Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Le questioni di genere *

L’influenza della questione di genere sulla organizzazione degli uffici, sulla tutela della maternità e sulla parità di prospettive di carriera: una panoramica storica e normativa e proposte per il prossimo futuro

1. L’accesso delle donne in magistratura

L’accesso delle donne in magistratura è avvenuto all’esito di un percorso impervio e lungo.

In primo luogo, l’art. 7 della l. nr. 1176/1919 stabiliva che «le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni e a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento».

Similmente il regio decreto n. 12/1941, all’art. 8, statuiva che per essere ammessi alle funzioni giudiziarie fosse necessario, tra l’altro, «essere cittadino italiano, di razza italiana, di sesso maschile e iscritto al Partito Nazionale Fascista». 

Neanche nella Costituzione tale possibilità viene prevista giacché, per l’accesso delle donne agli uffici pubblici, continua a rimandarsi ai “requisiti di legge” già previsti e volutamente le precedenti leggi non vengono abrogate. Non è una distrazione, il dibattito assembleare vi è stato ma ha avuto esito negativo.

Ancora, con il governo Moro, la legge n. 1441 /1956 include le donne nelle giurie popolari della Corte d’Assise e nei Tribunali per i Minorenni ma quali private cittadine e non quali magistrate. 

Finalmente, la sentenza n. 33/1960 della Corte costituzionale dichiara che la norma che esclude le donne da tutti gli uffici pubblici (articolo 7 della legge del 1919) è incostituzionale perché in contrasto con l’articolo 51 della Costituzione, secondo cui va garantito l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive all’uno e all’altro sesso in condizioni di eguaglianza. 

E così, con il governo Fanfani, agli artt. 1 e 2 della legge n. 66/1963, dando seguito alla sentenza della Corte costituzionale, si stabilisce che la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. La legge 17 luglio 1919, n. 1176, il successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39, ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati. 

Nel 1965, otto donne vincono il concorso in magistratura: Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata (Anny) Izzo, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli. 

Nel 1986, Elena Paciotti è la prima giudice a entrare nel Consiglio Superiore della Magistratura, mentre nel 1988 Gabriella Luccioli è la prima donna a entrare alla Corte di Cassazione. Solo nel 2020 è stata eletta una giudice ordinaria in Corte costituzionale ossia Maria Rosaria San Giorgio ed una nominata quale presidente aggiunto alla Corte di Cassazione ovvero Margherita Cassano.

 

2. Questioni di genere ancora aperte: parità di prospettive, tutela della maternità ed organizzazione degli uffici

2.1. Parità di prospettive

Nella prima metà degli anni Ottanta, intanto, prosegue l’avanzata delle donne nella magistratura fino a quando, dal 1996 in poi, il numero delle vincitrici del concorso è stato sempre superiore a quello degli uomini. Nel marzo 2022, su un totale di 9.576 unità (inclusi i giudici fuori ruolo a qualsiasi titolo e gli ordinari in Tirocinio, i cosiddetti Mot), le donne sono 5.283, pari al 55,2%, e gli uomini 4.293. L’età media (49 anni) delle magistrate è più bassa di quella dei colleghi (52 anni). I pesi non cambiano se si guarda alle sole figure in ruolo. Sono dati certo significativi ma parziali, perché, per quello che riguarda le cariche direttive e semidirettive, il divario resta molto forte. Interessante è anche la collocazione sul territorio: negli uffici giudiziari, escludendo quelli con competenza nazionale (cioè la Corte di Cassazione e la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo), le donne sono in maggioranza in tutte le aree del Paese: 58% al Nord, 53% al Centro, 56% al Sud. Se in distretti come Torino e Brescia la percentuale è analoga a quella media del Nord, a Milano sale al 64%. In alcune sedi del Sud come Napoli (62%), Catanzaro (59%), Catania (58%) la percentuale è più alta di quella media territoriale. Come già accennato, i numeri femminili precipitano vertiginosamente se si considerano i ruoli apicali, a cominciare dagli uffici di competenza nazionale, dove le magistrate rappresentano solo il 36% del totale. Sui 420 giudici con incarichi direttivi (cioè, semplificando, coloro che sono a capo degli uffici, sul fronte sia giudicante che requirente), quasi tre su quattro (il 73%) sono uomini. La situazione è leggermente più equilibrata per quello che riguarda le funzioni semidirettive (riferite ai presidenti di sezione, ai procuratori aggiunti, all’avvocatura generale presso la Corte di Appello). In questo caso su dieci magistrati quasi cinque sono di sesso femminile (45% sui 722 complessivi); tuttavia, la percentuale di donne al posto di comando sale se guardiamo ai soli uffici giudicanti (31%), mentre per quanto riguarda quelli requirenti scende al 22,3%. Questa situazione vale anche per gli incarichi semidirettivi, assegnati a donne nel 48% dei casi fra i giudicanti, e soltanto nel 29% circa negli uffici requirenti[1].

