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La procedura di deposito e selezione delle intercettazioni *

di Chiara Gallo
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma
L’articolo ripercorre la complessa vicenda della disciplina delle intercettazioni, illustrando le difficoltà incontrate dal legislatore nel coniugare in modo ottimale esigenze probatorie, diritto di difesa e tutela della riservatezza ed analizzando le soluzioni adottate nel dl. n. 161 del 2019 in ordine alla procedura di deposito e selezione delle intercettazioni.

1.Premessa: la disciplina ante riforma e le iniziative della magistratura

La riforma in materia di intercettazioni telefoniche disegnata dalla legge delega 103/2017 e attuata, in prima battuta, dal d.lgs n. 216/2017 aveva profondamente inciso sulla procedura di deposito e selezione assegnandole una funzione strategica nel perseguimento dell’obiettivo di tutela della riservatezza.

Il dl. 161/2019, come vedremo, ha modificato profondamente le norme introdotte dal d.lgs 216/2017 soprattutto nella parte riguardante tale procedura.

Prima della riforma il codice disciplinava in un’unica norma, l’art. 268 cpp, sia la fase dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione -dettando le regole tecniche attraverso cui l’attività ascolto doveva essere effettuata, documentata e depositata dalla pg al pm- sia la fase del deposito e della selezione delle conversazioni ritenute rilevanti a fini di prova con stralcio di quelle inutilizzabili.

Alla fase dell’esecuzione erano dedicati i commi da I a III; alla fase del deposito e della selezione i commi da IV a VIII.

Quanto alla fase del deposito si prevedeva che entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, i verbali e le registrazioni e i provvedimenti autorizzativi e di proroga venissero depositati in segreteria, dove rimanevano il tempo fissato dal pm o prorogato dal giudice su richiesta dei difensori. I difensori venivano immediatamente avvisati del deposito per consentire loro di procedere all’esame dei verbali ed all’ascolto delle registrazioni. Il giudice su richiesta del pm poteva autorizzare il pubblico ministero a ritardare il deposito non oltre la chiusura delle indagini preliminari se dal deposito fosse potuto derivare grave pregiudizio per le indagini, ipotesi questa che si verificava nella quasi totalità dei casi in ragione della necessità di mantenere il segreto sull’attività di intercettazione, soprattutto in caso di pluralità di intercettazioni autorizzate in tempi diversi.

Quanto alla fase di selezione si prevedeva che, scaduto il termine fissato dal pm per l’esame e l’ascolto da parte dei difensori, il giudice disponesse l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non apparivano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui era vietata l’utilizzazione. Tale operazione avveniva nel contraddittorio delle parti essendo previsto che il pm e i difensori avessero diritto di partecipare allo stralcio e fossero avvisati almeno ventiquattro ore prima.

Subito dopo, lo stesso giudice che aveva proceduto all’acquisizione e allo stralcio delle conversazioni disponeva la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie.

Le trascrizioni e le stampe erano inserite nel fascicolo per il dibattimento.

Solo dopo la trascrizione peritale i difensori potevano estrarre copia e fare eseguire la trasposizione della registrazione su idoneo supporto. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori potevano richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7.

La procedura delineata dall’art. 268 cpp è stata finora del tutto desueta come gli addetti ai lavori sanno, senza che il suo mancato espletamento abbia mai dato adito ad ipotesi di nullità o inutilizzabilità.

E di regola il momento della selezione delle conversazioni rilevanti è sempre fino ad oggi avvenuto in sede dibattimentale nel contraddittorio tra le parti al momento dell’ammissione delle prove.

I motivi del rinvio della selezione al dibattimento sono da ricercarsi nella onerosità della procedura prevista dall’art. 268 cpp in ragione dell’attività di trascrizione con cui la stessa si conclude, attività che si rivela inutile nei casi in cui le parti scelgano di definire il procedimento con riti alternativi per i quali sono utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pm, tra i quali quelli relativi alle intercettazioni.

La giurisprudenza di legittimità, nel corso del tempo, ha fornito strumenti interpretativi chiari in ordine alla funzione dell’udienza stralcio partendo dalla premessa che, in tema di intercettazioni di conversazioni telefoniche, la prova è costituita dalle registrazioni, mentre la trascrizione costituisce la mera trasposizione grafica del loro contenuto.

Sulla base di tale premessa è stata affermata dalla giurisprudenza l’inesistenza di preclusioni temporali con riguardo allo svolgimento delle operazioni peritali previste dall’art. 268 comma 7 cpp, a riprova del fatto che la funzione di tale passaggio non è una funzione costituiva di una prova (già consacrata nella registrazione) ma quella di eliminazione di tutte le comunicazioni “manifestamente irrilevanti” che, attesa la natura del mezzo utilizzato, non è stato possibile tenere fuori dalle indagini ab origine.

La sistematica omissione dell’udienza stralcio fino alla fase dibattimentale ha avuto gravi controindicazioni sotto il profilo del pericolo di diffusione di conversazioni non pertinenti o non rilevanti e, soprattutto, lesive della reputazione e contenenti dati sensibili anche di soggetti non coinvolti nelle indagini.

Infatti, il sistema delineato dall’art. 268 cpp che limitava il diritto della difesa al solo ascolto delle intercettazioni e all’esame degli atti dopo il deposito previsto dal comma IV, riservando il diritto di copia al termine della procedura di stralcio e trascrizione, è stato ritenuto non conforme al corretto esercizio del diritto di difesa, sia dalla Corte Costituzionale, sia dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 336 del 2008, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 cpp nella parte in cui non prevedeva che dopo la notificazione o l’esecuzione del provvedimento che dispone una misura cautelare personale, il difensore potesse ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare. Veniva pertanto riconosciuto un diritto generalizzato della difesa ad estrarre copia dei files delle registrazioni utilizzate nei provvedimenti cautelari, indipendentemente dalla procedura di stralcio disciplinata dall’art. 268 cpp

La Corte di cassazione, soprattutto nelle pronunce più recenti, aveva poi aperto ampi spazi ad un’interpretazione favorevole al diritto al rilascio di copie anche in assenza della procedura di stralcio, in occasione del deposito degli atti contestuale alla chiusura delle indagini preliminari o dopo l’avviso dell’udienza preliminare.

Inizialmente la Corte aveva fornito un’interpretazione rigorosa a tutela del diritto alla riservatezza, ritenendo che, anche nel caso di deposito di tutti gli atti di indagine contestuale all’emissione dell’avviso ex art. 415 bis cpp, non vi fosse un generalizzato diritto di copia dei files audio ove non fosse stata espletata la procedura di selezione. La nota sentenza Mancuso (Cass. Sez V 4967/2009) aveva affermato che il sub procedimento di cui all’art. 268 commi 6, 7 ed 8 cpp costituisce una disciplina di carattere speciale e quindi prevalente rispetto a quella generale ex art. 415 bis cpp, in cui il diritto riconosciuto ai difensori di ottenere copia non di tutte le registrazioni, ma solo di quelle ritenute rilevanti per il giudizio, è finalizzato alla realizzazione del condivisibile equilibrio tra le esigenze conoscitive della difesa e le esigenze di tutela della riservatezza delle persone estranee alle indagini.

