Il presente contributo costituisce anticipazione del numero 3/2023 di Questione Giustizia trimestrale
La riforma penale e il giudizio di appello *
L’articolo analizza i mutamenti più rilevanti della riforma relativi al procedimento d’appello, mettendo in luce alcune indubbie criticità, taluni profili di dubbia legittimità costituzionale, ma anche le potenzialità della nuova normativa.
Per funzionare appieno, quest’ultima richiederà però, da un lato, un mutamento di approccio da parte del giudice di secondo grado e, dall’altro, un potenziamento di alcune strutture (in particolare dell’Uepe) e un maggiore raccordo operativo tra gli uffici coinvolti.
Questione giustizia pubblica, per il suo rilevante interesse, in versione italiana e in originale inglese, la Dichiarazione di MEDEL sulla riforma costituzionale della magistratura in Italia del 22 novembre 2025
Questione giustizia pubblica, per il suo rilevante interesse, in versione italiana e in originale portoghese, la Dichiarazione di solidarietà con la magistratura italiana dei pubblici ministeri portoghesi
Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo
La crisi in cui versa la giustizia civile, non solo e non tanto per la difficoltà, pur in presenza di uno sforzo straordinario, di rispettare il disposition time imposto dal PNRR, ma anche e soprattutto per le prospettive di grave incertezza che si aprono dopo il 30 giugno 2026 con il ritorno al regime ordinario, trova una delle ragioni principali nell’eccessività del sistema delle impugnazioni. La drammaticità del momento richiede una riforma radicale delle impugnazioni che, mediante gli opportuni aggiustamenti nella disciplina della revocazione, fra cui l’estensione dell’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c. anche alla sentenza di primo grado, trasformi l’appello da gravame in rimedio impugnatorio, a motivi illimitati in diritto, e limitati in fatto al vizio motivazionale corrispondente al vigente art. 360 n. 5 c.p.c., mentre il ricorso per cassazione dovrebbe essere previsto esclusivamente per i motivi di cui ai primi tre numeri dell’art. 360, facendo della nullità della sentenza e del procedimento (il numero 4 dell’art. 360) un motivo di revocazione ordinaria. Tutto questo comporta il riconoscimento, in continuità ad un modello che potrebbe ricavarsi dalla stessa Costituzione, della centralità del giudizio di primo grado, quale sede autentica di formazione nel contraddittorio della decisione giurisdizionale.
Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima.
Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.