 

2.2. Tutela della maternità 

La tutela della maternità viene attuata attraverso un aggrovigliamento di norme che si rinvengono in plurime fonti normative primarie e secondarie: il D.lgs. 10 gennaio 1957 n. 3 (“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), il d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Testo Unico sul Pubblico Impiego), la delibera CSM 23 luglio 2020 – Circolare tabelle 2020–2022 e, infine, la recentissima delibera CSM del 19 ottobre 2022 (Circolare sulle assenze del magistrato di tutte le tipologie e congedi, aspettative e permessi posti a tutela della salute, della maternità/paternità e della formazione e relative problematiche). Alle fonti citate vanno aggiunte le risposte ai quesiti da parte del CSM, che costituiscono una sorta di giurisprudenza interna rispetto ai casi specifici oggetto della domanda.  

Con l’ultima circolare del CSM del 19 ottobre 2022, si è ribadita la difficile ricostruzione del quadro normativo sul tema e la sua frequente lacunosità, dovuta all’applicabilità solo parziale dello statuto normativo generale del pubblico impiego, stante la peculiare natura del rapporto di impiego del magistrato: proprio tale natura, infatti, spiega il ricorso alla riserva di legge nella determinazione della fonte regolatrice dello status giuridico ed economico dei magistrati affidata al Consiglio Superiore della Magistratura (artt. 102, comma 1 e 108, comma 1, Cost.).

Si è dunque cercato di ordinare la materia, raccogliendo le differenti ipotesi di assenza dal servizio, tra cui ovviamente la maternità, e le relative discipline, ma apportando altresì modifiche sostanziali di non poco rilievo.

In proposito, basti pensare che finalmente è stato riconosciuto il congedo di paternità obbligatorio (art. 18) e che è stata estesa la possibilità di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso (art. 10); oltre a ciò, è stata sancita la possibilità, nel caso in cui i genitori siano entrambi magistrati, di prendere congedo parentale contestualmente, possibilità che invece precedentemente era stata negata dagli uffici giudiziari (obbligando quindi uno dei due genitori a richiedere il congedo ordinario).

L’altra importantissima innovazione in tema di tutela della maternità era stata introdotta con la circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti 2017/2019 che aveva inserito, rispetto al precedente testo di normazione secondaria, il Titolo IV, rubricato «Del benessere organizzativo, della tutela della genitorialità e della salute», diretto a favorire un clima lavorativo sereno, in grado a sua volta di incidere positivamente sullo sviluppo e sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia.

Così, la norma bandiera della nuova rotta normativa intrapresa dal CSM è costituita dall’art. 256 della predetta circolare (trasposta poi nella successiva Circolare tabelle per gli anni 2020–2022, delibera de 23 luglio 2020), che nell’aprire il Titolo IV, impone una organizzazione dell’ufficio diretta a garantire «il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati». In tale direzione si muove anche l’art. 257, che, pur eliminando il verbo impositivo, prevede che dello stato di gravidanza, maternità e paternità (oltre che di malattia), tengano conto le misure organizzative adottate.

