Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Memoria relativa all'audizione informale di Vincenza Maccora, presidente GIP del Tribunale di Milano, dinnanzi alla Commissione Affari Costituzionali del Senato il 25 febbraio 2025

di Ezia Maccora
presidente gip Tribunale Milano, vicedirettrice di Questione Giustizia,

Le osservazioni che seguono riguardano essenzialmente il Disegno di legge costituzionale d’iniziativa della Presidente del Consiglio Meloni e del Ministro della Giustizia Nordio (n. 1917) che è composto da 8 disposizioni, che modificano gli artt. 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione.

Il Disegno di legge costituzionale interviene prevalentemente su tre aspetti: 

1) la separazione delle carriere, con la corrispondente creazione di un doppio Consiglio Superiore, uno per la magistratura giudicante, l’altro per la magistratura requirente

2) la riforma del sistema elettorale dei due Consigli Superiori con l’introduzione del sorteggio; 

3) l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare. 

 

1. Due premesse prima di analizzare più nel dettaglio i diversi settori di intervento

A.  L’intervento riformatore deve essere valutato unitariamente, una lettura parcellizzata non consentirebbe infatti di cogliere il rischio concreto di indebolire l’autonomia della magistratura e riscrivere i rapporti tra poteri dello Stato attraverso: 

- la separazione delle magistrature e la creazione di due Consigli Superiori;

- l’introduzione del sorteggio per selezionare sia i membri dell’Alta Corte sia i componenti dei due Consigli Superiori, privando tutte queste Istituzioni di forza rappresentativa;

- l’istituzione di una Alta Corte solo per i magistrati ordinari e prevedendo solo la presenza di giudici di legittimità o con esperienza in questa funzione, in contrasto con l’art. 107 Cost., non toccato dalla riforma, che prevede che i magistrati si distinguono tra loro solo per funzioni.

B.  Occorre considerare il momento storico particolarmente delicato in cui si inserisce il progetto di riforma. In Europa si sono registrati tentativi concreti volti a ridimensione le giurisdizioni indipendenti (il pensiero corre all’evidenza a quanto accaduto in Polonia e in Ungheria). In Italia assistiamo ad attacchi quasi quotidiani ai magistrati, anche da parte di chi riveste ruoli istituzionali, per le decisioni assunte non gradite, mettendone in discussione l’imparzialità (con l’accusa di emettere sentenze politiche), e così finendo per delegittimare la magistratura agli occhi dei cittadini. 

 

2. Gli scopi dell’intervento normativo

La Relazione illustrativa del testo approvato alla Camera si apre con l’affermazione per cui il «presente intervento di riforma costituzionale trae origine dal riconoscimento dei princìpi del giusto processo nel novellato articolo 111 della Costituzione, dall’evoluzione del sistema processuale penale italiano verso il modello accusatorio e da obiettivi di miglioramento della qualità della giurisdizione». 

Non si forniscono però elementi utili a chiarire in che termini la separazione delle carriere possa, direttamente o indirettamente, contribuire all’efficienza della giurisdizione che, come tutti sappiamo, è strettamente connessa alle criticità organizzative che caratterizzano il servizio giustizia e la cui risoluzione è affidata, dall’art. 110  Cost., alla competenza del Ministro della Giustizia: i drammatici vuoti degli organici del personale amministrativo (27% cioè 11.605 unità) e della magistratura (17% cioè 1832 magistrati), le difficoltà connesse all’informatizzazione delle procedure, basti pensare a quanto oggi sta accadendo negli uffici giudiziari alle prese con il disastroso avvio di App che ha portato molti Presidenti di Tribunale e molti Procuratori della Repubblica a sospenderne l’applicazione, autorizzando la predisposizione e il deposito analogico degli atti ai sensi dell’art. 175 bis c.p.p..

 

3. La terminologia utilizzata merita alcune precisazioni per non celare il vero obiettivo della riforma

L’intervento riformatore non separa le carriere ma crea due magistrature distinte indebolendole rispetto ad altri poteri. Per separare le carriere, mantenendo un unico ordine giudiziario, non serve infatti una modifica costituzionale. 