Nel corso del tempo tale orientamento è stato modificato ritenendosi che l’interpretazione offerta dalla sentenza Mancuso – valida nei casi in cui la difesa chiedesse la copia delle registrazioni dopo l’attivazione da parte del pm della procedura ex art. 268 cpp, ma prima della sua conclusione – non apparisse condivisibile nei casi in cui il subprocedimento non fosse stato attivato dal pm, poiché in tali casi risultava necessario tutelare le esigenze difensive in funzione delle quali si chiede copia degli atti. E in una pronuncia la Corte aveva ritenuto che il diniego della richiesta di copia degli atti successivo all’emissione dell’avviso ex art. 415 bis cpp configurasse un’ipotesi di nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa (in tale senso Cass. Sez. V 41362/2013, Drago e 38409/2017).

In una recente sentenza successiva alla pubblicazione del d.lgs 216/2017 la Corte ha affermato che, in linea generale, è indiscutibile il diritto degli indagati ed i difensori di estrarre copia integrale del fascicolo del pm al termine delle indagini preliminari e quindi anche il diritto di controllare e valutare il significato delle intercettazioni attraverso la duplicazione dei files, ma, al contempo, ha precisato, che l’art. 268 cpp, in ragione degli interessi tutelati, possiede una forza espansiva di rilevo tale da costituire la fonte di regolamentazione di tutte le ipotesi in cui oggetto di discovery o di deposito siano le intercettazioni: pertanto il diritto di copia dei files non può riconoscersi in maniera generalizzata e indiscriminata, ma solo nei casi in cui la copia richiesta riguardi conversazioni non vietate dalle legge, non lesive del diritto alla riservatezza e non manifestamente irrilevanti. Di conseguenza, la richiesta di copia integrale degli atti da parte della difesa anche nel caso di mancata attivazione delle procedure di stralcio, deve essere sorretta da idonea motivazione con riguardo alla rilevanza delle copie richieste a supporto di ben individuate esigenze (Cass. Sez V 38409/2017).

La pluralità delle opzioni interpretative esistenti in materia di riconoscimento del diritto di copia degli atti relativi alle intercettazioni anche in assenza della procedura di stralcio, risultavano niente affatto rassicuranti ai fini di tutela della privacy e della reputazione delle persone coinvolte o anche direttamente intercettate.

La necessità di adottare meccanismi di tutela era da tempo sentita dagli stessi magistrati che, prima ancora dell’intervento del legislatore, avevano adottato rimedi di carattere organizzativo per fronteggiare il rischio di diffusione indiscriminata del materiale intercettato.

Il Csm con la delibera del 29 luglio 2016 dal titolo ricognizione di buone prassi in materia di intercettazione di conversazioni aveva elaborato linee guida indirizzate agli uffici di Procura riprendendo, in buona parte, le direttive già contenute nelle circolari dei Procuratori della Repubblica, finalizzate ad impedire la diffusione di materiale lesivo della reputazione o contenente dati sensibili non rilevanti ai fini delle indagini.

Tali linee guida riguardavano:

-l’introduzione di cautele nella fase dell’ascolto e della sommaria trascrizione da parte della pg nei brogliacci attraverso linee guida indirizzata alla stessa pg

-la conservazione degli atti relativi alle intercettazioni sotto il controllo del Procuratore della Repubblica;

-il divieto di rilascio di copia degli atti prima dell’udienza stralcio prevista dall’art. 268 cpp

-il dovere del pm di attivarsi per richiedere la procedura di selezione prima della chiusura delle indagini preliminari.

 2. La legge delega 103/2017

 In tale contesto veniva emanata la legge delega 103/2017, che, rielaborando alcune delle linee guida della risoluzione del Csm, all’art. 1 comma 84 lett a), ai punti da 1 a 4 enunciava i criteri cui il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere nel procedere alla riforma in materia di intercettazioni al fine di garantire la riservatezza delle comunicazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento e comunque non rilevanti ai fini di giustizia penale, e a tal fine stabiliva che:

1) il pm nel selezionare il materiale da trasmettere al giudice a sostegno della misura cautelare non avrebbe dovuto inviare atti contenenti conversazioni inutilizzabili, contenenti dati sensibili non pertinenti all’accertamento dei reati o comunque irrilevanti;

2) gli atti di cui sopra non inviati avrebbero dovuto essere custoditi in apposito archivio riservato con facoltà di ascolto ma non di copia fino all’espletamento della procedura ex art. 268 commi 6 e 7 con la precisazione che solo all’esito di tale procedura sarebbe venuto meno il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 comma I cpp;

3) solo dopo la conclusione della procedura di selezione indicata al punto 2 i difensori avrebbero potuto ottenere copia degli atti e la trascrizione peritale del contenuto delle intercettazioni

4) in vista dell’emissione dell’avviso di conclusione indagini preliminari o di decreto di giudizio immediato ove non fosse già intervenuta la procedura ex art. 268 cpp e vi fossero conversazioni inutilizzabili, contenenti dati sensibili non pertinenti all’accertamento dei reati o comunque irrilevanti si sarebbe richiesto l’avvio della procedura ex art. 268 cpp

5) le conversazioni inutilizzabili, contenenti dati sensibili non pertinenti all’accertamento dei reati o comunque irrilevanti non sarebbero state oggetto di trascrizione sommaria ai sensi dell’art. 268 comma II cpp e il pm con apposito decreto, ove verificata la rilevanza, né avrebbe autorizzato la trascrizione sommaria.

3. Il d.lgs 216/2017

Al fine di attuare gli obiettivi della legge delega il legislatore delegato, nell’originaria formulazione del d.lgs 216/2017, aveva attributo un ruolo fondamentale al momento della selezione delle intercettazioni, prevedendo una disciplina bifasica che si snodava attraverso il deposito delle registrazioni e dei verbali e la successiva acquisizione al fascicolo del pm delle conversazioni e comunicazioni in essi contenute.

Tale procedura, nell’ottica del legislatore, si sarebbe dovuta espletare in un momento certo e tendenzialmente prossimo alla chiusura delle indagini. Infatti nella relazione illustrativa del d.lgs 216/2017 si faceva riferimento alla necessità di “escludere in tempi ragionevolmente certi e prossimi alla conclusione delle indagini le intercettazioni e la documentazione alle stesse relativa non rilevante a fini di giustizia nella prospettiva di impedire l’indebita divulgazione di fatti e riferimenti a persone estranee alla vicenda oggetto dell’attività investigativa e si sottolineava la necessità che contestualmente al deposito il pm fosse tenuto ad elencare le intercettazioni utili a fini della prospettiva di accusa selezionando – testualmente – “fin da subito” il materiale ritenuto utile a fini di prova e dunque oggetto della successiva trascrizione.

Il meccanismo individuato dal decreto 216/2017 per impedire l’indebita diffusione delle comunicazione intercettate si basava su una novità rispetto al passato costituita dalla fase di acquisizione al fascicolo del pm degli atti relativi alle intercettazioni che, prima dell’acquisizione, restavano custodite in un archivio riservato ed erano coperte da segreto. All’acquisizione al fascicolo del pm si giungeva attraverso una procedura di selezione di nuova introduzione particolarmente elaborata e dettagliata.

I passaggi descritti venivano realizzati attraverso numerose modifiche normative.