Più nello specifico, poi, l’art. 262, in tema di tutela della genitorialità dispone che nella organizzazione degli uffici i dirigenti tengano conto della presenza e delle esigenze delle magistrate in gravidanza, in maternità e, più in generale, della compatibilità del lavoro con le necessità personali, familiari e i doveri di assistenza che gravano su di loro (e sui papà), con particolare riferimento alle condizioni di coloro che provvedano alla cura di figli minori, anche non in via esclusiva o prevalente e fino a sei anni di età degli stessi. In alcun modo la condizione di genitore deve essere occasione di pregiudizio nel concreto atteggiarsi delle modalità di svolgimento della vita professionale. Al fine di assicurare l'adeguata valutazione di tali esigenze, il dirigente dell'ufficio sente preventivamente i magistrati interessati.

L’art. 262 specifica però che in nessun caso le diverse modalità organizzative del lavoro potranno comportare una riduzione dello stesso, con la conseguenza che eventuali esoneri devono essere compensati da attività maggiormente compatibili con la condizione di genitore.

Le norme successive garantiscono ulteriori ed importanti tutele ai magistrati genitori: nel caso di magistrate in maternità o che provvedono alla cura di figli minori, in via esclusiva o prevalente e fino a sei anni di età degli stessi, in assenza del consenso delle interessate, non può essere disposto il mutamento delle funzioni tabellari, né della sede di esercizio delle funzioni (art. 263). Nell’ottica, poi, di assicurare la tutela delle esigenze connesse alla gravidanza e alla maternità, i dirigenti degli uffici adottano misure organizzative tali da rendere compatibile il lavoro delle magistrate dell’ufficio in stato di gravidanza o in congedo parentale e, comunque, con prole di età inferiore a sei anni, con le esigenze personali e familiari e con i connessi doveri di assistenza. Ciò comporta l’esenzione da ogni incombenza ulteriore rispetto alla ordinaria attività giudiziaria (salva la disponibilità manifestata dal magistrato).

Peraltro, la piena tutela della genitorialità può essere sacrificata, qualora la misura organizzativa adottata non sia sostenibile sulla base di esigenze dell’ufficio non altrimenti garantite; tuttavia, tale deroga può essere applicata solo dopo che i figli abbiano compiuto i tre anni di età. 

Quanto all’attuazione della tutela, l’art. 265 prevede che i dirigenti si ispirino a «criteri di flessibilità organizzativa». 

A questo, punto, agli artt. 266 e 267 vengono indicate alcune modalità di attuazione della tutela della genitorialità, nel settore civile e in quello penale: è bene però sottolineare come tale elencazione abbia carattere meramente esemplificativo, ferma restando la possibilità per i capi degli uffici di adottare misure diverse che garantiscano la tutela nel caso concreto.

Ad ulteriore tutela della genitorialità, l’art. 268 dispone il divieto di assegnazione di affari nel periodo di congedo di maternità, paternità o parentale: tale norma, se violata, può incidere sulla valutazione di conferma ovvero di conferimento di ulteriori incarichi del dirigente.

Inoltre, qualora il settore di servizio in cui opera la magistrata o il magistrato non consenta una organizzazione compatibile con le esigenze di famiglia, costoro, a domanda, posso essere assegnati, in via temporanea ed eventualmente anche in soprannumero rispetto alla pianta organica della sezione, ad altro settore nell'ambito del medesimo ufficio, mantenendo il diritto a rientrare in quello di provenienza. 

Infine, val la pena evidenziare, come la più recente giurisprudenza disciplinare della Corte di Cassazione e del CSM ha preso in considerazione, quale causa di giustificazione di ritardi nei depositi, sia l’avvenuta fruizione di congedi parentali, sia la sussistenza di un’organizzazione dell’ufficio non compatibile con le esigenze di cura della prole in tenera età (cfr. Sezioni Unite Corte di Cassazione 20815/2013 e la sentenza n. 80/2015).

Altrettanto recentemente, invece, è stato negato dal CSM il diritto alla sospensione dell’assegnazione degli affari nel tempo immediatamente precedente l’ingresso in maternità obbligatoria, per la genericità ed indeterminatezza del periodo temporale cui si riferisce, auspicando invece l’adozione delle misure prospettate nella tabella delle circolari 2020–2022.