Nella sentenza n. 37 del 2000 la Corte Costituzionale ha precisato che la separazione delle carriere in senso proprio, cioè quella che prevede valutazioni di professionalità differenti e il divieto di passaggio tra le due funzioni, non trova alcun limite nella Carta Costituzionale e potrebbe essere realizzata anche attraverso una legge ordinaria, purché rimanga un unico ordine ed un unico Consiglio Superiore.

Conseguentemente mi chiedo se proprio la scelta di imboccare la strada della riforma Costituzionale, non disveli il reale intento della riforma, molto più profondo di quello dichiarato, dato che pur mantenendo l’unitarietà dell’ordine giudiziario -art. 104 comma 1 Cost- la creazione di due Consigli Superiori altera il modello oggi presente in Costituzione, e punta alla creazione di due distinte magistrature istituzionalmente e culturalmente distinte. 

Con il conseguente corollario di indebolirle rispetto agli altri poteri.

Solo questa lettura, a mio giudizio, da coerenza alla direzione intrapresa dai proponenti il Disegno di legge costituzionale, soprattutto se si considera l’attuale contesto ordinamentale che prevede già una forte separazione delle funzioni, ulteriormente rafforzata con la legge 150/2022, dato che, negli ultimi 5 anni, la percentuale media dei passaggi dall’una all’altra funzione è pari allo 0,31%. 

  

4. Gli scopi indicati nella Relazione Illustrativa non rispondono a esigenze reali. La separazione delle carriere non è imposta dall’art. 111 Cost.

L’attuale modello processuale prevede una netta distinzione funzionale tra pubblico ministero e giudice. Tra l’altro le modifiche introdotte con la legge 150/2022, le c.d. finestre di giurisdizione, aumentano sensibilmente il controllo del giudice sull’operato del P.M. nella fase delle indagini.

Non si comprende quindi la necessità di operare una differenziazione anche sul versante ordinamentale, essendo piani diversi e non necessariamente convergenti. 

E infatti, a partire dal varo del nuovo codice di rito nel 1988, passando per la riforma costituzionale del 1999, fino alle restrizioni per il passaggio tra le due funzioni introdotte nel 2007 e nel 2022, le diverse riforme che si sono succedute non hanno mai operato in questo senso con ciò dimostrando che non è necessaria una differenziazione ordinamentale tra pubblico ministero e giudice.

Anzi le scelte del Legislatore si sono caratterizzate per la realizzazione di un modello culturale e funzionale opposto a quello perseguito dal progetto riformatore in esame. Dal 2007 al 2011 era in vigore, ad esempio, una disposizione -art. 2, comma 4, della legge 30 luglio 2007, n. 111- che  prevedeva il divieto di svolgere, fino al conseguimento della prima valutazione di professionalità, funzioni requirenti, funzioni giudicanti monocratiche penali e funzioni GIP-GUP e stabiliva anche che il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, era consentito, con precise limitazioni territoriali,  per un massimo di quattro volte nell’ambito dell’intera carriera. 

 

5. La separazione delle carriere non serve a garantire la parità delle parti e l’effettiva terzietà del giudice in attuazione all’art. 111 Cost.

Nel nostro sistema costituzionale e processuale vi è un dato che non può essere sottovalutato e che anzi occorrerebbe salvaguardare: il pubblico ministero e il giudice, con ruoli diversi, perseguono l’interesse pubblico all’applicazione della legge; e la funzione requirente si fonda su principi e regole di azione comuni a quelli ai quali è ispirata e vincolata l’azione del giudice, per una maggiore garanzia di tutela dei diritti dei cittadini.

Diverso è invece il ruolo del difensore, che persegue un interesse privato: la difesa del proprio assistito. 

Siamo in presenza di quella “asimmetria strutturale”, richiamata dalla Corte Costituzionale che deve essere tenuta presente quando ci si interroga sul significato della parità delle parti sancita dall’art. 111 Cost. 

Ancora con riferimento al giudice terzo e imparziale, un’interpretazione consolidata della giurisprudenza costituzionale, ci ricorda che con questa terminologia l’art. 111, comma 2, Cost. esplicita un altro fondamentale principio: la neutralità del giudice rispetto alla regiudicanda. Neutralità che la normativa processuale deve sempre garantire, come in effetti avviene attraverso le norme processuali in tema d’incompatibilità e astensione, di effettività del contraddittorio, di qualità della motivazione, di possibilità di impugnazione. 