Veniva modificato l’art. 269 I comma cpp dedicato alla conservazione della documentazione, con la previsione secondo cui i verbali, le registrazioni ed ogni atto ad esse relativi dovevano essere conservati non più, genericamente, presso il pm che ha disposto l’intercettazione ma in apposito archivio riservato presso l’ufficio del pm che aveva richiesto ed eseguito le intercettazioni e tali atti erano coperti da segreto. A tale archivio potevano accedere il giudice il pm e i difensori dell’imputato solo per l’ascolto delle conversazioni registrate. All’art. 269 cpp veniva introdotto il comma I bis con cui si stabiliva che non sono coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni acquisite al fascicolo del pm

Nelle disposizioni di attuazione al cpp veniva introdotto l’art. 89 bis che disciplinava il funzionamento dell’archivio riservato prevedendo che prima della selezione i difensori potessero accedere a tale archivio, ma senza il diritto di copia e che ogni accesso delle parti (pm, pg, giudice e difensori) doveva essere documentato con annotazione in apposito registro.

Per rafforzare l’obbligo di segretezza veniva modificato l’art. 329 cpp norma sull’obbligo del segreto[1], aggiungendo agli atti coperti da segreto anche le richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste (si tratta di modifica che non è stata abrogata dal dl 161/2019 ed è tuttora in vigore).

L’art. 268 cpp. veniva smembrato e privato di parte dell’originario comma IV e dei commi successivi, e restava dedicato alla disciplina dell’esecuzione delle operazioni e alla trasmissione delle registrazione e dei verbali al pm

Il comma IV dell’art. 268 cpp restava dedicato alla trasmissione da parte della pg dei verbali e delle registrazioni e, a differenza della previsione originaria che prevedeva soltanto una trasmissione immediata al pm, stabiliva che la trasmissione da parte della pg dovesse avvenire immediatamente dopo la scadenza dei termini fissati dai provvedimenti autorizzativi e di proroga per la conservazione nell’archivio riservato.

Si prevedeva, a differenza della formulazione originaria, la possibilità che il pm differisse tale trasmissione nei casi in cui la pg avesse bisogno di un riascolto complessivo per verificare la rilevanza delle nuove conversazioni intercettate. Tale disposizione appariva in stretta connessione con l’obbligo attribuito alla pg di escludere dalle trascrizioni sommarie le conversazioni irrilevanti previsto dall’art. 268 comma II bis cpp introdotto dal d.lgs 216/2017[2].

Al deposito, originariamente previsto dalla seconda parte del comma IV veniva dedicato un apposito articolo, il 268 bis cpp: tra gli atti da depositare oltre ai verbali, alle registrazioni e ai decreti che hanno disposto, convalidato o autorizzato le registrazioni erano indicate anche le annotazioni. Si riteneva che tali annotazioni fossero quelle annotazioni previste dall’art. 267 comma IV di nuova introduzione ossia quelle con cui la pg informava il pm sui contenuti delle conversazioni (nella relazione illustrativa al d.lgs si legge che tali annotazioni dovevano essere redatte dalla pg in caso di dubbio sulla rilevanza delle conversazioni da trascrivere nei brogliacci).

Veniva poi previsto un obbligo per il pm, contestuale al deposito, di formare l’elenco delle conversazioni rilevanti a fini di prova di cui richiedere l’acquisizione.

Il pm doveva dare immediatamente avviso ai difensori della facoltà di esaminare gli atti, ascoltare le registrazioni e visionare l’elenco depositato dal pm. La norma non prevedeva, a differenza della disciplina originaria, che il pm fissasse un termine di durata del deposito, entro il quale i difensori potessero esercitare il diritto di ascolto ed esame del materiale depositato e questo perché tale fase era regolata dal giudice nell’ambito della procedura selezione prevista dall’art. 268 ter cpp

Restava intatta la possibilità di chiedere al giudice l’autorizzazione al ritardato deposito fino alla conclusione delle indagini per scongiurare pregiudizio per le indagini.

I successivi artt. 268 ter e 268 quater cpp introducevano una disciplina innovativa prevedendo la fase di acquisizione delle intercettazioni al fascicolo del pm

L’art. 286 ter cpp prevedeva due modalità di acquisizione:

1) una speciale modalità di acquisizione finalizzata all’utilizzo delle conversazioni per l’adozione di misure cautelari, necessariamente senza contraddittorio (primo comma);

2) una modalità ordinaria di acquisizione nel contraddittorio delle parti che, nell’ottica del legislatore sarebbe dovuta avvenire il prima possibile, salvo la possibilità anche in momenti successivi di riattivare la procedura per consentire il transito di altre conversazioni dall’archivio riservato al fascicolo del pm non acquisite in precedenza (secondo comma e ss).

1) La modalità ordinaria disciplinata dai commi II e ss dell’art. 268 ter prevedeva uno schema assai dettagliato:

- il pm entro cinque giorni dal deposito previsto dall’art. 286 bis cpp presentava al giudice la richiesta di acquisizione delle conversazioni indicate nell’elenco già depositato. Al giudice veniva depositata solo la richiesta che richiamava l’elenco dei progressivi di cui si richiede l’acquisizione, mentre annotazioni, verbali e registrazioni restavano custodite nell’archivio riservato;

- i difensori, nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell’avviso di cui all’articolo 268 bis, comma 2, avevano facoltà di richiedere l’acquisizione delle intercettazioni rilevanti a fini di prova, non comprese nell’elenco formato dal pubblico ministero, ovvero l’eliminazione di quelle, ivi indicate, inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione, anche sommaria, nel verbale, ai sensi di quanto disposto dal comma 2-bis dell’articolo 268. Per espletare tale attività era prevista una proroga da parte del giudice su richiesta del difensore senza contraddittorio con il pm;

- le richieste dei difensori erano depositate presso l’ufficio del pm e il pm trasmetteva le richieste della difesa immediatamente al giudice;

- prima della decisione erano previste integrazioni delle richieste delle parti o presentazioni di memorie sulle richieste di controparte;

- in tale lasso di tempo il pm poteva chiedere l’eliminazione dal suo elenco di alcune conversazioni se ne riteneva l’irrilevanza per elementi sopravvenuti rispetto al momento della richiesta.

L’art. 268-quater cpp disciplinava l’intervento del giudice prevedendo che:

- decorsi cinque giorni dalla presentazione delle richieste, il giudice disponeva con ordinanza de plano l’acquisizione delle conversazioni e comunicazioni indicate dalle parti, salvo che le ritenesse manifestamente irrilevanti e, nel contempo, ordinava lo stralcio di quelle inutilizzabili. A tal fine poteva procedere all’ascolto con accesso all’archivio riservato;

- se il giudice riteneva necessario un contraddittorio ulteriore rispetto a quello cartolare già intervenuto tra pm e Difensore, fissava un udienza in camera di consiglio per sentire le parti;

- l’ordinanza del giudice consentiva il passaggio delle intercettazioni acquisite al fascicolo del pm e faceva venire meno il segreto su tali atti (il giudice poteva ordinare la trascrizione sommaria delle conversazioni acquisite se non già trascritte nella fase di ascolto).

- da quel momento i difensori avevano diritto di copia di verbali e registrazioni;

- gli atti non acquisiti venivano restituiti al pm e ritornavano nell’archivio riservato;

- competente ad eseguire la selezione era il giudice che aveva disposto le intercettazioni.

