tornare ad essere regolare, quello di tornare finalmente a fare visita all’anziana madre ancora vivente nel Paese di origine.
Visita che non oserebbe mai compiere nel timore che le sue autorità (polizia di frontiera o uffici consolari) gli chiedano quale tipo di permesso di soggiorno egli abbia in Italia e come sia riuscito ad ottenerlo.
È d’altronde prevista una procedura di revoca della protezione per chi, una volta riconosciuto, si rechi in visita nel suo Paese. Il che rafforza la necessità di spiegare a quel signore algerino che la ragion pratica della sua richiesta di asilo sta, in realtà, tutta nella previsione che l’asilo gli sarà rifiutato ma che ciò gli permetterà forse di ottenere per via giudiziaria un diverso tipo di permesso di soggiorno (per protezione speciale) che gli consentirà (ma solo dal punto di vista delle autorità italiane) di recarsi in Algeria e fare poi ritorno in Italia senza il rischio di revoca del permesso di soggiorno.
4. Sulla possibilità di richiedere direttamente al questore il permesso di soggiorno a protezione della vita privata
Se l’Algeria è un paese che potrebbe in ipotesi produrre un flusso di richieste di asilo, questo non è invece, realisticamente, il caso del Canada. Potrebbe in effetti apparire fuori luogo una domanda di protezione internazionale da parte di un cittadino del Canada (paese la cui resa democratica a me pare oggi maggiore di quella italiana) al fine di ottenere un permesso di soggiorno a tutela della vita privata e familiare vissuta in Italia nei suoi ultimi vent’anni.
Eppure, una tale domanda rischia oggi di risultare coerente con il sistema normativo venutosi a creare con l’abolizione della protezione speciale di diretta competenza questorile, dato che non esiste una procedura di autorizzazione al soggiorno dedicata ai titolari del diritto alla vita privata e/o familiare.
È tuttavia da chiedersi, a fronte di un dato normativo vigente e caratterizzato da un’indiscutibile copertura costituzionale che ad oggi afferma il diritto alla vita privata dello straniero, se la mancanza a livello disciplinare di una figura di permesso di soggiorno per protezione speciale (o comunque a protezione della vita privata) amministrabile dalle questure al di fuori delle procedure di asilo comporti davvero l’infondatezza della domanda rivolta dall’interessato al questore di rilascio di un permesso di soggiorno che corrisponda al diritto fondamentale tutelato dalla norma.
Al riguardo va osservato che la mancanza di un particolare “tipo” di permesso di soggiorno non deve necessariamente essere considerata una lacuna legislativa, potendo invece tale lacuna addebitarsi a un’imprevisione regolamentare, incoerente con un dato normativo (in primis: l’art.5, c.6, T.u.i., e con esso il correlato imperativo costituzionale) che, per quanto migliorabile, di quel medesimo tipo di permesso di soggiorno esigerebbe l’esistenza.
Può dunque essere condivisa l’iniziativa di alcuni (titolari del diritto al soggiorno quale espressione necessaria della protezione della vita privata) di richiedere direttamente al questore il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, o altro permesso di soggiorno che comunque assicuri loro la permanenza legale in Italia. Tanto il rigetto di tale richiesta, quanto la mancata risposta, possono infatti essere impugnati davanti al giudice civile[3].
5. La via dell’ampliamento dei diritti di soggiorno per motivi familiari
Non va tuttavia ignorata la possibilità di trovare la protezione della vita privata e familiare nei canali ordinari della richiesta del permesso di soggiorno o del suo rinnovo, nella consapevolezza che radici esistenziali (e dunque vita privata) e legami familiari spesso si intrecciano nella biografia di uno straniero da tempo dimorante in Italia.
Anche in questi casi l’accertamento del diritto di soggiorno potrebbe richiedere l’avvio di un procedimento amministrativo e poi il ricorso contro il diniego ricevuto.
L’avvocato immigrazionista non ignora, ad esempio, che i familiari in astratto ricongiungibili ai sensi dell’art.29 t.u.i. possono, a determinate condizioni, sanare la propria posizione di irregolarità utilizzando le ipotesi di coesione familiare sur place di cui all’art.30 t.u.i. e ottenere così un permesso di soggiorno per motivi familiari.
Merita al riguardo di essere richiamato un orientamento giurisprudenziale favorevole al superamento di alcuni dei limiti presenti nella lettera dell’art.30 t.u.i. in materia di coesione familiare.
Come è noto, proprio l’art.30, c.1, lett. b) dispone che venga rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.
Questa disposizione è stata letta da alcuni tribunali in combinato disposto con l’art.5, co.5 TUI, come riscritto dalla Corte cost., sent. n. 202/2013, ai sensi del quale: «Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale».
È stato così accertato dal giudice del merito il diritto di soggiorno per motivi familiari dello straniero irregolarmente soggiornante ma coniugatosi con un suo connazionale regolarmente soggiornante. E questo in ragione del suo radicamento di fatto negli anni e della durata e stabilità dei vincoli familiari (con riferimento, in quel caso, al coniuge e ai figli)[4].