 

2.3. Organizzazione degli uffici

Nonostante l’apprezzabile sforzo regolamentare, la materia della tutela della maternità sconta l’intrinseca complessità organizzativa del lavoro dei magistrati che è destinata a mutare a seconda delle diverse sedi giudiziarie e dei diversi uffici di riferimento. È infatti nota la presenza nel territorio nazionale di sedi con carichi di lavoro maggiori o comunque diversificati a seconda dell’ufficio, che non possono non incidere sulle modalità con cui viene applicata la tutela della maternità. Basti pensare ai numerosi bandi per applicazioni extra–distrettuali che, nonostante la premialità retributiva, rimangono ineludibilmente deserti: se si diventa genitori in queste sedi, la stabile carenza di organico non può che incidere non solo sulla tutela della maternità, ma anche, spesso, sulle condizioni lavorative degli altri colleghi che si trovano inevitabilmente a subire l’assenza di una ulteriore collega o comunque una diversa distribuzione del carico di lavoro per andare incontro alla tutela della maternità. Più semplicemente, poi, le esigenze mutano a seconda delle funzioni esercitate, civili o penali e, in quest’ultimo caso, giudicanti o requirenti.

Se da un lato, quindi, la flessibilità della circolare del CSM consente una organizzazione adattabile alle esigenze specifiche della magistrata e dell’ufficio, dall’altro, la sua genericità rischia di lasciare una eccessiva incertezza sul destino lavorativo della magistrata. La futura organizzazione, infatti, è rimessa alle variabili della funzione, del carico di lavoro, della carenza di organico e della peculiarità dell’ufficio giudiziario, oltre che, è necessario sottolinearlo, alla sensibilità del dirigente dell’ufficio (ruolo spesso ricoperto, come già emerso, principalmente da figure maschili).

In proposito, non si può non tenere conto che in alcuni Tribunali è dato per scontato, ad esempio, che la magistrata tenga udienza collegiale solo la mattina: il trattenimento nel pomeriggio diventa un caso eccezionale rimesso comunque alla disponibilità della collega.

Una simile ipotesi diventerebbe di difficile attuazione in tribunali dove le udienze, anche collegiali, normalmente si protraggono almeno fino alle 19, a causa del numero e della complessità di processi che gravano sui singoli collegi. Anche per le pubbliche ministere diventerebbe difficile chiedere un cambio o una sostituzione parziale, anche in considerazione della imprevedibilità della lunghezza del singolo processo dovuta alla presenza o meno dei testimoni e alla complessità della singola testimonianza.

In alcune sedi giudiziarie, poi, l’utilizzo dell’applicativo ASPEN, un sistema che consente l’assegnazione degli affari ai singoli magistrati sulla base di un punteggio calcolato sulla singola produttività (più si produce meno affari urgenti verranno assegnati), non tiene in alcun conto della condizione di genitorialità. La conseguenza è immediatamente percepibile nel momento in cui ci si trova a dover rallentare il ritmo lavorativo (per esigenze legate ai figli, banalmente per malattia): la diminuzione della produttività, infatti, causerà un abbassamento del punteggio che comporterà a sua volta un aumento dell’assegnazione degli affari, proprio in un momento di maggiore vulnerabilità nella vita del genitore.

 

3. Proposte

3.1. Sulla parità di prospettive

Quote rosa o rotazione di genere

Il leitmotiv che anima le critiche alla previsione delle cd. quote rosa in politica o in altri luoghi di lavoro (ad es., perché bisogna prevedere per legge una parità di genere se non siamo certi che le donne siano ugualmente capaci e meritevoli? … Il cambiamento deve essere culturale e non normativo…ecc.) non solo non tengono conto del fatto che la neutralità sessuale delle norme non è sempre una garanzia di eguaglianza e di parità anche e soprattutto in ragione della lontananza dell’effettivo abbandono delle logiche patriarcali nella nostra società, ma si rileva proprio inappropriato in ordine agli uffici giudiziari.

Invero, non si ritiene immaginabile che, in un concorso che meritocraticamente vincono ormai per lo più donne che raggiungono valutazioni di professionalità positive nello stesso numero degli uomini, le stesse non occupino paritariamente i posti direttivi e semidirettivi.