La trascrizione integrale delle intercettazioni selezionate, a differenza di quanto accadeva con il vecchio regime, veniva posta al di fuori della procedura di selezione ed era di regola demandata alla fase dibattimentale: era stato infatti introdotto l’art. 493 bis cpp che prevedeva che, su richiesta delle parti, il giudice disponesse la trascrizione delle intercettazioni già acquisite, con le formalità della perizia e stabiliva il diritto di copia delle parti.

La separazione tra la fase di selezione e di trascrizione consentiva di alleggerire la fase dell’acquisizione dal fardello costituito dalla perizia e rendeva più agevole l’accesso alla procedura.

2) La procedura di selezione senza contraddittorio per le misure cautelari prevedeva che l’acquisizione delle comunicazioni o conversazioni utilizzate, nel corso delle indagini preliminari, per l’adozione di una misura cautelare fosse disposta dal pubblico ministero, con inserimento dei verbali e degli atti ad esse relativi nel fascicolo di cui all’articolo 373, comma 5.

Dunque in tale caso l’acquisizione avveniva in assenza di deposito alle parti.

Veniva inoltre riconosciuto un potere di selezione ex officio da parte del giudice che emetteva la misura cautelare ulteriore rispetto a quello del pm: il comma I bis dell’art. 92 disp att cpp introdotto con il d.lgs prevedeva – e come vedremo, prevede anche dopo le modifiche – che, dopo l’emissione della misura cautelare il giudice restituisse al pm gli atti relativi alle intercettazioni ritenute non rilevanti e inutilizzabili.

In tali casi la caduta del segreto era quindi collegata alla selezione del pm e del giudice in assenza di alcuna forma di contraddittorio con la Difesa.

In parallelo l’art. 291 cpp comma I veniva modificato prevedendo che tra gli elementi che il pm doveva presentare al giudice con la richiesta cautelare vi fossero anche i verbali di cui all’art. 268 comma II limitatamente alle conversazioni rilevanti. Tale modifica appariva funzionale all’obbligo di restituzione previsto per il giudice dall’art. 92 comma I bis disp att cpp

Il sistema a tutela della riservatezza in fase cautelare si completava con l’inserimento del comma I ter dell’art. 291 cpp e del 2 ter dell’art. 292 cpp., norme tuttora in vigore in quanto non abrogate dal dl 161/2019 che prevedono che nella richiesta cautelare e nell’ordinanza cautelare solo quando è necessario debbano essere riprodotti i brani essenziali delle conversazioni intercettate.

La caduta del segreto dopo l’acquisizione al fascicolo del pm era sottolineata dalla modifica dell’art. 293 comma III cpp. in materia di adempimenti esecutivi successivi all’emissione di misura cautelare con cui si prevedeva espressamente il diritto del difensore all’esame e copia delle conversazioni intercettate e alla trasposizione delle registrazioni su idoneo supporto. Si trattava di una previsione conforme alla sentenza della Corte Costituzionale 336/2008 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 cpp nella parte in cui non prevedeva che dopo la notificazione o l’esecuzione di una misura cautelare personale il difensore potesse ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. Tale norma è stata abrogata dal dl. 161/2019.

Erano poi stati previsti ulteriori momenti di selezione successivi a quello ordinario sia in fase di udienza preliminare, sia in fase dibattimentale.

Era infatti stato aggiunto il comma IV bis all’art. 422 cpp che prevedeva la possibilità di acquisire intercettazioni rilevanti a fini di richiesta di proscioglimento applicando la procedura degli artt. 268 ter e quater cpp.

Era stato modificato l’art. 472 I comma cpp che disciplina le ipotesi in cui si procede a dibattimento a porte chiuse, prevedendo tra i casi, quello in cui si doveva procedere alle operazioni di cui all’art. 268 ter cpp ove le parti rinnovassero le richieste non accolte e richiedessero acquisizioni ulteriori se la loro rilevanza fosse emersa in sede dibattimentale.

Il d.lgs 216/2017 era stato oggetto di osservazioni critiche sotto molti profili da parte dei commentatori e dei magistrati ed avvocati chiamati ad applicare le nuove norme.

Con la disciplina sull’acquisizione al fascicolo del pm la tradizionale procedura di selezione finalizzata all’acquisizione dibattimentale delle intercettazioni mutava radicalmente funzione, perché diveniva lo strumento attraverso cui gli atti relativi alle intercettazioni transitavano nel fascicolo del pm secondo una regola per cui prima di tale momento tali atti, collocati nell’archivio riservato, erano separati non solo fisicamente, ma anche giuridicamente dal fascicolo del pm.

L’assenza “giuridica” nel fascicolo del pm degli atti riguardanti l’intercettazione fino al momento dell’acquisizione, poco compatibile con il complesso delle norme processuali processuale poneva diversi problemi.

In primo luogo non era ben chiaro cosa dovesse essere conservato nell’archivio riservato: il I comma dell’art. 269 cpp faceva riferimento (oltre che alle annotazioni previste dall’art. 267 comma IV) non soltanto ai verbali e alle registrazioni ma anche ad ogni altro atto alle stesse relativo. L’utilizzo di tale espressione, riferita alle registrazioni, poteva indurre ad un’interpretazione secondo cui nell’archivio riservato dovessero essere custoditi anche i provvedimenti di richiesta e di autorizzazione delle intercettazioni nei quali spesso sono riportati brani di conversazioni sommariamente trascritte o oggetto di trascrizione integrale da parte della pg la cui diffusione in assenza di selezione, avrebbe potuto seriamente pregiudicare le finalità per cui era stato istituito l’archivio riservato. Seguendo tale interpretazione si sarebbero sottratti al fascicolo del pm atti che pacificamente ne fanno parte e che sono indispensabili ai fini del controllo di ammissibilità e regolarità delle operazioni di intercettazione.

Non era neppure chiaro cosa materialmente venisse acquisito al fascicolo del pm: il comma II dell’art. 268 quater cpp faceva riferimento “agli atti e i verbali delle conversazioni oggetto di acquisizione”, norma che faceva propendere per ritenere che le registrazioni restassero custodite sempre nell’archivio riservato.

Nel caso di misura cautelare, a differenza della procedura ordinaria, l’art. 268 ter comma I cpp, non prevedeva, dopo la selezione effettuata unilateralmente dal pm, quanto meno fino al dibattimento, ulteriori momenti in cui la difesa potesse interloquire chiedendo a sua volta l’acquisizione di altre intercettazioni o l’esclusione di quelle indicate dal pm, se non nei limitati casi di cui all’art. 422 cpp ai soli fini del proscioglimento. Mancava nella norma l’ipotesi in cui la difesa optasse per riti alternativi, con particolare riguardo a quello abbreviato: se, invero, l’acquisizione di ulteriori progressivi precedentemente non inclusi nel fascicolo del pubblico ministero poteva essere ritenuta compatibile con l’istanza difensiva di rito abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non si comprendeva cosa sarebbe accaduto nel caso in cui le intercettazioni non fossero confluite nel fascicolo né se il giudizio allo stato degli atti ne potesse tenere comunque conto.

Per colmare tali lacune si sarebbe dovuto optare per un’interpretazione che consentisse di adattare le norme sulla procedura ordinaria che prevedevano l’iniziativa della selezione da parte del pm ai casi in cui dopo la misura cautelare l’iniziativa di acquisire ulteriori intercettazioni fosse provenuta dalla difesa.