Non si tratta certo di un superamento generalizzato del requisito e normativo della pregressa regolarità del soggiorno richiesto dalla norma, ma di una valorizzazione della stabilità di fatto data della pregressa presenza e dall’effettività dei vincoli familiari.
Un ragionamento che potrebbe essere replicato anche per la successiva ipotesi di cui all’art.30, c.1, lett c), ai sensi del quale «al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare».
Anche riguardo a questa seconda disposizione la durata della pregressa presenza e la vivezza dei legami familiari potrebbero ad esempio giustificare l’autorizzazione al soggiorno del genitore, benché risulti residente in patria un altro suo figlio; o di un figlio maggiorenne, benché non invalido; e via dicendo. Così come potrebbero giustificare il superamento della condizione del possesso di un permesso di soggiorno scaduto da non più di un anno.
Dunque i legami familiari tutelati dall’art.5, co.5 T.u.i. (dopo la sentenza additiva della Consulta) non sono più solo quelli, in formato ristretto, della famiglia nucleare configurata nell’art.29 T.u.i. (coniuge, partner dello stesso sesso, figlio minorenne, figlio totalmente invalido, genitore di figlio unico) ma possono essere ampliati, alla luce dell’art.8 CEDU, anche ad altre figure di familiari come, appunto, un figlio già maggiorenne; o un nonno accudito o che accudisce i suoi nipoti; un fratello o un nipote maggiorenni ma a carico perché affetti da disabilità; e altri ancora.
L’allargamento, tuttavia, per non essere arbitrario e dunque in violazione della legge deve trovare nella legge stessa la sua giustificazione. E a questo riguardo penso che l’art.5, c.5, T.u.i. come integrato dall’addizione normativa prodotta dalla Consulta, sia epifania di un principio generale di tutela della vita privata e della vita familiare così come lo è l’art.13, co.2-bis., T.u.i.. Principio che trova espressione più articolata e complessiva nell’art.8 Cedu e nell’art.7 Carta di Nizza, trovando infine nella Costituzione ampia copertura agli artt. 2 e 10, ancora più e prima che agli artt.29 e 30. È su tali basi che l’interprete dovrà svolgere quell’opera di analogia (a mio parere “iuris” e non “legis”) che, a completamento delle lacune presenti nella legge ordinaria, gli viene richiesta dall’art.12, c.2, delle disposizioni preliminari al codice civile.
Pertanto, a fronte del prevedibile rifiuto (esplicito o silenzioso che sia) operato dalla questura in violazione dell’enucleato principio generale di tutela della vita privata e della vita familiare (che potrà essere invocato riferendosi alle sue diverse epifanie normative) l’interessato potrebbe agire davanti al tribunale civile, il quale non è solo il giudice del ricongiungimento familiare ma anche il giudice del diritto al soggiorno per motivi familiari e per la tutela dei diritto fondamentali della persona.
6. Sulla lesione della vita privata e della vita familiare per il tramite del diniego di permesso di soggiorno per lavoro
Sono diritti, quello alla vita privata e quello alla vita familiare, che potrebbero risultare lesi anche da un provvedimento amministrativo di diniego della richiesta di un permesso di soggiorno ordinario (ad esempio per lavoro o per attesa occupazione).
Facciamo quest’ultimo esempio: un marocchino cinquantenne, residente a Perugia, in Italia da 20, divorziato, con una figlia ventottenne che vive a Genova, chiede un permesso di soggiorno per attesa occupazione che gli viene rifiutato.
La fattispecie è quella dell’art.22, co.11 T.u.i., ai sensi del quale Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro può mantenere la regolarità del soggiorno per un periodo non inferiore a un anno e comunque per tutta la durata delle prestazioni di sostegno al reddito di cui percepisca
Il signore marocchino però ha già usufruito una volta del permesso per attesa occupazione, è disoccupato da due anni, e non ha sostegni pubblici al reddito. Sopravvive con lavori informali e si fa aiutare da amici e dalla parrocchia del suo quartiere. Per queste ragioni la questura gli rifiuta un secondo permesso per attesa occupazione.
La questura dovrebbe però considerare i suoi legami familiari e sociali in Italia, specie se l’interessato li ha sottolineati rispondendo al preavviso di rigetto.
Se lo ha fatto sarà più agevole per lui agire, nei 60 giorni dalla notifica del diniego, davanti al T.a.r., facendo valere il suo lungo soggiorno in Italia e la presenza della figlia sia pure ormai residente altrove. La sua speranza sarà così tutta riposta nella larghezza con cui il T.a.r. valuterà il combinato disposto dell’art.22 con l’art.5, co.5 T.u.i.
Ma si potrebbe anche ipotizzare, a mio parere, un ricorso al tribunale civile, non sottoposto al termine decadenziale dei sessanta giorni e non avente ovviamente ad oggetto il diniego del permesso di soggiorno per attesa occupazione o per lavoro.
In questo secondo possibile scenario, dopo avere non del tutto inutilmente risposto al preavviso di rigetto con le opportune argomentazioni, il destinatario di un diniego del permesso di soggiorno (in ipotesi: per lavoro o per attesa occupazione) di per sé impugnabile esclusivamente davanti al giudice amministrativo, si potrà rivolgere al giudice civile chiedendogli di accertare il proprio diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari o per protezione speciale.