Ovviamente, sotto il profilo pratico, la valutazione numerica delle quote rosa andrebbe fatta sulla base delle procedure bandite a livello nazionale annualmente.

In alternativa, una seconda soluzione possibile sarebbe una rotazione di genere ma a livello territoriale (ossia per circondari o per singolo Tribunale). 

Invero, considerato l’alto numero di donne in magistratura potrebbe prendersi in considerazione una rotazione pura delle cariche, almeno di quelle semidirettive, con una gestione seriamente partecipata delle sezioni, in modo da dare maggiore voce alle singole esigenze, affidando a turno il ruolo di coordinatore/coordinatrice ai singoli componenti della sezione. Del resto, non è molto lontano dalle deleghe di fatto che i semidirettivi utilizzano per suddividere il lavoro, ad esempio, nella gestione dei turni. 

 

3.2. Sulla tutela della maternità

Ampliamento dei ruoli e delle funzioni della magistratura distrettuale

Non è un caso che uno dei primi progetti di legge presentati dall’Associazione donne magistrato sia stata sui magistrati distrettuali e prevedeva, presso ogni Corte d’Appello, una task force di magistrati con il compito di coprire le assenze per malattia o per maternità delle donne.

Allo stato, come emerge dai dati statistici del consiglio superiore della magistratura, i posti in organico nella Pianta Organica Flessibile dei magistrati distrettuali sono 179 (125 Giudicanti e 54 Requirenti), i posti vacanti sono 157 (111 Giudicanti e 46 Requirenti), i magistrati in servizio sono quindi 22 (14 Giudicanti e 8 Requirenti).

La scopertura, a seconda delle sedi va da un minimo del 50% ad un massimo del 100%, e per lo più le scoperture sono totali.

Esse sono sostanzialmente uniformi su tutto il territorio, con scoperture leggermente inferiori nel Centro Italia: 

· ANCONA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 75% - Requirente al 100%;

· BARI: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%;

· BOLOGNA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 83% -Requirente al 100%;

· BRESCIA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 100%;

· CAGLIARI: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 50%;

· CALTANISSETTA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 75% - Requirente al 100%;

· CAMPOBASSO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%;

· CATANIA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%;

· CATANZARO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 100%;

· FIRENZE: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 86% -Requirente al 100%;

· GENOVA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 67% -Requirente al 100%;

· L'AQUILA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 50%;

· LECCE     : Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 75% - Requirente al 100%;

· MESSINA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%;

· MILANO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 88% -Requirente al 100%;        

· NAPOLI  : Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 89% - Requirente al 100%;

· PALERMO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 100%;      

· PERUGIA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 67% - Requirente al 100%;

· POTENZA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 75% -Requirente al 100%;        

· REGGIO DI CALABRIA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%;

· ROMA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 75%;

· SALERNO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 50% - Requirente al 100%;       q

· TORINO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 100%;

· TRENTO: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% -Requirente al 100%;

· TRIESTE  : Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 50% -Requirente al 100%;

· VENEZIA: Magistrato Pianta Organica Flessibile Giudicante scopertura al 100% - Requirente al 100%.

Ebbene, visto il vertiginoso aumento delle donne in magistratura, tali ruoli andrebbero anzitutto coperti, anche, se necessario, introducendo regimi di premialità economica e/o di punteggio per chi accetta di rivestire tali incarichi, poi andrebbero aumentati in numero e le loro funzioni protratte anche dopo la assenza obbligatoria per maternità e parentale facoltativa per integrare (e non più solo sostituire) il lavoro delle neomamme magistrate. Ciò garantendo altresì una continuità lavorativa ed un supporto/riduzione del lavoro femminile nei primi anni di vita della prole.

 

Asili nido nei luoghi di lavoro

Per conciliare la maternità e la vita lavorativa si potrebbe pensare, come avviene in molte aziende/agenzie anche pubbliche, a creare asili nido nei luoghi di lavoro: secondo la normativa, una struttura di questo tipo deve garantire alle famiglie 42 settimane di apertura all’anno per 5 giorni a settimana, un orario che va da un minimo di 6 fino a un massimo di 11 ore al giorno, per bimbi da 3 a 36 mesi.