E, comunque, poiché in linea generale la procedura di acquisizione, attivabile solo su iniziativa del pm non era prevista come obbligatoria, in tutti i casi in cui non fosse stata attivata, gli atti relativi alle intercettazioni sarebbero rimasti confinati in un luogo diverso dal fascicolo del pm e coperti da segreto indipendentemente dalla fase processuale. Di fatto, dunque sarebbero stati inutilizzabili. Soluzione questa contrastante con le norme riguardanti l’utilizzabilità delle intercettazioni di cui all’art. 271 cpp che non erano state modificate con la previsione di un’ipotesi di inutilizzabilità connessa al mancato espletamento delle procedura di cui agli artt. 286, bis, ter e quater.

Il collegamento introdotto dal legislatore tra fase di acquisizione e caduta del segreto introduceva inoltre disciplina specifica e atipica del segreto con riferimento alle intercettazioni, poiché, in costanza del segreto su tali atti, era comunque consentito l’accesso all’archivio riservato ai difensori ed al giudice come espressamente previsto dal primo comma dell’art. 269 modificato dal d.lgs 216/2017.

Con specifico riguardo ai criteri che il giudice doveva utilizzare per la selezione si registrava una limitazione del potere del giudice di escludere le intercettazioni indicate come rilevanti dalle parti ai soli casi di manifesta irrilevanza (formulazione questa analoga a quella prevista originariamente dall’art. 286 VI comma cpp) mentre il potere di stralciare era pieno solo nei casi di intercettazioni inutilizzabili.

4. Il decreto legge 161 del 30 dicembre 2019

Importanti modifiche sono state apportate alla procedura di deposito e selezione delle intercettazioni, plasticamente rappresentate dall’abrogazione degli artt. 286 bis, ter e quater introdotti dal d.lgs 216\2017.

Nel comunicato della Presidenza del Consiglio che ha preceduto la pubblicazione del decreto legge al quarto punto si afferma che le modifiche in materia di deposito e selezione sono relative all’introduzione di un meccanismo non obbligatorio di acquisizione giudiziale anticipata delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari o, ove tale meccanismo non sia attivato dalle parti, una selezione delle conversazioni rilevanti ed utilizzabili in sede di chiusura delle indagini preliminari.

Nella relazione di presentazione al Senato del disegno di legge di conversione del dl si afferma che “ il decreto-legge è volto, sostanzialmente, a innovare la disciplina delle intercettazioni telefoniche in funzione della necessaria tutela della riservatezza delle persone apportando nel contempo correttivi volti a eliminare alcuni effetti distorsivi, specialmente sul piano della tutela delle garanzie difensive e della funzionalità nello svolgersi delle indagini preliminari, che si potrebbero produrre con l’immediata ed integrale applicazione del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216” e, quanto alle modifiche all’art. 268 cpp, si afferma che “le stesse sono volte a ripristinare il procedimento di stralcio già contemplato dalle norme codicistiche in materia e sostituito con la più complessa procedura di acquisizione del DLvo 216\2017 che viene perciò soppressa

Con l’abrogazione degli artt. 286 bis, ter e quater cpp e della seconda parte del comma I e del comma I bis dell’art. 269 cpp scompare dalla normativa il riferimento all’acquisizione delle intercettazioni al fascicolo del pm e il collegamento tra tale acquisizione e la caduta del segreto sugli atti.

Viene però modificato l’art.114 cpp con l’introduzione del comma II bis che stabilisce che è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi dell’art. 268 e 415 bis cpp norma che amplia per le intercettazioni l’ambito di operatività del divieto di pubblicazione previsto per gli altri atti.

Restano in vigore, sia pure con importanti modifiche le disposizioni che prevedono e regolamentano l’archivio per la conservazione delle intercettazioni.

Nella nuova formulazione l’art 269 cpp prevede la conservazione di registrazioni, verbali ed ogni alto atto relativo alle intercettazioni in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Viene abrogata la parte del primo comma che stabiliva che tali atti erano coperti da segreto.

L’art. 89 bis disp. att. cpp il cui titolo non è più “archivio riservato delle intercettazioni” ma solo “archivio delle intercettazioni” stabilisce che tale archivio è tenuto in forma digitale dunque gestito esclusivamente in modo informatico, (mentre la precedente formulazione prevedeva una gestione “anche” dunque non necessariamente con modalità informatiche), sotto la direzione del Procuratore della Repubblica con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle conversazioni non necessarie per il procedimento, e a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione, ovvero riguardanti categorie di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia (mentre la precedente formulazione faceva riferimento alla tutela della segretezza di tutta documentazione custodita).

Si osserva che mentre nell’art. 269 cpp è stato espressamente abrogato il riferimento alla segretezza degli atti contenuti nell’archivio riservato, nell’art. 89 disp. att. cpp la segretezza rivive – rafforzata dalla gestione totalmente telematica dell’archivio e dalla responsabilizzazione del Procuratore della Repubblica nella tenuta dell’archivio stesso – anche se solo con riferimento a una parte della documentazione contenuta nell’archivio, ovvero quella la cui diffusione potrebbe ledere la privacy o la reputazione dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni.

Si può ritenere che venuta meno la separazione anche giuridica tra gli atti contenuti nel fascicolo del pm e quelli relativi alle intercettazioni custoditi nell’archivio, delineata dal meccanismo acquisitivo del d.lgs 2161/2017, non sia più stata ritenuta necessaria una norma ad hoc sul segreto di questi ultimi atti, dovendosi applicare a tutti gli atti le norme generali in materia di segreto investigativo. Il riferimento alla segretezza contenuto nell’art. 89 disp att. può essere ritenuto un’espressione atecnica volta ad indicare la particolare attenzione da porre nella custodia di tali atti che, per il loro contenuto, non supereranno mai la fase di selezione e non saranno mai disponibili alle parti in copia.

L’art. 268 cpp si riappropria della disciplina del deposito della selezione delle intercettazioni che il d.lgs 216/2017 aveva demandato ai successivi artt. 268 bis, ter e quater.

Viene riproposta la vecchia struttura della norma di cui all’art. 268 con alcune importanti modifiche rispetto alla formulazione ante riforma che rispondono ai criteri fissati dalla legge delega.

Quindi il 268 cpp nella formula vigente ai commi 4 e ss cpp è così formulato:

Comma 4: I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio di cui all’articolo 269, comma 1.[3] Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.

Vengono espunti dalla norma i riferimenti alle annotazioni in conseguenza dell’abrogazione del comma IV dell’art. 267 cpp

La previsione secondo cui entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni i verbali e le registrazioni debbano essere depositate nell’archivio telematico – il cui accesso anche da parte del pm e della pg è soggetto ad una disciplina di controlli rigorosi – potrebbe rendere più complicata l’attività di riascolto e riesame del materiale da parte della pg e del pm, ad esempio ai fini della redazione dell’annotazione finale o della richiesta di misura cautelare, rispetto a quanto accaduto finora, quando il materiale era depositato insieme agli altri atti del fascicolo nella segreteria del pm

Comma V: Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

La norma resta invariata.

Comma VI: Ai difensori dell’imputato è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, per via telematica hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima.