Alla base di tale richiesta lamenterà la violazione da parte del questore dell’’art.5, co.9 T.u.i. a termini del quale deve essere rilasciato il permesso di soggiorno, anche se diverso da quello richiesto, se ne sussistono i requisiti e segnalerà a fondamento del ricorso l’importanza che l’interessato attribuisce ai suoi legami familiari e sociali in Italia.
Anche in questo caso, come nei precedenti, si ripropone, ipotizzando una soluzione affermativa, la questione dell’inclusione di legami familiari (e, perché no: sociali) diversi da quelli tutelati dall’art.29 T.u.i. quando a invocarne la tutela sia uno straniero ormai da lungo tempo soggiornante. Una questione su cui si giocheranno, in futuro, molti destini.
7. L’ordine di rilascio del permesso di soggiorno a tutela della vita privata
In un recente scritto ho ipotizzato (non saprei davvero con quanto fondamento) che il giudice possa ordinare al questore il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari pure nei casi in cui ad essere accertato e dunque tutelato sia il diritto alla vita privata e non quello alla vita familiare.
Ciò anche in considerazione dell’appartenenza delle due species (vita privata e vita familiare) al medesimo alveo del diritto all’identità personale intesa come identità biografica, entrambe ospitate infatti nell’art. 8 Cedu e nell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si omologherebbe così il diritto alla vita privata (intesa come tutela delle relazioni del singolo e unico componente della famiglia) al diritto all’unità familiare.
Mi rendo conto che la proposta non è priva di criticità, oltre che sul piano ricostruttivo anche su quello pratico: che ne sarà infatti in questura, allo scadere del permesso di soggiorno per motivi familiari, dello straniero privo di familiari (per quanto titolare di un ormai radicatissimo diritto alla vita privata)?
È però anche vero che quel primo permesso di soggiorno (ordinato dal giudice senza invadere il terreno della protezione internazionale di stampo unionale) avrebbe il vantaggio di fornire allo straniero un permesso di soggiorno di tre anni convertibile per lavoro, per studio, e forse anche per residenza elettiva in caso di accertamento e conseguente pensione per una invalidità. Il che consentirebbe all’interessato di non dovere richiedere il rinnovo del permesso per motivi familiari ordinato dal giudice ma esposto alle future obiezioni in merito alla sua rinnovabilità.
Una diversa prospettiva è in effetti già sperimentata e ancor più lo sarà presso i tribunali col definitivo chiudersi della disciplina intertemporale che rende ancora oggi preferibile vestire con il permesso di soggiorno per protezione speciale il diritto di protezione accertato in giudizio; un permesso che, nonostante le fortissime e forse irragionevoli resistenze dell’amministrazione, è per espressa volontà di legge convertibile prima della sua scadenza in un permesso di soggiorno per lavoro, almeno nei casi in cui alla base del suo rilascio vi sia la tutela della vita privata.
Mentre va esaurendosi la finestra di diritto intertemporale il giudice inizia però a utilizzare quello stesso vestito nella sua nuova confezione e pur accessoriandolo opportunamente con la clausola della sua convertibilità nel permesso di soggiorno per lavoro, v’è realisticamente il rischio che la successiva domanda di conversione verrà negata dall’amministrazione e che possa affermarsi sul punto la giurisdizione del T.a.r.[5] Ancora peggiore, infine, è il rischio per l’interessato che si irrigidiscano gli orientamenti anche in merito al rinnovo della protezione stessa, il cui diniego continuerebbe comunque ad essere di competenza del tribunale civile.
[1]Vedi in tal senso C. cass., sez. I, sent. n. 35684/2023 e sez. I, ord. n. 28189/2023.
[2] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 9 maggio 2023, ric. n. 21768/19.
[3] Cfr., tra gli altri, Trib. Torino, 27 maggio 2024, n.20841/23, affermativa del diritto di richiedere la protezione della vita privata direttamente al questore in quanto «l’art. 19, comma 1.1. TUI, anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 20/2023, tuttora richiama, quale limite all’espulsione dello straniero, anche se non esplicitato espressamente, gli obblighi di cui all’art. 5, comma 6, vale a dire quelli costituzionali ed internazionali (così Tribunale di Napoli, ordinanza del 22.05.2023)».
[4] Così Trib. Torino, 8 aprile 2024, R.G. 19232/2023. In senso analogo già Trib. Roma, 9 aprile 2020, r.g. 39475/2019.
[5] Potrebbe però il giudice civile osservare che il diniego della conversione incide sul diritto di protezione come conformato dal suo accertamento giudiziario.
Il contributo è parte dello Speciale QG 3/2024, di prossima pubblicazione, che raccoglie gli atti del seminario Le novità normative del d.l. n. 20/2023. Trattenimenti, procedure accelerate, domande reiterate, protezione nazionale, svoltosi il 20 marzo 2024 presso l'Aula Giallombardo della Corte di Cassazione.