Quindi occorre agire sul piano processuale e non su quello ordinamentale per garantire quella che la Corte Costituzionale definisce una necessaria asimmetria strutturale che caratterizza la magistratura e il ruolo autonomo e indipendente che essa è chiamata a svolgere. Pubblici ministeri e giudici, operano certamente con ruoli e funzioni diverse, ma, proprio per la caratteristica del loro ruolo, dovrebbero ritrovarsi in un’unica cultura della giurisdizione.    

Una asimmetria strutturale ben conosciuta e assecondata dal Legislatore se si pensa ai più recenti interventi legislativi, anche sul versante europeo, di segno opposto a quello posto a base del disegno di riforma costituzionale qui in esame. 

Le modifiche apportate al codice di procedura penale dal decreto legislativo n. 150 del 2022, ricordate anche dal Consiglio Superiore nel recente parere espresso e deliberato l’8.1.2025, sono indicative di una tendenza a proiettare il pubblico ministero verso la cultura del giudice: in questo senso sembrano, infatti, orientate le disposizioni che “sollecitano” il pubblico ministero a promuovere la definizione del procedimento in fase predibattimentale con l’applicazione di sanzioni alternative e a richiedere l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna. 

Ancora particolarmente rilevante risulta il ruolo del P.M. nella fase delle indagini che si caratterizza per l’obbligo previsto dall’art. 358 c.p.p., che gli impone di ricercare, nel corso delle indagini preliminari, anche gli elementi di prova a favore dell’indagato. 

A questa impostazione sembra ispirarsi l’art. 5, § 4, del regolamento sul Pubblico ministero europeo (EPPO), secondo il quale «l’EPPO svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico».

Analogamente l’art. 54, lett. a, dello Statuto di Roma, istitutivo del Tribunale penale internazionale, secondo il quale il Procuratore, «per determinare la verità, estende l’inchiesta a tutti i fatti ed elementi probatori eventualmente utili per determinare se vi è responsabilità penale secondo il presente Statuto, e, ciò facendo indaga sia a carico che a discarico». 

Infine, sempre a livello europeo, occorre richiamare la Dichiarazione di Bordeaux del 2009, adottata congiuntamente dal CCPE e dal CCJE, in cui si legge che «i Procuratori debbono essere indipendenti ed autonomi nelle loro decisioni e devono esercitare le loro funzioni in modo equo, obiettivo ed imparziale» (punto 6).

Tutte previsioni che appaiono ispirate all’attuale fisionomia costituzionale e processuale della magistratura requirente italiana, che potrebbe essere messa in discussione sia dalla frammentazione della magistratura e del suo organo di governo autonomo, sia dal rischio concreto che l’enfatizzazione di questo nuovo ruolo di parte accusatoria disegnato per il pubblico ministero dal progetto riformatore finisca per far superare questo connotato di imparzialità, ben descritto nell’art. 358 c.p.p., spingendo verso il diverso ruolo di “super-poliziotto” con conseguenze non positive innanzitutto  per i cittadini.

 

6. Una nuova magistratura requirente con un suo Consiglio Superiore, finirà per rafforzare ciò che, forse, si vorrebbe limitare. La riforma richiederà altri interventi

In tutti i Paesi il ruolo del P.M è in crescita esponenziale, assecondato da un sistema di informazione -media e social network- che privilegia il momento delle indagini e il “gossip” giudiziario. 

La separazione delle magistrature e la creazione di due Consigli rischiano di alimentare ulteriormente tale fenomeno.  

Un ruolo autonomo di pubblici ministeri, corpo isolato dalla cultura della giurisdizione e autonomo da ogni altro potere finirebbe per essere fortemente autoreferenziale e supportato da un Consiglio Superiore dedicato che faciliterebbe anche una presenza forte del pubblico ministero nel dibattito pubblico, alimentando un protagonismo accusatorio, che avrebbe ripercussioni anche in tema di riforme sulla giustizia.