Tale opzione permetterebbe alla madre di essere vicina proprio dal punto di vista logistico al figlio considerando le molteplici problematicità che i bambini hanno nei primi anni di vita (a partire dall’allattamento sino alla malattia o ai problemi di adattamento).

Ciò anche considerando che il lavoro di una magistrata non è compatibile, soprattutto presso le Procure della Repubblica, con altre soluzioni (banca ore e flessibilità dell’orario di lavoro, concessione del part time, smart working e simili).

Per inciso, una tale soluzione potrebbe essere estesa a tutto il personale femminile dei Tribunali.

Peraltro, va evidenziata la intima interconnessione tra le misure a tutela della maternità e la parità delle prospettive lavorative. Ed invero misure di questo tipo consentono una continuità nel lavoro, che così agevolato e supportato, può mantenere standard qualitativi elevati e valorizzabili in interpelli e procedure comparative.

 

3.3. Sulla organizzazione degli uffici

La peculiarità delle singole sedi giudiziarie e dei carichi di lavoro che ciascuna di esse sostiene suggerisce l’adozione di preventive misure di conciliazione, che possono essere inserite dagli uffici già al momento dell’adozione del progetto tabellare. Nella predisposizione di tali misure, poi, si potrebbero contemplare dei correttivi agli applicativi di assegnazione automatica degli affari, di modo da non penalizzare in concreto la magistrata che, per qualsiasi motivo legato alla prole (o anche, banalmente, per malattia), debba ridurre la propria produttività.

La previsione anticipata di possibili soluzioni organizzative applicabili durante la maternità, all’interno dei programmi di gestione,consentirebbe di garantire la massima condivisione di tali misure con tutti i colleghi, e, di conseguenza, il necessario adattamento anche alle esigenze dell’ufficio. In tal modo, oltre a permettere alla magistrata di conoscere anticipatamente le diverse opzioni adottabili, la flessibilità intrinseca del modello consentirebbe di modificare tali soluzioni, adeguandole alle specifiche esigenze familiari della collega in maternità. 

Così sarebbe auspicabile che ogni tribunale adottasse delle linee guida a tutela della maternità e della paternità, salva sempre la loro modificabilità, con un controllo più incisivo da effettuarsi a cura dei CPO – Comitato pari opportunità (non solo su richiesta) sul rispetto della normativa da parte dei dirigenti degli uffici e sul grado di benessere che deve essere garantito a tutte le magistrate, a maggior ragione in una fase delicata come quella della maternità.

Una riflessione, infine, merita la regola relativa alla impossibilità di una riduzione del carico di lavoro per le magistrate in maternità: infatti, se è vero che la regola trova la compensazione nella diversa modalità organizzativa che può essere richiesta e accordata dal capo dell’ufficio, la sua applicazione concreta non risulta di facile attuabilità, laddove anche le compensazioni comportano una quantità di lavoro difficilmente gestibile per chiunque, a maggior ragione nel periodo della gravidanza e della maternità.

Purtroppo, laddove insistono gravi deficienze strutturali e di organico e dove i carichi di lavoro risultano insostenibili da chiunque, la tutela effettiva della maternità risulta ancora di difficile attuazione.

In conclusione, molti sono stati i passi in avanti nelle varie direzioni tratteggiate ma ancora molto c’è da fare affinché la donna possa essere davvero pienamente madre e lavoratrice ed aspirare a ricoprire gli incarichi apicali "almeno" nella stessa misura degli uomini.


 
[1] E. Di Caro, Magistrate finalmente. Le prime giudici d’Italia, il Mulino, Bologna, 2023, p. 39 ss. che esamina e sintetizza il rapporto del Csm che si può trovare per esteso al seguente link https://www.csm.it/documents/21768/137951/Donne+in+magistratura+%28aggiorn.+marzo+2022%29/9cb1284e-5f95-f7b8-8ee1-07bef53d39e1 

[*]

Il presente contributo costituisce anticipazione del n. 4/2023 di Questione Giustizia trimestrale, di prossima pubblicazione

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