L’intento di non far circolare copie cartacee delle intercettazioni è efficacemente perseguito attraverso la norma che prevede che l’esame degli atti avvenga soltanto in via telematica.

La valutazione sulla selezione rimessa al giudice diventa più stringente rispetto a quella prevista originariamente dalla norma e anche dall’art. 286 ter cpp introdotto d.lgs 2016/2017 secondo cui l’esclusione era prevista solo per le intercettazioni manifestamente irrilevanti. Dunque il canone valutativo del giudice ai fini dell’esclusione delle conversazioni indicate dalle parti come rilevanti, si allinea a quello delle parti stesse e si prevede inoltre il potere del giudice di stralciare non soltanto le conversazioni inutilizzabili ma anche quelle contenenti dati sensibili se non rilevanti.

Comma VII: il giudice, anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’articolo 431, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.

Un’importante novità è costituita dalla previsione della possibilità che la trascrizione delle intercettazioni selezionate venga eseguita in una fase immediatamente antecedente a quella dibattimentale.

Viene confermata la scelta del d.lgs 2016/2017 di separare la fase della selezione da quella della trascrizione ma si anticipa la trascrizione al termine dell’udienza preliminare: tale scelta risponde alla esigenza di non dilatare la durata del dibattimento con attività che possono paralizzare l’istruttoria, mantenendo al contempo la possibilità di non procedere ad un’attività così onerosa come la trascrizione se il processo si conclude nella fase dell’udienza preliminare con riti alternativi.

La scelta di collocare tale adempimento all’esito dell’udienza preliminare è, dunque, una scelta che corrisponde ad esigenze di economia processuale.

Viene abrogato l’art. 493 bis cpp introdotto dal d.lgs 216/2017 che collocava l’attività di trascrizione delle intercettazioni in quella di ammissione delle prove.

Comma VIII: i difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su idoneo supporto. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7.»;

La norma resta invariata rispetto alla originaria formulazione.

La norma di cui all’art. 268 cpp deve essere letta unitamente alle modifiche apportate dal dl agli artt. 415 bis cpp e 454 cpp

Tali modifiche sembrano, in parte, corrispondere ai criteri fissati dalla legge delega secondo cui in vista dell’emissione dell’avviso di conclusione indagini preliminari o di decreto di giudizio immediato ove non fosse già intervenuta la procedura ex art. 268 cpp si sarebbe dovuto richiedere l’avvio della procedura di selezione, prevedendo, però, una disciplina per cui la selezione intesa come intervento di acquisizione o di esclusione da parte del giudice è del tutto residuale.

All’art. 415 bis cpp è stato aggiunto, dopo il comma II, il comma 2 bis cpp che prevede “qualora non si sia proceduto ai sensi dell’art. 268 IV, V e VI, l’avviso contiene inoltre l’avvertimento che l’indagato ed il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti relativi ad intercettazioni, ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni telematiche e che hanno facoltà di estrarre copia delle registrazioni e dei flussi indicati come rilevanti dal pm.

Il difensore può depositare, entro il termine di 20 giorni l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia.

Sull’istanza provvede il pm con decreto motivato.

In caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle conversazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinchè si proceda nelle forme di cui all’art. 268 comma VI”

L’avviso previsto dall’art. 268 cpp viene trasfuso nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, con l’aggiunta della facoltà per il difensore di chiedere la copia delle intercettazioni indicate rilevanti dal pm.

Tale norma presuppone, anche se non lo prevede esplicitamente, l’allegazione da parte del pm di un elenco di intercettazioni rilevanti, necessità questa confermata dal riferimento al comma successivo alla facoltà per i difensori, dopo l’ascolto delle conversazioni e l’esame della documentazione, di depositare un elenco di conversazioni ritenute rilevanti ulteriori rispetto a quelle indicate dal pm.

Il decreto del pm di accoglimento della richiesta di copia implica una valutazione positiva della rilevanza delle intercettazioni indicate dalla Difesa che vengono pertanto selezionate a fini di prova unitamente a quelle già unilateralmente selezionate dal pm.

Non viene più fatto alcun cenno ad una fase di acquisizione, ma esclusivamente ad una selezione gestita dal pm che consente di escludere dal diritto di copia le intercettazioni inutilizzabili o consente dati sensibili che non risultino rilevanti.

La presenza in tale fase di un capo di incolpazione, sia pure provvisorio, rende adeguata la scelta del criterio di rilevanza come canone per la selezione.

In caso di rigetto delle richieste difensive da parte del pm o di contestazioni da parte della difesa sulle conversazioni rilevanti, il difensore può rivolgersi al giudice per richiedere l’espletamento della disciplina prevista dagli artt. 268 comma VI volta come detto, dopo ultime modifiche, all’acquisizione delle conversazioni “rilevanti” e allo stralcio di quelle di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza.

La soluzione tecnica di trasfondere l’avviso che dà l’avvio alla selezione nell’avviso ex art. 415 bis cpp e di consentire alla difesa di attivarsi per la selezione è funzionale a rendere, di fatto, obbligatoria la procedura di stralcio in un momento contestuale al deposito degli atti ed assicurare alla difesa il diritto di copia in tempi che consentano un adeguato studio esame atti sia in vista del dibattimento, sia in caso di scelta di riti alternativi all’udienza preliminare.

La mancata indicazione di tale avviso non è esplicitamente prevista come ipotesi di nullità della richiesta di rinvio a giudizio o inutilizzabilità. Tuttavia in presenza di tale omissione e di un rifiuto del pm di autorizzare il rilascio di copia alle difese si potrebbe configurare una nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa, come prospettato dalla Suprema Corte nella sentenza 38409/2017 sopra richiamata, laddove si osservava che ove la Difesa richieda copia integrale delle registrazioni a seguito dell’emissione di avviso ex art. 415 cpp, in assenza di preventiva udienza stralcio, il pm era tenuto a promuovere la procedura di stralcio ove ritenesse che tra le conversazioni intercettate ve ne fossero alcune inutilizzabili o contenenti dati sensibili, al fine di escluderle nel contraddittorio delle parti e che, in caso contrario sarebbe stato ingiustamente precluso il diritto di difesa con conseguente integrazione della nullità di ordine generale.

All’art. 454 cpp dopo il comma II viene aggiunto il comma II bis che prevede “qualora non abbia proceduto ai sensi dell’art. 268 commi 4,5 e 6, con la richiesta il pm deposita l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazione informatiche e telematiche rilevanti ai fini di prova. Entro 15 giorni dalla notifica prevista dall’art. 456 comma IV il difensore può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull’istanza provvede il pm con decreto motivato.

In caso di rigetto dell’istanza o di contestazione sulle indicazioni relative alle intercettazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinchè si proceda nelle forme di cui all’art. 268 comma VI.”

La modifica dell’art. 454 cpp onera il pm in modo esplicito (a differenza di quanto previsto dall’art. 415 bis cpp) dell’obbligo di depositare dell’elenco delle conversazioni rilevanti, formulazione questa che sembra riprendere quella contenuta nella disciplina finalizzata alla procedura di acquisizione prevista dall’abrogato art. 286 ter cpp.

Il termine concesso alla difesa per l’esame di tale elenco è inferiore a quello previsto dall’art. 415 cpp, soluzione questa che sembrerebbe tenere conto che in moltissimi casi la richiesta di giudizio immediato segue una fase cautelare in cui il diritto di ascolto e anche di copia delle intercettazioni è già stato esercitato dal difensore dopo l’esecuzione delle misure cautelari.