La creazione di un Consiglio Superiore requirente e la conseguente necessità di riscrivere i parametri da prendere in considerazione in occasione delle valutazioni di professionalità e del conferimento di incarichi potrebbe far ritenere utile il dato delle percentuali di condanne ottenute con l’esercizio dell’azione penale. Anche da questo punto di vista vi è il rischio di uno sbilanciamento a favore della cultura del risultato a discapito della cultura delle regole. 

Ecco perché, benché l’intervento riformatore sancisca l’autonomia della magistratura requirente, vi è la ragionevole prospettiva che si tratti di una previsione che non reggerà a lungo. Questo nuovo corpo requirente, garantito all’interno e all’esterno da un proprio organo di governo autonomo, finirà per assumere un peso che dovrà necessariamente essere ricondotto nell’alveo di un altro potere, e non essendo più quello giudiziario, sarà verosimilmente quello dell’esecutivo con una magistratura requirente posta sotto il controllo del Ministro della Giustizia. A rischio in definitiva, con questo possibile futuro assetto della magistratura requirente, vi sarà la stessa indipendenza della magistratura giudicante che potrà valutare solo quello che un pubblico ministero non indipendente, sottoporrà al suo esame. 

 

7. La Giustizia non ha bisogno di separazione ma di una maggiore cultura della giurisdizione

La strada da seguire per assicurare la qualità della giurisdizione, mi sembra opposta a quella che si vorrebbe perseguire con la frammentazione della magistratura. Più che separare le carriere si dovrebbero contaminare, fin dal momento formativo iniziale, le professionalità di tutti i protagonisti della giurisdizione, compresi gli avvocati. E soprattutto si dovrebbe alimentare la cultura del “dubbio” come requisito che deve appartenere a tutta la magistratura.

Un argomento utilizzato per dimostrare che non vi è appiattimento del giudice rispetto alle prospettive accusatorie del pubblico ministero è il tasso di assoluzione e/o di proscioglimento che si registra e che viene indicato con precisione in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario (quasi il 30%) a cui dovrebbe sommarsi il dato delle sentenze di proscioglimento in sede di udienza preliminare e predibattimentale. Tasso di non accoglimento che esiste anche in relazione alle richieste di misure cautelari reali e personali[1]. Rilevante anche il numero di imputazioni coatte imposta dal Gip a fronte delle richieste di archiviazione del procedimento formulate dal pubblico ministero (art. 409 c.p.p.)[2]

Credo che questi dati dimostrino però qualcosa di molto più pregante della semplice assenza di condizionamento derivante dal rapporto di colleganza tra  magistrati  e cioè che per diminuire questi tassi di assoluzione/proscioglimenti e di diniego di misure, considerando che l’esistenza di un procedimento è già una pena per chi lo subisce, servirebbe un pubblico ministero ancora più capace di vestire l’abito del giudice, capace di pervenire ad una corretta valutazione del materiale probatorio acquisito, soprattutto oggi alla luce della riforma 150/2022 che ha richiesto anche al pubblico ministero, oltre che al GUP,  di filtrare di più, esercitando l’azione penale solo quando sussiste una «ragionevole previsione di condanna». Per effettuare tale prognosi il pubblico ministero deve quindi sempre più ragionare come il giudice.

 

8. La riforma impegnerà il Legislatore a riscrivere con legge ordinaria l’ordinamento giudiziario. Non sarà una riforma a costo zero

In caso di approvazione del disegno di legge costituzionale il Legislatore dovrà riscrivere l’ordinamento giudiziario per renderlo compatibile con le nuove previsioni costituzionali. 

Un impegno importante, in cui dovranno essere sciolti nodi significativi, che riguarderebbe:

- L’accesso in magistratura: concorso unico o separato?

- La Scuola della magistratura (unica o separata?) e i corsi per la preparazione al concorso;

- Le valutazioni di professionalità;

- Gli incarichi direttivi e semidirettivi;

- Il collocamento fuori ruolo (tetto massimo di soggetti collocati fuori ruolo);

- La composizione della Corte Costituzionale;

- Lo sdoppiamento anche per i 26 Consigli Giudiziari oggi esistenti.

Con conseguente notevole impegno di spesa. Non si potrebbe operare a costo zero se si pensa alle risorse necessarie anche solo per la istituzione di due Consigli Superiori e dell’Alta Corte. 

 

9. L’istituzione di due Consigli Superiori, uno requirente e l’altro giudicante

Oltre a quanto si è già detto sul rischio concreto di indebolire l’organo di governo autonomo della magistratura rispetto agli altri poteri, occorre evidenziare anche la possibilità concreta di pregiudicare la completezza dell’analisi del sistema giudiziario, che richiede una costante e continua interazione tra gli uffici requirenti e giudicanti e l’organo di governo autonomo. Lo si vede normalmente nella vita quotidiana degli uffici giudiziari e non solo in occasione della formazione delle tabelle per l’organizzazione degli uffici, che comunque costituisce un osservatorio privilegiato delle problematiche che attengono all’amministrazione della giurisdizione. Uno sdoppiamento del Consiglio Superiore rischia di far perdere quel naturale coordinamento tra uffici che è imprescindibile per ogni corretta amministrazione.

 

10. Il sorteggio per l’elezione dei due Consigli Superiori

Veniamo ora agli obiettivi che la Relazione Illustrativa al disegno di legge costituzionale evidenzia rispetto all’introduzione del sorteggio: «l’autogoverno, proprio per il suo rilievo costituzionale, deve costituire patrimonio fondamentale di ogni magistrato e appartenere ai suoi caratteri costitutivi e vi è l’esigenza di assicurare il superamento di logiche legate alla competizione elettorale, che non hanno offerto buona prova di sé, indebolendo la stessa affidabilità dell’autogoverno all’interno e all’esterno della magistratura».

Si introduce in Costituzione il principio “uno vale uno” mandando definitivamente in soffitta la ricerca di un punto di equilibrio tra garantire il “pluralismo ideale e culturale” proprio anche della magistratura e non pregiudicare la preparazione e le attitudini dei singoli magistrati. 

Ma soprattutto sembra una previsione che vuole colpire proprio la magistratura ordinaria negandole la possibilità di votare coloro che si ritengono affini culturalmente e idonei a quella particolare funzione. 

Alla base del sorteggio si contrastano due visioni opposte del Consiglio Superiore della Magistratura: da un lato, una visione del Consiglio come organo che svolge compiti di natura essenzialmente amministrativa e che necessità della presenza solo di tecnici a cui demandare l’applicazione automatica di regole predefinite, d’altro lato, quella del Consiglio come organo che, oltre a svolgere funzioni di amministrazione della giurisdizione, esprime orientamenti propri sia nell’esercizio di funzioni paranormative sia nell’adozione di atti di indirizzo e  di partecipazione, nelle forme stabilite dalla legge, al dibattito pubblico in materia di giustizia; oltre a  mantenere rapporti con gli altri poteri in primis in occasione della formulazione dei pareri e delle proposte resi ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958 n. 195.

Una mortificazione evidente della magistratura. 

Al riguardo appare anche utile ricordare il parere n. 24 (2021) del CCJE che al punto 8 ricorda «il CCJE riconosce che non esiste un unico modello di Consiglio di giustizia. Tuttavia ciascun Consiglio dovrebbe avere competenze adeguate a difendere l’indipendenza del potere giudiziario e dei singoli, in modo che questi ultimi siano liberi di prendere delle decisioni senza subire indebite influenze dall’esterno e dall’interno del potere giudiziario (par. 19)» e al punto 14 ancora ricorda «la maggioranza dei componenti dei Consigli di Giustizia dovrebbe essere composta da giudici eletti dai propri pari, al fine di garantire la più ampia rappresentanza possibile di tribunali e gradi di giudizio, nonché la parità di genere e la ripartizioni tra le regioni (par.31-33)». 

Il nostro attuale sistema costituzionale rispetta tali raccomandazioni, la proposta di modifica costituzionale se ne allontana.