Sono poi previsti, analogamente a quanto accade per l’art. 415 bis cpp: la facoltà per i difensori di depositare l’elenco delle ulteriori conversazioni ritenute rilevanti e di chiedere copia delle stesse, il provvedimento del pm su tale istanza, la possibilità in caso di diniego o contestazione, di rivolgersi al giudice per attivare la procedura dall’art. 268 comma VI cpp.

Nessuna modifica è stata apportata all’art. 456 cpp, norma che regola il decreto di giudizio immediato: pertanto a differenza dell’avviso ex art. 415 cpp non è previsto, per la selezione in fase di giudizio immediato, uno specifico avviso ai difensori della facoltà di ascoltare le intercettazioni.

Nè è stato ampliato il termine di 15 giorni previsto dalla norma per le richieste di riti alternativi che viene ad oggi coincidere con quello in cui il difensore deve depositare l’elenco delle intercettazioni rilevanti di cui chiede copia. Potrebbe pertanto accadere che l’imputato sia costretto a richiedere il giudizio abbreviato al buio, cioè senza sapere se le conversazioni ritenute rilevanti dal proprio difensore siano o meno selezionate dal pm (che dopo i 15 giorni potrebbe non avere ancora evaso la richiesta di copia) o, in caso negativo, se siano positivamente valutate dal giudice con la procedura ex art. 286 cpp attivata dal difensore.

In linea generale la novità del dl 161/2019 è costituita dall’introduzione di una procedura di selezione più snella di quella disciplinata in via generale dall’art. 268 cpp, da espletarsi in momenti chiave per l’esercizio del diritto di difesa.

Tale procedura è affidata, in prima battuta al pm che, al momento della chiusura delle indagini, meglio di chiunque conosce gli atti relativi all’intercettazione. L’intervento del giudice diviene meramente eventuale solo ove la difesa lo ritenga necessario per una valutazione terza sulla rilevanza delle intercettazioni da selezionare.

Il dl 161/2019 ha abrogato le modifiche apportate dal d.lgs 216/2017 agli artt. 422 cpp e 472 cpp che prevedevano la possibilità di riattivare la procedura di acquisizione delle intercettazioni in udienza preliminare come attività integrativa finalizzata al proscioglimento e in sede dibattimentale.

Tale abrogazione si spiega con il venir meno della fase di acquisizione delle intercettazioni al fascicolo del pm, senza la quale, secondo il d.lgs 216/2016, l’attività di intercettazione sarebbe rimasta fuori dal perimetro probatorio. Ad oggi nulla esclude che anche dopo la selezione di cui all’art. 268 cpp, di cui agli artt. 415 bis cpp e 454 cpp le parti, nelle diverse fasi processuali, indichino al giudice nuove conversazioni ritenute rilevanti attraverso richieste integrative di prova.

Il dl 161/20129 ha abrogato le modifiche apportate dal d.lgs 216/2017 all’art. 291 cpp. nella parte in cui prevedeva che tra gli atti trasmessi dal pm a fondamento della misura cautelare fossero compresi i verbali di cui all’art. 268 cpp (ossia i brogliacci) limitatamente alle conversazioni e comunicazioni rilevanti, norma questa attraverso cui si effettuava in concreto l’attività di acquisizione al fascicolo al momento delle richiesta cautelare prevista dall’art. 286 ter comma I oggi abrogato.

Ha inoltre abrogato la modifica all’art. 293 cpp. nella parte relativa al diritto di esame e copia degli atti relativi alle intercettazioni e di trasposizione delle registrazioni utilizzate per le misure cautelari. Non si comprende il motivo di tale abrogazione considerato che si trattava di una modifica che corrispondeva a quanto già riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 336/2008. Credo che sia ancora possibile un intervento in sede di conversione che impedisca un ritorno alla disciplina previgente rispetto alla sentenza della Corte Costituzionale. Diversamente si porrà a brevissimo il problema relativo all’attuale esistenza di un diritto di copia per la difesa dopo l’esecuzione del provvedimento cautelare, e in caso di soluzione negativa, potrebbe richiedersi nuovamente un intervento della Corte Costituzionale sul punto.

Restano invece in vigore le modifiche agli artt. 291 e 292 cpp. in materia di riproduzione di brani di intercettazione. Tali norme, che non prevedono alcuna sanzione processuale in caso di inosservanza, pongono una serie di questioni rilevanti anche a fini difensivi. Gli addetti ai lavori sanno bene che il controllo sulla motivazione potrebbe diventare più complicato se il giudice anziché fornire il dato obiettivo costituito dal contenuto della conversazione, ne faccia una parafrasi con il rischio di indicare come dato obiettivo il frutto di una sua interpretazione. È però anche vero che lo sforzo di selezione dei brani rilevanti richiesto al pm ed al giudice produrrà una maggiore attenzione verso l’esclusione di conversazioni o di parti di esse manifestamente non pertinenti e incidenti in negativo sulla privacy o sulla reputazione dei soggetti intercettati.

Resta in vigore la modifica dell’art. 92 disp att. cpp nella parte in cui prevede che con l’ordinanza cautelare il giudice restituisce al pm per la conservazione nell’archivio gli atti contenenti le conversazioni intercettate ritenute non rilevanti o inutilizzabili. Tale norma appare in concreto di difficile applicazione a seguito dell’abrogazione delle modifiche dell’art. 291 relativa alla trasmissione dei brogliacci. Ad oggi non si comprende esattamente cosa il giudice debba restituire al pm se, come solitamente accade, le intercettazioni trasmesse a corredo della richiesta cautelare sono solo quelle inserite nelle annotazioni di pg.

5. Qualche considerazione

Gli interventi progressivi sulle norme in materia di intercettazioni hanno messo in evidenza la difficoltà di coniugare in modo ottimale le esigenze probatorie e il diritto di difesa con la tutela della riservatezza.

L’inziale scelta di separare gli atti relativi alle intercettazioni dal fascicolo del pm, prevedendo poi un’acquisizione successiva attraverso una complicata attività di selezione, si è rivelata un meccanismo troppo rigido e foriero di ambiguità.

Parimenti la creazione di una disciplina atipica del segreto sugli atti relativi alle intercettazioni snaturava la tradizionale funzione investigativa del segreto piegandola ad esigenze di tutela della riservatezza che devono trovare la giusta tutela in un’adeguata regolamentazione del diritto al rilascio di copia, con modalità tali da impedire la diffusione di informazioni lesive della riservatezza e della reputazioni, se non rilevanti per le indagini o il processo.

La scelta del dl 161/2019 di abrogare le norme sul segreto e sull’acquisizione introdotte dal d.lgs 216/2017 consente di ritenere che gli atti custoditi nell’archivio telematico non siano giuridicamente estranei al fascicolo del pm, ma si differenzino dagli altri atti solo per un diverso regime di pubblicità, secondo cui il diritto alla copia e il venire meno del divieto alla pubblicazione del contenuto degli stessi non conseguono automaticamente al deposito, ma richiedono un momento selettivo a tutela della riservatezza.