Non si comprende infine perché per la formazione dei Consigli si propongano diverse modalità di sorteggio, “secco” per i togati e “temperato” per i laici, se l’obiettivo è quello dichiarato di ridare credibilità al Consiglio Superiore evitando le storture del “correntismo” e aggiungerei delle “lobby”. Sembra ci si sia dimenticato di quanto accaduto all’Hotel Champagne nella primavera del 2019, dove alcuni componenti del Consiglio si sono incontrati per discutere delle nomine del Procuratore della Repubblica di Roma e Perugia con imputati e indagati in quelle stesse procure, ammessi a interloquire su strategie complessive utili a influenzare chi doveva esprimere un voto per consentire quelle nomine. Soggetti anche esterni alla magistratura e appartenenti al mondo della politica. In quella occasione il Presidente Mattarella, nel plenum del 21.6.2009, parlò di «indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato». Un episodio da tenere sempre presente. 

 

11. Alta Corte Disciplinare

Colpisce innanzitutto la scelta di formare un unico giudice disciplinare munito di giurisdizione su entrambe le categorie di magistrati ordinari (pubblici ministeri e giudici) ma privo di giurisdizione sui magistrati amministrativi e contabili (oltre che militari).

Una scelta che appare distonica rispetto al dibattito che negli ultimi anni su questo punto si è svolto. Altrettanto distonica appare l’esclusione dei giudici di merito dal novero dei possibili componenti dell’Alta Corte, che priva l’organo giudicante di soggetti portatori di una esperienza attuale di attività giurisdizionale di merito, particolarmente preziosa ove si tratti di valutare illeciti funzionali (si pensi al ritardo nel deposito dei provvedimenti e alle scarcerazioni per decorrenza dei termini di fase, comportamenti che richiedono la conoscenza delle condizioni anche di lavoro degli uffici e dei loro meccanismi organizzativi) e nel contempo introduce nell'ordinamento un profilo verticistico e di gerarchia dei magistrati legittimità su quelli di merito, riservando solo ai primi la possibilità di comporre l'organo della giustizia disciplinare di tutti i magistrati, in contrasto col principio - fissato nell'articolo 107 Cost., non inciso dal disegno di legge di revisione costituzionale in esame - della distinzione dei giudici soltanto per diversità di funzioni.

Anche il sistema di nomina dei componenti dell’Alta Corte presenta forti criticità.

L’articolo 105 in commento prevede quale sistema per la individuazione dei componenti: 

- un meccanismo di sorteggio “puro” per i magistrati;

- un atto di nomina per i membri designati dal Presidente della Repubblica;

- un sorteggio “temperato” per i componenti selezionati dal Parlamento in seduta comune. 

Ancora una volta, solo alla componente togata si destina una scelta dei componenti affidata alla “sorte”, a prescindere dalle attitudini del magistrato sorteggiato, non essendo prevista alcuna candidatura o manifestazione di disponibilità, mentre sappiamo bene che non tutte le funzioni sono confacenti alle capacità del singolo magistrato. 

La norma prevede, poi, un unico mezzo di impugnazione avverso le decisioni dell’Alta Corte disciplinare, sia per motivi di merito sia di legittimità al punto che si dubita della possibilità di poter mantenere il ricorso per cassazione, attualmente esperibile avverso le decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore, ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. n. 109 del 2006. Ritengo che restando in vigore l’art. 111, settimo comma, Cost, si possa continuare a considerare in vita il giudizio di legittimità riservato alle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione. Se così fosse occorre però considerare che in caso di annullamento con rinvio della decisione di secondo grado potrebbero porsi problemi a comporre un terzo collegio dell’Alta Corte, dovendosi escludere i componenti che hanno formato il collegio di primo e secondo grado. Senza sottovalutare i tempi che richiederebbe il percorso di tre gradi di giudizio a fronte della tempestività che la giustizia disciplinare dovrebbe avere, che è tutt’altro che domestica se si leggono, senza pregiudizio, i dati forniti dal Procuratore Generale in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ultimo aspetto da chiarire riguarda l’Autorità titolare del potere di azione (oltre al Ministro della giustizia): una volta realizzata la separazione delle carriere, appare distonico che per i magistrati giudicanti possa continuare a essere il Procuratore Generale. 

 
[1] Dati Sezione GIP Milano                 

                    
[2] Dati sezione Gip Milano  

05/03/2025
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