Il tentativo di incentivare l’attivazione della procedura di selezione delle intercettazioni attraverso forme semplificate rispetto a quelle originarie è utile a realizzare un giusto contemperamento tra la tutela della riservatezza e le esigenze del diritto di difesa che può essere esplicato pienamente solo attraverso il diritto di copia.

Occorre però sempre tenere conto che il pericolo di diffusione di conversazioni non rilevanti e lesive della reputazione o della privacy dell’indagato o di terzi estranei non è legato esclusivamente alla disciplina dell’attività di intercettazione.

Sappiamo infatti che sovente le conversazioni, oltre ad essere annotate nei brogliacci, sono soggette a trascrizioni integrali dalla pg in occasione delle annotazioni con cui si riferisce al pm quanto emerso dalle operazioni e si richiede la proroga delle stesse o in occasione dell’attivazione di nuove utenze o anche in occasione dell’annotazione finale riassuntiva degli esiti di un’indagine.

Accade di frequente che tali annotazioni contengano trascrizioni di comunicazioni il cui contenuto ha ad oggetto notizie riservate soprattutto nelle fasi iniziali di un’indagine quando non essendo del tutto chiaro il perimetro investigativo, vengono riportate quasi tutte le conversazioni intercettate ai fini delle richieste di proroga, anche perché ciò che inizialmente può sembrare irrilevante può diventare in seguito rilevante.

Tali annotazioni confluiscono pacificamente nel fascicolo del pm e sono depositate unitamente agli atti di indagini secondo le normali scansioni processuali. In relazione a tali atti il diritto di copia non è subordinato ad alcuna attività di selezione.

Questo, a mio avviso, rende evidente che un’efficace tutela della riservatezza passa non solo attraverso una revisione della normativa in materia di intercettazioni, ma soprattutto attraverso l’adozione di modelli organizzativi virtuosi degli uffici che, in parallelo alle norme procedurali, prevedano linee guida per la redazione di tutti gli atti di indagine e tra questi delle informative che contengono o fanno riferimento ad intercettazioni, affinchè anche tali atti siano redatti con modalità tali da evitare la diffusione di informazioni potenzialmente lesive.

In questo senso va apprezzato il ritorno della centralità del pm nel controllo sulla fase di prima selezione delle conversazioni, sancito dalle modifiche apportate dal dl 161/2019 all’art. 268 cpp che oggi prevede che il pm “dia indicazioni e vigili” affinchè nei brogliacci non siano riportate espressioni lesive della reputazione. Tale espressione, riconosce al pm un potere-dovere organizzativo interno al proprio ufficio che meglio di ogni altro rimedio appare funzionale alla realizzazione di quel giusto contemperamento tra l’esigenza di accertamento della verità e diritti costituzionalmente garantiti. 

 

 

[1] L’art. 329 I comma cpp, nell’attuale formulazione prevede che “gli atti computi dalla polizia giudiziaria e dal pm le richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.

[2] Comma 4. I verbali e le registrazioni sono trasmessi al pubblico ministero, per la conservazione nell’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga. Il pubblico ministero dispone con decreto il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando la prosecuzione delle operazioni rende necessario, in ragione della complessita’ delle indagini, che l’ufficiale di polizia giudiziaria delegato all’ascolto consulti le risultanze acquisite. Con lo stesso decreto fissa le prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso.»;  

[3] L’art. 269 nuova versione recita “I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori dell’imputato per l’esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate”.

[*] Relazione tenuta alla Scuola della Magistratura nell’ambito del corso su “Disciplina e tecnica di effettuazione delle intercettazioni di comunicazioni interpersonali alla luce delle novità normative e del diritto vivente”, Scandicci, 10-12 febbraio 2020

21/02/2020
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24/01/2023
Trojan Horse: tornare alla riforma Orlando? Il difficile equilibrio nell’impiego del captatore informatico

Un disegno di legge del Senatore Zanettin - che propone di escludere l’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione – sta suscitando discussioni e polemiche. Nel dibattito politico e giornalistico sulla giustizia penale - ormai dominato da un meccanico susseguirsi di azioni e reazioni che spesso prescindono dal merito delle questioni sul tappeto per privilegiare ragioni di schieramento – sono scattati riflessi condizionati pregiudizialmente “oppositivi” o giudizi sommari che non esitano a qualificare le intercettazioni (tutte le intercettazioni, con qualunque mezzo effettuate e per qualunque reato adottate) come uno strumento di oppressione. Così la proposta è stata immediatamente “bollata” dagli uni come espressione di volontà di disarmo nel contrasto alla corruzione e come un favore alle organizzazioni criminali (le cui attività delinquenziali non sono peraltro escluse dalla sfera di utilizzo del Trojan) ed “esaltata” dagli altri come uno strumento di liberazione dallo strapotere di pubblici ministeri e giudici che se ne servirebbero “normalmente” per prave finalità di potere, di pressione, di intimidazione e di controllo dei cittadini. Per sottrarsi a queste grottesche semplificazioni polemiche - che sembrano divenute la cifra obbligata del confronto pubblico sulla giustizia- vale la pena di ripercorrere le fasi della vicenda istituzionale del Trojan per trarne indicazioni utili a delimitare correttamente la “desiderabile” sfera di applicazione di questo mezzo di ricerca della prova, tanto efficace quanto insidioso. Non dimenticando che l’estensione dell’utilizzo del Trojan Horse ai procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione - e dunque al di là dell’originario confine dei reati di criminalità organizzata fissato dalla elaborazione giurisprudenziale e dalla riforma Orlando - è stata realizzata da una legge, la c.d. Spazzacorrotti, che costituisce uno dei frutti più discutibili della stagione del governo dei due populismi di Cinque Stelle e della Lega. 

28/12/2022
La riforma c.d. “Cartabia" in tema di procedimento penale. Una pericolosa eterogenesi dei fini

Il legislatore, con il decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della l. n. 134 del 2021, c.d. "Cartabia", è intervenuto sul tema del procedimento penale, stravolgendo il campo dei rapporti tra giudice e pubblico ministero. In relazione ad alcuni degli istituti introdotti, su tutti l’iscrizione coatta prevista dal nuovo art. 335 ter c.p. e il nuovo ambito applicativo dell’art. 408 c.p.p., pare che il legislatore abbia fatto confusione facendo del giudice un pubblico ministero e del pubblico ministero un giudice. Il tutto è avvenuto in nome di principi di efficienza aziendalistica e in sacrificio del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. La riforma c.d. "Cartabia" in tema di procedimento penale, dunque, rischia di rappresentare una pericolosa eterogenesi dei fini dove gli scopi diventano mezzi e i mezzi diventano scopi. 

19/12/2022
Delitti (e processi) in prima pagina

Il libro di Edmondo Bruti Liberati sulla giustizia nella società dell’informazione

16/04/2022
Verso una nuova istruzione formale? Il ruolo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari

La “riforma Cartabia” investe profondamente la fase delle indagini preliminari, incidendo su snodi fondamentali, quali il momento “genetico” dell’iscrizione della notizia di reato e del nominativo della persona cui esso è da attribuire, e il momento “conclusivo” delle determinazioni sull’esercizio dell’azione penale. Sono attribuiti incisivi poteri al giudice per le indagini preliminari, che obbligano a ripensare non solo la fisionomia e la finalità delle indagini, ma anche l’equilibrio di poteri e di rapporti tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari.

20/01/2022